Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Riflessioni sul trust: i punti d´arrivo della metabolizzazione in Italia nell´attesa di una disciplina interna (di Matteo Pellegrini, Dottorando – Università degli Studi di Bologna)


Il modello giuridico del trust è ‘permeato’ in svariati Paesi del mondo occidentale, ivi inclusi quegli ordinamenti le cui radici giuridiche affondano nella civil law. In Italia, nell’ultimo ventennio, l’istituto ha registrato una diffusione esponenziale, dando vita, tra l’altro, ad una copiosa produzione giurisprudenziale da parte della Corte di Cassazione. I vantaggi dello strumento del trust sotto i profili della flessibilità, praticità d’uso, economicità e professionalità del gestore del fondo fanno comprendere come il modello giuridico del trust sia circolato nel nostro ordinamento, peraltro in branche del diritto tra loro eterogenee. I giuristi italiani hanno dunque fatto ‘shopping’ di un istituto che nel nostro ordinamento non trovava (e ancora ad oggi non trova) eguali. In particolare, il trust si è dimostrato particolarmente efficace per il passaggio generazionale, per la tutela del patrimonio in ambito familiare nonché per perseguire fini filantropici. Tuttavia, l’Italia si pone in contrasto con la tendenza di vari ordinamenti di civil law, come la vicina Repubblica di San Marino, che hanno già tradotto il trust all’interno della legislazione domestica. Tra interventi normativi settoriali e disorganici, sembra aver preso spazio l’interessante proposta del d.d.l. 1452/2019, la cui portata innovativa consiste nel forgiare uno strumento ‘domestico’, l’affidamento fiduciario, che possa competere con l’istituto di matrice anglosassone.

Parole chiave: Trust – affidamento fiduciario – Convenzione dell’Aja – civil law – ESG. 

Food for thoughts on trust: the endpoints of its implementation in Italy awaiting domestic legislation

The legal model of trust has ‘permeated’ in various countries of the Western world, including those whose legal roots lie in civil law. In Italy, in the last twenty years, the instrument has seen an exponential spread, giving rise, among other things, to a copious production of case law by the Court of Cassation. The advantages of the trust instrument in terms of flexibility, practicality of use, cost-effectiveness and professionalism of the trustee show how the legal model of the trust has circulated in our legal system, albeit in heterogeneous branches of the law. Italian jurists have therefore 'shopped' for an institution that was (and still is) unparalleled in the Italian legal system. In particular, the trust has proved to be particularly effective for generational transfers, for the protection of family assets and for philanthropic purposes. However, Italy is in contrast with the trend of various civil law systems, such as the neighbouring Republic of San Marino, which have already translated the trust into their domestic legislation. Amidst sectorial and disorganised regulatory interventions, the interesting proposal of d.d.l. 1452/2019 seems to have gained ground, whose innovative scope consists in forging a ‘domestic’ instrument, the ‘affidamento fiduciario’, to compete with the Anglo-Saxon instrument.

Keywords: Trust – trusteeship – Hague Convention – civil law – ESG.

SOMMARIO:

1. Lo strumento del trust: struttura e funzionamento - 2. Il successo del trust in Italia: le possibili applicazioni - 3. Il trust come modello giuridico: la metabolizzazione nel nostro ordinamento - 4. Spunti comparatistici: il vicino (e buon) esempio della Repubblica di San Marino - 5. La prospettiva di una disciplina interna: il d.d.l. Riccardi sul contratto di affidamento fiduciario - NOTE


1. Lo strumento del trust: struttura e funzionamento

A più di trent’anni dalla ratifica in Italia della Convenzione dell’Aja del 1985, sorge spontaneo interrogarsi su quali siano i punti di arrivo dello sviluppo del trust in Italia. Nonostante le numerosissime pronunce giurisprudenziali sul tema, il legislatore italiano, discostandosi dalla tendenza riscontrata negli altri ‘vicini’ ordinamenti di civil law [1], non ha adottato una disciplina organica sull’istituto, limitandosi ad alcuni sporadici interventi circoscritti, tra l’altro, alla materia fiscale. Ancora ad oggi, infatti, il giurista italiano che redige l’atto istitutivo di trust deve richiamare una legge regolatrice straniera, scegliendola tra quegli ordinamenti che già possiedono una loro normativa. Prima di poter analizzare lo stato dell’arte del trust in Italia e di delinearne le possibili prospettive evolutive, occorre fare qualche passo indietro. Lo strumento del trust nasce nell’impianto sociale e normativo dell’Inghilterra medievale [2] e può essere rappresentato, in linea generale, come un rapporto giuridico atto principalmente a scindere la legal ownership dalla beneficial ownership, dando vita ad una segregazione patrimoniale. L’effetto segregativo ha come principale conseguenza l’impossibilità da parte dei creditori personali del trustee di aggredire i beni conferiti in trust [3]. Sebbene una segregazione perfetta [4] comporterebbe anche una irraggiungibilità del patrimonio personale del trustee per i creditori del trust, ciò non si verifica nel diritto inglese: non vi è reciprocità del fenomeno segregativo, dal momento che il concetto di separazione patrimoniale mira alla protezione dei beneficiari e non a salvaguardare i beni del trustee, sicché quest’ultimo risponde anche con il proprio patrimonio dei debiti incorsi durante l’attività di amministrazione e gestione del trust [5]. Inoltre, affinché il trustee venga esonerato da responsabilità, non è sufficiente che quest’ultimo dichiari di agire come trustee, ma che emerga dall’interpretazione del contratto nel suo complesso un’evidente intenzione delle parti di escludere tale responsabilità personale. Tuttavia, la reciprocità nel fenomeno di separazione non è esclusa aprioristicamente in altri ordinamenti appartenenti all’area culturale di [continua ..]


