Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Appunti sparsi sul trapianto dei risarcimenti punitivi nel nostro ordinamento, a proposito di un recente libro (di Edoardo Ferrante, Professore associato di Diritto privato – Università degli Studi di Torino)


Un recente volume, con l’uso accorto della comparazione come «arte» del trapianto legale, affronta il problema dei risarcimenti punitivi e delle prestazioni pecuniarie sanzionatorie nel nostro ordinamento giuridico. Si tratta di aree dove il diritto dei privati vede coesistere e quasi confondersi politiche regolatorie, istanze di maggiore effettività e finanche pene private, nell’ormai abituale alternarsi di voci favorevoli e voci contrarie ai punitive damages (indubbiamente lontani, nella loro versione originale, dalle linee-guida e quasi dalla mentalità del giurista continentale). In ogni caso, al di là delle prospettive de jure condendo, il diritto vigente conosce già strumenti a venatura punitiva, strumenti la cui importanza è destinata a crescere e rendere sempre più urgente una rilettura critica del trapianto legale.

Parole chiave: diritto privato sanzionatorio – risarcimenti punitivi – trapianti legali – inadempimento efficiente – danno non patrimoniale – danno antitrust.

Scattered Notes on the Legal Transplant of Punitive Damages in Italy, talking about a Recent Book

A recent book, with the shrewd use of comparative law as the "art" of legal transplants, addresses the problem of punitive damages and monetary sanctions in the Italian legal system. These are areas of private law where regulatory policies, demands for better effectiveness and even private punishments coexist, and almost mingle, in the by-now traditional exchange between those in favour and those against punitive damages (undoubtedly far removed, in their original version, from the guidelines and mentality of the civilians). In any event, besides perspectives de lege ferenda, the current law already acknowledges instruments with punitive features; instruments whose importance is destined to grow making a critical reinterpretation of legal transplants more and more urgent.

Keywords: private law sanctions – punitive damages – legal transplants – efficient breach – non-pecuniary damages – antitrust damages.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. L’art. 2932 cod. civ., e la tendenza a «vedere punitivo» dove di punitivo non v’è alcunché - 3. L’art. 2059 cod. civ., il danno c.d. tanatologico e la tendenza a «vedere punitivo» dove di punitivo c’è solo la ricerca di maggiore effettività - 4. I veri punitive damages: trapianto impossibile? - 5. La parola al legislatore: il divieto di «sovra»-risarcimento nell’area del danno antitrust, e qualche proiezione futura - NOTE


1. Premessa

La buona comparazione non è solo ricerca del minimo comun denominatore, né solo distinguishing, ma cultura dei «trapianti» o «innesti legali», che è l’una e l’altra cosa insieme [1]. La cultura del trapianto legale diviene ben presto argomento interpretativo, perché funzionale all’importazione o all’imitazione del modello straniero, preso come autorità cui guardare o sottostare. Il tema dei punitive damages [2] ripercorre esattamente quest’itinerario, perché chi vi si dedichi incontra giocoforza il problema del trapianto, sia che lo approvi, sia che lo rifiuti, sia che finisca col sospendere il giudizio.

Un recente e rigoroso studio, ancorché di diametro maggiore, dedica largo spazio ai risarcimenti punitivi e alla loro storia, a cavallo tra origini anglo-americane e tentativi più o meno riusciti di insediamento nei sistemi civilistici [3]. E deve fare i conti con la forza evocativa del modello e delle sue parole, a contatto con una realtà interna che ora vi ammicca ora se ne ritrae timorosa. Gli interpreti domestici talora vedono (o intravedono) danni punitivi già operanti all’interno delle loro mura, talaltra concludono per la loro estraneità all’ordinamento nazionale e anzi denunciano la distorsione che si creerebbe nell’invocare il modello a sproposito [4]. È dunque meritevole approcciare la materia con animo per quanto possibile libero da condizionamenti, al di là e al di fuori dell’abituale querelle tra fautori e detrattori; badare, come fa il libro in commento, al diritto vigente così com’è, e non a come lo si vorrebbe.

Si profila con ciò una direttrice di metodo sempre valida per le ricerche di diritto civile che vogliano fare uso della comparazione come argomento [5]: non si tratta di pronunciarsi a favore o contro, ma di vagliare se il sistema conosca risarcimenti punitivi o li possa conoscere a breve; in caso affermativo, che uso ne possa e ne debba fare.

Sennonché il tema è uno di quelli che la comunicazione politica definirebbe «divisivi», un tema dove la propensione, quasi il gusto personale dell’interprete tende a forzare l’analisi dell’esistente per trasformarla in proclama [6]. In questa forzatura il volume in commento non cade, mentre c’è il forte rischio che vi cada l’autore di queste righe, sicché tanto vale essere espliciti fin da subito. Tra gli argomenti a favore e quelli contrari – argomenti noti, che il libro ripercorre uno ad uno – chi scrive «sente» prevalere quelli contrari [7]; ma, pur con questa premessa, lo sforzo vuol essere quello di demistificare la querelle, questa volta non attraverso uno «studio per una teoria» – così il sottotitolo del volume – ma attraverso qualche breve nota sul difficile trapianto dei risarcimenti punitivi.


2. L’art. 2932 cod. civ., e la tendenza a «vedere punitivo» dove di punitivo non v’è alcunché

Per demistificare la querelle sul privato sanzionatorio basti citare un esempio, quasi paradossale. Ci sono istituti o rimedi talora accostati al privato sanzionatorio ma che di sanzionatorio hanno ben poco: si pensi all’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto ex art. 2932 cod. civ., rimedio il cui dilagare nella pratica è andato di pari passo col dilagare del preliminare di vendita [8]. Poiché al momento non c’è contrattazione immobiliare che non si sdoppi nella sequenza preliminare-definitivo e il «luogo» dell’accordo è il preliminare ben prima del definitivo, che acquista un significato ricognitivo o limitatamente integrativo, è normale che la controversia esploda prima del rogito. In questo contesto l’esecuzione specifica tende a farsi ricettore esclusivo del contenzioso e l’interpretazione dell’art. 2932 cod. civ. quasi un banco di prova per l’intera parte generale [9].

Sennonché, altro è la specificità del rimedio, altro la sua (ipotetica) natura punitiva, a meno di non considerare punitivo tutto ciò che impedisce al debitore di non adempiere. Vero è che in molte circostanze la parte potrebbe preferire non concludere il definitivo, risarcire il danno provocato a controparte e tornare sul mercato per cogliere opportunità migliori o semplicemente mantenere lo status quo (spuntare un prezzo più elevato o rimanere nell’abitazione promessa); e che un rimedio come quello contornato dall’art. 2932 cod. civ. infrange ogni proposito, poiché la sentenza, su richiesta della controparte adempiente, trasferisce il diritto promesso [10].

Vero è anche però che nell’ordinamento vigente non pare ricostruibile questo supposto «diritto di non adempiere», la pretesa di risarcire sempre e solo in moneta anziché tramite assegnazione forzosa della prestazione al creditore [11]. Altrove s’è persino teorizzato – con dovizia di analisi gius-economiche [12] – un «diritto all’inadempimento efficiente», la pretesa di sottrarsi al debito in natura per risarcire il danno e speculare su affari migliori, quasi fosse sempre meritevole l’interesse a raggiungere l’arricchimento ottimale. Ma che questa sia una linea-guida interna al sistema è lecito dubitare, tali e tanti essendo i rimedi a carattere diretto, non surrogabili con prestazioni per equivalente; e ciò, a prescindere dalla loro maggiore o minore efficienza (micro– o macroeconomica) [13]. Altrimenti, che ne sarebbe della forza di legge? Perché pensare che sia vuota retorica? L’inadempimento efficiente non ha attecchito neppure colà dov’è nato, negli Stati Uniti, che ben conoscono la sanctity of contract.

Detto diversamente, la tutela in forma specifica dell’obbligo di contrarre ex art. 2932 cod. civ. – come tutti quei rimedi che assegnino il bene della vita anziché il credito ad una somma – può giudicarsi ora efficiente ora inefficiente a seconda dei punti di vista: efficiente, perché raggiunge l’obiettivo in via diretta, anziché per il tramite di una prestazione pecuniaria che, per quanto «ben» liquidata, rimane pur sempre altra; inefficiente, perché producendo gli effetti del contratto non concluso a scapito del debitore (normalmente in dolo), preclude a quest’ultimo di promettere e recare la prestazione ad altri, ritrarne un profitto maggiore, risarcire controparte e trattenere l’esubero; preclude cioè l’efficient breach, e quanto precluda un inadempimento efficiente dovrebbe «suonare» inefficiente (e così «suonerebbe» presso taluna dottrina anglo-americana) [14].

