Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Giochi pubblici e diritto privato. Appunti da uno studio (di Maria Pia Pignalosa, Professoressa associata – Università degli Studi di Roma “Foro italico”)


Il saggio si concentra sulla disciplina dei giochi e delle scommesse autorizzate e dotate di piena tutela giuridica e analizza in chiave critica il rapporto tra regola ed eccezione tra gli artt. 1933 e 1934-1935 c.c. per come è stato concepito dal legislatore del 1942 e, conseguentemente, impostato dagli interpreti. In particolare, nell’intento di colmare le lacune e guidare il legislatore che voglia dedicarsi alla redazione di un Testo unico per il mercato dei giochi, si analizza un possibile parallelo con la disciplina delle scommesse finanziarie.

Parole chiave: giochi e scommesse autorizzate – scommesse finanziarie.

Public games and private law. Notes from a study

The essay focuses on the regulation of games and betting authorised and endowed with full legal protection and critically analyses the relationship between rule and exception between Articles 1933 and 1934-1935 of the Civil Code as it was conceived by the 1942 legislature and, consequently, set up by interpreters. In particular, with the aim of filling in the gaps and guiding the legislator who wishes to dedicate himself to drafting a single text for the gaming market, a possible parallel is analysed with the regulation of financial betting.

Keywords: authorised games and betting – inancial betting.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Segue: l’evoluzione della disciplina normativa dei giochi pubblici e la crisi del primato della legge - 3. Giochi e scommesse: il cosiddetto “nodo” definitorio - 4. Giochi e scommesse nella categoria dei contratti aleatori - 5. Segue: dal gioco “passionale” al gioco “razionale”? - 6. Giochi e scommesse autorizzati e scommesse finanziarie: dall’homo ludens, all’homo faber, all’homo oeconomicus - 7. La regolazione dei rapporti tra privati nel mercato dei giochi pubblici - 8. Giochi e scommesse autorizzati e struttura dei contratti - 9. Tutela della concorrenza e giochi pubblici - 10. I giochi e le scommesse autorizzate negli ordinamenti stranieri: “uno sguardo oltre le Alpi” - NOTE


1. Premessa

Il tema dei giochi e delle scommesse è quanto mai sfuggente per l’interprete. Questa inafferrabilità discende dalla complessità [1] del fenomeno, una complessità che concerne molteplici aspetti e si articola su più livelli.

Anzitutto il nodo definitorio [2] o, se si vuole, concettuale; un aspetto sul quale si è fin troppo indugiato e in questa sede si tornerà solo nella misura in cui si rivela strumentale e propedeutico alla nostra indagine.

È noto poi come la complessità sia stata alimentata anche e soprattutto dalla commistione dei profili giuridici con quelli sociologici, psicologici e persino morali, nonché dalla circostanza per la quale il tema è stato vittima di una certa diffidenza da parte degli studiosi del diritto, e specialmente del diritto privato. Secondo una risalente e diffusa opinione, che ha condizionato a lungo lo studio del tema in esame, il diritto non dovrebbe interessarsi al gioco, in quanto si tratterebbe di un’attività esercitata per diletto, svago o distrazione e quindi caratterizzata dalla inutilità economica [3].

La complessità coinvolge anche il profilo delle fonti, che non si esaurisce nella scarna e laconica disciplina contenuta nel codice civile (artt. 1933-1935 cod. civ.) e in quello penale (artt. 718-723 cod. pen.), ma si articola in una abbondante e disordinata legislazione speciale e in una assai ricca normativa regolatoria che ne rende assai difficoltosa la ricostruzione, potendosi a ragione parlare, usando il lessico della postmodernità novecentesca [4], di una disciplina multilivello, per la quale si auspica già da tempo la raccolta in un testo unico [5].

La complessità è data anche e soprattutto dal fenomeno stesso che stiamo indagando, dall’enorme numero di giochi offerti dal mercato, ma prima ancora dalla circostanza che, in mancanza di una definizione legislativa, si pone anzitutto la necessità di definire, sia pur a livello stipulativo, il gioco e la scommessa.

Non può revocarsi in dubbio che non esista un concetto giuridico di gioco da contrapporre ad uno di scommessa; piuttosto sembrerebbe che, nella scelta di non definire gli istituti, il legislatore li abbia intesi nel loro uso corrente [6]. Ma la polisemia del termine gioco, la contaminazione che lo stesso termine ha assunto nel linguaggio comune [7], e le molteplici sfaccettature che lo stesso può assumere, rendono lo sforzo definitorio [8] ancor più complesso.

Per comprendere la poliedricità del fenomeno basta già riflettere sulla circostanza che il termine gioco vanta una notevole ricchezza semantica, capace di evocare una pluralità di tipi insuscettibili di essere ridotti ad unità: c’è il gioco solitario del bambino e il gioco che coinvolge più giocatori; c’è il gioco senza regole e quello regolato; c’è il gioco di abilità e quello di sorte; c’è il gioco istantaneo e quello di durata; c’è il gioco fine a se stesso e quello volto a premiare un vincitore, al cui interno è ancora possibile distinguere il premio dell’alloro dalla vittoria di una somma di danaro o di altre utilità suscettibili di valutazione economica; c’è il gioco che eleva e il gioco che trascina nel baratro e ciascuna di queste specie potrebbe variamente combinarsi con le altre consegnandoci ancora altri tipi [9].

A ragione si è osservato come questa complessità del gioco, se da un lato interessa il giurista, per altri aspetti lo lascia indifferente [10]. L’interprete dovrebbe infatti svolgere lo studio sul terreno del diritto positivo, senza indulgere in considerazioni sociologiche [11], filosofiche o morali [12], cercando di lasciare sullo sfondo le suggestioni sollecitate da altre scienze [13].

Si tratta dunque di un fenomeno plurale e questa pluralità è al tempo stesso la cifra e la chiave di lettura dalla quale occorre muovere per essere fedeli al dato positivo e alla realtà del fenomeno che stiamo indagando.

Questa pluralità si riflette nella nota tripartizione consegnataci dalla tradizione che è solita distinguere all’interno della categoria i cd. giochi proibiti, i giochi tollerati e i giochi autorizzati, anche denominati giochi pubblici o giochi organizzati [14]. Si tratta di una tripartizione pacifica e consolidata che tuttavia necessita di una precisazione concettuale. Per il diritto civile non vi sono giochi vietati e giochi non vietati. L’unica distinzione ammissibile, in virtù degli artt. 1933 ss. cod. civ., è tra debito munito di azione e debito non munito di azione [15]. E d’altra parte anche dalla lettura del Codice penale e del Testo Unico delle leggi di Pubblica Sicurezza non si evince alcuna disciplina che vieti il gioco d’azzardo in quanto tale. Piuttosto, ciò che emerge dalla legislazione penale è il divieto per i privati di organizzare il gioco d’azzardo e di favorirne la diffusione in un luogo pubblico o aperto al pubblico (art. 718 cod. pen.), nell’intento di tutelare la sicurezza e l’ordine pubblico in presenza di attività che si prestano a favorire l’habitat ad attività criminali [16].

Il presente studio si concentra esclusivamente sui giochi e le scommesse autorizzate, l’interesse per i quali è dettato non solo dalla circostanza di costituire il terzo mercato italiano [17], ma anzitutto perché si tratta della specie più diffusa e allo stesso tempo più trascurata dagli interpreti e che merita, invece, di essere approfondita per i plurimi problemi che la stessa solleva.

Da tempo si è rilevato [18] come le figure tradizionali delle scommesse e dei giochi tra privati, l’obbli­gazione naturale e l’effetto della soluti retentio ‒ che costituiscono i temi intorno ai quali la dottrina ha a lungo e appassionatamente dibattuto ‒ hanno perduto molto della loro centralità, stante l’inarrestabile ascesa ed espansione delle scommesse e dei giochi autorizzati, che relegano le scommesse e i giochi tra privati a ipotesi del tutto marginali.

Anche più di recente si è osservato come la gran parte degli studi dedicati all’argomento muovano dalla fattispecie delle scommesse e dei giochi meramente tollerati e, in quanto tali, non muniti di azione, assegnando il ruolo di regola cardine dell’intera materia alla denagatio actionis dettata dall’art. 1933 cod. civ., che sarebbe pensata come regola generale rispetto alla quale si configurerebbero come mere eccezioni le ben più numerose ipotesi di scommesse e giochi tutelati [19].

Tuttavia, la realtà economica e sociale, e la conseguente evoluzione normativa, testimoniano una vastissima diffusione delle scommesse e dei giochi autorizzati dotati di piena tutela, che suggerisce e impone di ripensare [20] il rapporto tra regola ed eccezione per come è stato concepito nel Codice civile [21] e, conseguentemente, impostato dagli interpreti.

L’art. 1933 cod. civ. si rivela una disposizione deputata ad operare per manifestazioni marginali di gioco e scommessa non riconducibili alle categorie tutelate dall’ordinamento e per le quali, stante la dimensione privata e occasionale del fenomeno, il legislatore ha scelto di mantenersi neutrale [22] non accordando azione per il pagamento, limitandosi a riconoscere la irripetibilità di quanto spontaneamente pagato dopo l’esito di un gioco o di una scommessa, purché non vi sia stata frode e il perdente non sia incapace.

Una scelta che, come si è opportunamente rilevato, è apparsa sintomatica di una considerazione marginale del fenomeno, pensato eccentrico rispetto alle ordinarie regole di circolazione della ricchezza ed espressivo di interessi che non superano il confine di una questione privata, insuscettibili di proiettarsi nel mercato, e a fronte dei quali non è parso opportuno attivare il costoso ingranaggio coercitivo [23].

Quando, invece, il gioco e la scommessa diventano attività socialmente utili, sia pur in modo indiretto (art. 1935 cod. civ.) ovvero concorrono all’incremento e allo sviluppo di attività già di per sé socialmente utili (art. 1934 cod. civ.) [24] cessa l’applicabilità dell’art. 1933 cod. civ. e il credito che sorge è munito di azione.

Concentrando dunque l’attenzione sui giochi e sulle scommesse autorizzate, occorre anzitutto rilevare come la complessità alla quale ci si è richiamati può essere qui indagata anche sotto una diversa e ulteriore prospettiva, analizzando la pluralità di interessi che il tema coinvolge e le diverse scelte compiute dal legislatore nel tentare un loro bilanciamento nel corso delle diverse stagioni legislative [25].


2. Segue: l’evoluzione della disciplina normativa dei giochi pubblici e la crisi del primato della legge

Nel tentare di descrivere, sia pur in estrema sintesi, l’evoluzione della disciplina normativa dei giochi pubblici, la dottrina [26] ha ben individuato quattro periodi, ciascuno dei quali si caratterizza per il perseguimento di differenti politiche pubbliche.

Il primo periodo, che possiamo datare dall’unificazione italiana fino al 1992, si caratterizza per un regime di divieto e di limitazione del gioco d’azzardo, che era proibito salve le ipotesi espressamente consentite [27] e rigorosamente riservate [28] allo Stato che poteva, eventualmente, darle in concessione [29]. Lo scopo dell’azione di polizia non era di moralizzare con l’uso di mezzi repressivi, quanto di colpire gli atti in grado di ledere un diritto degli altri consociati: l’ordine pubblico.

Il secondo periodo, che si è soliti collocare nel decennio 1992 –2003, è caratterizzato dalla politica di fiscalizzazione dei giochi, sfruttati come leva fiscale per aumentare le entrate e ridurre il debito pubblico e, in questa prospettiva, furono introdotte accanto alle lotterie tradizionali, legate a pochi e specifici eventi, le lotterie istantanee con le quali si velocizzò il ritmo di gioco; al contempo furono inseriti nel mercato nuovi giochi, con la necessità di esternalizzare i punti di raccolta. Queste novità comportarono un notevole incremento della spesa destinata al gioco e, conseguentemente, delle entrate erariali.

Il terzo periodo, dal 2003 al 2009, è stato efficacemente descritto come il periodo dell’aziendalizzazione, nel quale si avvia, non solo il processo di unificazione delle competenze in materia in capo all’Ammi­nistrazione autonoma dei monopoli di Stato, ma si tenta di razionalizzare e ottimizzare il gettito erariale derivante dal settore dei giochi. Si apre il mercato dei giochi e delle scommesse a distanza, si disciplina la rete telematica degli apparecchi e terminali da intrattenimento e, infine, si consente all’AAMS di indire nuove lotterie ad estrazione istantanea, di adottare ulteriori modalità di gioco del lotto, al fine di assicurare maggiori entrate a seguito del terremoto che aveva colpito l’Abruzzo.

L’aumentare incessante di nuovi giochi ha comportato inevitabilmente l’affermarsi di una diversa stagione legislativa, un quarto periodo, che inizia nel 2009 e si caratterizza per una serie di interventi legislativi connotati da una progressiva attenzione ai problemi connessi al gioco, sebbene accompagnata in un primo momento dall’espansione dei giochi.

A partire dal cosiddetto Decreto Balduzzi del 2012 [30] inizia una progressiva azione di contrasto al “disturbo da gioco d’azzardo”, la pubblicità viene in un primo momento limitata, per essere successivamente vietata con il cosiddetto Decreto dignità del 2018 [31] con il quale il divieto si estende a qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa ai giochi o scommesse con vincite in denaro – ad eccezione delle lotterie nazionali a estrazione differita e delle manifestazioni di sorte a carattere puramente locale o ricreativo/culturale, nonché dei loghi sul gioco sicuro dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli – attribuendo all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il potere di irrogare sanzioni amministrative previste per la violazione del divieto.

A decorrere poi dal dicembre del 2012 è stata prevista l’incorporazione dell’AAMS nell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (ADM) che dispone di poteri normativi, sia di normazione del settore, sia di individuazione degli indirizzi che esercita con discrezionalità e che rispondono all’esigenza di assicurare la tutela del consumatore, dei minori, della sicurezza pubblica e del gioco responsabile, la tutela della concorrenza, la promozione e la pubblicità dei prodotti di gioco nel rispetto dei principi di tutela dell’utenza [32].

Questo rapido excursus ci mostra la trasformazione e l’evoluzione dei giochi e delle scommesse da affare privato a fenomeno di massa, con inevitabili conseguenze sul piano giuridico, così come si vedrà oltre. Per il momento basti accennare come la disciplina dei giochi pubblici o autorizzati ha subìto, al pari di altri istituti, una fuga dal codice a favore di una rete [33] di fonti disomogenee, leggi statali, decreti ministeriali, dirigenziali e circolari che concorrono a definire un quadro di regole, insuscettibili di essere ricondotto a sistema [34].

Occorre precisare che il richiamo contenuto nell’art. 1935 cod. civ. ad un solo tipo di gioco, la lotteria, fotografa una realtà sociale, quella del ‘42, nella quale la stessa era l’unico gioco pubblico di larga fruizione. La ratio della norma si coglie appuntando l’attenzione non già al tipo di gioco, che, come si è anticipato, rispecchiava la realtà dell’epoca, ma sul ruolo che al suo interno svolge l’autorizzazione.

Un ruolo duplice: da un lato, il suo carattere pubblicistico implica una valutazione di opportunità, che non dovrebbe limitarsi ai profili fiscali [35], rappresentando, piuttosto, un filtro per elidere i pericoli e le insidie che fondano il divieto penale, attraverso la verifica delle garanzie offerte dall’organizzazione al pubblico e la destinazione degli introiti; dall’altro, l’autorizzazione è al tempo stesso presupposto di efficacia dei contratti conclusi a valle, la cui mancanza ne determinerebbe la nullità, impingendo nel divieto penale, rappresentando, pertanto, un presupposto indispensabile, una condicio iuris di validità [36].

Pur nella complessità ed eterogeneità che caratterizza la disciplina dei giochi pubblici, si è soliti [37] rinvenire due elementi connotativi: la presenza di un organizzatore, ossia di un soggetto pubblico o privato che organizza e gestisce il gioco, così consentendo ad una pluralità di persone di partecipare, ed in secondo luogo il controllo diretto o indiretto da parte dello Stato [38]. Un controllo che può essere esercitato in due forme: l’esercizio esclusivo da parte dello Stato o di altri enti pubblici; o una seconda forma che si realizza assoggettando l’esercizio dei giochi ad apposita concessione e autorizzazione amministrativa.


3. Giochi e scommesse: il cosiddetto “nodo” definitorio

La difficoltà di definire il gioco, nell’intento di coglierne i tratti connotativi e così distinguerlo dalla scommessa, ha dato vita, specie negli studi più risalenti, ad un ricco dibattito tra gli interpreti; un dibattito che ad alcuni è apparso sterile, se non persino scientificamente erroneo [39], in quanto le distinzioni in tanto possono effettuarsi in quanto vi sia una diversità normativa che le renda necessarie e le giustifichi.

La disputa sulle differenze tra le due figure ha una ragione meramente storica, in quanto nel diritto comune si distingueva il gioco dalla scommessa, poiché la tradizione romanistica era interpretata nel senso che il debito di gioco fosse sfornito di azione, salvo quelli praticati virtutis causae, diversamente dal debito da scommessa [40]. Nel nostro diritto positivo, così come nelle numerose leggi speciali che ad essi si richiamano, il gioco e la scommessa sono configurati come contratti nominati [41]. Si tratta del risultato di una lunga e incontrastata tradizione [42] che ne tratta come due figure contrattuali affini.

La correttezza di questa sistemazione ‒ e la considerazione del gioco e della scommessa come negozi giuridici appartenenti entrambi alla categoria dei contratti ‒ è stata contestata nella prima metà del secolo scorso, formandosi un orientamento che, separandosi dalla tradizione, ha negato al gioco le caratteristiche della giuridicità, riservando la qualifica di contratto solo alla scommessa [43].

Non può revocarsi in dubbio che il gioco in sé e per sé, considerato come attività libera o regolata e disinteressata, non ha alcuna rilevanza per il diritto, almeno per il diritto dei contratti e delle obbligazioni [44]; il gioco è preso in considerazione dall’ordinamento quando lo stesso si accompagni ad una convenzione tra due o più parti che dall’esito del gioco faccia dipendere la corresponsione, a favore di uno o più soggetti, di una prestazione a contenuto patrimoniale, la cd. vincita [45].

Se il gioco acquista valore per il diritto solo allorché vi sia una scommessa sull’esito dello stesso, venendosi così a costituire un rapporto a contenuto patrimoniale, rispetto al quale il gioco si pone come presupposto logico (peraltro non necessario), l’espressione che ricorre all’art. 1933 cod. civ., che richiama il debito di gioco o di scommessa, apparirebbe fuorviante [46], in quanto anche il debito di gioco nasce pur sempre da una scommessa, sebbene non sia vero il contrario, in quanto la scommessa può avere ad oggetto non solo l’esito di un gioco, ma anche la bontà di un’affermazione contrastata dall’altra parte.

In questa prospettiva, dunque, il gioco avrebbe una funzione meramente strumentale rispetto alla scommessa con esso associata attraverso il congegno convenzionale della posta, e rappresenterebbe il mezzo che produce l’alea artificiale, tratto tipico della scommessa impegnata sui risultati del gioco, così come si vedrà oltre.

Si ritiene, pertanto, che la legge impiegherebbe impropriamente il termine gioco con riguardo ad un rapporto a contenuto patrimoniale risultante dalla messa in palio di una vincita relativamente al risultato di un gioco e, conseguentemente, i cosiddetti «debiti di gioco» non sarebbero in realtà debiti da gioco, ma debiti da scommessa [47]. E non sarebbe un caso che gli interpreti che si sono prodigati a riconoscere al gioco valore contrattuale hanno dovuto distinguere all’interno del genus la specie gioco interessato. Ma il gioco d’interesse consiste proprio nel mettere in palio, nel puntare dei valori economici sui risultati del gioco. Dunque, com’è stato osservato [48], là dove possa apparire che il gioco abbia rilevanza giuridico-patrimoniale, questa rilevanza è data proprio dalla scommessa che ad esso si accompagna.

La tesi descritta, sebbene sia connotata da una sua coerente logica, è stata criticata laddove sarebbe smentita dal dato positivo che impiega separatamente [49] il termine gioco e il termine scommessa e che dunque rimanda ad una duplicità di fenomeni che non consentirebbero di neutralizzare il primo riconducendolo alla seconda [50].

Indubbiamente l’argomento letterale ha una sua valenza, ma così come impostato appare un argomento fragile. Ciò che occorre porre in evidenza, piuttosto, non è solo la duplicità dei termini, che sembrerebbe provare troppo, quanto invece, sempre sulla scorta del dato positivo e specificamente del canone letterale, ci sembra essere un altro il limite della tesi richiamata.

Gli interpreti che negano al gioco natura contrattuale muovono dal presupposto, indimostrato, e anzi contraddetto dal dato positivo, per il quale il fine di lucro contraddirebbe la stessa natura del gioco; ma allorché si superi, sulla scorta del dato positivo, questa precomprensione e si rifletta sulla lettera della legge che individua all’interno del genus gioco quello che dà luogo a debiti, si comprende come ridurre il gioco alla sola figura della scommessa sia una tesi che non meriti di essere seguita.

Giova ricordare che la interpretazione presuppone la polisemia ed impone all’interprete la fatica di selezionare tra i vari significati quello fatto proprio dal legislatore [51].

Il gioco interessato, ossia il gioco al quale si accompagna una posta sui risultati di gioco, non potrebbe essere ridotto alla scommessa e ciò in quanto il gioco interessato non contraddirebbe la natura del fenomeno ― ammesso che il fenomeno sia riducibile ad un’unica natura e non sia, invece, come noi riteniamo, e come si è già evidenziato nelle prime pagine del lavoro, un fenomeno plurale ― ossia una competizione dal cui esito le parti fanno dipendere l’an o il quantum di una attribuzione patrimoniale, la cd. vincita, rappresentando, piuttosto, un connotato dello stesso che lo distingue dal gioco disinteressato irrilevante per il diritto [52].

D’altra parte, la patrimonialità non è in sé neanche un tratto necessariamente connotativo della scommessa, potendosi ben scommettere per il puro diletto di avere ragione.

Dunque, se si seguisse la teoria criticata, le stesse argomentazioni che gli interpreti impiegano per riconoscere alla scommessa, e negare al gioco, natura contrattuale, potrebbero essere utilmente impiegate anche per negare alla scommessa, allorché sia per la pura gloria, la medesima natura. E allora è ancor più evidente che quella tesi, sebbene coerente e dotata di una sua logica, non merita di essere condivisa perché muove da una premessa che, come si è anticipato, non solo non è dimostrata, ma ancor più grave: supera il dato positivo.

Una volta isolata la figura del gioco interessato si è inevitabilmente posto il problema di trovare dei criteri che riuscissero a spiegare la differenza tra gioco interessato e scommessa, una distinzione che si legge di frequente: sconta l’irrilevanza giuridica, stante l’unicità di disciplina. Una ricerca destinata all’insuccesso, come più volte ricordato dagli interpreti, in quanto frustrata dalle stesse premesse, non esistendo un concetto giuridico di gioco e di scommessa. Sia nell’uno come nell’altra il momento ludico e quello economico risultano vicendevolmente implicati e a nulla rileva ai fini della disciplina applicabile la partecipazione o meno delle parti al conseguimento dei risultati di gioco, come testimonia l’art. 1934 cod. civ. laddove precisa che i giochi ivi contemplati sono sottratti alla soluti retentio «anche rispetto alle persone che non vi prendono parte», ossia gli scommettitori.

Muovendo da questo riferimento positivo alcuni interpreti hanno trovato utile spunto per distinguere il gioco dalla scommessa, ravvisando proprio nella partecipazione al verificarsi dell’esito l’elemento di discrimen tra le due figure [53].

Non può dubitarsi che tra i vari criteri di distinzione [54] quello evocato trovi un riscontro positivo, e si è soliti affermare che, proprio la circostanza che ai fini della disciplina applicabile lo stesso sia evocato per equipararne gli effetti, confermerebbe l’inutilità della distinzione, sulla quale pertanto, in questa sede, non indugeremo oltre.