2. Il successo del trust in Italia: le possibili applicazioni

Il trust, dunque, si esplica essenzialmente nella gestione da parte di un soggetto (trustee) di un patrimonio mirata al raggiungimento degli obiettivi prefissati dal disponente che, nella maggior parte dei casi, coincide con il soggetto che si priva di tale patrimonio per destinarlo alla realizzazione dei predetti obiettivi [15]. Il programma predeterminato consiste nell’attribuire un vantaggio ad uno o più soggetti (beneficiari) oppure nel perseguire uno specifico scopo. In linea generale, dunque, il trust, nel concreto, può rivelarsi uno strumento utile ogniqualvolta vi sia un soggetto con un particolare obiettivo da perseguire con riferimento ad un determinato patrimonio. Già solo da una considerazione di questo tenore emerge quanto il trust sia uno strumento flessibile, che prevende una struttura sufficientemente ampia da adattarsi e far fronte alle più disparate esigenze. Tale duttilità viene confermata dalla possibilità di scegliere uno o più trustee, di predeterminare i beneficiari o di predisporre un discretionary trust (con successiva nomina dei beneficiari), di scegliere la legge regolatrice del trust e, eventualmente, una legge diversa per l’amministrazione del fondo (che corrisponderà alla legge della giurisdizione in cui risiede il trustee). Il principale merito del trust rimane, però, la capacità di dar vita ad un fenomeno di segregazione patrimoniale, nello specifico fra quello che è il ‘patrimonio’ del trust, costituito dai beni conferiti dal disponente nel fondo, e il patrimonio di colui che gestisce ed amministra il fondo, ossia il trustee. L’effetto segregativo che nasce dal rapporto giuridico che si instaura con il trust fornisce sicurezza e separazione principalmente sotto tre profili [16]. La prima protezione che ne deriva consiste nel proteggere il fondo in trust da tutte le vicende personali che possono avere un impatto negativo sulla persona e sulla sfera patrimoniale del trustee. Così anche nel caso di fallimento, pretese creditorie o aggressioni patrimoniali dei più disparati generi del patrimonio del trustee, il fondo costituito rimarrà intatto. Il secondo profilo di protezione si riferisce, invece, agli eventi che possono colpire, in questo caso, la figura del disponente. Difatti, i rischi materiali e immateriali che possono colpire il patrimonio di un individuo sono svariati. Una prima [continua ..]


3. Il trust come modello giuridico: la metabolizzazione nel nostro ordinamento

Si è visto dunque come gli operatori del diritto in Italia hanno trovato nel trust quelle esigenze di flessibilità, efficienza e riservatezza non riscontrabili in altri istituti affini all’interno del nostro ordinamento. Si è dunque verificato un fenomeno di shopping [24] del diritto al di fuori dei confini nazionali, in ordinamenti dove le predette esigenze trovavano una risposta maggiormente efficace. Il concetto di shopping del diritto non è un qualcosa di avulso al sistema giuridico italiano ma anzi viene proprio ammesso dalla Convenzione di Roma del 1980 sulle obbligazioni contrattuali, il cui art. 3 stabilisce che i cittadini di uno Stato possano, per contratto, scegliere il diritto di uno Stato terzo, prevedendo quale limite il rispetto delle norme imperative interne. Tuttavia, anche tale limite è superabile laddove apposite convenzioni internazionali lo consentano. È proprio quanto accaduto in materia di trust con la Convenzione dell’Aja del 1985, che ha permesso ai cittadini di Paesi di civil law di fruire di uno strumento assai appetibile come quello del trust così come concepito negli ordinamenti di origine. Seguendo una tale impostazione, «una figura di common law può, per i vantaggi che è suscettibile di offrire, essere utilizzata da cittadini di civil law, senza che un simile innesto provochi rigetto da parte del sistema che lo accoglie» [25]. L’ultranazionalità del diritto statutale, ossia la sua applicazione al di fuori dei confini nazionali dello Stato che lo ha prodotto è uno dei due effetti della globalizzazione dell’economia che, da un lato conduce alla formazione di un diritto non statuale, la lex mercatoria, dall’altra agisce appunto sul principio stesso di nazionalità [26]. Il diritto rappresenta un processo in continua evoluzione e spesso la risposta alle esigenze della nuova società è il frutto di emulazione di modelli giuridici stranieri. Tale orientamento si basa dunque sull’idea di circolazione del diritto. Ciò comporta che laddove determinati ordinamenti siano in grado di plasmare «nuovi e migliori modelli di soluzione di problemi reali» [27] che vengono percepiti anche nei Paesi confinanti, ecco che il modello inizierà a circolare anche in questi ultimi. Se, tuttavia, in passato la circolazione riguardava principalmente modelli [continua ..]