Se si bada però alla capacità del rimedio di centrare l’obiettivo, «una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso» è la massima tutela che il creditore possa augurarsi, la massima efficienza (anche quando non basti da sola, ma debba concorrere con la tutela risarcitoria). Insomma, il discorso dell’efficienza resta opinabile, ma nessuno penserebbe all’art. 2932 cod. civ. come a qualcosa di punitivo: si tratta piuttosto di un rimedio effettivo, ciò che può anche voler dire inefficiente su base macroeconomica [15].


3. L’art. 2059 cod. civ., il danno c.d. tanatologico e la tendenza a «vedere punitivo» dove di punitivo c’è solo la ricerca di maggiore effettività

C’è dunque una tendenza a «vedere punitivo» anche là dove di punitivo non v’è alcunché.

L’incrocio tra efficienza, punizione ed effettività si ripropone, in forma persino più vistosa, quando si discuta del danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ. [16]. L’osservatore disincantato potrebbe non cogliere il nesso, per lo meno ad uno sguardo di superficie, ma aleggia da sempre il sospetto che un danno non patrimoniale – come, classicamente, quello aquiliano alla persona [17] – nasconda in sé qualcosa di sanzionatorio; che porre a carico del danneggiante una somma volta a ristorare nocumenti morali o esistenziali significhi punire anziché risarcire (e non è certo un caso che, storicamente, vi sia stata molta «vicinanza» tra non patrimoniale e reato, una vicinanza che oggi suona un po’ vintage, ma era pane quotidiano solo pochi lustri fa) [18]. Sarà pure un preconcetto patrimonialista o mercatista, ma è una sensazione diffusa, non da oggi [19]. V’è anzi la percezione che poste non patrimoniali, indeterminabili e giocoforza demandate a stime equitative [20], servano nella pratica a rimpinguare liquidazioni troppo basse del patrimoniale, così da puntare ad una maggiore effettività complessiva [21]. Ancora una volta – ed anzi al massimo grado – s’avverte l’incrocio tra natura sanzionatoria ed effettività dei rimedi civilistici, quasi che il rimedio davvero effettivo fosse già un pochino punitivo [22], o che la punizione sia necessaria per raggiungere un minimo di effettività [23].

Certamente gli esempi potrebbero proseguire. La distinguibilità teorica dei concetti s’affievolisce fin quasi a scomparire nella pratica, dove si trapassa facilmente dall’uno all’altro, sotto l’ègida di una funzione protettiva unica che tutto assorbe e tutto annacqua. In quest’ottica il risarcimento punitivo, stando ai suoi espianti e reimpianti continentali, è per così dire l’àpice di tanta vischiosità: ciò che è effettivo sembra punitivo, ciò che è punitivo un modo, talora rozzo, di raggiungere maggiore effettività; ciò che non è patrimoniale è anche un po’ punitivo, e dunque «più» effettivo. Prima o poi bisognerà rimettere le cose a posto, perché l’interprete continentale, per accarezzare l’idea del privato sanzionatorio, tende ormai a vedere sanzioni dappertutto [24]. Ma forse è semplicemente il riflesso condizionato di un trapianto ancora imperfetto, e peraltro il libro che fa da sfondo a queste riflessioni rappresenta un serio tentativo di mettere ordine, anzitutto con lo slegare i danni punitivi e il privato sanzionatorio dal sistema della responsabilità civile [25].

In altri ordinamenti i punitive damages hanno caratteri che qui in Europa facciamo fatica ad accettare, ma sono proprio quei caratteri a renderli incisivi, e dunque affascinanti; essendone sedotti, cerchiamo di mutuarli con qualche correzione per noi irrinunciabile, ma così facendo li rendiamo (o renderemmo) poco incisivi.

Si riprenda in carico il danno alla persona, patrimoniale e soprattutto non patrimoniale. Il suo rigonfiamento è ormai un dato acquisito ed anzi si scorge già qualche tendenza contenitiva, preoccupata per l’ec­cessiva pressione su alcune categorie professionali, in primis sanitarie, e l’innalzamento smodato dei premi assicurativi pretesi dalle compagnie per le relative coperture. Poiché il danno alla persona è spesso correlato ad episodi di responsabilità medica e l’allargamento di questa impone un ricorso più massiccio all’assi­curazione, il risultato finale è un intasamento del mercato assicurativo, la lievitazione dei premi e sul lungo periodo la propensione delle compagnie ad uscire dal relativo mercato, ciò che – evidentemente – «scopre» il personale medico, ma rischia di scoprire a cascata pure le vittime. Sembra allora profilarsi un andamento giurisprudenziale oscillante, ora generoso ora parco nel liquidare il danno alla persona; e poiché sul patrimoniale il delta è mediamente stretto, le maggiori oscillazioni si concentrano sul non patrimoniale, per sua natura più flessibile, e anche più opinabile.

Emblematico il caso del c.d. tanatologico, prima ignoto alla giurisprudenza di legittimità [26] così come a quella costituzionale [27], poi ammesso [28], poi nuovamente escluso [29], in un caleidoscopio di argomenti persino difficile da ricostruire. La sua spiccata fluidità ha fatto sì che controversie analoghe, iniziate pressoché contemporaneamente e decise a breve distanza di tempo le une dalle altre, abbiano dato luogo a verdetti assai differenti nel quantum, ove gli scostamenti paiono dipesi proprio dalla quotazione del tanatologico; una volatilità tale da mettere in scacco la coerenza dei giudicati e la parità di trattamento [30]. V’è sottesa l’idea, piuttosto intuitiva, che incrementare il tanalogico valga a rafforzare la tutela delle vittime, mentre tenerlo a freno serva a garantire maggiore equilibrio a salvaguardia della sostenibilità del mercato dei risarcimenti, i quali gravano sì sulle compagnie, ma finiscono con l’onerare i privati sotto forma di aumento dei premi.

Ora, che cosa c’è qui di punitivo? Nulla – verrebbe da rispondere – ma i ragionamenti appena fatti, e ampiamente fatti in passato tra operatori, esponenti di categoria, privati cittadini, sono proprio quelli che vengono sistematicamente accostati al privato sanzionatorio [31]. La ragione sta in ciò, che a dispetto della veste formale, voci come il tanatologico destano la sensazione del non compensativo; forse nessuno sarebbe disposto ad ammetterlo con tanta schiettezza, ma assegnare agli eredi della vittima una somma disconnessa dal patrimonio ereditato, incontrollabile a priori e così finemente intrecciata alle peculiarità del fatto luttuoso, dissipa il senso del ristoro e suscita «pensieri» ultra-compensativi [32].

Ma tutto ciò non è quanto un common lawyer definirebbe punitive damages. È invece la ricerca di effettività, comprensibile anche quando maldestra o effimera, forse «punitiva» ma in un senso tutto latino, quando i veri punitive sono ben altra cosa. Importi elevati, una giustizia civile più interventista, coperture assicurative più late – fin quando ne rimarrà la convenienza economica – sono anche il riflesso di un welfare pubblico insoddisfacente, fenomeno ben noto in molti paesi di Common law. Più che punire, questi movimenti giurisprudenziali vogliono puntellare la mano pubblica, supplire alle sue mancanze, ma non serbano, se non al prezzo di enormi forzature, né volontà afflittiva né volontà deterrente [33].


4. I veri punitive damages: trapianto impossibile?

C’è dunque un’inclinazione a «vedere punitivo» anche là dove il rimedio semplicemente sia effettivo, o per lo meno voglia essere più effettivo del solito. Viceversa, negli ordinamenti che li conoscono e li praticano, i risarcimenti punitivi sono comminati a danneggianti abituali o gravemente colpevoli o efferati. La loro ratio non è – o non è principalmente – proteggere in maniera sovra-compensativa il danneggiato, assegnandogli una somma meglio corrispondente alla lesione, ma premere sull’autore perché avverta fino in fondo il disvalore di quanto compiuto e sia indotto ad astenersene [34]. L’attenzione si sposta allora dal patrimonio del danneggiato a quello del danneggiante: non si tratta di rafforzare la tutela del primo, ma d’intaccare pesantemente il secondo onde perseguire o prevenire atti riprovevoli (spesso iterati e spesso recrudescenti). La punizione scatta perché l’illecito è abietto e il suo autore ne ha tratto profitto, non perché la riparazione offerta alla vittima debba essere più effettiva o lauta [35].