Piuttosto, occorre ragionare su un aspetto poco indagato, ma che merita invece di essere approfondito. Se si muove dalla premessa che ogni gioco ha le sue regole (e per gioco qui mi riferisco solo ai giochi pubblici, naturalmente) la circostanza che gli scommettitori siano anche giocatori, sebbene sia irrilevante ai fini della disciplina codicistica di cui agli artt. 1933 e ss., è davvero in sé irrilevante sotto ogni altro aspetto?

In altri termini, proprio muovendo dalla prospettiva delle regole del gioco, occorre chiedersi se e quale incidenza abbia la loro violazione sul contratto. Il tema esula dall’oggetto del presente lavoro, e mi sia consentito rinviare ad una mia più ampia ricerca [55], può tuttavia anticiparsi in questa sede che il richiamo alla frode, contenuto nell’art. 1933 cod. civ., già offre un argomento per fermarsi a riflettere sul problema [56]. Ma è altrettanto evidente che l’art. 1933 cod. civ. si limita a richiamare la frode per escludere l’applicazione della soluti retentio. Dunque, non è in quel riferimento positivo che può trovarsi la soluzione al quesito proposto, diversamente da com’è stato sostenuto.

In particolare, occorre fermare l’attenzione su una circostanza che appare non trascurabile, domandandosi se le cosiddette regole del gioco siano o meno regole del contratto o, se, piuttosto, le prime non esulino dalle seconde, potendosi ricondurre ad un ordinamento diverso [57]. È necessario, infatti scongiurare la sovrapposizione di piani sui quali si svolgono l’attività ludica e quella giuridica, allorché quest’ultima faccia riferimento alla prima.

Un altro rilievo è poi necessario anche nell’economia del presente studio: stando al significato del termine gioco impiegato dalla legge, esso può intendersi come rapporto contrattuale, al pari del termine scommessa: e in tale accezione sono impiegati i due termini nell’art. 1933 cod. civ.; per converso, nell’art. 1934 cod. civ., il termine gioco ‒ qui impiegato isolatamente dal legislatore, ossia senza l’espresso richiamo alla scommessa ‒ è da identificare con quello di gara [58], così da costituire il presupposto tecnico della scommessa, considerati nell’altro senso in cui l’art. 1933 cod. civ. utilizza tali termini [59].

Dunque, il termine gioco, ancor più di quello di scommessa, non è in sé un termine innocente perché è al contempo capace di evocare l’atto e il rapporto, ma anche, come si chiarirà, e ciò specie nei giochi di massa, l’attività intesa come prestazione di servizi di gioco.

Nella nostra indagine parleremo di gioco e di scommessa come fenomeni ― che possono assumere rilevanza come contratti nominati, ma anche come rapporti che trovano fonte in contratti di servizi di gioco ― che stanno ad indicare delle competizioni di vario tipo tra due o più parti, dal cui esito, dipendente dall’abi­lità, dalla sorte o da entrambe, si riconduce l’attribuzione al vincitore di un vantaggio patrimoniale [60].


4. Giochi e scommesse nella categoria dei contratti aleatori

Gioco e scommessa sono qualificati secondo una risalente tradizione [61] nella categoria dei contratti aleatori distinguendosi da tutti gli altri (emptio spei, assicurazione, rendita vitalizia) per la circostanza che il rischio, dal quale si fanno dipendere gli spostamenti patrimoniali, non preesiste al contratto, ma è da questo artificialmente creato. Più in particolare a connotare il gioco e la scommessa è la circostanza che l’estraneità al rischio sia dia in capo a tutti i contraenti [62] e l’alea è volta a consentire l’identificazione del soggetto tenuto ad eseguire la prestazione dedotta nel contratto e, al tempo stesso, può svolgere la funzione di criterio di determinazione dell’oggetto della prestazione [63].

Quando ci si riferisce all’artificiale creazione del rischio nel gioco e nella scommessa si vuole porre in luce che nessun rischio incombe sulle parti prima e indipendentemente dalla conclusione del contratto, in quanto l’evento, al cui verificarsi è subordinata la vincita o la perdita, è di per sé ininfluente sulle loro economie e viene ad incidere sul patrimonio delle stesse solo in seguito alla conclusione del contratto. E ciò in quanto sono le stesse parti che subordinano al suo verificarsi il conseguimento di un determinato vantaggio patrimoniale per uno o taluni partecipanti al gioco o alla scommessa [64].

Le parti creano un rischio attribuendo ad un evento intrinsecamente inidoneo a determinare danni sulle economie dei giocatori il ruolo di aggiudicatore di un’attribuzione patrimoniale [65]. È l’alea che rende ab initio incerte le posizioni dei contraenti, quanto alle loro posizioni di lucro o di danno, ed è lo scioglimento di essa che determina l’incidenza soggettiva del vantaggio o del danno.

Segnatamente, si è rilevato che l’alea che connota i contratti di gioco e scommessa deve intendersi come doppiamente bilaterale [66]: sia con riguardo all’incertezza dell’evento, che deve essere incerto per tutte le parti [67], sia in riferimento all’artificialità del rischio che deve essere estraneo alla sfera di tutte le parti [68].

Con riguardo alla artificiale creazione del rischio si è osservato come la stessa se coglie uno dei tratti essenziali del gioco e della scommessa rispetto agli altri contratti aleatori, tuttavia, non appare univoca e non varrebbe a caratterizzarli. Là dove non vi fossero altre coloriture della causa al di fuori dell’alea (artificialmente creata) si configurerebbero come contratti ad alea pura.

Si discute, in particolare, se la creazione artificiale del rischio costituisca il risultato finale, lo scopo cui tendono le parti, o al più la stessa possa vedersi come un mezzo, uno strumento, per il conseguimento del fine, ossia la causa ludendi e la causa lucrandi, pensate entrambe come essenziali e in concreto inscindibili nel contratto [69].

E in una diversa prospettiva si osserva come nel contratto di gioco e scommessa la causa ludendi, quando sia intesa secondo l’opinione comune come spirito ludico, è solo eventuale e sembra rappresentare piuttosto un semplice motivo di un dispositivo cui le parti danno vita al fine di conseguire un guadagno e, al contempo, la causa lucrandi di solito non soffre limiti diversi da quello della liceità dei mezzi con cui un tornaconto economico è perseguito [70].

Dunque, ci si interroga sul ruolo della causa nei contratti in esame per dar ragione della denegatio actionis e comprendere le diverse ipotesi normative per le quali, invece, il contratto dà vita ad un debito munito di azione, che rappresentano oggi la forma più diffusa di gioco e scommessa tutelati.

Sul piano dogmatico si è osservato come la sola finalità di guadagno, pur correlata al rischio di una perdita, appare, per la sua genericità, inidonea a specificare causalmente il contratto, risolvendosi la speculazione del gioco in un’autosufficienza della volontà negoziale e dunque in un’astrattezza dell’operazione, che dovrebbe condurre all’inesistenza del negozio e non alla irripetibilità della prestazione spontaneamente eseguita [71].

La difficoltà nel tracciare la causa di questi contratti deriva anche dalla circostanza che il legislatore ha adottato nei confronti del fenomeno in esame un atteggiamento ora di protezione (1934-1935 cod. civ.) ora di tolleranza (1933 cod. civ.) ora di repressione (artt. 718 ss. cod. pen.) [72] e la diversa disciplina sembra costituire il frutto di un compromesso tra i diversi interessi che vengono in rilievo [73].

Questo rapido excursus della letteratura in argomento ci mostra come gli sforzi degli interpreti si siano a lungo concentrati nel comprendere la ratio che riuscisse a giustificare la denegatio actionis; ma è forse superfluo, giunti a questo punto dell’indagine, ricordare al lettore che il presente vede l’affermarsi dei giochi di massa, organizzati dallo Stato e gestiti per suo conto, ai quali è attribuita la piena tutela giuridica. Piena tutela che si fonda e presuppone una valutazione di meritevolezza, operata ex ante da parte dell’amministrazione, dei mezzi con i quali l’organizzazione dei giochi verrà attuata e degli scopi di utilità generale che con i suoi proventi si mira a soddisfare: fiscali, sportivi, culturali, di beneficenza, perseguiti in un contesto specifico e regolamentato.

Dunque, se è vero che il mero fine di lucro sarebbe in sé difettivo, non autosufficiente, inidoneo a fondare pretese assistite da una causa socialmente e giuridicamente adeguata, è altrettanto vero che quando ad esso si affianchi il perseguimento di altro fine o interesse pienamente meritevole di tutela (come uno scopo sportivo) – o almeno una forma di controllo pubblico o privato che offra sufficiente garanzie esterne (un’auto­rizzazione legale o amministrativa) contro i pericoli prospettati dalle attività di gioco e scommessa – allora il debito che sorge merita piena tutela [74].

Ben si osserva come detta articolazione di disciplina si rivolge all’atto, sebbene con la finalità di tutelare determinate attività [75], e questa si rivela una prospettiva feconda e suggestiva che merita di essere seguita e approfondita, nell’intento di raccogliere il suggerimento della dottrina più sensibile ai temi che stiamo indagando e che sollecita già da tempo lo studio delle scommesse comuni attraverso una rilettura dell’art. 1935 cod. civ., superando l’idea tralatizia, se non antiquata, per la quale la scommessa avrebbe una rilevanza sociale contenuta ed una causa tipicamente non seria, e l’idea secondo la quale il contratto, qualsiasi contratto, sarebbe meritevole di tutela soltanto in presenza di una causa seria. Idea che matura sulla scorta di una lettura miope dell’art. 1, comma 1° Cost., ove si legge: «l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro» e quindi non sul gioco e sulle scommesse [76].

Il soggetto di diritto è infatti pensato nella Costituzione come un homo faber [77], il quale, da solo o insieme con altri, dà luogo ad imprese economiche, a opere materiali e immateriali, a prestazioni di servizi di carattere collettivo e, pertanto, proprio muovendosi da quella prospettiva, il gioco e la scommessa sarebbero guardati come un fatto naturale, prima ancora che giuridico, che vulnera il soggetto dall’azione, dal fare socialmente ed economicamente utile: dunque un qualcosa al quale reagire.

E la reazione, nella logica del legislatore del ’42, non è stata quella di servirsi di uno strumento illiberale, come sarebbe stato il divieto, la proibizione dell’attività di gioco e scommessa. Le scelte di politica legislativa sono state diverse: il legislatore ha adottato un atteggiamento neutrale affidato alla logica dell’art. 1933 cod. civ., allora pensato come regola generale rispetto alla quale facevano eccezione le ipotesi nelle quali l’attività del giocare e dello scommettere fossero, per loro natura o per altre e diverse ragioni, legate talvolta anche alle episodiche e occasionali necessità storiche, meritevoli di piena tutela giuridica e affidate alle diverse regole [78] di cui agli artt. 1934 e 1935 cod. civ.

Se si ammette che le scommesse e i giochi tollerati sarebbero muniti di una “causa debole [79], in quanto “non seria”, allora occorre necessariamente chiedersi quali siano, invece, gli aspetti valutativi in grado di definirla positivamente, senza fermarsi alla prospettiva negativa della mancanza di serietà (perché diversamente non si comprendono le diverse ipotesi regolate di scommesse e giochi pienamente tutelati) e senza nemmeno discorrere di una generica causa lucrandi, e neppure, probabilmente, postulando una ipotetica sua “utilità” per il funzionamento del mercato e per la sua efficienza, come invece è stato fatto nel caso dei derivati, come si vedrà più diffusamente nelle pagine che seguono [80].


5. Segue: dal gioco “passionale” al gioco “razionale”?

In una prospettiva di analisi economica del diritto, si è di recente rilevato come i contratti in esame, sottraendosi alla logica dello scambio e del prezzo, implementerebbero una circolazione della ricchezza estranea a quella generale razionalità del mercato [81], la quale regola la distribuzione delle risorse orientandola verso la migliore allocazione [82]. E poiché questo meccanismo vale ovunque vi sia un dispositivo che rimette alla sorte la circolazione della ricchezza, si dovrebbe allora riconoscere che le lotterie e i giochi organizzati sarebbero sottratti dall’art. 1935 cod. civ. all’eccezione di gioco, non in virtù di una loro maggiore meritevolezza, ma solo in forza di una espressa deroga statale a spiegare la quale appaiono decisive ciniche ragioni fiscali [83].

Questa ultima tesi merita una riflessione ulteriore perché occorre chiedersi se davvero tutte le scommesse e tutti i giochi si sottraggono alla razionalità dello scambio e, in secondo luogo, se sia questa la prospettiva più feconda per esaminare le scommesse comuni e le scommesse finanziarie.

Se muoviamo dalla specificità delle tre categorie di giochi e scommesse (tollerati, autorizzati e cd. “proibiti”), consapevoli che le connotazioni di ciascuno le rendono insuscettibili di riconduzione ad unità – e si tratta di un metodo, quello di distinguere, che si impone in quanto è lo stesso legislatore a separare all’in­terno del genus giochi e scommesse quelle tollerate, quelle autorizzate e quelle cd. “proibite” – ci si avvede che i giochi e le scommesse, proprio perché costituiscono una realtà multiforme, sono insuscettibili di essere raccolti in un discorso unitario, che rischierebbe di essere smentito non appena ci si soffermi sulle peculiarità proprie di ciascuna specie.

Se la tesi della irrazionalità dello scambio sembra cogliere un tratto dei giochi e delle scommesse tra privati, le cosiddette scommesse tollerate, qualche riserva deve invece avanzarsi allorché le medesime considerazioni vengano impiegate per descrivere il meccanismo dello scambio nei giochi e nelle scommesse autorizzate.

In altri termini, volendo riprendere una formula di successo elaborata dalla migliore dottrina [84], e fatta propria anche dalle Sezioni unite della Suprema Corte [85], occorre chiedersi: solo le scommesse finanziarie sono o dovrebbero essere razionali, mentre quelle comuni sono per loro natura istintive e legate alla passione per il gioco e dunque irrazionali, o forse anche le scommesse e i giochi autorizzati dovrebbero essere razionali e proprio perché razionali autorizzati?

Il discorso è complesso, e in questa sede [86] può solo accennarsi ad alcuni profili che sono strumentali con l’oggetto del presente lavoro.

L’interrogativo impone la necessità di una preliminare analisi.

Anzitutto occorre chiedersi cosa si intenda con l’espressione scommesse razionali e cosa i sostenitori della tesi per la quale la scommessa di diritto comune sfuggirebbe alla razionalità del mercato intendano per irrazionalità dello scambio. E ciò anche nell’intento di riempire di significato dei termini che rischiano, diversamente, di apparire delle formule vuote [87].

Proprio perché il termine è largamente impiegato nel lessico dei giuristi e della giurisprudenza, prima ancora che in quello giuridico – e, come a tutti noto, ha formato oggetto di ampio approfondimento scientifico – nell’intento di non sciuparne la portata semantica, sconfinando in una vaghezza terminologica, occorre verificare, in particolare, se l’identità dei termini impiegati assuma lo stesso significato e rimandi dunque agli stessi concetti. Perché se rimandassero allo stesso significato di razionalità/irrazionalità allora il parallelo potrebbe avere un senso e cogliere magari somiglianze o alterità e potrebbe, ad esempio, suggerire di importare alcune regole pensate per i mercati finanziari, con i dovuti adattamenti, al mercato [88] delle scommesse comuni.

In altre parole, riprendendo uno stimolante interrogativo proposto da Angelici [89], ci si chiede quale sia il tipo di razionalità che, presente nei derivati, [90] sarebbe invece assente nel gioco e nella scommessa. Ma l’interrogativo potrebbe essere ulteriormente specificato, o forse complicato. Perché già ad una prima impressione sembrerebbe che l’oggetto sul quale si concentra il giudizio di razionalità sia diverso e, probabilmente, proprio la prospettiva di indagine sia differente tra i diversi Autori che hanno impiegato il lemma razionalità: in un caso è l’atto o l’attività a dover essere razionale, nell’altro si evoca la razionalità come qualità del mercato e degli scambi.

Non vi è dubbio che le scommesse comuni e quelle finanziarie siano imputabili a mercati diversi, non riconducibili a logiche sovrapponibili, ma se si supera questa prima, e quindi superficiale, lettura può essere utile ragionare provando ad importare in questo contesto alcune delle regole che invece disciplinano quel mercato.

Per non affrettare le nostre conclusioni, conviene in questo ragionamento soffermarsi su una circostanza significativa.

Quando la dottrina più risalente, ma ancora gli scritti più recenti, trattano del giocatore, pensano alla figura in esame alla stregua di un qualunque cittadino che conclude una scommessa, un gioco, con un proprio pari. Un affare privato, di scarsa rilevanza economica, che talvolta costituisce il frutto di una dipendenza patologica. Si ragiona, insomma, nella fantasia comune, ma anche in quella scientifica, pensando alla fattispecie dei giochi tollerati.

Dopo la nota pronuncia del 2015 della Suprema Corte [91] il giocatore ha assunto, com’è ormai noto, una fisionomia inedita, che fino ad allora gli era stata negata: è qualificato consumatore.

E riprendo questa qualificazione, non già per soffermarmi sulle patetiche immagini, ricorrenti nella letteratura, del giocatore vittima della passione e della dipendenza dal gioco – che in questo modo vede amplificata la sua tutela nei confronti di uno Stato che assume le vesti di un Giano bifronte: al tempo stesso istigatore al gioco e soccorritore – perché su questo aspetto è stato già scritto molto [92].

Richiamo questa qualità per pensare alle regole di tutela che sono state riconosciute al giocatore-consumatore, non già nella fase patologica, allorché sia incapace in quanto affetto da “azzordopatia [93], ma nella fisiologia dei suoi rapporti con lo Stato o con chi per esso organizzi, gestisca e regoli il gioco.

Sebbene banale, giova precisare che nel qualificare il giocatore come consumatore, la Suprema Corte ha preso le mosse del suo ragionamento, non già dalla fattispecie giochi tollerati, che presuppongono un rapporto tra pari, o se si vuole tra privati, ma naturalmente da quella dei giochi autorizzati.

La precisazione si comprende perché, com’è noto, la qualità soggettiva di consumatore assume rilevanza solo allorquando il contratto sia concluso con un professionista e, come si è anticipato, la fattispecie giochi autorizzati, pubblici o organizzati, è caratterizzata proprio dalla necessaria presenza di un soggetto, organizzatore, che gestisce, organizza o partecipa egli stesso al gioco nell’esercizio della sua attività professionale.

Questa qualificazione soggettiva non può essere trascurata in quanto, com’è noto, intanto il giocatore-consumatore gode di alcune specifiche tutele, in quanto contragga con un professionista.

Dunque, seguendo le fila di un dibattito ben più complesso, ma accogliendo alcune suggestioni di quel dibattito, si tenterà di ripensare, in quella prospettiva, il rapporto giocatore/consumatore ― Stato/con­cessionario (gestore, organizzatore del gioco e della scommessa, regolatore dello stesso o giocatore an­ch’esso) [94].

Il dibattito [95] è a tutti fin troppo noto e, dunque, si riportano solo alcuni termini, in estrema sintesi e nella misura in cui sono funzionali alla nostra indagine.


6. Giochi e scommesse autorizzati e scommesse finanziarie: dall’homo ludens, all’homo faber, all’homo oeconomicus

Muovendo dal dato positivo, l’art. 23, comma 5, d.lgs., n. 58 (TUF) prescrive che «nell’ambito della prestazione dei servizi e attività di investimento, agli strumenti finanziari derivati nonché a quelli analoghi individuati ai sensi dell’art. 18, comma 5, lettera a), non si applica l’art. 1933 del Codice civile», ancora pensata anacronisticamente come regola generale.

Com’è noto la norma non è nuova [96], ed è pensata per attribuire ai contratti derivati piena tutela giuridica, sottraendoli alla marginalità cui sarebbero relegati ove si applicasse la disciplina richiamata. Probabilmente, come osserva De Nova [97] il legislatore è tornato nuovamente sul tema proprio per neutralizzare la soluzione che emergeva a seguito di un orientamento lucido di una coraggiosa giurisprudenza milanese [98], che ne aveva colto felicemente la natura di scommessa, così sancendo che ai derivati non si applica la disciplina del diniego di azione di cui all’art. 1933 cod. civ. propria delle scommesse tollerate [99].

Non è banale ricordare che i contratti sui derivati si sono sviluppati come risposta di mercato all’esigenza di coprire i rischi di variazione nel tempo del tasso di interesse o del corso di cambio fra valute o del prezzo di valori mobiliari o materie prime. Se concluso per soddisfare tale esigenza, non può revocarsi in dubbio che al contratto su derivati sia sottesa una giustificazione causale idonea a fondarne la piena rilevanza giuridica: una giustificazione causale che, accostandolo, sia pure senza sovrapporlo, al contratto di assicurazione, si distingue da quella, meramente lucrativa ed affidata alla sorte, che è propria della scommessa. Ma alcuni, com’è noto, vanno oltre: il contratto sui derivati meriterebbe piena tutela, distinguendosi dalla scommessa, anche in difetto dell’esigenza di copertura di un rischio corso da uno dei contraenti. Si può discutere e verificare la meritevolezza dei singoli derivati, come di qualsiasi altro contratto, ma non della pienezza della tutela accordata sul piano generale alla categoria [100].

Dunque, l’intervento legislativo si spiega in quanto, come si è osservato [101], la sostanziale natura di scommessa, riconoscibile in tali accordi ‒ e rilevata da tempo dalla dottrina [102], sia pure non senza contrasti, e talvolta affermata anche dalla giurisprudenza [103] (statuendo che ad essi non è sottesa una giustificazione causale idonea a fondarne la piena tutela da parte dell’ordinamento) ‒ avrebbe suggerito al legislatore di tornare in argomento [104]; senza trascurare che l’intervento si è reso necessario anche per via della globalizzazione che ha imposto di uniformare le regole del mercato finanziario interno a quello di altri paesi di civiltà giuridica affine.

Tuttavia, la conseguenza di questo intervento è quella di far ritenere che il trattamento degli accordi su derivati sia in generale negativo, ad essi potendo riconoscersi soltanto la limitata rilevanza di cui all’art. 1933 cod. civ. fuori dall’ambito settoriale della prestazione di servizi di investimento: compete azione, a tutela delle pretese fondate su questi accordi, soltanto se almeno una delle parti è un intermediario finanziario debitamente autorizzato. Questa lettura potrebbe condurrebbe ad equiparare gli intermediari finanziari, allorché concludano accordi su derivati, ai soggetti autorizzati a gestire giochi e scommesse, ad uno dei quali (il gestore di lotterie) fa riferimento l’art. 1935 cod. civ., mentre altri sono tassativamente indicati da leggi speciali.

Non vi è dubbio che l’equiparazione degli intermediari finanziari ai soggetti autorizzati a gestire giochi e scommesse, non sarebbe accolta positivamente dai primi e, soprattutto, appare eccentrica se pensata in termini generali.

Ma proviamo ad invertire i termini del ragionamento e verificare se abbia senso tentare una equiparazione assumendo come modello la disciplina pensata per regolare le attività dei prestatori di servizi e così applicare alcune di quelle regole anche ai gestori del gioco, i quali, come si vedrà oltre, assumono sempre più spesso, e specie nei giochi di massa, proprio la qualità di erogatori di servizi [105].

È evidente che al fondo di questo ragionamento si muove da un dato, che abbiamo già accennato e sul quale torneremo più diffusamente: la disciplina dei giochi pubblici è affidata non già esclusivamente allo Stato legislatore, ma ad una pluralità di fonti che vede coinvolti anche i singoli operatori i quali, al tempo stesso, regolano il gioco e ne godono o come erogatori di servizi o come giocatori anch’essi.

Si lamenta da più parti l’assenza di un testo unico dei giochi e delle scommesse, ma prima ancora si lamenta l’assenza di una disciplina che regoli compiutamente le attività dei prestatori dei servizi di gioco; e proprio muovendo dalla lacuna si potrebbe provare a colmare i “vuoti” di quella disciplina attraverso l’applicazione analogica di alcune regole dettate nei mercati finanziari. Regole volte, non solo ad assicurare la trasparenza e l’efficienza di quel mercato, ma tese anzitutto a garantire la razionalità, la calcolabilità [106], la consapevolezza [107] degli investitori, nonché volte a regolare i profili organizzativi di quelle attività.