Ne discende in primo luogo che, negli ordinamenti che li adoperano allo stato originale, i punitive damages sono sempre correlati alla colpa grave e più ancora alla malice dell’autore dell’illecito, perché la sanzione è davvero tale se irrogata a chi la «meriti» fino in fondo. Non avrebbe senso, ad esempio, irrogare risarcimenti punitivi in aree ove l’illecito sia impermeabile allo stato soggettivo del danneggiante, aree ormai estese in tutti gli ordinamenti [36].

Neppure può dirsi casuale che simili strumenti restino per lo più confinati alle azioni collettive o di classe: c’è un filo rosso tra sovra-compensazione e torto di massa [37]. Infatti, se la lesione è dolosa e pluri-offensiva, cresce l’allarme sociale e il bisogno di perseguire con forza l’autore dell’illecito, che si propaga e mimetizza di categoria in categoria di danneggiati; per di più la lesione pluri-offensiva è spesso occulta ed insidiosa, perché provoca un danno minimo su base individuale, ma enorme se rapportato alla totalità dei danneggiati [38]. Il doloso-bagatellare è «il peggio del peggio»: lesioni pressoché inavvertite, che però seminano pregiudizi su larghissima scala, talora lungo-latenti e di malsicura riferibilità eziologica al loro autore [39]. Qui scattano con dovizia punitive damages, col supporto micidiale della class action, in un crescendo punitivo che non ha correlazione alla specificità o effettività del rimedio – come negli esempi «continentali» fatti sopra [40] – ma punta difilato al castigo, con una venatura etica e retributiva da noi appannaggio del penale.

Proprio per queste ragioni ci dichiariamo – o dichiareremmo – disposti ad accogliere i punitive damages solo previa una loro rigorosa sottoposizione al principio di legalità. Infatti, se essi puniscono come punisce il penale – detto malamente – anche per essi deve valere quanto impone l’art. 25 Cost. Anche il libro da cui trae alimento questo contributo indugia molto su questo tasto, con riflessioni scettiche [41].

Ma tutti sanno che dove i punitive damages sono nati ed hanno prosperato, un problema di legalità non è mai stato posto (anche perché diversa è la concezione stessa della legalità, la divisione dei poteri, l’equilibrio istituzionale tra i «signori» del diritto). Anzi, il giudizio parrà forse affrettato – è il giudizio di chi spesso si trova sopraffatto dal trapianto – ma è come se l’imprevedibilità o incalcolabilità del quantum facesse parte del gioco: il danneggiante biasimevole, che inietta nella società danni gravi e subdoli, deve scontare duramente la sua colpa dinanzi ad una massa di danneggiati attuali e potenziali, e non merita neppure di sapere quanto sarà dura la sua pena [42]. Giustizia oracolare sì, ma che raggiunge la massima afflizione e la massima dissuasione. Inutile dire che «pensieri» di questo genere sono lontani dalla nostra idea del diritto civile [43].

Incasellare tutto ciò entro le maglie della legalità è per noi irrinunciabile, ma non combacia appieno con la fisionomia originale dell’istituto. Nei paesi di espianto questo è un falso problema: lì domina lo stare decisis, che soddisfa un bisogno di ripetitività della sentenza, ma, a quanto è dato intendere, la liquidazione del danno non fa precedente (o per lo meno non fa precedente vincolante). Forse potremo «legalizzare» l’an del punitivo, il «dove» o il «quando» – e già non sarebbe poco – ma il quantum deve restare libero. Però si sa che è proprio il quantum a stabilire, di volta in volta, quale sia o debba essere la funzione della responsabilità aquiliana [44].

Se questo è l’humus dei risarcimenti punitivi, sommariamente riproposto, diventa arduo trasportarli di peso in ordinamenti dove la responsabilità civile va sempre più oggettivandosi o «de-colpevolizzandosi», le liti di gruppo sono ignote o poco praticate e si aborrono condanne esose e soprattutto imprevedibili, perché non sistemate entro fattispecie previamente affinate dalla legge [45]. Si tenta allora di addomesticare i risarcimenti punitivi, ma se ne perde l’afflato persecutorio, salvo riassegnare quell’afflato a rimedi e istituti che nulla hanno della sanzione. Piuttosto che stravolgere il trapianto, meglio respingere tutto il pacchetto. Chi lo appoggia valorizza l’interventismo del giudice e la sua autonomia decisoria, chi ne è detrattore mostra di temere il Richterrecht se non il Richterstaat [46].


5. La parola al legislatore: il divieto di «sovra»-risarcimento nell’area del danno antitrust, e qualche proiezione futura

Non v’è bisogno di ricordare qui che la nostra recente giurisprudenza, pur con i soliti distinguo, ha dato un placet di massima ai risarcimenti punitivi [47]. Nel concedere alla responsabilità civile una pluralità di funzioni [48], la Suprema Corte ha accolto la prospettiva teorica di liquidazioni ultra-compensative, circondandola però di molti «ma» e molti «se» [49]. A quest’apertura di principio, ancora vaga – e sulla quale non occorre indugiare in questa sede [50] – fa da contraltare una chiusura netta del legislatore.

In materia di danno antitrust, all’esito di un iter legislativo che affonda le sue radici nel diritto europeo, l’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 3/2017 stabilisce: «Il risarcimento comprende il danno emergente, il lucro cessante e gli interessi e non determina sovracompensazioni». Ecco attestata la regola del pieno risarcimento, cui fa da pendant il divieto di ultra-compensazioni: la vittima del sodalizio illecito (cartello, intesa o pratica concordata) ha dunque titolo al ristoro integrale, ma non può arricchirsi in occasione del danno patito. Altrove implicita, la regola del pieno risarcimento, che significa anche divieto del «sovra»-risarcimento, trova qui una conferma espressa; e la ragione per la quale il legislatore europeo e nazional-derivato ha sentito l’esigenza di una tale conferma va ricercata nella storia della norma e nella volontà legislativa di mettere tutto in chiaro [51].

Nel celebre caso-Manfredi [52] la Corte di Giustizia, oltre a ribadire per il resto la propria giurisprudenza-Courage [53], s’era espressa sui profili del pieno risarcimento e del risarcimento ultra-compensativo:

«[92]. Per quanto riguarda la concessione di un risarcimento danni e un’eventuale possibilità di liquidare danni punitivi, in mancanza di disposizioni comunitarie in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i criteri che consentono di determinare l’entità del risarcimento, purché i principi di equivalenza e di effettività siano rispettati. [93]. A tale riguardo, da un lato, in conformità del principio di equivalenza, una forma particolare di risarcimento, qual è il risarcimento esemplare o punitivo, deve poter essere riconosciuta nell’ambito di azioni fondate sulle regole comunitarie di concorrenza, qualora possa esserlo nell’ambito di azioni analoghe fondate sul diritto interno (…). [94]. Tuttavia, risulta da una giurisprudenza costante che il diritto comunitario non osta a che i giudici nazionali vigilino affinché la tutela dei diritti garantiti dall’ordinamento giuridico comunitario non comporti un arricchimento senza giusta causa degli aventi diritto (…). [95]. D’altra parte, dal principio di effettività e dal diritto di chiunque a chiedere il risarcimento del danno causato da un contratto o da un comportamento idoneo a restringere o a falsare il gioco della concorrenza discende che le persone che hanno subìto un danno devono poter chiedere il risarcimento non solo del danno reale (damnum emergens), ma anche del mancato guadagno (lucrum cessans), nonché il pagamento di interessi. [96]. Infatti l’esclusione totale del lucro cessante dal danno risarcibile non può essere ammessa in caso di violazione del diritto comunitario poiché, soprattutto in tema di controversie di natura economica o commerciale, una tale esclusione totale del lucro cessante si presta a rendere di fatto impossibile il risarcimento del danno (…). [97]. Per quanto riguarda il pagamento di interessi, la Corte ha ricordato al § 31 della sentenza 2 agosto 1993, causa C-271/91, Marshall (Racc. pag. I-4367), che la loro corresponsione, ai sensi delle pertinenti norme nazionali, costituisce una componente essenziale di un indennizzo».

Questi insegnamenti hanno trovato in parte conferma e in parte smentita negli artt. 1, comma 2, e 14, comma 1, d.lgs. n. 3/2017, attuativi dell’art. 3, commi 1-2, dir. 2014/104/UE. È ribadita l’idea che alla vittima, anche indiretta, della violazione antitrust spetti un risarcimento pieno, comprensivo «non solo del danno reale (damnum emergens), ma anche del mancato guadagno (lucrum cessans), nonché il pagamento di interessi» (così Manfredi, al citato § 95), atteso il principio di effettività del diritto europeo e la tutela diffusa dei soggetti danneggiati da pratiche anticoncorrenziali [54]. Ma la sintonia fra Corte di Giustizia e legislatore europeo viene completamente meno in tema di risarcimenti ultra-compensativi o punitivi. Mentre infatti Manfredi (in particolare §§ 92-94, sopra riportati) aveva mostrato una qualche apertura, per lo meno alla luce e nei limiti del principio europeo di equivalenza, l’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 3/2017, attuativo dell’art. 3, comma 3, dir. 2014/104/UE, è perentorio nell’escludere risarcimenti esorbitanti l’ammontare allegato e provato dalla vittima [55].

Ne discende che, per lo meno nell’area delle violazioni antitrust, il diritto italo-europeo allo stato non accoglie la risarcibilità maggiorata, ma solo strettamente compensativa del danno occorso alla vittima [56]. Sarà pure una norma di settore, per quanto settore importante, ma è una norma che rispecchia precise scelte legislative di contrasto ad opposto – o per lo meno diverso – orientamento giurisprudenziale, un contrasto che fatalmente scende dal piano europeo a quello nazionale [57].

Può darsi che divenga una tendenza degli anni a venire: aperture giurisprudenziali timide, cui fanno da eco chiusure legislative più risolute, nella comune convinzione che il trapianto non possa mai essere acritico o completo; su altro versante, una dottrina divisa tra chi anela ad un innesto forte e chi deplora qualsiasi ingerenza dei punitive damages, ma una dottrina sempre tesa alla ricerca del punitivo latente nel sistema, ora per legittimare il trapianto ora per dire che se ne può fare a meno.

Il libro s’insinua in questo panorama con abilità, lo conosce palmo a palmo e vuole trascenderlo, per dare nuovo impulso a studi che sul continente – parrà forse eccessivo – sono ancora ai primordi, per lo meno da quando s’è deciso di prendere i danni punitivi sul serio.


NOTE

[1] Per tutti A. Watson, Legal Transplants. An Approach to Comparative Law, II ed., Athens (Georgia), 1993, passim; e R. Sacco, Legal Formants: A Dynamic Approach to Comparative Law [Installment II of II], in Am. J. Comp. L., 1991, 343 ss.; più recentemente, U. Kischel, Rechtsvergleichung, München, 2015, 77 ss.

[2] Sulla base di una discutibile traduzione dell’inglese punitive damages: in tema, M. Barcellona, Funzione compensativa della responsabilità (e “private enforcement” della disciplina antitrust), in M. Maugeri, A. Zoppini (a cura di), Funzioni del diritto privato e tecniche di regolazione del mercato, Il Mulino, 2009, 57 ss.; e F. Denozza, A. Toffoletto, Funzione compensatoria ed effetti deterrenti dell’azione privata nel diritto antitrust, ivi, 193 ss.

[3] Si tratta, come premesso, di C. De Menech, Le prestazioni pecuniarie sanzionatorie, cit., in particolare 53 ss. (ov’è affrontato funditus il problema terminologico, che è di sostanza e non di forma).

[4] Per tutti, G. Ponzanelli, I danni punitivi, in Nuova giur. civ. comm., 2008, 26 ss.; più di recente A. Montanari, Del «risarcimento punitivo» ovvero dell’ossimoro, in Europa dir. priv., 2019, 377 ss.

[5] Mentre distanti dall’obiettivo paiono esperienze scientifiche oggi più in voga tra i comparatisti puri: per un résumé del dibattito sul metodo cfr., fra i molti, M.R. Ferrarese, Il diritto comparato e le sfide della globalizzazione. Oltre la forbice differenze/somiglianze, in Riv. crit. dir. priv., 2013, 369 ss. e 388 ss.; e M.P. Mantovani, Uso dell’argomento comparativo a fini ermeneutici, in Contr. impr./Eur., 2016, 550 ss., ma la dottrina in materia è alluvionale. Alcuni punti di riferimento, anche molto distanti nel tempo e negli esiti, sono I. Zaitay, Die Rezeption fremder Rechte und die Rechtsvergleichung, in Arch. civ. Prax., 1957, 361 ss.; B. Aubin, Die rechtsvergleichende Interpretation autonom-internen Rechts in der deutschen Rechtsprechung, in Rabels Zeitschr., 1970, specialmente 458, 463 e 478; B. Großfeld, Vom Beitrag der Rechtsvergleichung zum deutschen Recht, in Arch. civ. Prax., 1984, 289 ss. e in particolare 303; P. Häberle, Grundrechtsgeltung und Grundrechtsinterpretation im Verfassungsstaat – Zugleich zur Rechstvergleichung als “fünfter” Auslegungsmethode, in JZ, 1989, 913 ss. e in particolare 916 ss.; W. Odersky, Harmonisierende Auslegung und europäische Rechtskultur, in ZEuP, 1994, 1 ss.; R. Legeais, L’utilisation du droit comparé par les tribunaux, in Rev. int. dr. comp., 1994, 347 ss.; C. v. Bar, Vereinheitlichung und Angleichung von Deliktsrecht in der Europäischen Union, in ZfRV, 1994, 230-231; U. Drobnig, The Use of Foreing Law by German Courts, in U. Drobnig, S. van Erp (a cura di), The Use of Comparative Law by Courts, Kluwer Law, 1999, 127 ss.; e A. Somma, L’uso giurisprudenziale della comparazione nel diritto interno e comunitario, Giuffrè, 2001, 258 ss.

[6] Ha tentato invece una (pacata ma risoluta) «messa a punto», C.M. Bianca, Una messa a punto sui c.d. danni punitivi, in Liber amicorum Pietro Rescigno in occasione del suo novantesimo compleanno, I, Editoriale scientifica, 2018, 351 ss.; e similmente, M. Franzoni, Quale danno punitivo?, in Contr. impr., 2017, 1107 ss.

[7] Ben ricapitolati, ancora di recente, da M. Barcellona, La responsabilità civile, in Tratt. dir. priv. Mazzamuto, VI, t. I, Giappichelli, 2021, 435 ss.; e dalla stessa C. De Menech, Le prestazioni pecuniarie sanzionatorie, cit., 260 ss. Piace ricordare, però, che un avvicinamento del nostro sistema ai punitive damages fu appoggiato, in uno dei suoi ultimi scritti, da F. Galgano, Prefazione, in C. Consolo, B. Zuffi, L’azione di classe ex art. 140-bis cod. cons. Lineamenti processuali, Cedam, 2012, 2-3; un ampio «campionamento» degli argomenti a favore dei risarcimenti punitivi si deve invece a F. Quarta, Risarcimento e sanzione nell’illecito civile, ESI, 2013, 199 ss.

[8] Il discorso si potrebbe allargare, con ciò, a tutta l’area della tutela esecutiva diretta: in tema, per tutti, A. Chianale, Dell’esecuzione forzata in forma specifica, in Comm. cod. civ. Schlesinger, Giuffrè, 2022, in particolare 105 ss. (a proposito dell’art. 2932 cod. civ.).