Nel pensare alle fonti alle quali attingere nel processo di applicazione analogica, occorre allora introdurre un altro profilo di analisi nel nostro ragionamento: riportando alla memoria il tema classico dei rapporti tra le discipline di settore, il codice civile e le legislazioni speciali [108], confessando e anticipando la sensazione che il codice del consumo, sebbene possa apparire come il naturale riferimento positivo, quello elettivo, non sembra quello che meglio si adatti a colmare le lacune richiamate. E ciò, non solo per le espresse esclusioni ivi contemplate, ma in quanto manca al suo interno un’attenzione ad alcuni problemi che il mercato dei giochi solleva. Si pensi, in particolare, a quelli inerenti al profilo dell’attività piuttosto che a quelli dell’atto, che giustificano probabilmente proprio le anzidette esclusioni [109].

Allo stesso tempo, riprendendo gli interrogativi che si era già posta la dottrina più sensibile a questi profili di indagine: occorre verificare quanto effettivamente il codice civile possa soccorrere quando si tratta di disciplinare i contratti dei mercati regolamentati; e ciò in quanto non può trascurarsi come la disciplina del codice, non solo sia pensata e fondata sulla centralità del soggetto di diritto, assumendo quindi un modello di agire individualista ma, e ciò sembra dirimente, presuppone lo Stato nazionale e muove da una separazione netta tra diritto pubblico e diritto privato [110].

Al contrario, come scrive Zoppini [111], la teoria della regolazione, e tutta la disciplina dei mercati regolamentati, presuppongono il fallimento del mercato e muovono dall’esigenza di correggerne gli effetti e di emendare le asimmetrie informative dei rapporti contrattuali.

In altri termini, riprendendo un suggestivo parallelo: il Codice civile pensa al contratto come una libertà dell’individuo, dell’io kantiano; mentre la prospettiva regolatoria guarderebbe al contratto come una necessità, sollevando il diverso problema della possibilità di accedere al mercato; e proprio questa ultima esigenza è quella che attualmente si fa sentire con maggiore forza, specie nel mercato dei giochi a distanza, come si vedrà oltre [112].

Se quanto evidenziato è vero, è altrettanto vero però che, sia le scommesse comuni, sia le scommesse finanziarie, sebbene siano regolate prevalentemente da disposizioni extra codicistiche, non sfuggono all’appli­cazione delle disposizioni sui contratti in generale, né alla possibile applicazione, in via diretta o analogica della disciplina dei singoli contratti [113].

Lasciando sullo sfondo la prospettiva dell’analisi economica del diritto, sulla quale torneremo, e nel tentativo di guidare l’interprete nelle fila di questo ragionamento, deve fermarsi l’attenzione su un dato che pare significativo e sul quale pertanto è necessario riflettere, in quanto costituisce proprio la premessa per la scelta della disciplina applicabile.

Pensando agli elementi costitutivi delle fattispecie che stiamo analizzando in un ideale parallelo, non può sfuggire che entrambe (giochi e scommesse autorizzati e scommesse finanziarie) sono connotate da un elemento comune: l’autorizzazione [114]. E, come attentamente osservato, sembrerebbe che ad essere autorizzate sono determinate attività più che determinati atti.

Non si dubita che al fondo di ciascuna vi siano esigenze in parte diverse; ma guardando alla autorizzazione come viatico per selezionare la meritevolezza delle attività, e dunque la causa di queste scommesse, si riporta il ragionamento su un terreno che ci appare fertile per suggerire all’interprete, che voglia colmare le lacune, la fonte alla quale attingere.

La prospettiva attraverso la quale indagare la razionalità è a nostro avviso proprio quella della causa, sebbene la giurisprudenza più recente abbia talvolta richiamato altre categorie del contratto come, ad esempio, l’oggetto [115] o i vizi della volontà, in una applicazione della razionalità che non merita di essere seguita.

Opportunamente gli interpreti evidenziano come la ricostruzione unitaria della causa è resa ardua dalla scarsa attenzione del legislatore ai profili sistematici delle discipline di settore, ma al contempo dalla più volte richiamata diffidenza nei confronti di un impianto normativo di matrice civilistica ancora percepito come vetusto e inidoneo ad orientare la disciplina di un fenomeno nuovo e complesso e di dimensioni notevoli in raffronto alla soltanto apparente inattualità e marginalità delle lotterie e più in generale dei giochi e delle scommesse comuni [116]. Ma come si vedrà oltre non pare condivisibile questa arcaica impostazione, perché nel Codice civile sono ben pensati gli strumenti ai quali ricorrere per selezionare la meritevolezza dei singoli giochi e scommesse e penso anzitutto all’autorizzazione.

Tuttavia, anche dall’esame delle ultime pronunce della Suprema Corte non si ricava una idea chiara di causa del contratto e il ricorso alla razionalità pare avere alimentato la commistione tra la causa e altri elementi essenziali del contratto come l’oggetto e la volontà.

Come opportunamente osservato, la razionalità postulata dalla Cassazione può significare solo due cose: da un lato che le parti devono sapere ciò che fanno, devono cioè essere consapevoli, dall’altro che chi agisce deve aspirare ad un agire razionale [117].

Nel primo significato la razionalità, intesa come conoscenza, «non garantisce affatto che quel che si farà corrisponderà un agire razionale», evocando piuttosto la libertà del volere, e di questi profili il diritto si occupa sul piano della capacità di agire e dei vizi della volontà e non della causa. Nel secondo, che chi agisce deve aspirare ad un agire razionale, ossia deve orientare la propria condotta in un rapporto di congruenza rispetto ad un quid assoluto.

Opportunamente si rileva che rispetto ad un negozio giuridico, la prospettiva dalla quale esprimere il giudizio di razionalità può essere duplice: quello dei contraenti e dei loro singoli interessi [118], oppure quello dell’ordinamento e degli interessi generali che esso persegue. Ed è proprio questa seconda la prospettiva da seguire perché, in questa accezione, la razionalità si pone come controllo esterno dell’autonomia privata volto a giudicare la coerenza del contratto con le indisponibili rationes sistematiche dell’ordinamento. E per valutare l’anzidetta conformità, cosiddetta ordinamentale o sistemica, è deputata la causa negoziale, e solo verso di essa può configurarsi un giudizio di razionalità.

Il problema allora è a monte: ossia alla stregua di quali parametri valutare la conformità.

Gli interpreti manifestano serie perplessità sull’opportunità di richiamare la causa concreta, ma seguendo i suggerimenti della migliore dottrina si può affermare che diversa dalla indagine sulla causa concreta sarebbe quella sulla ricorrenza nel caso concreto della causa in astratto, ossia, in altri termini, verificare che la scommessa oggetto di decisione sia rispondente al modello di scommessa autorizzato [119].

Si comprende allora il ruolo strumentale e funzionale dell’autorizzazione specie per i giochi e le scommesse comuni.

Sia pur in estrema sintesi si è soliti osservare che, nel caso delle scommesse comuni, l’autorizzazione è il frutto della scelta di politica legislativa di finanziare le casse dello Stato, anche a costo talvolta drammatico, di favorire un’attività moralmente ambigua e socialmente pericolosa. E si afferma che l’autorizzazione spetta al legislatore che è al tempo stesso: colui che autorizza le scommesse e colui che scommette.

Prescindendo dalla circostanza se sia o meno corretto affermare che l’autorizzazione sia di competenza legislativa [120], ciò che ci preme evidenziare è piuttosto il riferimento alla figura dello Stato. Perché, come si vedrà oltre più diffusamente, lo Stato, o il concessionario, il più delle volte non scommettono affatto, e non si “limitano” ad organizzare e offrire servizi di gioco, ma anche a regolare [121] quelle attività. E proprio soffermandosi su questo aspetto, ossia la regolamentazione, la giurisprudenza della Suprema Corte ha colto e ben evidenziato la differenza che corre tra la scommessa tollerata ex art. 1933 cod. civ. e la scommessa autorizzata ex 1935 cod. civ., e che è ravvisabile proprio nella circostanza che le prime «a differenza dal gioco autorizzato restano al di fuori di ogni regolamentazione, siccome affidate a passioni e influenze reciproche, nell’ambito di rapporti sociali che la legge non considera meritevoli di tutela» [122].

Dunque, per riprendere le parole di un Maestro dei nostri studi, il mercato dei giochi e delle scommesse tollerate sfuggirebbe all’ordine giuridico, diversamente da quello dei giochi e delle scommesse autorizzate. In questa prospettiva, pertanto, solo per la categoria dei giochi e delle scommesse tollerate sarebbe corretto affermare che le stesse sfuggirebbero alla razionalità dello scambio, perché, a ben vedere, prima dello scambio sarebbe lo stesso mercato, e quel mercato di giochi e scommesse tollerate, a non essere ordinato perché rimesso al cosiddetto “ordine naturale”; un locus naturalis non ordinato da norme giuridiche [123].

Analogo discorso non può farsi, invece, per i giochi e le scommesse autorizzate, proprio per le ragioni evidenziate dalla giurisprudenza ora richiamata.

Nel caso dei derivati over the counter [124] – ossia le scommesse finanziarie nelle quali il legislatore autorizza, ma poi a scommettere professionalmente è l’intermediario finanziario, il pericolo che li accompagna sarebbe considerato, in base ad una scelta di ordine pubblico di direzione, inferiore al vantaggio non di finanziare le casse dello Stato, ma di massimizzare gli scambi e incrementare la liquidità dei mercati finanziari [125].

Di recente, la migliore dottrina [126], i cd. “vincitori” [127] del noto dibattito scientifico, riaffermano, anche in forza di una lettura sinergica ed evolutiva delle sentenze della Corte di Cassazione (Cass. n. 19013/2017 e Cass., sez. un., n. 8770/2020, nonché di Cass. n. 21830/2021) la necessità di accostare la meritevolezza alla razionalità dell’alea.

Per la Cassazione del 2017 la nullità del contratto di interest rate swap è ascrivibile alla immeritevolezza [128] degli interessi ai sensi dell’art. 1322, comma 2, cod. civ., e il fondamento risiederebbe nel considerare l’ufficio di diritto privato che l’intermediario svolge come guardiano della fiducia dei mercati; intermediario pensato come il fedele cooperatore dell’investitore e, allorquando predisponga un contratto per concluderlo tra se stesso e l’investitore, deve farlo adempiendo ai suoi doveri di fedele cooperatore.

E proprio su questo aspetto, su questa qualificazione, interessa concentrare, in questa sede, la nostra attenzione: l’ufficio di diritto privato esercitato dall’intermediario finanziario che evoca, come ci ha ricordato Paola Severino di recente [129], il ruolo altrettanto fondamentale esercitato dal concessionario dei giochi e delle scommesse.

Il concessionario è pensato nel Rapporto Censis sul gioco pubblico in Italia come il migliore alleato della legalità per prevenire i reati. Segnatamente, muovendo dalla distinzione tra gioco legale, ossia autorizzato, e gioco illegale, e sgominando al contempo ogni pregiudizio, il Rapporto, dimostra, come evidenzia la Severino, che «il gioco legale contribuisce all’economia del Paese. Il gioco è un’attività umana e legittima ma deve essere controllata e regolata».

La regolamentazione del gioco legale costituisce infatti anzitutto un deterrente al gioco illegale; si tratta di un tema culturale prima ancora che politico. Il gioco autorizzato consente di giocare in luoghi predisposti e pensati per assicurare sicurezza e trasparenza.


7. La regolazione dei rapporti tra privati nel mercato dei giochi pubblici

Come si è già evidenziato nelle prime pagine, il Codice penale agli artt. 718 e 720 cod. civ. punisce chi pratica gioco d’azzardo fuori dal perimetro regolamentato. Dal canto suo, l’art. 4 della legge 13 dicembre 1989 è intervenuto nel settore del gioco contro le scommesse clandestine per impedire che certi giochi siano svolti da soggetti che la legge esclude, e ciò non solo in quanto le attività controllate dallo Stato sono capaci di alimentare le entrate fiscali.

È poi noto come il d.lgs. n. 231/2001 ha inserito il reato di frode nel gioco e, anche in questa prospettiva può osservarsi che il concessionario sia il migliore alleato della legalità per prevenire reati, soprattutto di questo tipo.

Nel mirino del legislatore ci sono anche reati come il riciclaggio e, com’è noto, in Italia la normativa antiriciclaggio esiste dal 1992, ma nel decreto antiriciclaggio del 2007 sono stati introdotti tre obblighi particolarmente significativi, ovvero: un’adeguata verifica, la segnalazione di attività sospette e la conservazione dei dati. Ciò, naturalmente, vale per le banche, ma altrettanto può predicarsi per i concessionari del gioco che inviano segnalazioni di attività sospette all’Uif.

In questa prospettiva si rivela fondamentale anche l’attività dell’ADM che ha il potere di emanare linee guida e standard tecnici ai concessionari in materia preventiva.

Un ultimo aspetto riguarda la partnership tra pubblico e privato: lo Stato conferisce e regola le concessioni con conseguenti vantaggi economici, culturali e sociali.

Il Rapporto Censis, e le attente considerazioni di Paola Severino, sollecitano alcune riflessioni che meritano di essere approfondite.

Anzitutto, sotto il profilo culturale, emerge una consapevole inversione di tendenza nel modo di guardare al fenomeno dei giochi. Sgominando i pregiudizi, si riconosce al gioco legale, ossia il gioco autorizzato, di contribuire all’economia del Paese.

Piaccia o no, le ragioni fiscali, per quanto ciniche, costituiscono un utile argomento per autorizzare il gioco. E non vi è dubbio, come prova il Rapporto richiamato, che una politica legislativa di divieto, e dunque illiberale, non solo non gioverebbe alle casse dello Stato, ma avrebbe il solo miope effetto di alimentare quelle della criminalità organizzata, così finendo anche per amplificare i problemi sociali e di tutela della salute che il gioco solleva.

In fondo il parallelo anche con altri mercati, come quelli inerenti ai prodotti da fumo, non sarebbe eccentrico potendo suggerire di guardare alla politica legislativa adottata per quei mercati, almeno sotto alcuni profili che sembrano comuni: penso ad alcune scelte fatte per regolare quei mercati in un’ottica di prevenzione e di educazione al consumo. Ma su questi temi è stato già scritto molto.

Il Rapporto Censis stimola l’analisi dei profili legati alla regolazione, perché come ci insegna Natalino Irti il mercato, qualunque sia il bene o il servizio offerto, non è un locus naturalis, ma artificialis.

L’ordine del mercato è dato dalle regole normative e, nel settore dei giochi, le regole, o meglio i regolatori, non sono sempre e soltanto lo Stato e suoi organi.

La regolazione in questo settore deve essere pensata prestando attenzione ad una duplicità di piani: gli interessi individuali – che trovano la fonte nel singolo contratto – ma al contempo, a monte, la pluralità di interessi generali che emergono e che devono essere coordinati e il cui contemperamento, proprio perché dovrebbe costituire il frutto di scelte di politica legislativa, non può essere affidato ad organi che al tempo stesso regolano il mercato e usufruiscono delle stesse regole in qualità di erogatori di servizi o di giocatori e scommettitori, quasi a ricordare una logica improntata alla figura dello Stato imprenditore.

Ma ancor prima, la regolazione dovrebbe essere il frutto di politiche europee volte alla massima armonizzazione, stante l’inarrestabile ascesa dei giochi on line che costituiscono il mercato più diffuso e dunque più insidioso.

Riprendendo le osservazioni della dottrina più sensibile al rapporto tra il diritto pubblico e il diritto privato si osserva come «il sintagma Stato regolatore sottende, in particolare, l’opzione normativa che è al fondamento del mercato unico europeo e che si traduce in un preciso modello istituzionale, che ridefinisce la linea di confine tra lo Stato e il mercato. Questo modello postula la scelta di conformare normativamente le attività delle parti, con l’obiettivo di preservare la dinamica concorrenziale ovvero di mimare, con la forza della norma imperativa, gli esiti d’un mercato che in concreto non esiste» [130].

Come già attentamente osservato, giova evidenziare come il diritto che dà ordine al mercato unico «postula sia regole e rapporti che s’indirizzano agli Stati, sia regole che attengono ai rapporti tra ordinamenti e i singoli cittadini degli Stati membri, sia regole che disciplinano direttamente i rapporti tra privati». Da un lato, infatti le libertà fondamentali del Trattato dell’Unione europea, come la circolazione dei beni, dei servizi, delle persone e dei capitali, si rivolgono formalmente solo agli Stati, chiamati a darvi attuazione, mentre le regole della concorrenza disciplinano i rapporti tra imprese che operano nel mercato [131].

Di recente, in uno studio [132] che si segnala per l’attenta e critica analisi dei profili legati alla regolazione dei rapporti tra privati nel settore dei giochi pubblici, l’Autrice opportunamente pone in luce un dato che appare significativo ai fini della presente indagine: la disomogeneità qualitativa e quantitativa dei soggetti coinvolti nel mercato dei giochi pubblici; la rilevanza di interessi pubblici particolarmente qualificati; la convivenza di un regime di monopolio statale con la disciplina europea in materia di concorrenza e libera prestazione di servizi.

Concentrando l’attenzione sul primo dato, e rimandando i profili di concorrenza ai prossimi paragrafi, si osserva come la materia in esame si lasci efficacemente descrivere come un sistema “tripolare” asimmetrico nel quale intervengono: ADM, i concessionari e i giocatori [133].

Segnatamente, ad ADM è stato attribuito il potere di definire con i propri atti le regole che definiscono l’esercizio dei giochi pubblici [134]. Attraverso una pubblica gara la stessa ADM seleziona i soggetti-imprenditori ai quali attribuire la concessione per l’esercizio dei giochi, i quali concludono una convenzione di concessione con l’Autorità. Ancora i concessionari stipulano singoli contratti con ciascun giocatore-consumatore che voglia partecipare ai giochi [135].

La specificità di questa asimmetria non si esaurisce nel classico riferimento al gap informativo ― che connota, nella fisiologia dei rapporti, i contratti tra professionista e consumatore – che impone interventi volti a colmare dette asimmetrie; la peculiarità, che connota e amplifica la complessità dei rapporti tra i protagonisti del mercato dei giochi pubblici, è dettata proprio dalla circostanza che la asimmetria in questo mercato può essere indagata anche dalla prospettiva dei poteri autoritativi conferiti, alle facoltà attribuite e al potere contrattuale concretamente esercitabile [136].

Si badi che il potere di regolazione, nonché quello di realizzare atti amministrativi conformativi del­l’autonomia negoziale, provengono da un’Autorità che, come si è opportunamente posto in evidenza, non è riconducile al novero delle Autorità amministrative indipendenti [137].

Questa complessità o, come noi riteniamo, questo possibile confitto di interessi tra le parti del contratto, che si annida e discende da una rete di fonti disomogenee, si amplifica ancor di più allorché si sposti l’attenzione dal mercato tradizionale dei giochi e delle scommesse pubbliche (che si svolgono in presenza, ossia nelle ricevitorie debitamente autorizzate a ricevere le scommesse), a quello dei giochi on line, e si indaghi il rapporto che esiste tra il conto di gioco e il contratto di gioco.

In questa sede può solo accennarsi ad alcune suggestioni, rimandando ad una mia più approfondita ricerca lo studio dei temi [138].

Muovendosi dal dato positivo, è noto che con decreto direttoriale del 21 marzo 2006, AAMS ha dettato misure per regolamentare la raccolta a distanza delle scommesse, del bingo e delle lotterie. In particolare, l’art. 4 ha prescritto che l’esercizio e la raccolta a distanza è subordinato alla stipulazione di un contratto di conto di gioco tra il giocatore e il titolare del sistema. Ancora nel 2006, AAMS ha emanato un nuovo atto nel quale è contenuto uno schema di contratto di conto di gioco, che come è stato già osservato, assolve ad una pluralità di funzioni: determina il contenuto minimo obbligatorio dei contratti di conto gioco, riconosce diritti e facoltà dei giocatori (si pensi al potere riconosciuto al giocatore di sospendere l’operatività del proprio conto) e così anche diritti e facoltà del concessionario (anche il concessionario può sospendere il diritto di effettuare giocate sia pur per un periodo limitato); obblighi, doveri e responsabilità del giocatore [139], così come del concessionario [140].

Lo schema tipo prescrive inoltre alcune clausole [141] che necessariamente devono essere inserite nei singoli contratti di conto di gioco, nonché vincoli di forma in ordine alle informazioni da fornire ai giocatori.

Ma ciò che preme porre in luce in questa sede è che lo schema tipo di contratto di conto di gioco emanato dall’AAMS assolve la funzione di parametro per le successive valutazioni dei contratti dei concessionari ai fini della loro approvazione [142].

Dunque, in questo contesto, come rileva opportunamente Angela Ferrari Zumbini, l’AAMS, in una prima fase, esercita un potere conformativo attraverso un atto con efficacia generale e astratta (decreto direttoriale 21 marzo 2006) – con il quale stabilisce la necessaria approvazione preventiva dei contratti di conto di gioco – in una seconda fase, invece, emana un atto con il quale adotta uno schema-tipo di contratto, prescrivendo, in questo modo, il parametro per le proprie determinazioni future e indicando in concreto i precetti conformativi dell’autonomia negoziale, attraverso una previsione puntuale del contenuto del contratto [143].

Dunque, nel mercato dei giochi si assiste ad una dinamica del tutto peculiare e ciò in quanto lo schema-tipo impiegato come parametro di legittimità in merito alla approvazione del singolo contratto presenta delle caratteristiche peculiari che è bene evidenziare e che lo distinguono da un tradizionale parametro di legittimità: detto parametro è elaborato dalla stessa pubblica amministrazione che esprimerà il giudizio e, ancor più grave, non è contenuto in un atto gerarchicamente sovraordinato [144].

In altri termini, ciò che si verifica in concreto è che con un atto individuale un’Autorità amministrativa non indipendente, che fa parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, compie una valutazione di conformità/difformità di clausole contrattuali in forza di un parametro predisposto dalla stessa, esplicando nei privati un’efficacia di tipo legittimante [145].


8. Giochi e scommesse autorizzati e struttura dei contratti

Arrivati a questo punto dell’indagine occorre fermare l’attenzione sulla struttura dei contratti in esame muovendo da un interrogativo che solo apparentemente può sembrare banale: chi partecipa al gioco, e chi sono le parti del contratto, ammesso che siano soggetti diversi.

L’interrogativo non è certo nuovo e impegna la dottrina e la giurisprudenza già dalla fine degli anni ‘40 dello scorso secolo [146]. È un interrogativo che oggi riceve nuova linfa e un rinnovato interesse, non solo dal riconoscimento della qualità di consumatore, che è stata di recente attribuita al giocatore – una qualità che com’è a tutti noto assume rilevanza allorquando lo stesso contratti con un professionista – ma anche in ragione della circostanza non trascurabile che il presente vede il prepotente affermarsi dei giochi on line, che richiamano masse di giocatori e che per il loro esercizio impongono la necessaria stipulazione del cosiddetto contratto di conto di gioco, che rappresenta una condiziona necessaria per poter giocare e scommettere a distanza.

In questa sede non ci si soffermerà sulla qualificazione della struttura di tutti i contratti di gioco offerti dal mercato; sarebbe uno sforzo in fin dei conti superfluo nell’economia di questo lavoro, preferendo piuttosto muovere da un dato che allo stesso tempo accomuna e separa le diverse specie restituendoci all’interno della categoria due diversi gruppi al cui interno è possibile sussumere i diversi giochi.