[9] Ora, vero è che il dilagare della contrattazione preliminare ha indotto una maggiore applicazione del rimedio specifico; vero è anche, però, che proprio l’esistenza del rimedio specifico ha contribuito alla disseminazione del preliminare, in un circolo virtuoso (o vizioso) dove causa ed effetto si confondono. Il preliminare si fa baricentro della contrattazione, e quasi toglie spazio al definitivo, perché grazie all’art. 2932 cod. civ. può produrre «da solo» l’alienazione, anche quando il definitivo non sia stipulato (sul punto, in primis, L. Montesano, Contratto preliminare e sentenza costitutiva, Jovene, 1953, passim, ma in particolare 56 ss.; cfr. anche R. Rascio, Il contratto preliminare, Jovene, 1967, 37 ss.; in breve, ma efficacemente, A. Luminoso, Appunti sui negozi traslativi atipici, Giuffrè, 2007, 26 ss.). Evidentemente la vendita volontaria non è equiparabile dal punto di vista pratico ad una lunga e talora complessa controversia giudiziale, suscettibile di concludersi con un giudicato traslativo o costitutivo del diritto (sui rapporti fra contrattazione preliminare ed efficacia traslativa del definitivo cfr., per tutti, G. Gabrielli, Il contratto preliminare, Giuffrè, 1970, 96 ss. e 152 ss.; e G. Gabrielli e G. Franceschelli, voce Contratto preliminare [dir. civ.], in Enc. giur. Treccani, IX, Treccani, 1988, 2). Ma la mera possibilità teorica di questo sbocco produce l’ingigantimento del preliminare all’interno dell’iter, ben potendo questo, col tramite della sentenza, condurre all’effetto reale in odio alla parte inadempiente (R. De Matteis, La contrattazione preliminare ad effetti anticipati, Cedam, 1991, 51 ss., 158 ss. e 170 ss., ed ivi ampia bibliografia; nonché Id., Dalla promessa di vendita al preliminare trascritto, in Studi Rescigno, III, t. 2, Giuffrè, 1998, 269 ss.; ma sia consentito rinviare anche a E. Ferrante, Contrattazione immobiliare e trasferimento della proprietà. I princìpi generali, in Tratt. dir. immobiliare, diretto da G. Visintini, I, t. 2, 739 ss.). Così, l’art. 2932 cod. civ. ha contribuito a spingere il preliminare di vendita dall’area del pactum de contrahendo a quella della vendita obbligatoria, figura a sua volta polimorfe e sfuggente (fra i molti, C.M. Bianca, La vendita e la permuta, 2a ed., Utet, 1993, 93 ss.; e F. Gazzoni, Il contratto preliminare, in Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, IX, t. II, Giappichelli, 1998, 140 ss.).

[10] E infatti nel vigore del codice del 1865, che ignorava l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto, si apprezzava l’opportunità concessa alle parti di non adempiere il preliminare per cogliere eventuali vantaggi maggiori: così, tra gli altri, N. Coviello, voce Contratto preliminare, in Enc. giur. it., III, parte 3a, sez. 2a, Società editrice libraria, 1902, 69.

[11] Vi riflette, tra gli altri, G. Palermo, Contratto preliminare, Cedam, 1991, 73 ss.

[12] Il pensiero va soprattutto a R. Posner, Economic Analysis of Law, V ed., Wolter Kluwers, 1998, 142.

[13] Sul punto, ampiamente, C. De Menech, Le prestazioni pecuniarie sanzionatorie, cit., 80 ss. (ivi ampia bibliografia straniera).

[14] Ma va rammentato che negli Stati Uniti, come da noi, l’inadempimento doloso così come il fatto illecito doloso generalmente incontrano un trattamento più severo, per quanto egoisticamente efficienti dal punto di vista dell’inadempiente o del danneggiante (tra gli altri, V. Di Gravio, Prevedibilità del danno e inadempimento doloso, Giuffrè, 1999, passim ma in particolare 223).

[15] Ma gli esempi potrebbero essere molti: C. De Menech, Le prestazioni pecuniarie sanzionatorie, cit., 119 ss. indugia sugli interessi di mora, certamente non punitivi – per quanto correlati ad un illecito, la mora debitoris, non necessariamente dannoso – e sulla clausola penale, la cui funzione è giudicata eclettica e all’esito poco definibile ex lege. Altri ha intravisto natura punitiva nell’in­dennità che il giudice può porre a carico del patrimonio dell’incapace quando il danneggiato non abbia potuto ottenere il risarcimento dal sorvegliante, a norma dell’art. 2047, comma 2, cod. civ. (così E. Caterini, Sostenibilità e ordinamento civile, ESI, 2018, 118-119). Ma il discorso porterebbe troppo lontano dai confini naturali del presente contributo (cfr., su questa linea, già C. Granelli, In tema di «danni punitivi», in Resp. civ. prev., 2014, 1760 ss.; e F. Quarta, Risarcimento e sanzione, cit., 324 ss.; invero i tentativi classificatori non sono mancati neppure in passato, in epoche distanti dall’odierna ènfasi sul privato sanzionatorio: fra gli altri, E. Moscati, voce Pena [diritto privato], in Enc. dir., XXXII, Giuffrè, 1982, 770 ss.).

[16] La letteratura è ormai immensa: senza pretese di completezza, F. Busnelli, Le sezioni unite e il danno non patrimoniale, in Riv. dir. civ., 2009, II, 97 ss.; M. Franzoni, I diritti della personalità, il danno esistenziale e la funzione della responsabilità civile, in Contr. impr., 2009, 1 ss.; E. Navarretta, Danni non patrimoniali: il compimento della Drittwirkung e il declino delle antinomie, in Nuova giur. civ. comm., 2009, II, 81 ss.; A. D’Adda, Le funzioni del risarcimento del danno non patrimoniale, in S. Patti e S. Delle Monache (a cura di), Responsabilità civile. Danno non patrimoniale, Utet, 2010, 136 ss. e 148 ss.; ancora F. Busnelli, Non c’è quiete dopo la tempesta. Il danno alla persona alla ricerca di uno statuto risarcitorio, in Riv. dir. civ., 2012, I, 129 ss.; e D. Messinetti, Considerazioni sul danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale, ivi, 333 ss.

[17] Anche sotto specie di lesione all’identità personale, come emergeva già in AA.VV., La lesione dell’identità personale e il danno non patrimoniale (Atti del seminario promosso dal Centro di iniziativa giuridica P. Calamandrei), Giuffrè, 1985, passim, giusto per ricordare un momento topico del dibattito in materia.

[18] Basti pensare, tra i civilisti, all’ormai risalente G.P. Chironi, La colpa nel diritto civile odierno. Colpa extracontrattuale, II, 2ª ed., Fratelli Bocca, 1906, 328 ss.; alle pagine (poco note) di D. Mandrioli, Studi sul delitto civile, Boriotti e Zolla, 1918, in particolare 44 ss., che guarda allo status quo ma instilla nel dibattito dubbi e novità forieri di progresso (similmente Id., La tutela civile nel progetto del nuovo Codice Penale, in Riv. dir. civ., 1928, 175 ss. e 181 ss.); e poi L. Coviello, L’articolo 185 del codice penale e la risarcibilità dei danni in materia civile, in Riv. dir. civ., 1932, 323; più di recente, con taglio critico, G. Bonilini, Il danno non patrimoniale, Giuffrè, 1983, 157; A. Di Majo, La tutela civile dei diritti, Giuffrè, 2003, 173 ss.; e infine C. Scognamiglio, Il danno morale soggettivo, in S. Patti, S. Delle Monache (a cura di), Responsabilità civile, cit., 375 ss.

[19] Anche qui le citazioni potrebbero essere moltissime: G. Pacchioni, Del risarcimento dei danni morali, in Riv. dir. comm., 1911, II, 242, nell’alludere al danno morale, parla tout court di punizione del danneggiante; e R. Savatier, La responsabilità da delitto nel Diritto francese e nel Progetto italo-francese di un Codice delle Obbligazioni, in Annuario dir. comp., 1930, p. 282, non esita a concludere: «In fondo, la riparazione pecuniaria del pregiudizio morale non è altro che una pena pecuniaria»; successivamente, fra i molti, A. De Cupis, Il danno. Teoria generale della responsabilità civile, 1ª ed., Giuffrè, 1947, 331; ma l’idea della pena privata, associata al non patrimoniale, resiste fino ai giorni nostri, sintomo di una percezione radicata e per nulla occasionale: C. Salvi, Il danno extracontrattuale. Modelli e funzioni, Jovene, 1985, 126 ss. e 145 ss.; molto nitido, P. Gallo, Pene private e responsabilità civile, Giuffrè, 1996, 95 ss.; più sfumata E. Navarretta, Funzione del risarcimento e quantificazione dei danni non patrimoniali, in Resp. civ. prev., 2008, 500 ss.; e infine, A. Procida Mirabelli di Lauro, Danni civili e danni “da reato” nel sistema polifunzionale delle responsabilità, in Rass. dir. civ., 2019, 1185 ss.

[20] Ne tratta con ampiezza, di recente, F. Mezzanotte, La valutazione equitativa del danno, Giappichelli, 2022, 214 ss. (e quivi ampia bibliografia); assegna alla liquidazione d’equità funzioni «ultra-» o extra-compensative, P.G. Monateri, Le fonti delle obbligazioni, III, La responsabilità civile, in Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Utet, 1998, 336-337; ma per un’immediata replica, sempre in chiave generale, cfr. F. Busnelli, Deterrenza, responsabilità civile, fatto illecito, danni punitivi, in Europa e dir. priv., 2009, 933 ss.; in materia d’illecito antitrust, A. Genovese, Funzione e quantificazione del risarcimento. Considerazioni relative al danno da illecito antitrust, in M. Maugeri, A. Zoppini (a cura di), Funzioni del diritto privato, cit., 238 ss.; cfr. inoltre, nella lontananza delle epoche e degli approcci, F. Carnelutti, Note in margine alle nuove leggi processuali. Valutazione equitativa del danno, in Riv. dir. proc. civ., 1942, I, 53-54; C. Musatti, Profili della nuova equità, in Scritti Scialoja, IV, Bologna, 1953, 307; R. Scognamiglio, voce Risarcimento del danno, in Noviss. dig. it., XVI, Utet, 1976, 20; e C. Salvi, voce Risarcimento del danno, in Enc. dir., XL, Giuffrè, 1989, 1091. Se ne è discusso anche a proposito della valutazione equitativa introdotta dal previgente art. 140-bis, comma 12, proposizione 1a, c. cons. in materia di azione di classe (cfr. fra i molti, M. Libertini, Pratiche commerciali scorrette e azione di classe, in Riv. dir. ind., 2011, 162, nota 39).

[21] Rilievo diffuso ma cfr. A. Lasso, Riparazione e punizione nella responsabilità civile, ESI, 2018, 26 ss.; e A. Malomo, Responsabilità civile e funzione punitiva, ESI, 2017, passim.

[22] Non deplora queste traiettorie P.G. Monateri, Le Sezioni Unite e le molteplici funzioni della responsabilità civile, in Nuova giur. civ. comm., 2017, II, 1410 ss.; e in certo modo anche C. Salvi, Il risarcimento integrale del danno non patrimoniale, una missione impossibile. Osservazioni sui criteri per la liquidazione del danno non patrimoniale, in Eur. dir. priv., 2014, 518 ss. e in particolare 528.

[23] Belle pagine in A. Benedetti, Sanzionare compensando? Per una liquidazione non ipocrita del danno non patrimoniale, in Riv. dir. civ., 2019, 222 ss. e in particolare 230 ss.; e in M. Maggiolo, Microviolazioni e risarcimento ultracompensativo, in Riv. dir. civ., 2015, 92 ss.

[24] Vi fa costante ritorno C. De Menech, Le prestazioni pecuniarie sanzionatorie, cit., in particolare 144 ss.

[25] Lo osserva anche M.S. Tregnago, Osservazioni sui danni punitivi, a proposito di un libro recente, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, 501.

[26] Cfr., fra le meno risalenti – e senza pretese di completezza – Cass., 29 maggio 1996, n. 4991, in Danno e resp., 1997, 41 ss., con nota di E. Navarretta; Cass., 16 maggio 2003, n. 7632, in Resp. civ. prev., 2003, 1049 ss., con nota di M. Facci; Cass., 12 luglio 2006, n. 15760, ivi, 2006, 2057 ss., con nota di N. Chindemi; e Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972, consultata in De Jure (sia pure, quest’ultima, con un serio tentativo di trovare punti di convergenza tra le contrapposte esigenze e vedute); su questa prima èra della nostra giurisprudenza, invero piuttosto magmatica, cfr., per uno sguardo di sintesi, F. Busnelli, Figure controverse di danno alla persona nella recente evoluzione giurisprudenziale, in Resp. civ. prev., 1990, 469 ss.

[27] Corte cost., 27 ottobre 1994, n. 372, consultata in https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia. do?anno=1994
&numero=372
, sentenza che si pone in ideale continuità con l’ormai datata Cass., sez. un., 22 dicembre 1925, n. 3475, in Giur. it., 1926, I, 1, 224 ss. e in Foro it., 1926, I, 328 ss.

[28] Così, la «coraggiosa» Cass., 23 gennaio 2014, n. 1361, in Resp. civ. prev., 2014, 492 ss., con nota di C.M. Bianca, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, 396 ss., con nota di A. Gorgoni, in Foro it., 2014, I, 719 ss., con nota di A. Palmieri, R. Pardolesi, e in Danno e resp., 2014, 363 ss., con nota di G. Ponzanelli, G. Foffa.

[29] Cass., sez. un., 22 luglio 2015, n. 15350, in Corr. giur., 2015, 1203 ss., con nota di F. Busnelli, in Foro it., 2015, I, 2682 ss., con nota di A. Palmieri, R. Pardolesi (la restaurazione operata dalle sezioni unite ha incontrato il plauso di parte della dottrina: cfr., fra i molti, E. Navarretta, La «vera» giustizia e il «giusto» responso delle S.U. sul danno tanatologico jure hereditario, in Resp. civ. prev., 2015, 1416 ss.; C. Castronovo, Il danno non patrimoniale nel cuore del diritto civile, in Eur. dir. priv., 2016, 293 ss., ma in particolare 300; più dialogante, M. Faccioli, Il problema della risarcibilità del danno tanatologico fra discrezionalità dell’in­terprete e teoria dell’argomentazione, in questa rivista, 2016, 72 ss.). Le sentenze successive, per lo meno di legittimità, sembrano dare seguito all’insegnamento ripristinato dalle sezioni unite del 2015.

[30] E. Navarretta, Come risarcire le tre voci di danno quando la vittima muore, in Resp. civ. prev., 1991, 467 ss. (a riprova che il tema non è poi così nuovo); G. Ponzanelli, Le Sezioni unite e il danno tanatologico, in Danno e resp., 2015, 909 ss.; in prospettiva diversa, M. Dellacasa, Rinnovamento e restaurazione nel risarcimento del danno da morte, in Riv. dir. civ., 2015, 1278 ss.

[31] Sul punto C. Castronovo, Del non risarcibile aquiliano: danno meramente patrimoniale, c.d. perdita di chance, danni punitivi, danno c.d. esistenziale, in Europa dir. priv., 2008, 340 ss. (ove una serrata critica alle tesi di G. Bonilini, Il danno non patrimoniale, Giuffrè, 1983, 296 ss.); F. Busnelli, Deterrenza, responsabilità civile, cit., 934 ss.; e M. Franzoni, Il danno risarcibile, in Id. (diretto da), Trattato della responsabilità civile, II ed., Giuffrè, 2010, 391 ss.

[32] Un cenno, se ben colto, in F. Busnelli, La «dottrina delle corti» e il risarcimento del danno alla persona, in Danno e resp., 2014, 461ss. e in particolare 467 ss.; e in M. Barcellona, La responsabilità civile, cit., 369-370; in termini più ampi già S. Mazzamuto, Il rapporto tra gli artt. 2059 e 2043 c.c. e le ambiguità delle Sezioni Unite a proposito della risarcibilità del danno non patrimoniale, in Contr. impr., 2009, 589 ss.

[33] Più ampiamente, E. Navarretta, Il risarcimento in forma specifica e il dibattito sui danni punitivi tra effettività, prevenzione e deterrenza, in G. Grisi (a cura di), Processo e tecniche di attuazione dei diritti, Jovene, 2019, 227 ss.; e M. Dellacasa, Punitive damages, risarcimento del danno, sanzioni civili: un punto di vista sulla funzione deterrente della responsabilità aquiliana, in Contr. impr., 2017, 1142 ss.

[34] Fra le molte voci, F. Quarta, Risarcimento e sanzione, cit., 243 ss.; precedentemente, G. Ponzanelli, I punitive damages nell’esperienza nordamericana, in Riv. dir. civ., 1983, I, 435 ss.; Id., I danni punitivi, in Nuova giur. civ., 2008, II, 25 ss.; e R. Pardolesi, voce Danni punitivi, in Dig. IV, disc. priv. (sez. civ.), Agg., I, Utet, 2007, 452 ss.