In particolare, all’interno del panorama dei giochi, la nostra attenzione è dedicata a quelli ai quali prendono parte più persone, i cosiddetti giochi di massa, al cui interno è possibile distinguere due sottotipi: il primo, quello che presenta meno problemi sotto il profilo d’indagine, è formato dai giochi e dalle scommesse per i quali l’ammontare della vincita è determinato sin dal momento della conclusione del contratto; il secondo, più complesso, al cui interno confluiscono tutti quei giochi e quelle scommesse nei quali la posta versata da ciascun giocatore concorre alla formazione del montepremi e dunque non è determinata al momento della conclusione del contratto, ma determinabile in forza dello strumento del totalizzatore una volta conclusa l’attività di gioco.

Circoscritto l’ambito di indagine, e distinto all’interno del genus le due specie, si pone un primo preliminare interrogativo: il fatto che al medesimo gioco partecipino più persone è un fatto rilevante per determinare la struttura del contratto? In altri termini: la sola circostanza che al medesimo gioco partecipino più persone [147] è un elemento necessario e sufficiente a qualificare la struttura del relativo contratto?

Logicamente, prima ancora che giuridicamente, può già rilevarsi che la partecipazione di più giocatori può essere un elemento utile per individuare il genere giochi e scommesse di massa ma, come abbiamo evidenziato, il genere è a sua volta suscettibile di una distinzione in due specie.

Occorre allora comprendere quale sia l’elemento idoneo a distinguere le specie nell’intento di verificare se sia stato posto in essere un unico contratto plurilaterale fra tutti i giocatori o se si tratti, piuttosto, di una serie di contratti bilaterali, paralleli, collegati, che hanno in comune una delle parti nonché la medesima causa [148].

Non si tratta, già a prima vista di una distinzione innocente, perché potrebbe rilevarsi che in un caso, le parti sono un professionista ed un consumatore-giocatore; nell’altro, invece potrebbero essere “n.” giocatori/consumatori che contraggono tra loro.

In secondo luogo, che valore e che significato riveste l’attività concretamente esercitata e posta in essere dall’organizzatore del gioco al fine di qualificare la struttura del contratto di gioco?

Più in particolare: se colui che presta il servizio di gioco non si limita ad offrire il servizio, ma partecipa egli stesso al gioco, questa circostanza è suscettibile di incidere sulla struttura del contratto?

E ancora: il modo in cui le somme vengono raccolte, e così destinate a formare il montepremi, incide sulla struttura del contratto? È forse quest’ultimo l’elemento sul quale fare affidamento per comprendere la struttura dei contratti? Perché, ragionando liberi dai pregiudizi che a lungo hanno condizionato lo studio del contratto plurilaterale, non può sottacersi un dato che appare significativo.

Mentre nei giochi appartenenti al primo genus nessun interesse presenta per il singolo giocatore/scom­mettitore quale sia la sorte che coinvolge gli altri giocatori (in quanto il premio, ossia la vincita, è già determinato al momento della conclusione del contratto) e in questa prospettiva, dunque, la circostanza che al medesimo gioco partecipino più persone è per ciascuno di essi del tutto indifferente; non valgono le medesime considerazioni per i giochi che appartengono al secondo genus, in quanto, ciascun giocatore/vincitore riceverà una somma tanto maggiore quanto, da un lato, è maggiore il numero di partecipanti e, dall’altro, è minore il numero di coloro che hanno ottenuto il medesimo risultato vincente.

Dunque, in questo ultimo esempio, ciascun giocatore ha al contempo, in prima ideale fase, l’interesse a che al gioco partecipino un grande numero di soggetti – perché la partecipazione di ciascuno attraverso il pagamento della posta (che solitamente avviene contestualmente all’adesione al contratto) contribuisce ad arricchire il montepremi, rendendo il gioco anche più accattivante – ma, una volta formatosi il montepremi, quegli stessi interessi che nella prima fase si lasciavano descrivere come un fascio di interessi paralleli e diretti al perseguimento dello scopo comune, ossia la formazione del montepremi, in una seconda fase divengono non solo divergenti, ma confliggenti.

E sarebbe questa circostanza un dato significativo ad escludere la loro qualificazione in termini di contratto plurilaterale, come hanno sostenuto alcuni interpreti?

Per rispondere a questo interrogativo è necessario anzitutto chiedersi se sia rinvenibile nel codice civile una sola concezione di scopo comune, ammesso che lo scopo comune sia un elemento necessariamente caratterizzante i contratti plurilaterali [149].

In altri termini, occorre preliminarmente chiedersi se si può affermare, senza timore di essere smentiti dallo stesso dato positivo, che nel Codice civile l’interesse comune è declinabile in una sola maniera [150] e si atteggi con caratteristiche costanti, tanto da escludere che, allorquando le stesse manchino, non sarebbe ravvisabile un interesse comune. E quand’anche si affermasse sulla scorta del dato positivo, e si ritrovassero queste caratteristiche, potrebbe per la verità ulteriormente domandarsi: ma l’interesse comune deve accompagnare tutte le fasi del contratto o deve sussistere solo al momento della conclusione dello stesso per poter essere qualificato come contratto plurilaterale [151]?

Gli interrogativi proposti sono ben noti agli addetti ai lavori, e probabilmente anche ai lettori che hanno consuetudine con i giochi e le scommesse, ma mi sembra che riescano a far comprendere la complessità dei problemi che ciascuno di essi solleva e che in questa sede non possono ricevere le attenzioni e gli approfondimenti che meritano, concentrando la nostra attenzione a quei profili utili nell’economia del presente studio e rimandando ad una mia più approfondita ricerca l’analisi dei problemi sollevati [152].

In questo lavoro, nell’intento di non divagare e seguire la prospettiva scelta nel titolo, occorre muovere da un dato della realtà che appare significativo ai nostri fini: i profili inerenti alla organizzazione dei giochi e delle scommesse di massa. Ossia a quelle attività che, com’è stato bene evidenziato dalla dottrina che ha più approfondito il tema in esame: si caratterizzano per la soggezione «a una specifica e dettagliata disciplina diretta ad assicurare trasparenza nell’organizzazione e nell’assetto proprietario dell’ente gestore, regolarità e correttezza nello svolgimento del gioco, affidabilità economico-finanziaria dell’amministrazione, tendenziale limitazione dell’ammontare delle poste e, talvolta, delle vincite» [153]. Caratteristiche quelle evidenziate in corsivo (nostro), che offrono ulteriori argomenti per confortare la nostra tesi per la quale il settore dei giochi e delle scommesse organizzate (cdd. scommesse comuni) possa essere regolato, o meglio regolato, mutuando alcune norme che regolano il settore delle scommesse finanziarie e che potrebbero applicarsi analogicamente al mercato in esame e magari un domani orientare il legislatore che voglia finalmente dedicare al settore dei giochi e delle scommesse un Testo unico al pari di quanto è stato fatto con il TUF.

L’organizzazione è poi un dato rilevante nell’economia del nostro discorso perché come già aveva anticipato con lungimiranza Graziani alla fine degli anni ’40 dello scorso secolo, con riguardo al concorso SISAL, il gestore del gioco pone in essere una serie di servizi [154] che si rivelano, stante la dimensione del fenomeno dei giochi di massa, non solo necessari, ma indispensabili per consentire la partecipazione di più soggetti e allo stesso tempo garantire la trasparenza, la correttezza e la regolarità dei servizi.


9. Tutela della concorrenza e giochi pubblici

Com’è stato opportunamente rilevato, a livello europeo manca, per esplicita scelta del legislatore [155], una regolamentazione uniforme e vincolante per il mercato dei giochi e delle scommesse, e anche le regole emanate in altri contesti che sarebbero suscettibili di essere applicate al settore in esame non sono mutuabili stante le espresse esclusioni [156]; questa lacuna, tuttavia, non può legittimare una disciplina settoriale di matrice nazionale che si ponga in contrasto con i principi e le regole del diritto europeo, tra i quali rilevano, ai nostri fini, la libertà di stabilimento e la circolazione dei servizi [157]. Il problema principale, si osserva, è il giusto bilanciamento tra il mercato interno e al tempo stesso la salvaguardia di interessi nazionali extra-economici, di carattere generale e di natura pubblicistica, riferibili alla tutela del consumatore e alla protezione della salute. Le autorità nazionali dovrebbero provare che «le misure adottate per esigenze imperative di interesse generale siano idonee, necessarie e proporzionate al raggiungimento dello scopo prefissato nella normativa di riferimento, non integrando alcuna forma di discriminazione: diversamente, i provvedimenti statali genererebbero effetti restrittivi della concorrenza e del mercato unico» [158].

Come ha attentamente notato Matteo Gnes, la giurisprudenza europea ha svolto un ruolo rilevante nell’interpretazione e nell’applicazione del diritto europeo (ci si riferisce in particolare al Trattato sulla prestazione di servizi e di diritto di stabilimento) alle normative nazionali in materia di giochi pubblici, non solo definendo l’ambito di applicazione dei principi europei, la loro portata e le loro conseguenze sui diritti dei singoli Stati, ma anche aprendo progressivamente il mercato dei giochi d’azzardo. E al riguardo l’Autore efficacemente individua quattro fasi che con una certa approssimazione possono lasciarsi così sintetizzare.

La prima è descritta come la fase di “affermazione, da parte della giurisprudenza europea della legittimità europea, delle discipline nazionali”; la seconda, invece, si caratterizzerebbe per una maggiore severità da parte della Corte di Giustizia in ordine alla valutazione delle ragioni addotte dagli ordinamenti nazionali; la terza, inaugurata dalla sentenza Placanica del 2007, sembrerebbe invece “indicare la via ad un’apertura sempre più ampia del mercato delle scommesse”; infine la quarta fase che si apre nel 2009 con la sentenza Liga Portuguesa, che “mostra un atteggiamento più restrittivo della Corte di giustizia” nell’intento di negare l’applicazione del muto riconoscimento nella materia in esame [159].

Dall’analisi della giurisprudenza richiamata possono trarsi alcuni principi fondamentali ai quali dovrebbero attenersi le discipline nazionali. In primo luogo, interessa osservare che è stato riconosciuto il carattere economico dell’attività di gioco e scommessa, sebbene si tratti di attività ludiche e aleatorie e siano vietate in alcuni Stati. Le norme applicabili sono quelle in materia di diritto di stabilimento e prestazione di servizi, nonché per alcuni aspetti, a dire il vero marginali (relativamente agli apparecchi per i giochi d’azzardo) si è fatto ricorso alla normativa in materia di libera circolazione delle merci, sebbene generalmente esclusa. In secondo luogo, sono state generalmente qualificate delle restrizioni al mercato, le norme nazionali che proibiscono o regolano le attività connesse ai giochi e alle scommesse. Ed infine, verificato che le misure nazionali pensate come forme di controllo delle attività in esame costituiscono delle restrizioni al diritto di stabilimento e alla libera circolazione di servizi, si è posto il problema di verificare se «tali restrizioni possano essere ammesse a titolo di misure derogatorie espressamente previste dagli artt. 45 CE e 46 CE (ora art. 51 e 52 TFUE), ovvero se possano essere giustificate conformemente alla giurisprudenza della Corte, da motivi imperativi di ordine generale» [160].

In particolare, le deroghe in materia di libera prestazione di servizi e di diritti di stabilimento, sono costituiti dai «motivi di ordine pubblico, di sicurezza e di sanità pubblica», ai sensi dell’art. 52, TFUE, mentre i «motivi imperativi di interesse generale» rappresentano una sorta di “rule of reason” con riguardo alle legislazioni nazionali indistintamente applicabili, che il giudice europeo applica, quale principio generale, sia nel caso di discriminazioni dirette, sia indirette [161]. Pertanto, per poter essere giustificate, le disposizioni nazionali devono rispondere a quattro condizioni. La presenza di ragioni di interesse generale (cdd. motivi imperativi di interesse pubblico) idonee a giustificare gli interventi restrittivi posti dalle discipline nazionali; le anzidette restrizioni non devono essere applicate in modo discriminatorio tra gli operatori nazionali e quelli degli Stati membri; l’idoneità delle anzidette misure a raggiungere lo scopo perseguito; e infine, il rispetto dei principi di necessità e proporzionalità, in forza dei quali dette misure devono necessariamente perseguire gli obiettivi che si prefiggono in modo effettivo, coerente e senza oltrepassare quanto necessario [162].


10. I giochi e le scommesse autorizzate negli ordinamenti stranieri: “uno sguardo oltre le Alpi”

In chiusura di questo lavoro può osservarsi, in una prospettiva comparativa, che il problema che ogni legislatore nazionale è chiamato ad affrontare risiede nella risoluzione del conflitto fra il gioco d’azzardo come “fonte monetaria” e il gioco d’azzardo come “piaga sociale”. Un conflitto che necessariamente impone di ricercare un equilibrato bilanciamento tra i contrapposti interessi in rilievo, che inevitabilmente varia in ragione delle caratteristiche e delle sensibilità giuridiche di ciascun ordinamento.

Le esperienze francese e inglese si segnalano per alcune scelte che meritano di essere ricordate e, sotto alcuni aspetti, emulate dal nostro legislatore.

Il principio generale che ispira il legislatore francese è il divieto generalizzato dei giochi e delle scommesse, salvo le ipotesi espressamente autorizzate. Così è sancito dall’art. L-322-1 del codice delle leggi di pubblica sicurezza (code de la sécurité intérieure) che, sulla scorta della disposizione del 1836, vieta qualsiasi tipo di lotteria, termine impiegato nella sua accezione ampia, in quanto include ex art. L322-2: «qualsiasi vendita di beni immobili, mobili o merci effettuata per effetto del caso, o alle quali sono stati legati premi o altri benefici dovuti, almeno parzialmente alla sorte, e, in generale, tutte le transazioni offerte al pubblico, sotto qualsiasi nome, per far nascere l’aspettativa di un guadagno che sarebbe dovuto, anche parzialmente, alla sorte e per il quale è richiesto un sacrificio finanziario da parte dell’operatore e dei partecipanti».

Quanto alle attività consentite, le stesse possono suddividersi in due gruppi: quelle esercitate in regime di monopolio [163] e quelle cd. aperte (anche in forza del diritto dell’Unione Europea) ad una limitata concorrenza [164]. I principi e gli obiettivi che hanno ispirato la normativa francese in materia sono desumibili dall’art. 3 della legge del 12 maggio 2010, e sono essenzialmente quattro: prevenire il gioco d’azzardo patologico e proteggere i minori; garantire l’integrità, l’affidabilità e la trasparenza del gioco; prevenire le attività criminali e fraudolente, così come il riciclaggio di danaro e il finanziamento al terrorismo; garantire lo sviluppo equilibrato dei diversi tipi di gioco al fine di evitare destabilizzazioni finanziarie dei settori interessati.

Ma ciò che preme evidenziare della legge del 2010, oltre alla indicazione dei principi comuni a tutti i giochi d’azzardo, è l’istituzione di una nuova Autorità amministrativa indipendente, la Autorité de Régulation des Jeux En Ligne – ARJEL, con competenza, tuttavia, solo per i giochi on line. Detta Autorità concede l’approvazione, della durata di cinque anni, ai professionisti che intendono operare nei settori delle scommesse ippiche, sportive e del gioco de cercle on line [165].

Nel Regno Unito, com’è noto, il gioco d’azzardo (gambling) ha origini remote, ed affonda le sue radici sin dalla fondazione del Jockey Club nel 1750. Le scommesse ippiche, in particolare, rappresentano il settore non solo più rilevante, sotto il profilo economico e sociale, ma sono da sempre considerate un’attività legale, a differenza delle altre forme di gioco d’azzardo.

Concentrando l’attenzione al XX secolo si è soliti distinguere tre fasi nelle quali, al pari di quanto accaduto in altri ordinamenti, si trascorre dalla proibizione, fino agli anni 1960, per poi passare ad una forma di tolleranza, fino al 1993, ed infine la terza e ultima fase nella quale si assiste ad una vera e propria liberalizzazione del gioco d’azzardo che è stata avviata con l’inaugurazione della National Lottery – NL nel 1994. In quella occasione si sviluppò un clima favorevole al gioco d’azzardo che condusse nel 2005, anche in forza della relazione del Gambling Review Body alla emanazione del Gambling Act. Con il quale furono perseguiti tre obiettivi: evitare che il gioco d’azzardo possa rappresentare una fonte di attività criminale, o comunque di disordine, assicurare che il gioco sia condotto in modo trasparente, tutelare i minori e le persone vulnerabili nei confronti dei rischi del gioco.

Anche nel Regno Unito l’attività di regolazione del settore è affidata ad una Commissione, la Gambling Commission, istituita con il Gambling Act del 2005. Si tratta anche in questo ordinamento, al pari di quello francese, di una Autorità indipendente che esercita il potere di fissare i principi e i criteri di applicazione della normativa con particolare riguardo all’attività autorizzatoria e di regolazione, di pubblicare linee guida [166] rivolte alle autorità locali, e volte all’indirizzo delle loro funzioni, nonché di fornire pareri, di esercitare attività ispettive e perseguire le condotte illecite, nonché di ottenere informazioni da parte delle amministrazioni che rilasciano autorizzazioni da parte di altre amministrazioni [167].

Ad eccezione della National Lottery, per la quale opera un regime di monopolio legale, tutte le altre attività di gioco d’azzardo sono esercitate da privati che operano in regime di libera concorrenza, previa autorizzazione all’esercizio dell’attività.

Dal raffronto tra il sistema italiano e quello inglese emerge un fattore comune: per entrambi gli ordinamenti la regolamentazione pubblicistica del gioco e delle scommesse rappresenta un fattore necessario e ineludibile, stante la rilevanza degli interessi in gioco. Tuttavia, il sistema inglese presenta, rispetto a quello italiano, una maggiore apertura del settore all’iniziativa privata, in conformità alle libertà e ai principi dell’ordinamento europeo, e in generale sembra essere il più incline a superare il tradizionale modello della riserva statale.


NOTE

[1] Il lemma complessità è ricorrente negli scritti recenti. Il diritto del ventunesimo secolo, scrive M. Palazzo, Il contratto nella pluralità degli ordinamenti, Napoli, 2021, 20, è il diritto della complessità; una complessità che sarebbe «alimentata dalla internazionalizzazione del medesimo diritto e segnata dalla contraddittorietà e dalla indeterminatezza delle regole», la quale «delinea un ordinamento giuridico fortemente segnato da interdipendenze, discontinuità, interazioni e conseguentemente da un inevitabile grado di incertezza che rende obsoleta l’idea di un centro e diffusa, invece, quella problematicità degli assetti normativi e della non perfetta prevedibilità del nuovo equilibrio, comunque transeunte, che il sistema aspirerebbe a raggiungere». Richiamano la complessità anche M. Trimarchi, Complessità e integrazione delle fonti nel diritto privato in trasformazione, Convegno in onore di Vincenzo Scalisi, (Messina 27-28 maggio 2016), Milano 2017, 27; P. Perlingieri, Applicazione e controllo nell’interpretazione giuridica, in Riv. dir. civ., 2010, 317; e su un piano più generale la complessità è richiamata anche da E. Morin, Oltre l’abisso, Roma, 2016, passim.

[2] Così lo qualifica L. Modica, Del giuoco e della scommessa, in Il Codice civile, Commentario, fondato e già diretto da P. Schlesinger e continuato da F.D. Busnelli, Milano, 2018, 3.

[3] C. Manenti, Del gioco e della scommessa dal punto di vista del diritto privato, romano e moderno. Appendice alla traduzione d’annotazione del titolo V, De aleatoribus, del libro XI del Commentario alle Pandette di Glück, Milano, 1898-1899, 585.

[4] M. Palazzo, op. cit., 100.

[5] Si veda in questo senso, tra gli altri, B.G. Mattarella, Introduzione, in AA.VV., Le regole dei giochi. La disciplina pubblicistica dei giochi e delle scommesse in Italia, a cura di A. Battaglia, B.G. Mattarella, Napoli, 2014, 3, il quale osserva come per il settore dei giochi vi sia «un serio problema di inflazione normativa, di rapporti tra fonti, di contraddittorietà tra norme e quindi di arbitrarietà nella loro applicazione, di eccesso di discipline derogatorie e transitorie»; L. Saltari, Il regime giuridico dei giochi e delle scommesse. Ragioni per un cambiamento, in Munus, 2012, 2, 2, nel sollecitare la redazione di un testo unico in materia di giochi suggerisce, condivisibilmente, di anteporre alla disciplina vigente una parte generale che racchiuda i principi cardine della materia nell’intento di garantire la trasparenza e la certezza del diritto.

E occorre riconoscere, proprio nella prospettiva segnalata da Saltari, che l’opera curata da Battaglia e Mattarella, da apprezzare per lo sforzo di compilazione e riconduzione a sistema, potrebbe effettivamente agevolare un legislatore illuminato che, come si augura lo stesso Mattarella a 3 della Introduzione: «volesse restituire ordine e certezza a un sistema normativo di importanza crescente».

Anche la Corte costituzionale ha rimarcato già da tempo la necessità di un complessivo riordino normativo della materia: Corte cost., 24 giugno 2004, n. 185, in Pluris.

[6] F. Santoro-Passarelli, Giuoco e scommessa – Mutuo per gioco, in Riv. dir. civ., 1941, 471 «ciò che veramente caratterizza il giuoco è (che) (…) deve trattarsi appunto di giuoco» ossia di una attività «ideata o realizzata per divertire»; C. Furno, Note critiche in tema di giochi, scommesse e arbitraggi sportivi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1952, 643; e più di recente L. Ferri, Recensione a A. Fedele, Gioco o scommessa?, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1949, 150, osserva come nella comune opinione, nel comune vocabolario le due voci sono ben distinte e distinguibili. E questa circostanza renderebbe evidente che il legislatore, riferendosi a concetti extragiuridici, non può che assumerli come sono.

[7] C. Furno, Note critiche in tema di giochi, scommesse e arbitraggi sportivi, cit., 649, nota 72, osserva che «giocare non vuole infatti dire, propriamente, “puntare” (ossia scommettere), ma solo eseguire, svolgere il gioco secondo le sue regole. Se gioco e giocare hanno assunto nel parlar comune e volgare anche il senso di “puntare”, scommettere, ciò è dipeso dalla contaminazione e dallo scambio frequente dei rispettivi significati, dovuto al fatto che bene spesso la scommessa si mescola e si confonde col gioco»; anche A. Fedele, Giuoco o scommessa? in Riv. dir. comm., 1948, 2, richiama l’imprecisione del linguaggio comune.

[8] Ricche di affascinanti suggestioni sono le pagine di L. Saviani, Ermeneutica del gioco. Dal gioco come simbolo alla decostruzione come gioco, Napoli, 1998, 176, che ripercorre in una carrellata densa di spunti di riflessione le intuizioni suggerite da Fink, Heidegger, Nietzsche, Gadamer e Derrida, ricordando come il gioco non si possa definire, potendosi al massimo descriverne alcune circostanze e alcuni effetti.

[9] Si sofferma sulla pluralità del gioco con un ricco e significativo elenco di esempi: L. Modica, Del giuoco e della scommessa, cit., 5; ma prima ancora si veda la ricerca di A. Cappuccio, “Rien de mauvais”. I contratti di gioco e scommessa nell’età dei codici, Torino, 2011, 22 ss.

[10] L. Modica, op. cit., 6.

[11] È fin troppo banale ricordare al lettore che desideri indagare il fenomeno ludico da una prospettiva antropologica o sociologica il riferimento a J. Huizinga, Homo ludens, Haarlem, 1938; o F.M. Dostoevskij, Igrok, Moskva, 1866, trad. it., Il giocatore, Verona, 1933. Meno note sono le ricerche di P. Bourdieu, La distinction, Les éditions de minuit, Paris, 1979, trad. it., La distinzione. Critica sociale del gusto, Bologna, 2001, 217 ss., in cui l’Autore analizza il rapporto che corre tra sport e classi sociali; nonché R. Dawkins, The salfish gene, Oxford, 1976, trad. it., Il gene egoista. La parte immortale di ogni essere vivente, Milano, 1992, 60 ss.; ma per una più ricercata e attenta bibliografia storica e sociologica si rinvia all’opera monografica di A. Cappuccio, cit., passim.