[35] Cfr. C. Castronovo, Del non risarcibile aquiliano, cit., 326 ss.; C. Scognamiglio, Danno morale e funzione deterrente della responsabilità civile, in Resp. civ. prev., 2007, 2485 ss. e in particolare 2490 ss.; e P. Sirena, Il risarcimento dei c.d. danni punitivi e la restituzione dell’arricchimento senza causa, in Riv. dir. civ., 2006, II, 531 ss.; per un riepilogo dei principali problemi che concernono i danni punitivi nella prospettiva di civil law, F. Busnelli, Deterrenza, responsabilità civile, cit., 909 ss. e 925 ss.; S. Patti, Il risarcimento del danno e il concetto di prevenzione, in Riv. dir. comm., 2011, II, 295 ss.; Francesca Benatti, Il danno nell’azione di classe, in Danno e resp., 2011, 14 ss.; di recente G. Perlingieri, G. Zarra, Ordine pubblico interno e internazionale tra caso concreto e sistema ordinamentale, ESI, 2019, 167-168; A. Montanari, Del «risarcimento punitivo» ovvero dell’ossimoro, cit., passim ma in particolare 387 ss.; con riguardo alla materia del danno antitrust, di perdurante interesse, A. Toffoletto, Il risarcimento del danno nel sistema delle sanzioni per la violazione della normativa antitrust, Giuffrè, 1996, 179 ss.; e E. Camilleri, Contratti a valle, rimedi civilistici e disciplina della concorrenza, Jovene, 2008, 337 ss. (nonché Id., Azione di classe a tutela dei consumatori e comportamenti anticoncorrenziali: criticità [e velleità] di un tentativo di trade off, in AIDA, 2010, 427-428); con riferimento alla class action nordamericana, A. Frignani, P. Virano, La class action nel diritto statunitense: tentativi (non sempre riusciti) di trapianto in altri ordinamenti, in Dir. econ. assic., 2009, 26 ss.; e per uno sguardo, ormai «invecchiato», al dibattito tedesco, P. Mankowski, Crossing the Rhine – On the Enforceability of U.S. Class Action Judgments and Settlements in Germany, in Contr. impr./Europa, 2007, 613 ss.

[36] Potrebbe invece aver senso sovvenzionare la lite, così da agevolare l’accesso alla giustizia, anche per il tramite di enti privati, fenomeno ancora ai primordi fuori del mondo anglo-americano (ma di third party funding inizia a discutersi pure sul suolo europeo, come riferiscono E. D’Alessandro, C. Poncibò, European Parliamentary Research Service, Responsible private funding of litigation. European Added value assessment, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, 919 ss.).

[37] Cfr., nella nostra dottrina, A. Giussani, Azioni collettive, danni punitivi e deterrenza dell’illecito, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, 239 ss. In senso contrario, S. Menchini, A. Motto, L’azione di classe dell’art. 140 bis c. cons. (legge 23 luglio 2009, n. 99), in Nuove leggi civ. comm., 2010, 1423. Anche negli Stati Uniti l’applicazione di punitive damages nelle azioni di classe incontra, non da oggi, un principio di contenimento: lo ricordava, tra gli altri, B. Großfeld, Risikobegrenzung!?, in RIW, 2003, n. 8, I; e lo ricorda C. De Menech, Le prestazioni pecuniarie sanzionatorie, cit., 247.

[38] Gli esempi si sprecano: per l’ormai «classica» materia ambientale cfr. U. Salanitro, Il danno ambientale tra interessi collettivi e interessi individuali, in Riv. dir. civ., 2018, 246 ss.

[39] Fra i molti, M. Maggiolo, Microviolazioni e risarcimento, cit., 92 ss.

[40] Supra, parr. 2-3. C’è anche un dibattito italiano sulla risarcibilità del non patrimoniale in sede di class action: App. Roma, (ord.) 27 gennaio 2012, inedita (a quanto consta); App. Torino, (ord.) 26 gennaio 2012, anch’essa inedita (sempre a quanto consta), ove si dice: “Non rileva, dunque, in concreto, […] la qualità o quantità del pregiudizio patrimoniale affermato, né pare corretto escludere a priori l’esperibilità dell’azione di classe a tutela dei diritti non patrimoniali, per definizione personali, non avendo il legislatore posto alcun distinguo in merito alla natura del danno tutelabile”; e infine, ma obiter, App. Torino, ord. 25 ottobre 2010, in Foro it., 2010, I, 3530 ss., con nota di De Santis, in Nuova giur. civ., 2011, I, 502 ss., con nota di Libertini, Maugeri, in Corri. giur., 2011, 525 ss., con nota di Zuffi, in Danno e resp., 2011, 71 ss., con nota di Frata; e commentata anche da Poli, Sulla natura e sull’oggetto dell’azione di classe, in Riv. dir. proc., 2012, 38 ss., la quale ammette che l’azione di classe possa essere orientata a far valere il danno «patrimoniale o, al limite, anche non patrimoniale»; quanto alla dottrina, in senso sostanzialmente affermativo, pur con molte sfaccettature, C. Consolo, B. Zuffi, L’azione di classe ex art. 140-bis, cit., 90 ss., in particolare nota 39; M. Libertini, Pratiche commerciali scorrette e azione, cit., 159-160; C. Scognamiglio, Risarcimento del danno, restituzioni e rimedi nell’azione di classe, in Resp. civ. e prev., 2011, in particolare 511 ss.; in breve, G. Alpa, L’art. 140-bis del codice del consumo nella prospettiva del diritto privato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 391.

[41] C. De Menech, Le prestazioni pecuniarie sanzionatorie, cit., in particolare 40 ss., 183 ss. e 245 ss.; precedentemente A. Ciatti Càimi, I danni punitivi e quello che non vorremmo sentirci dire dalle corti di common law, in Contr. impr./Europa, 2017, 1 ss.

[42] È però vero come «la stragrande maggioranza delle decisioni finora giunte dinanzi alle nostre corti per ottenere il riconoscimento recassero punitive damages liquidati a seguito di vicende di products liability, ambito in cui l’imputazione oggettiva della responsabilità costituisce la regola generale» (così C. De Menech, Le prestazioni pecuniarie sanzionatorie, cit., 243); ma il dato non è d’univoca lettura: le sentenze sulla responsabilità da prodotto sono quelle che più e meglio di altre possono circolare da un ordinamento all’altro, quando il produttore sia transfrontaliero o quando il prodotto esprima una potenzialità lesiva su larga scala. Difficile trarne conclusioni certe.

[43] Un’idea che giustamente ama la proporzionalità (e dunque la prevedibilità): C. De Menech, Le prestazioni pecuniarie sanzionatorie, cit., 253 ss. e in particolare 264.

[44] La conclusione apparirebbe certamente riduttiva, semplicistica, a M. Bussani, Le funzioni delle funzioni della responsabilità civile, in Riv. dir. civ., 2022, 264 ss. e segnatamente 288 ss.

[45] E più in generale diventa arduo conciliare tutto ciò con l’idea del «giusto rimedio», sinonimo di ragionevolezza, un’idea tradizionale, ma recentemente riproposta come cardine del sistema: cfr., per tutti, G. Perlingieri, Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, ESI, 2015, 87 ss.

[46] Per echeggiare le pagine di B. Rüthers, La rivoluzione clandestina. Dallo Stato di diritto allo Stato dei giudici, trad. it. a cura di G. Stella, Mucchi, 2018, passim. La discrezionalità del giudice, qui certamente in gioco, è un altro profilo che esacerba il dibattito (tra i molti, V. Di Gregorio, La calcolabilità del danno non patrimoniale, Giappichelli, 2018, in particolare 37 ss.; e ancora C. De Menech, Le prestazioni pecuniarie sanzionatorie, cit., 262 ss.).

[47] Cass., sez. un., 5 luglio 2017, n. 16601, in Foro it., 2017, I, c. 2613 ss., con note di A. Palmieri, R. Pardolesi (2630 ss.), E. D’Alessandro (2639 ss.), R. Simone (2644 ss.), P.G. Monateri (2648 ss.), come noto nel quadro di un procedimento di delibazione di una sentenza straniera; sui profili della sentenza, fra i molti, L. Nivarra, La Cassazione e il punitive damage: un mondo piccolo per grandi danni, in L. Nivarra e A. Plaia (a cura di), I mobili confini del diritto privato, Giappichelli, 2018, 5 ss.; G. Ponzanelli, Danni punitivi: oltre la delibazione di sentenze straniere?, in questa rivista, 2018, 42 ss.; ampiamente M. Grondona, La responsabilità civile tra libertà individuale e responsabilità sociale, ESI, 2017, 105 ss.; e L. Coppo, The Grand Chamber’s Stand on the Punitive Damages Dilemma, in Italian Law Journal, 2017, 605 ss.