[12] G.B. Ferri, La «neutralità» del gioco, in Riv. dir. comm., 1974, 28 ss.

[13] In una prospettiva economico-sociale la cifra caratteristica del gioco è stata ravvisata nella sua inutilità, nella sua non serietà, contrapponendosi al lavoro, che si distingue dal gioco per la sua serietà e per essere rivolto ad un fine di utilità. Così C. Manenti, Del gioco e della scommessa dal punto di vista del diritto privato, romano e moderno, cit., 585; nonché Id., Del debito di gioco in rapporto alla teoria delle obbligazioni naturali, in Riv. dir. comm., 1915, I, 97.

[14] Nel testo, così come nei titoli dei paragrafi, il lettore attento noterà che talvolta si ricorre all’espressione giochi pubblici, altre a quella giochi autorizzati, altre ancora si impiega il lemma giochi organizzati. Non si tratta di un uso disinvolto o distratto dei termini ma, al contrario, si impiega talora un’espressione, altre volte una diversa in quanto ciascuno degli aggettivi, che ricorre accanto al termine gioco e scommesse di cui all’art. 1935 cod. civ., ha la capacità di evocare le plurime caratteristiche degli stessi e, pertanto, attraverso un loro uso selettivo saranno impiegati proprio per evocare la specifica caratteristica che si rivela pertinente ai fini del discorso di volta in volta avviato.

[15] Tra i primi a puntualizzare questo aspetto è A. Pino, Il giuoco e la scommessa e il contratto aleatorio, in AA.VV., Studi in onore di F. Santoro Passarelli, Napoli, 1972, 787.

[16] Su questo profilo nel diritto romano si veda lo studio di P. Ziliotto, Disciplina privatistica classica del gioco d’azzardo vietato, in Teoria e storia del diritto privato, 2017, X, 1 ss.; e l’approfondita e critica ricerca di S. Brembilla, Provocat me in aleam ut ego ludam. Scommessa e giuoco nella prospettiva della dottrina e delle fonti, in SDHI, 75, 2009, 331 ss.; nonché G. Impallomeni, In tema di gioco, in Sodalitas, Scritti in onore di Antonio Guarino, Napoli, 1984, 2331 ss.

[17] Per avere una efficace idea della ingenza del mercato, almeno quello on line, si vedano i dati e la ricerca svolta da Deloitte, Online gaming. Il settore del gioco on line: confronto internazionale e prospettive. Il lavoro, come si legge nella Prefazione, costituisce il risultato della collaborazione fra il Centro Arcelli per gli Studi Monetari e Finanziari dell’Università Luiss Guido Carli (CASMEF) e Deloitte Financial Advisory S.r.l. sul gioco on line.

[18] E. Valsecchi, Voce Giuochi e scommesse (dir. civile), in Enc. dir., XIX, Milano, 1970 63.

[19] M. Paradiso, I contratti di gioco e scommessa, Milano, 2013, 4-5.

Della incontrastabile ascesa della variante aliena di un tipo marginale, la scommessa autorizzata, parla D. Maffeis, Homo economicus, homo ludens: l’incontrastabile ascesa della variante aliena di un tipo marginale, la scommessa legalmente autorizzata, (art. 1935 c.c.), in Contratto e impresa, 2014, 4-5, 836 ss., il quale, condivisibilmente, esorta a «superare l’arcaica prospettiva che immiserisce il fenomeno della scommessa nella prospettiva del diniego di azione di cui all’art. 1933 cod. civ. per dedicarsi a studiare sia le scommesse comuni che vengono a formare l’industria del gioco sia quelle scommesse finanziarie che sono i derivati over the counter e ciò con una rilettura dell’art. 1935 c.c.»; più di recente anche M. Grondona, Debiti di gioco e questioni restitutorie, in AA.VV., Giochi e scommesse sotto la lente del giurista, a cura di P. Costanzo, Genova, 2021, 28, critica quanti pensano ancora al gioco e alla scommessa come un settore del diritto privato di importanza marginale.

[20] Opportunamente gli interpreti più sensibili alle trasformazioni sociali ed economiche del fenomeno ludico auspicano e hanno proposto una riforma degli artt. 1933-1935 cod. civ., e si veda in questo senso: F. Bile, Per una rivisitazione del Codice civile in tema di diritti patrimoniali, in AA.VV., Materiali per una revisione del Codice civile, vol. I, a cura di V. Cuffaro, A. Gentili, Milano, 2021, 6. Si tratta, come si legge nella Presentazione, della raccolta dei materiali raccolti come «il frutto di una lunga ricerca svolta dall’associazione Civilisti Italiani negli anni tra il 2017 ed 2021 sulla possibilità di aggiornare il nostro Codice civile, rendendolo più rispondente ad esigenze che si sono manifestate nella società civile ed hanno in certi casi trovato eco nella giurisprudenza»; nel medesimo senso già M. Paradiso, op. cit., 34 ss., e da ultimo: P. Corrias, La gestione convenzionale dell’incertezza tra fenomeno ludico e mercato finanziario, in Riv. dir. bancario, 2022, 368.

[21] Cfr. al riguardo il punto n. 756 della Relazione del Ministro Guardasigilli al Codice civile del 4 aprile 1942 che esplicitamente considera eccezionali entrambe le ipotesi per le quali è accordata piena tutela dagli artt. 1934-1935 cod. civ.

[22] G.B. Ferri, La «neutralità» del gioco, cit., 28.

[23] Vedi così L. Modica, op. cit., 41.

[24] Come di recente ha ben ribadito P. Corrias, La gestione convenzionale dell’incertezza, cit., 366, il fondamento della piena tutela da parte dell’ordinamento per le competizioni sportive si fonda sulla valenza positiva che dello sport con riguardo alla salute e alla qualità della vita sulla conseguente meritevolezza di ciò che agevola tale attività, comprese le scommesse con le quali si puntano somme di danaro su eventi sportivi che rappresentano una fonte di finanziamento degli stessi. E in questo senso tra le più esplicite si segnala Pret. Roma, 17 luglio 1979, in Giust. civ., 1980, I, 503, secondo la quale una scommessa privata, relativa al campionato di calcio di serie A, conclusa da soggetti non partecipanti alla suddetta competizione sportiva, è riconducile all’ambito di applicazione dell’art. 1934 cod. civ. e non a quello dell’art. 1933 cod. civ.

In una prospettiva storica si vedano le pagine di U. Gualazzini, Premesse storiche al diritto sportivo, Milano, 1965, 1 ss.

[25] B.G. Mattarella, Introduzione, cit., 1, richiama la pluralità di interessi pubblici che il gioco regolato coinvolge. Interessi pubblici di primo piano come quelli legati all’ordine pubblico, alla prevenzione di rilevanti patologie, alla lotta al riciclaggio finanziario e alla finanza pubblica. «Questi interessi hanno sempre giustificato un intervento penetrante da parte del legislatore e la recente evoluzione del fenomeno e delle forme di gioco ha acuito alcune esigenze sottese alla regolazione pubblica». Come ad esempio i rischi, sia per il giocatore, sia per il fisco, connessi al gioco on line. Ma si pensi poi, sottolinea Mattarella, al crescente affidamento che le manovre finanziarie fanno sulle entrate derivanti dal gioco, al punto da far dubitare che quella regolazione sia volta principalmente alla prevenzione degli abusi e patologie e da far ipotizzare un favor dell’ordinamento per il gioco, come attività a saldo positivo per la società, purché svolta nel rispetto delle norme di ordine pubblico e di quelle fiscali.

[26] M. Gnes, Voce Giochi e scommesse, in Enc. dir., I Tematici, Milano, 2022, 542; si veda poi, con alcune differenze in ordine al quarto periodo, M. Fiasco, Breve storia del gioco in Italia: tre epoche per tre strategie, in Narcomafie, settembre 2010, 22 ss.; F. Costelli, Il fenomeno del gioco d’azzardo: sintesi dell’evoluzione normativa in Italia, in Diritto & diritti, 2020 (www.diritto.it); G. Sirianni, Il gioco pubblico dal monopolio fiscale alla regolamentazione nella crisi dello stato sociale, in Dir. pubbl., 2012, 801 ss.

[27] I giochi permessi erano il lotto (introdotto nel 1863), alcuni concorsi pronostici introdotti nel secondo dopoguerra (Totocalcio nel 1946 e il Totip nel 1948), le lotterie nazionali e i giochi nei casinò autorizzati con specifica legge.

Sull’importanza che ha rivestito il gioco del totocalcio nel rendere indipendente economicamente lo sport dalla politica si legga l’interessante studio storico di M. Monaco, Il dibattito sul totocalcio ed il suo uso politico, in Riv. dir. sportivo, 2018, 272 ss.; I. Marani Toro, Dalla Sisal al totocalcio, in Riv. dir. sportivo, 1984, 1; G. Brunamontini (a cura di), 50 anni di totocalcio tra letteratura e realtà, Roma, 1996, 106 ss.; O. Caramaschi, Concorsi pronostici e scommesse: il finanziamento dello sport dalla nascita del totocalcio ad oggi, in AA.VV., Giochi e scommesse sotto la lente del giurista, a cura di P. Costanzo, cit., 147.

[28] Nel nostro ordinamento vige una riserva statale in materia di giochi e scommesse, stabilita con il d.lgs. 14 aprile 1948, n. 496, in forza della quale i privati non sono legittimati a svolgere attività imprenditoriali in questi settori. L’esercizio dell’attività, a seguito di riserva originaria, è consentito solo allo Stato che può decidere di conferirlo a soggetti privati tramite concessioni. Per organizzare ed esercitare giochi pubblici e raccogliere scommesse è necessario ottenere un’apposita concessione e un’autorizzazione di pubblica sicurezza. Il r.d. 18giugno 1931, n. 733, recante il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza prevede che per esercitare un’at­tività nel settore dei giochi e delle scommesse è necessario essere in possesso di una concessione amministrativa di AAMS e di una licenza di polizia rilasciata dalla Questura territorialmente competente.

[29] Come si è anticipato, il sistema dei giochi e delle scommesse nel nostro ordinamento si fonda, per tradizione, su una riserva statale. Ciò che merita di essere posto in luce è la considerazione per la quale, detta riserva troverebbe il suo fondamento anzitutto nella costituzione ex art. 43 Cost., nonché su un regime autoritativo di tipo concessorio.

In questo contesto, il gioco d’azzardo si configura come un’attività economica non libera, ma regolata da una peculiare disciplina amministrativa che ne assegna il monopolio e il controllo allo Stato. In particolare, si è di fronte ad un modello di concessione traslativa di servizi pubblici con cui si conferisce ai privati, non già la titolarità, ma l’esercizio del servizio dei giochi sotto il controllo dello Stato. Si vedano in argomento le riflessioni di S. Cassese, Legge di riserva e art. 43 della Costituzione, in Giur. Cost., 1960, 6, 1332 ss; C. Benelli, E. Vedova, Giochi e scommesse tra diritto comunitario e diritto amministrativo nazionale, Milano, 2008, 73 ss., e più di recente: G. Pepe, La regolamentazione del gioco d’azzardo in una prospettiva comparata, in www.comparazione
dirittocivile.it
01-2019; e M. Gnes, op. cit., 543.

[30] Decreto legge, 13 settembre 2012, n. 158, cd. “Decreto Balduzzi”. Si vedano in particolare gli artt. 5 comma 4, 7 commi 4-7, e 7 comma 10.

[31] Decreto legge, 12 luglio 2018, n. 87, convertito con legge 9 agosto 2018, n. 96 cd. “Decreto dignità”. Sulle novità normative introdotte dal decreto richiamato si vedano le considerazioni di E. Tagliasacchi, La disciplina delle misure dirette a contrastare il fenomeno della ludopatia dopo il Decreto Dignità: sistema e tutele crescenti o occasione perduta?, in Corti supreme e salute, 2018, 2, 449 ss., e più di recenti le attente considerazioni critiche di A. Zoppini, Diritto privato generale, diritto speciale, diritto regolatorio, in Ars Interpretandi, 2021, 2, 46.

[32] Si veda in questi termini M. Gnes, voce Giochi e scommesse, cit., 550.

[33] Il ricorso all’immagine della rete è di recente impiegato da M. Palazzo, op. cit., passim.

[34] Lo rileva, tra gli altri, L. Modica, op. cit., 119.

[35] Quello delle implicazioni fiscali è un argomento ricorrente negli scritti si veda ad esempio: M. Franzoni, Il contratto nel mercato globale, in Contratto e impresa, 2013, 81.

[36] E. Valsecchi, Il gioco e la scommessa. La transazione, in Tratt. di dir. civ. e comm., diretto da A. Cicu, F. Messineo, XXXVII, t. 2, 1986, II ed. riv. e agg., 144.

[37] T. Di Nitto, I giochi e le scommesse, in Trattato di dir. amministrativo, a cura di S. Cassese, III, Milano, 2000, 2377; e più di recente M. Gnes, op. loc. cit.; già nel 1958 F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (codici e norme complementari), 9ᵃ edizione riveduta e aggiornata, vol. V, Milano, 1958, 216, avvertiva che «esiste un’organizzazione tecnica del gioco, la quale ha un rilievo, poiché esercita il suo influsso sulla disciplina giuridica di esso. Il caso dei due giocatori che fanno una partita a carte o a scacchi (e simili) è una figura arcaica, sebbene sia quella a cui si pensa più di frequente, quando si parla di gioco. Oggi, prevale il gioco o la scommessa, nel quale intervengono masse di giocatori; l’organizzazione ne è, quindi, una necessità».

L’organizzazione alla quale si richiamava Messineo nel 1958 era evidentemente lo specchio dei tempi: quella «approntata dalle case da gioco, o è quella che si lega a manifestazioni sportive di tipo agonistico». Messineo, con il solito acume, anticipa un aspetto fondamentale ai fini della nostra indagine: nella prima specie a cui si richiama, va ricompreso tutto ciò che concerne la distinzione dei giochi e i rapporti giuridici fra giocatore e casa da gioco e anche i rapporti tra giocatori, che si servono dei locali e delle attrezzature della casa di gioco; nella seconda specie, rientrano gli istituti del totalizzatore e del c.d. bookmaker e delle operazioni (e conseguenti rapporti giuridici), che si svolgono fra costoro e gli scommettitori.

[38] L’art. 1 del decreto legislativo 14 aprile 1948, n. 496, riserva allo Stato l’organizzazione e l’esercizio di giochi di abilità e di concorsi pronostici per i quali sia prevista una ricompensa di qualsiasi natura e per la cui partecipazione sia richiesto il pagamento di una posta in denaro. Lo Stato monopolista può concedere l’esercizio di tali attività ai privati. L’art. 2 del presente decreto prevede infatti che lo Stato può «effettuarne la gestione direttamente, o per mezzo di persone fisiche o giuridiche, che diano adeguata garanzia di idoneità».

[39] A. Pino, Il giuoco e scommessa e il contratto aleatorio, cit., 778.

[40] L. Enneccerus, H. Lehmann, Lehrbuch des burg.Rechts, II, Tubingen, 1945, 752. Come ricorda C. Angelici, Alla ricerca del “derivato”, Milano, 2016, 134, nota 9, non può trascurarsi che la prospettiva originaria del diritto comune, specie nella sua versione germanistica, era proprio nel senso di dettare un diverso trattamento al gioco e alla scommessa, riconoscendosi la piena validità alla scommessa e tendenziale illegalità del gioco se non la sua irrilevanza per il diritto; in questa prospettiva si veda W.E. Wilda, Die Wetten, in Zeitschrif für deutsches Recht und deutsche Rechtswissenschaft, § (1843), 200, (spec. 210 ss. e 220 ss.) Il che spiegherebbe secondo Angelici perché i temi che stiamo indagando siano affrontati, quando si vuole porre l’attenzione sulla impegnatività dell’operazione contrattuale, nel nostro ordinamento sulla scorta di un confronto con la scommessa, mentre in quello tedesco il confronto è con il gioco.

La distinzione tra gioco e scommessa era, invece, rilevante nel diritto romano e ciò sulla scorta di tre leggi (la Tizia, la Publicia e la Cornelia) di data incerta. Esse vietavano i giochi aleatori ma, al contrario, consentivano le sponsiones, ossia le scommesse sull’esito delle gare agonistiche. La differente disciplina fu conservata anche da Giustiniano, che confermò il divieto di giochi aleatori e la liceità delle scommesse, sia pur limitandole sia sotto un profilo quantitativo, sancendo il limite della puntata ad un soldo per ogni scommessa, sia qualitativo, consentendo solo le scommesse sui “cinque giochi”. Anche i divieti in materia di gioco, così come molti altri, erano sospesi in occasione dei Saturnalia.

Per una ricostruzione storica dei profili in esame nel diritto romano, si veda P. Ziliotto, op. cit., 2; S. Brembilla, op. cit., 376; G. Impallomeni, op. cit., 2333.

[41] R. Sacco, Il contratto, in Trattato Vassalli, VI, II, Torino, 1975, 608, per il quale «la collocazione dell’art. 1933 c.c., e del capo XXI, possono ragionevolmente far concludere che gioco e scommessa costituiscono un vero contratto nominato». Si veda, in una prospettiva diversa, la posizione di A. Pino, op. cit., 781. L’autore muove da una considerazione: gli artt. 1933 ss. cod. civ. non regolerebbero un tipo negoziale autonomo determinandone causa, forma e struttura, come avviene, invece, per ogni paradigma negoziale disciplinato negli altri Capi del medesimo Titolo III del libro delle obbligazioni. Secondo Pino, si tratterebbe di una normativa diretta a regolare gli effetti patrimoniali del gioco e della scommessa, non alla formazione e alla funzione di un dato tipo contrattuale. In particolare, sarebbe errato sostenere che «gli artt. 1933 ss. c.c. consentano l’elaborazione del gioco e della scommessa come un paradigma negoziale autonomo da porre accanto alla compravendita, alla locazione etc.». Più in particolare, si osserva che l’ordinamento giuridico non disciplinerebbe l’accordo che interviene tra i partecipanti al gioco e relativo allo svolgersi dell’attività, nonché alle regole alle quali attenersi, ma disciplina l’altro accordo, quando sussiste, e cioè quello con il quale all’esito del gioco e della scommessa si subordina l’an o il quantum degli effetti patrimoniali. Per Pino, dunque, «(l)a fonte degli effetti patrimoniali non è costituita dall’attività di gioco o scommessa, né da un particolare paradigma negoziale, ma da qualunque negozio unilaterale o bilaterale, che il giocatore realizza per unire all’esito del gioco e scommessa una efficacia patrimoniale.

Più di recente si vedano le belle pagine di E. Barcellona, Contratti derivati puramente speculativi: fra tramonto della causa e tramonto del mercato, in AA.VV., Swap tra banche e clienti. I contratti e le condotte. Quaderni di Banca e borsa e tit. di cred., a cura di D. Maffeis, Milano, 2014, 38, 93 ss., secondo il quale, sebbene il codice civile, sull’esempio del codice napoleonico e poi di quello civile unitario del 1865, dedichi al gioco e alla scommessa uno dei capi del titolo III del Libro IV, proprio quello dedicato ai contratti tipici, e questa collocazione potrebbe suggerire che gioco e scommessa siano una delle tante figure tipiche in cui si può articolare l’attività contrattuale, in realtà così non sarebbe in quanto «le poche norme dedicate all’istituto non lo rendono affatto una delle tante figure contrattuali analiticamente e parattatticamente (…) disciplinate dal legislatore». Si legge, spec. 93, che il legislatore si occuperebbe del contratto avente ad oggetto gioco e scommessa solo per dire che in realtà esso non sarebbe «un vero contratto».

Prescindendo dalla qualifica di «vero contratto» richiamato dall’Autore, che sembra suggerire che ci sia un contratto “vero” al quale contrapporre un contratto “falso”, la tesi richiamata, sebbene meritevole della massima attenzione, muove da una premessa da noi non condivisa: pensare ancora una volta e in modo anacronistico il fenomeno in esame come un fenomeno singolare e riducibile alla vetusta regola dell’art. 1933 cod. civ.

[42] In una prospettiva storica sull’evoluzione del gioco e della scommessa, si vedano almeno: Manenti, Del gioco e della scommessa, cit., 585 ss.; Pothier, Trattato del gioco, Opere, II ed. it.; P. Bonfante, Le obbligazioni naturali e il debito di giuoco, in Riv. dir. comm., 1915, I, 97; Degni, Giuochi e scommesse, in Nuovo Dig. It., VI, Torino, 1938, 356; Mirabelli, Contratti speciali, in Il diritto civile italiano secondo la dottrina e la giurisprudenza, XII, Napoli-Torino, 1924; nei commentari si segnala: G. Tridico, Rendita-Assicurazione-Giuoco e scommessa-Mandato di credito-Anticresi-Transazione-Cessione dei beni ai creditori. Commento agli artt. 1861-1986, in Commentario al Codice civile, V. de Martino, Roma, 1976, 634 ss.; nonché il Commentario al Codice civile, diretto da M. D’Amelio, E. Finzi, Dei contratti speciali, Parte II, Firenze, 1948, 355.

Tra i lavori monografici si veda la ricca e suggestiva ricerca di A. Cappuccio, “Rien de Mauvais”. I contratti di gioco e scommessa nell’età dei codici, cit., passim, il quale indaga, come si legge nelle prime pagine del suo lavoro: «il controverso rapporto tra diritto civile e fenomeni ludici nel breve, ma intenso, periodo compreso tra l’Illuminismo e la prima metà del Novecento». Dall’antico penthatlon alle moderne competizioni sportive, dalle scommesse sulla data di morte di un Papa o di un imperatore, alle puntate sull’esito delle corse ippiche, dagli scacchi ai videopokers, dal lotto ai concorsi pronostici che, come scrive Cappuccio, «sono soltanto alcune delle molteplici declinazioni di un soggetto insofferente a rigide classificazioni, ancorato com’è alla formazione di nuove dinamiche sociali e di diversi contesti giuridici ed economici».

[43] È la nota posizione di C. Furno, Note critiche in tema di giochi, scommesse e arbitraggi sportivi, cit., 643 ss.; seguito da E. Valsecchi, Il gioco e la scommessa. La transazione, in Tratt. di dir. civ. e comm., diretto da A. Cicu, F. Messineo, XXXVII, t. 2, 1986, II ed. riv. e agg., 10 ss; ma si veda, sia pure in forma dubitativa, L. Ferri, Recensione, cit., 150, il quale nel rimproverare al­l’opera di Fedele una lacuna pregiudiziale (ossia non affrontare una questione fondamentale: chiarire se il gioco o la scommessa siano proprio contratti riconosciuti per tali nel nostro ordinamento giuridico o non siano essi, piuttosto, fuori dall’ordinamento giuridico, istituti di un diverso ordinamento, quello comprendente le norme di convivenza o dell’onore) esorta gli interpreti a non esimersi dall’«onere della ricerca», sia pure nella riconosciuta difficoltà del tema.

Per una dura critica alla posizione del Furno, si veda F. Carnelutti, Figura giuridica dell’arbitro sportivo, in Riv. dir. proc. 20 ss., e specificamente, 21, per il quale alla radice il torto del Furno sta nel confondere tra gioco e scherzo.

«Che la scommessa possa essere un contratto sul gioco, una specie di parassita del giuoco, come dice il F. in un altro passo, è un conto; certo il totalizzatore alle corse dei cavalli come il totocalcio per il foot-ball presentano tale figura, ma un altro conto è che non vi siano scommesse se non sul gioco (…). Il vero è che si chiama scommessa quella forma di gioco, nella quale il giuoco, cioè il divertimento, consiste solamente nel contratto. Nella scommessa il giuoco è la causa non l’oggetto del contratto; causa ludendi, (…) non causa fingendi. Si contratta non per burla, ma per divertimento. Il divertimento sta nel cercarsi un rischio, che altrimenti, seguendo il corso normale della vita, non s’incontrerebbe. Il quale rischio può essere ma anche non essere il risultato d’un gioco altrui».

[44] F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, V, Milano, 1958, 216.

[45] I primi rilievi contro l’impostazione tradizionale sono stati avanzati da C. Furno, op. cit., 643; le cui osservazioni sono state riprese poco dopo da E. Valsecchi, Il gioco e la scommessa. La transazione, in Tratt. di dir. civ. e comm., diretto da A. Cicu, F. Messineo, XXXVII, t. 2, 1986, II ed. riv. e agg., 10 ss., il quale riconosce al Furno il merito di aver sistemato categorie e chiarito concetti per il passato confusi e si afferma che, a confortare l’indirizzo del Furno, militerebbero infatti serie esigenze logiche; anche A. Fedele, Giuoco o scommessa? cit., 4, nega l’esistenza di un contratto di gioco distinto da un contratto di scommessa. Si veda poi la Recensione di L. Ferri, Alfredo Fedele, Giuoco o scommessa? cit., 150.

Nella manualistica si veda P. Rescigno, Manuale di diritto privato italiano, Napoli, 1991, 784, dove l’Autore condivide l’opi-nione per la quale una rilevanza giuridica possa riconoscersi alla scommessa, e non al gioco che per sua natura è attività libera e disinteressata, non inquadrabile nei fatti giuridici e ancor meno nell’esercizio dell’autonomia contrattuale. La scommessa, invece, sull’esito del gioco o su altri avvenimenti si presenta con la struttura di un contratto.

[46] E. Briganti, La disciplina dei debiti di gioco, in Riv. not., 1994, 252, il quale osserva come il gioco sarebbe un presupposto logico della scommessa, un presupposto non necessario in quanto la scommessa può vertere, oltre che sull’esito di un gioco, anche a sostegno di una affermazione di verità o di un’opinione contrastata dalla controparte; C.A. Funaioli, Il giuoco e la scommessa, in Tratt. dir. civ., diretto da F. Vassalli, Torino, 1961, 3ᵃed. riveduta e ampliata, IX, 24, quando scrive dei «debiti cosiddetti di gioco e di scommessa (o meglio, soltanto di scommessa)» sembra rifiutare l’idea che il gioco possa essere fonte di obbligazioni allorché non si accompagni alla scommessa.

[47] C. Furno, Note critiche, cit., 650.

[48] E. Valsecchi, Il gioco e la scommessa. La transazione, cit., 10.

[49] L. Ferri, op. cit., 150, opportunamente rileva, nel criticare la tesi di Fedele, come «per lo stesso legislatore i due vocaboli non sono certo sinonimi se nell’art. 1933 esso ci parla di giuoco e scommessa e nell’articolo successivo (non certamente per distrazione) soltanto di gioco».

[50] Tra i primi a segnalare come il fine di lucro non contraddica la natura del gioco è Carnelutti e al riguardo si vedano le belle pagine pubblicate sulla Rivista di diritto e procedura civile (F. Carnelutti, Gioco e processo, in Riv. dir. proc., 1951, 108), nelle quali l’Autore trae spunto per le sue riflessioni dall’articolo a lui dedicato da Calamandrei, Il processo come giuoco, in Riv. dir. proc. civ., 1949, I, 23, nelle quali Calamandrei sostiene che il processo non è un giuoco, ma che tale può diventare. Carnelutti, nel cercare di chiarire i rapporti tra processo e gioco, dedica le sue riflessioni per chiarire il concetto di gioco. Da ultimo L. Modica, op. cit., 9.

[51] Come insegna la migliore dottrina: il legislatore è ben consapevole della ricchezza semantica di ogni vocabolo; è ben conscio che ogni parola possiede una pluralità di significati, spesso assai numerosi e diversi tra loro: comuni, settoriali, tecnici, specialistici, gergali, tra i quali l’interprete della disposizione è chiamato a scegliere, selezionando, e così accogliendo il significato proprio della parola, conseguentemente escludendo tutti gli altri. La parola comune, una volta entrata nel lessico specialistico della legge, perde la sua originaria ricchezza di significati per assumere solo quel senso che il legislatore ha stabilito. Si veda in questi termini AA.VV., L’interpretazione della legge, in Dieci lezioni, Torino, 2008, 42.

[52] F. Carnelutti, Giuoco e processo, cit., 108, osserva come «la scommessa, che fa dipendere un guadagno o una perdita dal caso, è un giuoco, in quanto diverte o distrae, anch’essa, il corso normale della vita con lo scegliere liberamente un rischio e così con il crearsi liberamente un’attesa entrando la volontà dell’uomo come impulso determinatore (deviatore di quel corso). La scommessa, precisamente, introduce l’elemento del lucro nel gioco; ma il fine di lucro non contraddice alla natura del giuoco perché non esclude (…) il divertimento nel senso più volte indicato, anzi spesso ne è un indice accentuato e perfino esasperato».

[53] M. Paradiso, I contratti di gioco e scommessa, cit., 47; L. Buttaro, Del giuoco e della scommessa, in Commentario Scialoja Branca, Libro IV, Delle obbligazioni (Art. 1933-1935), Bologna-Roma, 1959, 27 ss.; L. Balestra, Il giuoco e la scommessa nella categoria dei contratti aleatori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2001, 675; A. Fusaro, La nozione civilistica di alea, in AA.VV., Giochi e scommesse sotto la lente del giurista, cit., 12.

[54] Per completezza si richiamano comunque le soluzioni suggerite dalla dottrina al fine di tracciare una distinzione tra le due figure. Soluzioni che possono essere raggruppate in base al diverso criterio soggettivo e oggettivo.

In forza del primo si distingue il gioco dalla scommessa a seconda che le parti si ripromettano di divertirsi o di guadagnare (o entrambe le cose) ovvero che esse vogliano rafforzare un serio dissenso di opinioni.

Mentre con riguardo al secondo si suggerisce di considerare la natura dell’evento posto in condizione e perciò si distingue a seconda che sia o meno un gioco in senso tecnico; o infine quella che ha riguardo alla partecipazione o meno al verificarsi del risultato, potendosi parlare di gioco ogni qualvolta il rapporto di contenuto patrimoniale intercorre tra le stesse persone che prendono parte alla partita o alla gara.

Impiegando il primo criterio, tuttavia, da un lato si trascura che così ragionando si riduce la scommessa ad ipotesi del tutto marginali, ma soprattutto la stessa basa la distinzione sui motivi individuali dei giocatori e scommettitori, trascurando la loro irrilevanza per il diritto, non potendosi così costruire su di essi una classificazione.

Il secondo criterio, al contrario, fondandosi sulla diversa natura dell’evento può essere controllato facilmente e fornisce un elemento più sicuro di differenziazione. Per una puntuale critica ai criteri qui accennati si rinvia a L. Buttaro, Del giuoco e della scommessa, cit., 24 ss.

[55] Si rinvia al mio: I giochi non proibiti. Contributo allo studio dei giochi autorizzati, di prossima pubblicazione con Jovene, Napoli, 2022.

[56] In giurisprudenza si segnala proprio con riguardo alla violazione delle regole del regolamento di gioco: Cass., 20 marzo 2012, n. 4371, in Pluris. La vicenda muove da una scommessa autorizzata concernente una corsa di cavalli ed avente ad oggetto un caso quanto mai singolare, che per chiarezza occorre riportare nei suoi tratti essenziali. Uno scommettitore aveva effettuato numerose “puntate” in un tempo successivo all’allineamento dei cavalli al nastro di partenza. Il ricevitore, ciononostante, aveva accettato le scommesse violando così quella disposizione del regolamento in forza della quale le scommesse potevano essere effettuate esclusivamente prima del momento dell’allineamento dei cavalli ai nastri di partenza. I giudici di merito avevano accolto la domanda del giocatore avente ad oggetto la condanna del gestore al pagamento della posta, in quanto si è affermato che la disposizione regolamentare violata fosse rivolta non già allo scommettitore ma al gestore. La Suprema Corte, condivisibilmente, ha disatteso l’argomento fondato sulla regola di condotta per concentrarsi sulla causa delle scommesse legalmente autorizzate. Il numero delle scommesse e delle vincite di quel singolo scommettitore avrebbe dovuto essere valutato come indice della soggettiva conoscenza, da parte dello scommettitore, del risultato delle corse, o di altre circostanze che lo ponevano in una condizione privilegiata rispetto agli altri. E sarebbe proprio la probabile, soggettiva conoscenza del risultato della corsa, a suggerire alla Cassazione di impostare la motivazione della decisione non già sulle regole di comportamento, ma sulla causa del contratto.

Si veda in argomento M. Girolami, L’artificio della causa contractus, Padova, 2012, 124; F. Mucciarelli, il cui contributo è consultabile sul sito http//www.disastroderivati.it; e più di recente D. Maffeis, Homo oeconomicus, cit., 849, nota 55: il principio di diritto espresso dalla Cassazione, ad avviso dell’Autore in modo un po’ acerbo, potrebbe essere sciolto ed esplicitato in questi termini: la scommessa legalmente autorizzata ha causa lecita e meritevole se è conclusa sul presupposto che gli scommettitori si trovino nello stato di conoscenza conforme a quanto risulta dal regime autorizzatorio.

In giurisprudenza si veda anche Cass., 2 dicembre 1993, n. 11924, in Foro It., I, c. 626, che aveva ad oggetto, invece, il caso ancor più eclatante della scommessa, sempre su corse di cavalli, accettata dopo che l’ordine di arrivo era già consultabile sui monitor e in quella occasione si è stabilito che: «elemento essenziale della scommessa su un pronostico è l’oggettiva incertezza del risultato, sì che l’assenza di tale requisito determina la nullità del rapporto per difetto di causa».

[57] Si veda S. Cassese, Dalle regole del gioco al gioco con le regole, in Mercato concorrenza e regole, 2002, 2, 265 ss.

[58] Sulla differenza tra gioco e gara si rimanda alle pagine di F. Carnelutti, Giuoco e processo, cit., 104 ss., secondo il quale «una specie di gioco è la gara, ma i concetti di gara e di gioco sebbene possano interferire non dicono la stessa cosa». Il concetto di gara postula una regola del suo svolgimento. Sarebbe implicita nel concetto stesso di gara un’esigenza di giustizia dei suoi risultati. Non altrettanto potrebbe dirsi del gioco che non sia una gara. Di qui, continua l’Autore, «la connessione tra diritto e gioco: né il gioco è diritto né il diritto è giuoco, ma il giuoco o meglio quella specie di giuoco che è la gara, ha bisogno del diritto allo stesso modo e per la stessa ragione, in cui ne ha bisogno la vita reale».

[59] F. Messineo, op. cit., 217.

[60] In questi termini L. Modica, op. cit., p 12.

Per M. Paradiso, Giuoco, scommesse e rendite, cit., 33-34, nel gioco, la competizione consiste in una gara o partita tra gli stessi contraenti, nella scommessa la competizione è costituita dalla designazione fortuita di uno dei partecipanti ovvero dalla disputa su un pronostico o sulla verità di un fatto. Nello stesso senso si veda anche L. Balestra, Il giuoco e la scommessa nella categoria dei contratti aleatori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 675.

[61] C. Manenti, Del gioco e della scommessa, cit., 637-639.

[62] E. Valsecchi, Il giuoco e la scommessa, cit., 41. Come chiarisce M. Barcellona, Della causa. Il contratto e la circolazione della ricchezza, Milano, 2015, 432, assicurazione, vitalizio o emptio spei non assumono ad oggetto un’alea artificiale ma producono un’artificiale allocazione del rischio: il rischio del sinistro, della sopravvivenza del vitalizato o della venuta ad esistenza di una res e della sua consistenza preesistono già nella sfera di uno dei contraenti, ma il contratto ne sposta l’incidenza dalla sfera dell’uno alla sfera dell’atro, esponendosi così quest’altro ad un rischio che prima non subiva e, perciò, ad un rischio artificiale.

[63] G. Scalfi, Corrispettività e alea nei contratti, Napoli, ristampa, 2015, 151, per il quale l’evento incerto svolge la funzione di criterio di determinazione dell’oggetto della prestazione; A. Pino, op. cit., 779, per il quale le parti subordinano l’an della prestazione o il quantum del suo oggetto a un evento diverso da quello originato da attività economica produttiva.

  1. Nicolò, voce Alea, in Enc. dir., II, Milano, 1958, 1024, sul ruolo dell’alea nei contratti di gioco e scommessa chiarisce come in questi casi l’alea si atteggia come il criterio idoneo a individuare il soggetto che sarà tenuto a eseguire una data prestazione, e non soltanto a individuare le caratteristiche oggettive della prestazione medesima. M. Allara, La vendita, corso di diritto civile, 1946-1947, 88, sottolinea come in altri contratti aleatori, l’incertezza riguardi semplicemente l’entità del sacrificio (es.: contratto di vitalizio; vendita di cosa futura con prezzo determinato in relazione alla quantità di cosa futura), oppure il momento del sacrificio (es.: contratto di assicurazione sulla vita, per ciò che concerne il sacrificio dell’assicuratore).

[64] L. Buttaro, op. cit., 67; D. Riccio, Il gioco e la scommessa, in I contrati speciali. I contratti aleatori, in Trattato di diritto privato, vol., XIV, diretto da M. Bessone, Torino, 2005, 148; E. Barcellona, Contratti derivati puramente speculativi: fra tramonto della causa e tramonto del mercato, cit., 97; si sofferma più di recente sul concetto polisenso di alea bilaterale: M.F. Campagna, Il credito strutturato, Milano, 2020, 100.

Interessante la prospettiva di indagine di F. Carnelutti, Giuoco e processo, cit., 109, il quale, nel confrontare il giuoco e il processo, coglie la similitudine nella circostanza che anche nel processo un guadagno o una perdita dipendono da un evento che, malgrado tutto, le parti non riescono a prevedere: «è l’arbitrio d’un uomo, anziché del caso». Rimane una differenza elementare tra gioco e processo: «per quanto anche il risultato del processo presenti, entro certi limiti, i caratteri del caso, la soggezione a codesto caso è una necessità della vita e non una distrazione, che gli uomini si procurano per avere l’illusione di vivere come piace a loro».

[65] P. Corrias, Garanzia pura e contratti di rischio, Milano, 2006, 274; si veda poi anche il più recente contributo: Id., La gestione convenzionale dell’incertezza tra fenomeno ludico e mercato finanziario, in Riv. dir. bancario, 2022, II, 363.

[66] La caratteristica della bilateralità della incertezza distingue il contratto di gioco e scommessa da altri contratti aleatori, come l’assicurazione danni e l’empio spei, nei quali l’incertezza concerne il sacrificio di uno solo dei contrenti. Com’è già stato osservato (si veda A. Fedele, op. cit., p 6, nota 20) la caratteristica della bilateralità della incertezza presuppone quella della bilateralità del contratto, e su questo aspetto del contratto di gioco si veda Windscheid, Diritto delle Pandette, trad. Padda e Bensa, vol. II, parte II, § 221, nota 2; Stobbel-Lehman, Handbuch des deutschen Privatrechts, vol. III, Berlin, 1898, § 243 ss., il quale però asseconda l’opinione ricorrente tra gli interpreti tedeschi dell’epoca, ossia quella di considerare il contratto di gioco come un contratto bilaterale nella conclusione e unilaterale nell’adempimento.

Per una attenta analisi critica si veda, tra gli altri, R. Sacco, In tema di contratto di gioco o scommessa (a proposito della competizione “Lascia o Raddoppia”, in Riv. dir. comm., 1957, 1, il quale nell’indagare la natura della competizione “Lascia o raddoppia”, muove dalla circostanza che il carattere di gioco o scommessa viene negato alla prova in esame sotto plurimi riflessi, tra i quali, per ciò che a noi interessa, l’affermazione che non si avrebbe contratto di gioco o scommessa là dove non sussiste rischio a carico di entrambe le parti contrenti, nel senso che ciascuna di esse possa vincere la posta stabilita determinando la perdita dell’altra.

[67] Al riguardo si segnala Cass., 2 dicembre 1993, n. 1194, cit., ove si legge: «elemento essenziale della scommessa su un pronostico è l’oggettiva incertezza del risultato, sì che l’assenza di tale requisito determina la nullità del rapporto per difetto di causa»; ma si segnala anche Cass., 20 marzo 2012, n. 4371, cit. In dottrina si veda in argomento: M. Girolami, L’artificio della causa contractus, cit., 124; F. Mucciarelli, op. cit.; D. Maffeis, Homo ludens, cit., 849, nota 55, per il quale, come si è anticipato, il principio di diritto espresso in modo un po’ acerbo dalla Cassazione, potrebbe essere sciolto ed esplicitato in questi termini: «la scommessa legalmente autorizzata ha causa lecita e meritevole se è conclusa sul presupposto che gli scommettitori si trovino nello stato di conoscenza conforme a quanto risulta dal regime autorizzatorio».

[68] L. Modica, op. cit., 22.

[69] M. Paradiso, op. cit., 54; e più di recente si veda l’attenta ricerca di M.F. Campagna, op. cit., 100, spec. nota 82.

[70] M. Barcellona, op. cit., 433.

[71] C. Angelici, Alla ricerca del «derivato», cit., 120; le cui osservazioni sono poi riprese da L. Modica, op. cit., 53.

[72] E questa scelta sembrerebbe offrire un utile argomento per superare la classificazione dei rapporti umani all’interno dell’alternativa liceità e illiceità, protezione-repressione, all’interno della quale i giochi e le scommesse tollerati non trovano spazio reclamando una zona intermedia tra il campo del lecito e quello dell’illecito del giuridicamente protetto e proibito. E. Valsecchi, Il giuoco e la scommessa, cit., 24. Si veda poi, sia pur in forma dubitativa, M. Orlandi, Tertium non datur, in Storia metodo cultura, 2002, 408 ss.

[73] Il più chiaro in argomento è G. Trovatore, Attività d’investimento e forme di tutela nel “derivato di scommessa”, in Sui mobili confini del diritto. Tra pluralità delle fonti ufficiali e moltiplicarsi di formanti normativi “di fatto”. Scritti in onore di Massimo Paradiso, a cura di M. Cavallaro, F. Romeo, E. Bivona, M. Lazzara, vol. II, III Sessione: Responsabilità – IV Sessione: Contratto, Torino, 2022, 640 ss.

[74] M. Paradiso, Giuoco, scommessa, rendite, in Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, I singoli contratti, Torino, 2006, 62; si vedano in argomento le acute riflessioni di G. Trovatore, op. cit., 644.

[75] G. Trovatore, op. cit., 644; e prima ancora L. Saltari, op. cit., 2, indaga il gioco e la scommessa dalla prospettiva del regime giuridico di un’attività non libera, ma regolata, nell’intento di mettere a fuoco i principi sui quali si regge la disciplina pubblica di settore.

[76] Così D. Maffeis, Homo oeconomicus, cit., 837-838; ma si veda anche C. Angelici, op. cit., 142, dove invita a riflettere che l’alternativa serietà non serietà trascura che la non serietà significa dal punto di vista dell’ordinamento mancanza di causa, con tutte le conseguenze che ne discendono e che porterebbero ad affermare che sebbene nell’art. 1933 cod. civ., sebbene vi sia una causa non seria, ciononostante verrebbe a godere di un regime diverso. Sotto un profilo più generale si veda U. Breccia, Causa, in Trattato di diritto privato, diretto da M. Bessone, XIII, 3, Torino, 1999; Id., Il problema della causa, in Immagini del diritto privato, vol. II, Il contratto, t. I, Scritti di Umberto Breccia, Torino, 2020, 335, dove l’Autore si sofferma sulla «causa putativa, simbolica, irrisoria, non trasparente».

[77] Si mutuano le considerazioni che Natalino Irti aveva proposto osservando le conseguenze giuridiche del Coronavirus, ossia quel morbo, quel fatto naturale che incide sulla fisicità dell’individuo, vulnerandolo appunto nell’azione; fatto naturale che, come osserva Irti, ha inciso sul diritto stimolando una produzione normativa che, specie nel diritto dei contratti e delle obbligazioni, ha assunto carattere eccezionale e temporaneo. Si veda sul punto: N. Irti, Il diritto pubblico e privato in un’epoca che fa eccezione, in Il Sole24Ore.

[78] Per una accurata e critica analisi delle diverse logiche che sono al fondo delle norme di cui agli artt. 1933, 1934 e 1935 cod. civ., si vedano per tutti le pagine di E. Briganti, La disciplina dei debiti di gioco, in Riv. not., 1994, 251 ss., e spec. 253, dove l’Autore osserva come l’ordinamento non consideri unitariamente il fenomeno, bensì valuta in modo differente i diversi tipi di gioco e tale diversa valutazione si rifletterebbe sulle scommesse relative; M. Paradiso, Gioco, Scommessa, Rendite, in Tratto di diritto civile, diretto da R. Sacco, Torino, 2006; Id., I contratti di gioco e scommessa, Milano, 3003; di E. Moscati, Il giuoco e la scommessa, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, 13, Obbligazioni e contratti, t. V, Torino, 2007, 138 ss.; C. A. Funaioli, Il giuoco e la scommessa, Terza edizione riveduta e ampliata, Torino, 1961, passim; L. Buttaro, Del gioco e della scommessa. Artt. 1933-1935, in Commentario del Codice civile, Libro quarto – Delle obbligazioni, Bologna-Roma, 1959; E. Valsecchi, Il giuoco e la scommessa. La transazione, cit., 1986, passim.

[79] L’espressione causa in senso debole è mutuata da C. Angelici, op. cit., 142, ma si veda anche, per comprendere il ragionamento dell’Autore, le lucide osservazioni a 149 e in nota 38.

[80] È nota la posizione di quella dottrina per la quale il contributo utile dello speculatore sarebbe ravvisabile nell’introdurre nel sistema ricchezza informativa: il prezzo di mercato dei rischi è la risultante di una serie di contributi di “ricchezza informativa”.

[81] E. Barcellona, Contratti derivati puramente speculativi: fra tramonto della causa e tramonto del mercato, cit., 103, chiarisce che l’irrazionalità degli spostamenti di ricchezza conseguenti a gioco e scommessa non dipende tanto dalla circostanza che, in tale contesto, il rischio non sia calcolato razionalmente, quanto piuttosto nella circostanza decisiva dell’assenza di qualsivoglia correlazione razionale fra rischio dedotto e posta messa in palio. E ciò in quanto, spec. 117, la monetizzazione del rischio che ricorre nel gioco e nella scommessa è sempre, strutturalmente, arbitraria; altrimenti detto, essa non esprime affatto un prezzo di mercato.

[82] M. Barcellona, Della causa., cit., 445.

[83] M. Barcellona, Della causa, cit., 446.

[84] D. Maffeis, voce Contratti derivati, in Dig. Disc. Priv. – Sez. civ., Aggiornamento*****, Torino, 2010, 353 ss; Id., Alea giuridica e calcolo del rischio nella scommessa legalmente autorizzata di swap, in Riv. dir. civ., 2016, I, 1096 ss; Id., Dum loquimur fugerit invidia aetas: lo swap in Cassazione, prima di Mifid II e in attesa delle probabilità, in Banca borsa tit. cred., 2018, II, 9 ss; R. Di Raimo, Categorie della crisi economica e crisi delle categorie civilistiche: il consenso e il contratto nei mercati finanziari derivati, in Giust. civ., 2014, 1095 ss.; Id., Ufficio di diritto privato e carattere delle parti professionali quali criteri ordinanti delle negoziazioni bancarie e finanziarie (e assicurativa), in Giust. civ., 2020, 321.