[48] Per un più generale ripensamento della struttura e delle funzioni della responsabilità civile nella contemporaneità cfr., fra gli altri, P. Trimarchi, Rischio e responsabilità oggettiva, Giuffrè, 1961, 11 ss.; S. Rodotà, Modelli e funzioni della responsabilità civile, in Riv. crit. dir. priv., 1984, 597; M. Barcellona, Funzione e struttura della responsabilità civile: considerazioni preliminari sul “concetto” di danno aquiliano, in Riv. crit. dir. priv., 2004, 211 ss.; P. Perlingieri, Le funzioni della responsabilità civile, in Rass. dir. civ., 2011, 115 ss.; più di recente A. Di Majo, Rileggendo Augusto Thon, in merito ai c.d. danni punitivi dei nostri giorni, in Eur. dir. priv., 2018, 1314 ss.; e G. Perlingieri, G. Zarra, Ordine pubblico interno e internazionale, cit., in particolare 175-177.

[49] Può dirsi con ciò superata una giurisprudenza più risalente ed assai meno incline ad accogliere, già solo in via prospettica, l’idea della sovra-compensazione o della natura potenzialmente punitiva della colpa aquiliana: cfr., per questa più antica giurisprudenza, Cass., 19 gennaio 2007, n. 1183, in Foro it., 2007, I, 1460 ss., con note di S. Palmieri, G. Ponzanelli; in Giur. it., 2007, 2724 ss., con nota di V. Tomarchio, nonché ibidem, 2008, 395 ss., con nota di A. Giussani; in Danno e resp., 2007, 1125 ss., con nota di R. Pardolesi; in Assic., 2007, II, 153 ss., con nota di M. Rossetti; in Resp. civ. e prev., 2007, 1890 ss., con nota di S. Ciaroni; e in Corr. giur., 2007, 497 ss., con nota di Fava; un commento anche in E. D’Alessandro, Pronunce americane di condanna al pagamento di punitive damages e problemi di riconoscimento in Italia, in Riv. dir. civ., 2007, I, 383 ss.; nella giurisprudenza di merito, App. Trento, 16 agosto 2008, in Danno e resp., 2009, 92 ss., con nota di G. Ponzanelli.

[50] Anche perché, come giustamente sottolineato, la polifunzionalità della responsabilità civile non significa necessariamente che all’interno delle sue funzioni vi sia (o debba esservi) quella sanzionatoria: così C. Castronovo, Responsabilità civile, Giuffrè, 2018, 186 ss; cfr. anche M. Astone, Responsabilità civile e pluralità di funzioni nella prospettiva dei rimedi. Dall’astreinte al danno punitivo, in Contr. impr., 2018, 279 ss.

[51] In tema, ampiamente, A. Montanari, Il danno antitrust, Cedam, 2019, 33 ss.

[52] Corte giust. CE, 13 luglio 2006, cause da C-295/04 a C-298/04, in particolare §§ 92-97.

[53] Corte giust. CE, 20 settembre 2001, causa C-453/99.

[54] In tal senso pure il considerando 4 dir. 2014/104/UE; e nella nostra giurisprudenza di merito, Trib. Treviso, 30 luglio 2018, e Trib. Napoli, 1° marzo 2019, entrambe inedite, a quanto consta (per esemplificare, nei casi di cartello o c.d. abuso per sfruttamento la vittima dell’illecito anticompetitivo patirà un danno emergente pari alla differenza tra il prezzo effettivamente pagato e quello che avrebbe pagato in assenza del sovrapprezzo illecito; e in questa ipotesi, assodata la traslazione integrale di tale sovrapprezzo in capo all’acquirente «a valle», plurimi sono i modelli di calcolo: cfr., fra i molti, Prosperetti, Pani, Tomasi, Il danno antitrust, Bologna, 2009, passim; e F. Longobucco, Violazione di norme antitrust e disciplina dei rimedi nella contrattazione “a valle”, ESI, 2009, passim). Qualora la vittima abbia adoperato il bene acquistato col sovrapprezzo all’interno del proprio ciclo produttivo o distributivo e ciò l’abbia indotta ad aumentare i prezzi praticati agli aventi causa, determinandosi così una contrazione delle vendite, potrà vantare il lucro cessante da mancato introito. Se invece l’abuso è di tipo escludente, un damnum emergens sarà dato dalla vanificazione degli investimenti specifici effettuati ed un lucrum cessans dalla perdita dei profitti che l’impresa avrebbe ragionevolmente maturato grazie alla propria attività produttiva o distributiva (tra gli altri, L. Castelli, Disciplina antitrust e illecito civile, Giuffrè, 2012, 181 ss.; e A. Genovese, Il risarcimento del danno da illecito concorrenziale, ESI, 2005, passim). Deve giudicarsi risarcibile pure la perdita di chance – come nel danno da abuso escludente, ove il danneggiato perda l’opportunità d’espandere la propria produzione o distribuzione ed entrare così in mercati appetibili –, a prescindere dalla circostanza che detta perdita sia fatta ricadere nella sotto-classe del danno emergente o in quella del lucro cessante, vista la sicura inclusione dell’una e dell’altra nella quantificazione in oggetto (sul punto, App. Milano, 18 luglio 1995, leading case per la rilevanza della perdita di chance nell’area dell’illecito anticoncorrenziale). Anche l’accumulo di minore liquidità e il mantenimento di una più bassa soglia di competitività generale, in quanto possano precludere nuovi investimenti o aggravare l’esborso per investimenti già programmati, con conseguente restrizione dei profitti, sono risarcibili sotto forma di perdita di chance, sempre a patto di puntuale allegazione e prova, sorretta da evidenze empiriche (resta di fondamentale importanza quanto illustrato nel 2013 dalla Commissione UE nella «Comunicazione sulla quantificazione del danno nelle azioni di risarcimento fondate sulla violazione dell’art. 101 o 102 Tratt. FUE [2013/C 167/07]», cui è annessa una «Guida pratica», come da §§ 10-16 della Comunicazione stessa). Neppure può escludersi un danno all’immagine, ove ad es. l’esclusione dal mercato di riferimento abbia influito negativamente sulla reputazione dell’impresa vittima dell’abuso escludente.

[55] In realtà l’idea della sovra-compensazione, come s’esprime l’art. 1, comma 2, d.lgs. 3/2017, non fu estranea ai lavori preparatori della dir. 2014/104/UE, al punto che il Libro Verde (a p. 7) l’aveva espressamente annoverata fra le opzioni possibili, salvo scomparire del tutto dal successivo Libro Bianco (cfr. S. Bastianon, Tutela risarcitoria antitrust, nesso causale e danni “lungolatenti”, in Corr. giur., 2007, 648 ss.).

[56] Però il giudizio sul d.lgs. 3/2017 – e su quel che l’ha preceduto, in Italia e in Europa – non dev’essere sminuzzato pezzo per pezzo, ma deve puntare al quadro complessivo: vero è infatti che il citato art. 1, comma 2, d.lgs. n. 3/2017 esplicita tout court un divieto di sovra-compensazione; vero è anche però che altre norme salienti, come gli artt. 12, comma 2, e 14, comma 2, tendono a favorire la maggiore effettività possibile del risarcimento antitrust, se pure in direzioni diverse dal rigonfiamento del quantum (cfr., già prima dell’ingresso sulla scena del decreto-antitrust, S. Bastianon, Tutela risarcitoria antitrust, cit., 648 ss.; M. De Cristofaro, Onere probatorio e disciplina delle prove quale presidio di efficienza del private antitrust enforcement, in AIDA, 2015, 114 ss.). Che non sia questa la strada giusta? Più effettività, ma senza «pena» per il danneggiante? Ecco una nuova ipotesi di retroazione del diritto secondo sul diritto primo, della normativa speciale su quella generale.

[57] Fra gli altri, M. Barcellona, Funzione compensativa della responsabilità, cit., 57 ss.; F. Denozza, A. Toffoletto, Funzione compensatoria ed effetti deterrenti, cit., 193 ss.; A. Montanari, Il danno antitrust, cit., 62 ss.; di recente, F. Mezzanotte, Effettività delle tutele e funzioni della responsabilità civile (dalla prospettiva del ‘danno antitrust’), in G. Passagnoli, F. Addis, G. Capaldo, A. Rizzi, S. Orlando (a cura di), Liber Amicorum per Giuseppe Vettori, in www.personaemercato.it, 2022, 2305 ss.

Fascicolo 5 - 2022