[85] Cass., sez. un., 12 maggio 2020, n. 8770, in Pluris. Tra i molteplici contributi dedicati al commento, si segnala in particolare quello di M. Maggiolo, Nullità irrazionale e conversione del negozio nullo, in Nuovo dir. civ., 2021, 1, 193, nel quale l’Autore, in un sintetico excursus, ripercorre e rappresenta efficacemente le diverse stagioni che hanno vissuto le regole sulla intermediazione finanziaria. Una prima stagione, nella quale i riflettori erano puntati sui comportamenti dell’intermediario e le relative regole. È stata la stagione della alternativa tra la tutela risarcitoria e quella demolitoria. Una stagione che si è chiusa quando la giurisprudenza condivise il principio per il quale la violazione da parte dell’intermediario delle regole sulla prestazione di servizi di investimento comporta una tutela squisitamente risarcitoria. Vi è stata poi una seconda stagione nella quale l’attenzione si è spostata dall’attività dell’intermediario agli atti dell’intermediario, tra i quali specialmente i contratti derivati conclusi OTC tra lo stesso intermediario e il cliente. E infine l’epilogo: anche questa stagione si chiude proprio con la decisione nella quale le Sezioni Unite mutuano la formula della “scommessa razionale” che sintetizza le condizioni alle quali si subordina la meritevolezza degli interessi perseguiti con il derivato, e quindi la sua validità.

[86] Per una più approfondita riflessione sia consentito rinviare al mio: I giochi non proibiti, cit., passim.

[87] M. Barcellona, La Cassazione e i derivati: tra pessime argomentazioni e condivisibili conclusioni, in Nuova giur. civ. comm., 2022, 2, 454, si sofferma sul significato da attribuire al lemma razionalità e lo fa anche nella prospettiva di chiarire in quale accezione sia stata impiegata nelle pronunce della Cassazione (ed in particolare della Cass., sez. un., 12 maggio 2020, n. 8770, cosiddetta sentenza “Cattolica”, e Cass., 29 luglio 2021, n. 21830), nonché la pronuncia della Corte inglese (Deutsche Bank v. Comune di Busto Arsizio) resa il 12 gennaio 2021.

[88] Sebbene nel testo si impeghi il termine mercato al singolare, occorre in realtà riflettere in modo più approfondito sul problema, chiedendosi se ci sia un solo mercato dei giochi e delle scommesse, come sostiene l’Antitrust o, piuttosto, lo stesso non debba invece essere declinato al plurale immaginando che ci siano tanti mercati diversi, uno per ogni gioco, come sostiene Saltari, op. cit., 2, o come mi pare più ragionevole, possa e debba immaginarsi almeno un doppio mercato: quello dei giochi in presenza e quello dei giochi a distanza. Sul punto sia consentito rinviare al mio: I giochi non proibiti, cit., passim.

Il problema non è privo di risvolti pratici significativi. Ritenere, come sostiene l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che il settore dei giochi darebbe luogo ad un solo mercato rilevante determina, conseguentemente, che difficilmente sarebbero ravvisabili soggetti che assumono una posizione dominante. Su questi aspetti si veda D. Agus, La concorrenza e la selezione degli operatori, in Le regole dei giochi. La disciplina pubblicistica dei giochi e delle scommesse in Italia, cit., 197 ss. Ma quello segnalato non è l’unico risvolto pratico sul quale occorre ragionare. Riprendo le lucide osservazioni di A. Zoppini, Diritto privato generale, diritto speciale, diritto regolatorio, cit., 41 ― in cui l’Autore ragiona sulla correttezza metodologica di indagare il diritto dei mercati regolamentati come se si trattasse di discipline suscettibili di unificazione, e tra i vari argomenti uno ci pare particolarmente pertinente al nostro caso ― l’Autore ravvisa, opportunamente, la problematicità di operazioni di unificazione oggettiva allorché si assuma come prospettiva di indagine la tutela del consumatore che «presenta evidenti indizi che suggeriscono di considerare separatamente i singoli mercati e di mettere in esponente l’esigenza di una interpretazione orientata alle conseguenze». Anche nella prospettiva di interpretare le disposizioni, si afferma, valorizzando il fatto, inconfutabile, che il medesimo consumatore adotti comportamenti decisamente diversi in relazione ai vari mercati di riferimento, e quindi la stessa persona si comporta in maniera assai differente a seconda dei mercati di riferimento, le conseguenze interpretative delle medesime disposizioni possono essere molto diverse.

[89] Al riguardo il problema è stato colto da C. Angelici, Alla ricerca del derivato, cit., 140 e spc. nota 21.

[90] Come chiaramente si legge in una sentenza della Consulta, che si lascia apprezzare per l’ordine con la quale riassume le varie descrizioni dei contratti derivati riscontrabili nel sistema: «Le negoziazioni aventi ad oggetto gli strumenti finanziari derivati si caratterizzano, sul piano strutturale, per essere connesse ad altre attività finanziarie (quali, ad esempio, titoli, merci, tassi, indici, altri derivati) dal cui “prezzo” dipende il valore dell’operazione compiuta. Ferme ovviamente restando le diversità legate al tipo di operazione prescelto, tali negoziazioni sono volte a creare un differenziale tra il valore dell’entità negoziata al momento della stipulazione del relativo contratto e quello che sarà acquisito ad una determinata scadenza previamente individuata». In questi termini: Corte cost., 18 febbraio 2010, n. 52, in Banca borsa tit. cred., 2011, 11, i cui passaggi più significativi sono stati esaminati e ripresi da G. Vettori, Il contratto senza numeri e aggettivi. Oltre il consumatore e l’impresa debole, in Liber amicorum per Angelo Luminoso, I, Milano, 2013, 319 ss.; e più di recente da P. Corrias, La gestione convenzionale dell’incertezza, cit., 371.

[91] Cass. civ., ord. 8 luglio 2015, n. 14288, in Nuova giur. civ. comm., 2015, 12, 1106, con nota di M. Paradiso, Le scommesse e le lotterie autorizzate come contratti del consumatore e le relative ricadute sulla disciplina del rapporto; e in Corr. Giur., 2016, 8-9, 1067, con nota di V. Amendolagine, Codice del consumo e gioco d’azzardo legale: la Cassazione fissa i paletti per estendere la disciplina del consumatore allo scommettitore.

[92] Limitandomi a segnalare le sole opere monografiche più recenti, si vedano, M. Paradiso, I contratti di gioco e scommessa, cit., passim; A. Musio, Gioco autorizzato e rimedi civilistici, Napoli, 2020, passim; C. Iurilli, I contratti di gioco e scommessa all’epoca del disturbo da gioco, Milano, 2020; G. Agrifoglio, Il gioco e la scommessa tra ordinamento sportivo e poteri pubblici, Napoli, 2016; R. Tuccillo, Ri. Mencarelli, Azzardopatia. Profili civili e penali del gioco d’azzardo patologico, Roma, 2019, passim.

[93] Riprendo la felice e accattivante formula impiegata da Ri. Tuccillo, R. Mencarelli, Azzardopatia. Profili civili e penali del gioco d’azzardo patologico, Roma, 2019, e mutuata dall’art. 9 comma 1-bis d. l. 12 luglio 2018, n. 87, convertito in legge 9 agosto 2018, n. 96, dove il disturbo è anche definito “gioco d’azzardo patologico” (GAP) o “azzardopatia”, termine che ci sembra più corretto rispetto a ludopatia.

[94] G. Gabrielli, Operazioni su derivati: contratti o scommesse?, in Contratto e impresa, 2009, 6, 1133 ss.

[95] Per una accurata ricostruzione dei termini del dibattito, e per una altrettanto lucida critica, si veda per tutti R. Di Raimo, Dopo le Sezioni Unite: ancora sulla qualificazione e sulla disciplina degli Interest Rate Swap, in Nuovo dir. civ., 2021, 1, 221 ss.; S. Pagliantini, IRS e nullità: divagazioni su di un diritto “terribile” da trasformare in “mite”, in La nuova giur. civ. comm., 2022, 2, 848 ss.

[96] Com’è noto la disposizione in esame ricalca quanto già previsto dall’art. 18, comma 4, d.lgs. n. 415/1996 che, a sua volta, si rifaceva all’art. 23, comma 4, legge n. 1/1991. Si veda in argomento: R. Lener, P. Lucantoni, Commento sub art. 23. Criteri generali, in M. Fratini-G.Gasparri (a cura di), Commentario al Testo Unico della Finanza, Torino, 2012, 415 ss.

Si veda poi per un’attenta ricostruzione delle disposizioni che, nel seguirsi degli anni, hanno preceduto il testo in esame F. Caputo-Nassetti, Da Bologna a Roma passando da Bisanzio: i derivati in una recente pronuncia delle Sezioni Unite, in Riv. dir. comm., 2020, 3, 47 ss.

[97] G. De Nova, I contratti derivati come contratti alieni, in Riv. dir. priv., 2009, p., il quale, dopo aver qualificato i contratti derivati over the counter gli alieni del terzo millennio – giustifica l’intervento legislativo richiamato, proprio affermando che in tanto si sono potuti diffondere anche nel nostro Paese gli anzidetti contratti, in quanto il legislatore nell’intento di neutralizzare la soluzione che emergeva a seguito di un orientamento lucido della giurisprudenza milanese è tornato nuovamente in argomento; il cui pensiero è poi ripreso da D. Maffeis, Homo oeconomicus, cit., 840. Secondo M. Maggiolo, Servizi ed attività di investimento. Prestatori e prestazione, Milano, 2012, p., 479, il legislatore è tornato nuovamente per risolvere «un problema sollevato in passato per contratti di investimento aventi ad oggetto strumenti derivati, ma obiettivamente legato, più che a effettive ragioni sistematiche, a qualche episodio processuale che ha indotto la giurisprudenza ad intervenire sul punto»; M. Franzoni, L’assicurazione fra i contratti aleatori, in Contr. e impr., 2011, 2, 423, osserva come «L’interesse per l’aleatorietà del contratto non sarebbe mai emerso con tanta importanza se, specie nel corso degli anni 1990, nel mondo non fosse esploso il fenomeno dei contratti cd. derivati e se a qualche interprete non fosse balenata l’idea di sostenere che questi contratti sono scommesse, soggette all’eccezione di gioco (art. 1933 cod. civ. italiano)».

In prospettiva anche storica si vedano poi le pagine di C. Angelici, Alla ricerca del derivato, cit., 133 ss.

[98] Ci si riferisce a Cass., 14 novembre 1997, n. 11279, in Foro it., 1998, c. 3292 ss.; Trib. Milano, 27 marzo 2000, in I Contratti, 2000, 777 ss.; Trib. Milano, 21 febbraio 1995, e Trib. Milano, 11 maggio 1995, in Giur. comm., 1996, II, 79 ss.

[99] Così M. Maggiolo, Servizi ed attività di investimento. Prestatori e prestazione, cit., 479, il quale osserva (in nota 49) che sembrerebbe condivisibile la tesi secondo la quale la disposizione dovrebbe essere interpretata letteralmente, senza distinguere secondo che nella prestazione di servizi di investimento intervenga un soggetto autorizzato o no.

[100] Vedi in argomento M. Maggiolo, op. ult. cit., 478, dove si osserva che resterebbe aperta la sola questione marginale, perché ha scarso rilievo pratico, relativa all’opponibilità dell’eccezione di gioco nel caso di contratti su derivati conclusi al di fuori della prestazione di un servizio di investimento: da escludersi nel caso in cui il contratto abbia funzione di copertura o arbitraggio, anche per una sola parte, e forse da escludere anche nell’ipotesi di fini meramente speculativi.

Perplesso su questa conclusione è invece G. Gabrielli, op. cit., 1136, per il quale l’illimitata rilevanza giuridica riconosciuta a tali contratti sulla base della qualità soggettiva di uno dei contraenti sembra meritevole di ripensamento. Tale rilevanza dovrebbe essere limitata anche in relazione al dato oggettivo della giustificazione causale, e ciò non attraverso lo strumento illiberale del divieto, ma in forza di quello del diniego di azione in giudizio. Per Gabrielli: potrà contarsi sulla piena tutela dell’ordinamento soltanto se il contratto sia stato concluso per l’obiettiva esigenza di coprire un rischio. Non sembrando eccessivamente gravoso l’onere, da imporsi all’intermediario, di accettare previamente tale esigenza, facilmente desumibile da dati oggettivi.

Per una efficace rassegna delle diverse posizioni assunte dalla dottrina vedi da ultimo: G. Trovatore, op. cit., 635 ss. In ogni caso, questo contratto sostituendo l’investimento diretto in valute, titoli o materie prime, svolgerebbe una funzione utile di informazione sull’andamento futuro delle quotazioni, così aumentando l’efficienza dei mercati.

[101] G. Gabrielli, op. cit., 1133; M. Franzoni, Il contratto nel mercato globale, in Contr. e impr., 2013, 81, osserva come la previsione dell’art. 23, comma 5, TUF concerne soltanto i derivati che non coprono da un rischio ma consentono di lucrare sul valore futuro di una variabile prescelta, poiché solo questi si presentano affini alla scommessa e soltanto rispetto ad essi si pone la questione della iuxta causa attributionis. Franzoni, in particolare, evidenzia come i contratti finanziari differenziali, quando non assolvano alla funzione di copertura del rischio «effettivamente appaiono delle vere e proprie scommesse». G. Trovatore, op. cit., 642, sottolinea come la previsione contenuta nell’art. 23, comma 5, TUF, limiterebbe il controllo giudiziale sulla meritevolezza della causa dei contratti derivati. «Alla tutela degli interessi individuali inerenti ai singoli atti attraverso i quali questa attività è concretamente esercitata, l’ordinamento antepone l’interesse a che questa attività venga esercitata senza le incertezze legate alla sindacabilità giudiziale degli atti medesimi, con evidente privilegio non per la generalità degli investitori ma per quanti operano professionalmente in ambito finanziario».

[102] G. De Nova, I contratti derivati come contratti alieni, cit., 1, dopo aver qualificato i contratti derivati over the counter come contratti alieni, i c.dd. alieni del terzo millennio, osserva come gli stessi si sono potuti diffondere in Italia proprio perché il nostro legislatore, nell’intento di neutralizzare la soluzione che si affermava anche in dottrina dopo le pronunce di una lucida e coraggiosa giurisprudenza, che ne aveva colto la squisita natura di scommesse, ha osservato come ai derivati non si applica la disciplina della soluti retentio di cui all’art. 1933 cod. civ. propria della scommessa tollerata. In dottrina sulla possibile qualificazione dei derivati come scommesse si vedano: M. Franzoni, Il contratto nel mercato globale, cit., 81; P. Perlingieri, Diritto dei contratti e dei mercati, in Liber amicorum per Angelo Luminoso, I, Milano, 2013, 296; P. Spada, Codice civile e diritto commerciale, in Riv. dir. civ., 2013, 340 e più di recente C. Angelici, Alla ricerca del «derivato», Milano, 2016.

[103] Le più risalenti decisioni in materia rispecchiavano l’orientamento tradizionale incline ad accostare i derivati alla fattispecie delle scommesse. In questo senso App. Milano, 26 maggio 1994, in Banca, borsa, tit. cred., 1995, I, 80.

[104] Come ricorda G. Gabrielli, rispondendo a quanti agitano «preoccupazioni di isolamento intellettuale» che l’orientamento richiamato non si è manifestato soltanto nell’esperienza giuridica italiana. Basti pensare al BGB e alla norma del § 764, che ha equiparato le operazioni differenziali al giuoco o scommessa; e la stessa House of Lords britannica, con decisione del 1991, ha statuito l’inammissibilità di queste operazioni, proprio perché speculative allorché siano concluse da enti pubblici locali. E sebbene la disposizione del BGB sia stata abrogata è anche vero che nel più autorevole commentario del BGB si osserva come la deroga introdotta non può suscitare perplessità, proprio sotto il profilo della disparità di trattamento, anche sul piano della legittimità costituzionale.

E su questo punto, nel nostro dibattito interno, richiama la legittimità costituzionale anche S. D’Andrea, Gli swap degli enti pubblici: un diritto inventato per disapplicare un diritto insensato, in Nuovo dir. civ., 2021, 1, 241 ss.

[105] Tra i primi a segnalare detta qualità: G. Graziani, Sulla natura del concorso S.I.S.A.L., in Il nuovo diritto, 1947, 389, commentando una sentenza del Trib. di Napoli, 27 luglio 1947, in Monitore dei Tribunali, 1947, 324; e in Giur. it., 1947, I, c. 263, condivide la tesi suggerita dal giudice napoletano e ravvisa nel contratto che i giocatori concludono con la S.I.S.A.L una prestazione di servizi ex art. 2082 cod. civ.; e più di recente N. Coggiola, Il doppio azzardo del giocatore: i contratti di gioco e scommessa in dottrina e in giurisprudenza, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 2, 264, ove si legge: «Insomma, i contratti di gioco e scommessa, oggi, appaiono sempre di più contratti di acquisto di beni e servizi come tutti gli altri». Il Gratta e vinci, il Bingo on line, solo per fare alcuni esempi, sono contratti di gioco e scommessa stipulati nella maggior parte dei casi con «enti gestori i quali, in forza di autorizzazioni o concessioni rilasciate da organi dello Stato, agiscono in pieno diritto come legittimi erogatori di servizi, precisamente servizi di gioco e scommessa».

[106] Sul tema complesso e assai dibattuto della calcolabilità sia consentito rinviare per una ricostruzione del dibattito e per le indicazioni bibliografiche al mio: Il consumatore calcolante. Contributo allo studio del contratto telematico, Napoli, 2020, 14, nota 20 e 21.

[107] D. Maffeis, Scommessa razionale di swap e lo scopo di copertura, in Persona e mercato, 2022, 2, 194, osserva come «dal 2020 il diritto della finanza conferma l’utilità del ricorso a nozioni ed istituti del diritto civile e, in questo senso, il criterio di giudizio intorno alla validità o nullità dei contratti è incentrato» proprio «sulla consapevolezza», che non sarebbe «informazione, ma oggetto del consenso». Un criterio di giudizio, scrive Maffeis, che sarebbe «coerente con l’idea che in diritto civile la forma più genuina dell’alea giuridica è proprio l’alea misurabile» (cfr. R. Sacco, in R. Sacco – G. De Nova, Il contratto, Torino, 2004, II, 480 «l’alea» non «cessa di essere tale quando è commensurabile») e che andrebbe in virtuoso parallelo con l’abrogazione da parte della Consob, a decorrere dal 2 febbraio 2022, della Comunicazione n. 9019104 del 2 marzo 2009, che aveva ad oggetto il «dovere dell’intermediario di comportarsi con correttezza e trasparenza in sede di distribuzione di prodotti finanziari illiquidi» e della Comunicazione n. 0097996 del 22 dicembre 2014, che aveva ad oggetto la «Comunicazione sulla distribuzione di prodotti finanziari complessi ai clienti retail», motivata, aggiunge Maffeis, dalla constatazione da parte della stessa Consob, per la quale, con la recente evoluzione della disciplina europea in materia di prestazione di servizi di investimento e il conseguente rafforzamento dei presidi di investor protection, gli orientamenti forniti dalla CONSOB nell’ambito delle citate Comunicazioni risultino direttamente o indirettamente assorbiti dalle più ampie e articolate regole dettate dal vigente quadro normativo».

[108] Sul tema si vedano almeno le attente riflessioni di G. Alpa, Dal diritto pubblico al diritto privato. Parte prima. La “grande dicotomia” e la revisione della concezione tradizionale, in Piccole conferenze, Modena, 2017, spec. 53 ss; nonché Id., Dal diritto pubblico al diritto privato. Parte seconda. Il superamento della dicotomia nel diritto post-moderno, Modena, 2017, spec. 39; N. Irti, Il diritto pubblico e privato in un’epoca che fa eccezione, in Il Sole24Ore; A. Zimatore, Introduzione, in A. Catricalà, M.P. Pignalosa, Manuale del diritto dei consumatori, Roma, 2013, XV; A. Zoppini, Diritto privato generale, diritto speciale, diritto regolatorio, in Ars Interpretandi, 2021, 2, 38, ove chiarisce che il tema in ordine al rapporto tra le regole del Codice civile e quelle contenute nei codici di settore sia un tema ancora aperto. Opportunamente si legge come le «categorie concettuali, in primo luogo quelle costruite sul rapporto fra genere e specie, giocano un ruolo tutt’altro che neutrale nel presentare il problema e guidare l’interprete ad un approdo, atteso che esse sottendono sovente talune opzioni interpretative inespresse». Invero, la stessa comparazione diacronica e sincronica dimostrerebbe come i «criteri per sciogliere il casus dubius, omissus o non decisus hanno trovato, nel tempo e nello spazio, risposte diverse nell’interazione dei formanti dell’ordinamento, conteso tra uno ius proprium e singulare e contrapposto ad uno ius commune, vedendo prevalere talora la norma scritta, in altri momenti quella di diritto comune o del diritto naturale, ancora la lex alius loci o la regola sapienzale». La risposta all’interrogativo sulla qualità generale o speciale di una norma di diritto privato «sottende sovente un modello di comprensione del reale giuridico costruito su elementi conoscitivi e valutativi tutt’altro che fermi (…) quali la statualità del diritto privato, la competenza dell’esclusiva dell’ordinamento nazionale nel dettare la gerarchia delle fonti del diritto, l’adozione della medesima gerarchia per le norme rinvenienti dall’ordinamento comunitario, l’autonomia soggettiva del diritto privato, la netta separazione conoscitiva tra il diritto pubblico e il diritto privato». Molte utili suggestioni si trovano anche in Id., Il diritto privato e i suoi confini, Bologna, 2020, passim; nonché in M. Palazzo, op. cit., p 35; e per la letteratura straniera: C. Reymann, Das Sonderprivatrecht der Handels-und Verbraucherverträge. Einheit, Freiheit und Gleichheit im Privatrecht, Mohr Siebeck, 2009.

[109] Ci si riferisce, naturalmente, agli artt. 47 e 135 novies del c. cons., ai sensi dei quali: le disposizioni dei rispettivi Capi non si applicano alle attività di azzardo che implicano una posta di valore pecuniario in giochi di fortuna comprese le lotterie e i giochi d’azzardo nei casinò.

[110] Così A. Zoppini, Diritto privato generale, cit., 39 e 43, dove aggiunge che sebbene non si evinca da nessuna regola, tuttavia il Codice civile presuppone un mercato perfetto e considera quale unica possibile variazione da esso il monopolio legale. G. Alpa, Dal diritto pubblico al diritto privato, cit., 56 ss.

[111] Si riprendono i suggestivi spunti di A. Zoppini, op. ult. cit., 43; G. D’Amico, Giustizia contrattuale e contratti asimmetrici, in Europa e dir. priv., 2019, 1 ss.; J. Ghestin, L’utile e le juste dans les contrats., in Achives de philosophie du droit, 1981, 35 ss.

[112] Così A. Zoppini, op. loc. ult. cit.

[113] Così D. Maffeis, Homo oeconomicus, cit., 841-842, il quale rileva come sarebbe sintomatico che la riflessione sulla scommessa autorizzata, pensata come contratto, non sia ancora avviata in modo soddisfacente, la circostanza per la quale alcuna giurisprudenza esclude il giudizio di vessatorietà, ai sensi dell’art. 1341, comma 2, cod. civ., in relazione al requisito formale della specifica sottoscrizione delle condizioni generali di contratto, per lo più approvate con regolamento. E non può che condividersi il pensiero di Maffeis, quando scrive (nota 36) che le motivazioni addotte a fondamento di quella scelta da parte della giurisprudenza appaiono totalmente inconsistenti («le clausole fissate nell’apposito regolamento, ancorché di tipo vessatorio, quale quella che stabilisce un termine di decadenza per proporre eventuali reclami, sono vincolanti nei c.c., atteso che questa trova equipollente (sic) nella grande pubblicità e diffusione del regolamento stesso, predisposto proprio al fine di richiamare l’attenzione dei partecipanti al gioco su tutte le condizioni ad esso inerenti»). Cfr. in questi termini Cass., 12 luglio 1991, n. 7763, in Foro it., Rep. 1991, voce Giuoco e scommessa, n. 3.

Opportunamente, invece, è stato applicato il giudizio di abusività, alla stregua del codice del consumo, perché l’abusività è esclusa in radice se la clausola riproduce la legge, fonte primaria e non il mero regolamento, fonte secondaria ex art. 34, comma 3, cod. cons. Si veda al riguardo Cass., 1giugno 2001, n. 7436, Riv. dir. priv., 2002, 426. Vedi anche il commento di S. Patti, op. loc. cit.; e di G. Sicchiero, Il requisito della conoscibilità delle condizioni generali di contratto (art. 1341 c.c.), in Giur. it., 2020, 161.

[114] M. Barcellona, La Cassazione e i derivati, cit., 460, osserva come l’art. 1935 cod. civ., prescrivendo l’autorizzazione, esige che l’accesso alla tutela giuridica piena di una lotteria debba sottostare ad un controllo (amministrativo) che ne vagli singolarmente il merito e non si vede come e perché l’art. 23, che introduce la medesima regola (l’esonero dall’eccezione di gioco), possa saltare questo passaggio cruciale, che dà corpo e senso al superamento dell’argine dell’azzardo. Questa, si osserva, a ben vedere è una «difficoltà apparente in quanto il T.U.F. prevede già al suo interno un equivalente funzionale dell’autorizzazione amministrativa: l’accesso ai mercati regolamentati di qualsiasi prodotto finanziario, e, quindi, anche di un derivato speculativo, è subordinato (v. artt. da 91 a 99 T.U.F.) a molteplici e intensi controlli, intesi a proteggere non solo l’interesse particolare dei risparmiatori ma anche l’interesse generale del buon funzionamento dei mercati. La ratio dell’autorizzazione dell’art. 1935 deve, dunque, ritenersi integralmente soddisfatta dal previo controllo della CONSOB».

[115] Opportunamente M. Barcellona, La Cassazione e i derivati, cit., 454, critica le argomentazioni della giurisprudenza pur condividendone le conclusioni.

[116] Si riprendono le attente e meditate riflessioni di G. Trovatore, op. cit., 633.

[117] M. Barcellona, op. loc. ult. cit.

[118] In questa accezione osserva M. Barcellona, op. cit., 454, l’accertamento della razionalità è una faccenda esclusivamente dei contraenti, nell’intento di verificare la convenienza, il vantaggio delle scelte da loro operate e incontra i confini della libertà contrattuale e della conseguente autoresponsabilità. E in questa prospettiva può rilevare solo nei limiti delle discipline intese a garantire la corretta formazione della loro volontà (capacità di agire, vizi della volontà) o per fondare la eventuale responsabilità di chi sia chiamato a formularla in luogo di altri (mandato – rapporti di amministrazione).

[119] Si veda in questi termini D. Maffeis, Homo oeconomicus, cit., 849.

Merita di essere poi riportato anche un altro condivisibile argomento secondo il quale: nei “contratti regolanti i comportamenti delle imprese sul mercato”, a differenza dei contratti tra singoli, il controllo della causa rimane un tassello essenziale della disciplina positiva, in quanto consente di muovere dalla natura degli interessi in gioco per ricavarne i profili di disciplina. In questo senso già M. Libertini, Autonomia individuale e autonomia d’impresa, in I contratti per l’impresa, a cura di G. Gitti, M. Maugeri, M. Notari, Bologna, 2012, I, 63; nonché P. Schlesinger, Recensione a M. Girolami. L’artificio della causa contractus, in Riv. dir. civ., 2013, 894; Denozza, Clausole generali, interessi protetti e frammentazione del sistema, in Studi in ricordo di Pier Giusto Jaeger, Milano, 2011, 40.

[120] Secondo la giurisprudenza solo la legge può autorizzare l’apertura di case da gioco finalizzate alla pratica dei giochi d’azzardo (si veda al riguardo: Cass, 14 ottobre 1958, n. 3255, in Giust. civ., 1959, I, 71; Trib. Bologna, 3 marzo 1949; Tar Toscana, 11 aprile 1988, n. 417, in Trib. amm. Reg., 1988, I, 1708) e ciò in quanto questi ultimi sono vietati dagli artt. 718-722 c.p., e una «deroga a tali norme incriminatrici può avere giuridica efficacia soltanto se contenuta in una legge statale, che, assumendo natura di norma eccezionale, non può che essere espressa» (in questi termini: Trib. Torino, 26 maggio 1967, in Giust. civ., 1967, I, 2082). Conseguentemente, si esclude che l’autorizzazione possa essere concessa con provvedimento amministrativo (tra le prime più significative sul punto: Cass., 22 luglio 1878, n. 3664, in Giust. civ., 1978, I, 1741) e che la mera licenza ex art. 19, n. 8 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, o la tolleranza della pubblica autorità possano consentire la pratica dei giochi d’azzardo. La giurisprudenza richiamata si era dovuta occupare della validità dei provvedimenti che avevano autorizzato, rispettivamente, l’apertura delle case di gioco di Saint Vincent e di Taormina. Sulla prima si legga Cass., 14 ottobre 1958, n. 3255, cit. Per una attenta lettura anche critica della giurisprudenza richiamata si rimanda a E. Briganti, op. cit., 262.

[121] Si vedano le pagine di A. Ferrari Zumbini, La regolamentazione amministrativa del contratto. Atti amministrativi conformativi dell’autonomia negoziale, Torino, 2016, 108 ss., nelle quali si occupa in modo critico della regolazione dei rapporti tra privati nel settore dei giochi pubblici; su un piano più generale volto ad evidenziare come l’apparato pubblico non si limiti più a fungere da mero arbitro imparziale di accordi liberamente negoziati tra privati, ma ha assunto un ruolo di regolatore generale della vita economica-sociale dei cittadini, fino a farsi imprenditore, e tra i più importanti, anche per supplire alle deficienze dell’iniziativa privata e senza esitare a porsi persino in concorrenza con questa, si veda P. Schlesinger, Il nuovo diritto dell’economia, in AA.VV., L’autonomia privata e le autorità indipendenti, a cura di G. Gitti, Bologna, 2006, 53.

[122] Così Cass., 7 ottobre 2011, n. 20622, in Giust. civ., 2011, I, 2566.

[123] Il riferimento è naturalmente a N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 1998, passim. E si legga anche il recente Id., Economia e mercato, risultato di conflitti o costruzioni oggettive, in Il Sole24Ore del 3 settembre 2021, consultabile in ilsole24ore.com.

[124] Come osserva C. Angelici, op. cit., 150, nota 40, è fin troppo noto che esclusivamente con riferimento ai derivati over the counter si sono posti i problemi giurisprudenziali; e sarebbe altrettanto evidente che proprio rispetto ad essi si è svolto e si svolge il dibattito in dottrina; tanto che vi è chi espressamente afferma di circoscrivere a una loro considerazione la propria indagine; e qui il riferimento è naturalmente a D. Maffeis, Contratti derivati, in Banca e borsa, 2011, I, 604.

[125] Si veda ancora per tutti e in questi termini: D. Maffeis, Homo cit., 840.

[126] D. Maffeis, La scommessa razionale di swap, cit., 196.

[127] Così li qualifica M. Maggiolo, Nullità irrazionale e conversione del derivato nullo, in Nuovo diritto civile, 2021, 1, 194.

[128] D. Maffeis, La scommessa razionale di swap, cit., 198, osserva come la nullità, e non già l’annullabilità o l’inefficacia, dell’atto gestorio infedele, per immeritevolezza degli interessi darebbe nuova linfa all’art. 1322 cod. civ. Segnatamente, si legge: «se il contratto è la sintesi degli interessi, esso è valido se gli interessi sono entrambi meritevoli di tutela (o leciti), ma se l’interesse di A (il cooperatore), in conflitto con quello di B (il titolare dell’interesse della cui cura si tratta), entra nel contratto, ed A cura il proprio interesse (l’interesse in conflitto) anziché quello di B, l’interesse di A non è meritevole, mentre quello di B non è né meritevole né non meritevole, semplicemente è sacrificato. Ed il contratto nel suo complesso è immeritevole». (…) L’Autore ricorda come «il conflitto di interessi come vizio della causa caratterizzava le più risalenti teorie sull’abuso» e, riprendendo le parole di Mossa (Abuso della procura, in Riv. dir. comm., 1935, II, 250) afferma che “La nozione di abuso della procura, in confronto a quella di eccesso, suppone l’identità esteriore della rappresentanza, la quale devia, nettamente, al suo fine, a cagione dello scopo concreto dell’atto; e che il conflitto di interessi integra probabilmente (…) una deficienza funzionale dell’attività del rappresentante (Mirabelli, Dei contratti in generale, II, edizione completamente riveduta e aggiornata, Torino,1980, 381 ss.), e si potrebbe intravvedere, ad avviso di Maffeis, una continuità tra questa ricostruzione classica dell’abuso della procura (che sarebbe poi l’abuso di mandato) e la causa di nullità affermata da Cass., n. 19013/2017.

[129] Mi riferisco alle dichiarazioni rilasciate da Paola Severino in occasione della Presentazione del “Rapporto Lottomatica-Censis sul Gioco Legale” in Italia.

[130] In questi termini A. Zoppini, Diritto privato vs diritto amministrativo, cit., 5, al quale si rinvia anche per la ricca bibliografia in argomento; ma si veda anche Id., Diritto privato generale, diritto speciale, diritto regolatorio, cit., 37 ss.; nonché le riflessioni raccolte nell’opera monografica: Il diritto privato e i suoi confini, cit., passim.

[131] Così A. Zoppini, op. loc. ult. cit.

[132] Mi riferisco al lavoro monografico di A. Ferrari Zumbini, La regolazione amministrativa del contratto. Atti amministrativi conformativi dell’autonomia negoziale, passim.

[133] A. Ferrari Zumbini, op. cit., 112, la quale chiarisce il significato del lemma sistema tripolare asimmetrico, specificando che il carattere della tripolarità consiste nel fatto che i soggetti che lo compongono sono di tre tipologie diversi: un’autorità amministrativa, un gruppo più o meno ristretto di concessionari, e una “massa” di giocatori che potenzialmente include tutta la popolazione nazionale.

[134] Le funzioni in materia di giochi e scommesse, come si è anticipato, sono attualmente attribuite all’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS), oggi incorporata nell’Amministrazione delle Dogane e dei Monopoli (ADM). Nel 2002, per porre fine alla frammentazione esistente in materia di assegnazione delle concessioni, in cui operavano diversi soggetti, il legislatore ha concentrato tutte le competenze in un unico soggetto. L’art. 4 del d.l. 8 luglio 2002, n. 138, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, ha riorganizzato la materia, prescrivendo che: «al fine di assicurare la gestione unitaria prevista dall’art. 12 della legge 18 ottobre 2001, n. 383, nonché di eliminare sovrapposizioni di competenze, di razionalizzare i sistemi informatici esistenti e di ottimizzare il gettito erariale, l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato svolge tutte le funzioni in materia di organizzazione ed esercizio dei giochi, scommesse e concorsi pronostici». Successivamente, il legislatore ha attribuito ad AAMS anche la competenza inerente a tutte le funzioni in materia di giochi e scommesse a distanza con specifico riguardo alla raccolta a distanza.

[135] Com’è noto, nel nostro ordinamento vige una regola che attribuisce allo Stato una riserva in materia di giochi e scommesse, stabilita con il d.lgs. 14 aprile 1948, n. 496. Ai privati, pertanto, è sottratta ogni legittimazione ad esercitare attività imprenditoriali in questo mercato. L’esercizio di queste attività, stante la riserva originaria, è consentito esclusivamente allo Stato, che può decidere di conferirlo a soggetti privati attraverso specifiche concessioni. Per organizzare ed esercitare i giochi pubblici, nonché per raccogliere le scommesse, è dunque necessario ottenere un’apposita concessione e un’autorizzazione di pubblica sicurezza. Al riguardo il r.d. 18 giugno 1931, n. 773, recante il Testo Unico delle Leggi di Pubblica sicurezza (TULPS) prevede che per esercitare un’attività nel settore dei giochi e delle scommesse è necessario essere in possesso di una concessione amministrativa di AAMS e di una licenza di polizia rilasciata dalla Questura territorialmente competente.

Sulla riserva originaria e sul regime concessorio si veda per tutti S. Cassese, I beni pubblici, Milano, 1969; e per un’analisi sull’evoluzione del regime giuridico dei beni pubblici, in una prospettiva comparativa: G. della Cananea, From (Public) Ownership to Use: a comparative Analysis, in The Public-Private Law Divide: Potential for Trasformation?, a cura di M. Ruffert, London, 2009, 297 ss.

[136] A. Ferrari Zumbini, op. loc. cit.

[137] A. Ferrari Zumbini, op. cit., 110, ed è proprio questo profilo che stimola lo studio dell’Autrice nell’intento di verificare se possa configurarsi la categoria di atti amministrativi conformativi dell’autonomia contrattuale ma provenienti da autorità amministrative non riconducibili a quelle indipendenti e in questo percorso di ricerca il settore dei giochi pubblici si rivela essere un terreno elettivo.

[138] Per una ricerca critica dei temi in esame si rinvia per maggiori approfondimenti al mio: I giochi non proibiti, cit., passim.

[139] Segnatamente è previsto che ciascun giocatore può attivare un unico contratto con ogni concessionario, e non può cedere ad altri il suo utilizzo; e l’eventuale utilizzo, a qualsiasi titolo da parte di terzi, del conto di gioco comporta l’assunzione da parte del giocatore della piena responsabilità anche in ordine all’addebito di quanto dovuto sul gioco di gioco.

[140] Il concessionario deve consentire al giocatore la riscossione delle vincite relative alle giocate ed è responsabile della corretta e tempestiva esecuzione dell’operazione di accredito dei versamenti sul conto di gioco.

[141] Ci si riferisce alle clausole che prevedono il rinnovo automatico, sospensione dell’esecuzione, facoltà di recesso, risoluzione del contratto, l’estinzione del conto di gioco, integrazioni e variazioni contrattuali.

[142] E ciò in quanto, il decreto direttoriale 21 marzo 2006 stabilisce che il concessionario debba preventivamente sottoporre ad AAMS il contratto di conto di gioco che intende adottare per regolare uniformemente i rapporti contrattuali con i giocatori. E solo dopo l’approvazione di AAMS potrà concludere contratti con i giocatori.

[143] Si veda in argomento A. Ferrari Zumbini, op. cit., 126.

[144] A. Ferrari Zumbini, op. cit., 127, osserva come l’adozione preventiva di uno schema-tipo contrattuale da parte di AAMS non è esplicitamente prevista in alcuna norma primaria, né secondaria. «Nel sistema delle fonti, dunque, si rinviene ana delega ad AAMS (ora ADM) che potremmo definire in bianco, in cui le singole attribuzioni riconducibili alla potestà conformativa non sono in alcun modo elencate, né genericamente individuate. È la stessa amministrazione, titolare del potere, che decide con che modalità e in che misura conformare la libertà negoziale dei privati».

[145] Così in prospettiva critica A. Ferrari Zumbini, op. cit., 129.

[146] G. Graziani, op. cit., 390.

[147] T. Ascarelli, Il contratto plurilaterale, 259; Id., Contratto plurilaterale e totalizzatore, in Riv. dir. civ. e comm., 1949, 170; Id., Notarelle critiche in tema di contratti plurilaterali, cit.; N. Irti, Appunti per una classificazione dei contratti agrari, in Riv. dir. agr., 1961, I, 685; A. Belvedere, Sulla categoria del contratto plurilaterale, in Riv. trim dir. proc. civ., 1971, 671 ss.; L. Buttaro, Contratto di gioco e contratto plurilaterale, in Riv. dir. comm., 1951, I, 570 ss.; Laserra, Natura giuridica del totalizzatore, cit., passim; G. Di Giandomenico, D. Riccio, Commento agli artt. 1861-1986, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, I singoli contratti, a cura di D. Valentino, Torino, 2016, 380 e ss.; più di recente: L. Modica, op. cit.; L. Balestra, Il giuoco e la scommessa nella categoria dei contratti aleatori, cit., spec. 675 ss.; M. Tuozzo, Inadempimento e riparto dell’onere della prova nel caso del Lotto truccato, in Obbl. e contr., 2007, 804 ss.; e tra le voci enciclopediche Maiorca, voce Contratto plurilaterale, in Enc. dir., Milano; nonché la più recente di E. Minervini, Contratto plurilaterale, in Enc. dir., Annali, Milano, 2022, 450 ss.

[148] Sul collegamento negoziale si vedano in quanto utili ai fini dei temi sollevati: V. Barba, La connessione tra i negozi e il collegamento negoziale, Parte prima, in Riv. dir. civ., 792 ss.; e F. Maisto, Collegamento tra contratti, in Pubblicazioni dell’ADP, Associazione dei Dottorati di Diritto Privato, Sezione Atti e Materiali, 3, Il contratto, a cura di A. Federico, G. Perlingieri, Napoli, 2019, 277 ss.

[149] Si veda sul tema lo studio di V. Barba, Appunti per uno studio sui contratti plurilaterali di scambio, in Riv. dir. civ., 2010, 531 ss.

[150] Significative appaiono le considerazioni di V. Roppo, Il contratto, cit., 441, dove si afferma che lo scopo comune prende il massimo di evidenza quando si presenta con la materialità di una “struttura comune”, come accade nei contratti associativi. Ma uno scopo comune è per Roppo concepibile anche al di fuori di questa categoria: sicché possono darsi contratti plurilaterali con comunione di scopo che non sono associativi, così come per converso ci sono contratti associativi che non sono plurilaterali. P. Rescigno, op. loc. cit., ci insegna come i contratti associativi non esaurirebbero il ventaglio dei contratti con comunione di scopo, costituendo solo la figura più frequente; ma prima ancora Ferro Luzzi, I contratti associativi, Milano, 2001, ristampa, passim. Merita di essere segnalata la posizione di T. Ascarelli, op. loc. cit., il quale distingue l’associazione interna da quella esterna: nella prima, quella interna, la funzione comune si esaurirebbe nella predisposizione di un’organizzazione comune con mera efficacia inter partes; e utili spunti si trovano anche in R. Santagata de Castro, Il gruppo paritetico, Torino, 2001, 90.

Si può tuttavia, già in questa sede, anticipare, riprendendo le suggestioni di Ascarelli e di Santagata, che nel nostro caso non vi sarebbe neanche una mera associazione interna (Ascarelli) o l’applicazione dell’istituto Gleichordnungskonzern di origine tedesca (Santagata) in quanto non vi è un’amministrazione comune (un contratto di organizzazione) volta a gestire le attività di partecipazione al gioco e alla scommessa.

Piuttosto, i giocatori si avvalgono dell’organizzazione (esterna) e delle attività volte all’erogazione di servizi di gioco, e strumentali al gioco e alla scommessa (come la raccolta delle poste, la loro custodia, la determinazione del vincitore, la premiazione) e gestiti dal soggetto autorizzato che è obbligato verso ciascuno, una volta concluso il contratto di erogazione di servizi di gioco e scommessa e con il quale ciascun partecipante acquista il diritto di partecipare alla scommessa e al gioco e riceve una ricevuta che rappresenta un titolo di legittimazione per ritirare l’eventuale vincita.

[151] Anticipando alcune conclusioni cui sono arrivati gli interpreti che si sono occupati del tema con maggiore attenzione, si veda lo studio monografico di M. Paradiso, op. cit., 79, per il quale «lo scopo comune sarebbe proprio la formazione del montepremi da dividere tra i partecipanti, tra i quali intercorrono i contatti stipulati direttamente tra i giocatori o indirettamente tramite l’inter­mediario. Il gestore del gioco rimarrebbe fuori dal contratto di scommessa vero e proprio limitandosi a gestire le operazioni che rendono possibile la scommessa e determinando perciò la stipulazione di un ulteriore contratto, di mandato di locazione d’opera per la custodia delle poste».

Attività, queste ultime, sulle quali, a ben vedere ha inciso la nuova dimensione tecnologica dei giochi: da un lato sollevando l’organizzatore, e affidando all’intelligenza artificiale alcune di esse, dall’altro però rendendole più complesse stante l’ingresso di un nuovo contratto nel mercato on line: il cosiddetto conto di gioco. Su questi aspetti si rinvia al mio: I giochi non proibiti, cit., passim

[152] Sia consentito rinviare al mio: I giochi non proibiti, cit., e per una compiuta analisi anche critica dei temi in esame si veda tra i più recenti il contributo di L. Modica, op. cit., passim.

[153] Il riferimento è naturalmente a M. Paradiso, I contratti di gioco e scommessa, cit., 214-215; e ripreso più recentemente da L. Balestra, op. cit., 685

[154] Si veda nota 154.

[155] A. Ferrari Zumbini, op. cit., 119-120, osserva come la Commissione sia ben consapevole dei regimi di riserva e di conseguente monopolio vigenti negli Stati membri e in passato abbia provato ad avviare un percorso di armonizzazione delle discipline nazionali, con la finalità di liberalizzare il mercato. Si ricorda infatti come nel 1991 sia stato pubblicato uno studio Gambling in the single market. A study of Current Legal and Market Situation, (in Ufficio delle pubblicazioni delle Comunità europee, Lussemburgo, 1991), ma com’è noto questo progetto incontrò il disfavore degli Stati membri. E analoga sorte ha avuto anche la consultazione pubblica che ha portato alla pubblicazione del Libro verde sul gioco d’azzardo on line nel mercato interno (Bruxelles, 24 marzo 2011, COM).

[156] L’art. 2, par. 2, lett. h), direttiva 2006/123/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, esclude dal campo di applicazione attività di azzardo che implicano una posta in danaro in giochi di fortuna, comprese le lotterie, i giochi d’azzardo nei casinò e le scommesse; l’art. 1, par. 5, lett. d), Direttiva 2000/31/CE, Direttiva 2000/31/CE del Parlamento e del Consiglio dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno, esclude dal perimetro della propria applicazione i giochi d’azzardo, le lotterie e le scommesse.

[157] Si veda in questi termini: A. Zoppini, Diritto privato generale, diritto speciale, diritto regolatorio, cit., 46-47.

[158] Così, condivisibilmente, A. Zoppini, op. ult. cit., 47.

[159] Si veda così l’approfondita voce curata da M. Gnes, per i Tematici dell’Enciclopedia del diritto, cit., 546 ss. al quale si rinvia per i riferimenti di dottrina e giurisprudenza.

[160] Si veda in questi termini la sentenza Gambelli, C. giust. UE 6 novembre 2003, causa C-243/01, punto 60; si segnala in dottrina il contributo di A. Biondi, Alla caccia dei limiti esterni alla libera circolazione dei servizi, in Mercato unico dei servizi, Milano, 2007.

[161] Sulla rule of reason si veda: J. Steiner, L. Woods, C. Twigg-Flesner, Eu Law, Oxford University Press, 2006, 378.

[162] Si veda così: C. giust. Ue, Grande Stazione, 8 settembre 2020, cause riunite C-316/07, C358/07.

[163] Tra le quali si segnalano: i giochi della lotteria, esercitate in presenza o on line, le scommesse sportive e i casinò “fisici”.

[164] Tra le attività soggette ad una apertura alla concorrenza, in virtù della legge del 12 maggio 2010, vi sono tre segmenti del mercato on line relativi alle scommesse sportive, a quelle ippiche, e al poker on line.

[165] Per una attenta ricerca del gioco d’azzardo in Francia, si segnala S. Jahn, Le jeu d’argent en France: de la condamnation à la banalisation (1836 – annéns 1960), Lyon; G. Bègin, Pour une politique des jeux, Paris, 2001; nonché M. Valleur, in G. Meyer, T. Hayer, M. Griffiths, Problem Gambling in Europe, Challenges, Prevention, and Interventions, LLC, 2009, 71 ss.

[166] Giova evidenziare che l’adesione alle linee guida da parte dei privati costituisce una condizione necessaria per ottenere la licenza per operare mercato e la loro inosservanza dà luogo a sanzioni pecuniarie e costituisce motivo di revoca della licenza ove la violazione sia reiterata.

[167] Si vedano in dottrina: D. Miers, Regulating commercial gambling: past, present, future, Oxford, 2004; G. Reith, The age of chance, Gambling in western culture, London, 1999, 85; e nella nostra letteratura si rinvia a M. Gnes, op. cit., passim; e G. Pepe, op. loc. cit.