4. Spunti comparatistici: il vicino (e buon) esempio della Repubblica di San Marino

L’inerzia del legislatore italiano si pone in antitesi con la tendenza degli altri ‘vicini’ Paesi di civil law. Volgendo lo sguardo non troppo lontano, infatti, la Repubblica di San Marino, che, insieme all’Italia, è stata fra i primi cinque Paesi con una tradizione di civil law a ratificare la Convenzione dell’Aja, è stata pioniera nell’emanazione di una legge interna che disciplinasse in maniera organica lo strumento del trust. Pochi mesi dopo la ratifica della Convenzione, infatti, vennero emanate due leggi: la l. 17 marzo 2005, n. 37 (oggi sostituita dalla l. 1° marzo 2010, n. 42 e successive modifiche), recante una disciplina organica degli aspetti civilistici del trust, e la l. 17 marzo 2005, n. 38 (ad oggi ancora in vigore) per regolamentare gli aspetti fiscali dell’istituto. La legge di San Marino sul trust replicava fedelmente i capisaldi dello strumento di origine anglosassone che erano stati parzialmente riflessi anche all’interno della Convenzione dell’Aja. Tuttavia, la legge del 2005, come d’altronde la maggior parte delle leggi allora esistenti in materia di trust, era inevitabilmente basata sul modello legislativo inglese [49] e, in particolare, sul Trustee Act del 1925. Tali normative, che rappresentano ancora ad oggi in diversi Paesi la base della legislazione in forza della quale vengono istituiti i trust, restano, tuttavia, ancorate al modello di trust inglese, rivelandosi inadatte ad operazioni di pianificazione patrimoniale che abbiano carattere transnazionale o che si affaccino al mondo off-shore [50]. Inoltre, fattore ancor più rilevante, i giuristi degli ordinamenti di civil law hanno iniziato ad avvertire l’esigenza di una legislazione che presentasse quei caratteri di organicità e completezza che il modello inglese ontologicamente non presenta, in quanto costantemente alimentato e modificato dal diritto positivo. È così che nasce modello di trust ‘internazionale’ [51] che si ebbe per la prima volta con la Trust Jersey Law del 1984, emanata in un ordinamento – quello di Jersey – che, nonostante gli influssi passati del common law, si basa prevalentemente sul diritto consuetudinario normanno-francese proprio dei Paesi di civil law. La legge di Jersey con le sue successive modifiche riscosse da subito grande successo e, grazie soprattutto all’attenzione verso il nuovo [continua ..]


5. La prospettiva di una disciplina interna: il d.d.l. Riccardi sul contratto di affidamento fiduciario

La ratifica della Convenzione dell’Aja da parte dell’Italia ha comportato una sempre maggior diffusione dello strumento del trust, che è culminata nello sviluppo del cosiddetto ‘trust interno’. Tale categoria è oggi comunemente impiegata per designare un trust i cui elementi significativi sono collegati al nostro ordinamento giuridico, ma che è disciplinato da una legge straniera. Inizialmente, tuttavia, la figura del ‘trust interno’ non venne sostenuta ed accolta dalla dottrina, preoccupata dalle ripercussioni che un istituto come il trust avrebbe potuto avere sull’ordinamento giuridico [58]. Nello specifico, principale oggetto di discussione fu l’apparentemente problematico impatto del trust sulla garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 cod. civ. e sul principio del numero chiuso dei diritti reali. Tali obiezioni, tuttavia, sono rimaste circoscritte ad orientamenti dottrinali e giurisprudenziali di carattere minoritario. Difatti, è stato agevole contro-argomentare che la stessa garanzia patrimoniale generica non è da assurgere al rango di supremo (e quindi inderogabile) principio di ordine pubblico economico in quanto, proprio l’art. 2740 cod. civ., al comma 2, prevede che la responsabilità del debitore possa subire delle limitazioni, laddove previsto dalla legge. Il nostro ordinamento, infatti, già conosce limitazioni in questo senso, come, ad esempio, la disciplina del fondo patrimoniale, l’istituto dell’accettazione di eredità con beneficio di inventario o, ancora, i vincoli di destinazione ex art. 2645-ter cod. civ. ed i patrimoni destinati ad uno specifico affare ex art. 2447-bis ss. cod. civ. [59]. Ecco, dunque, che ci si è interrogati se la Convenzione dell’Aja, oltre a contenere norme di diritto internazionale privato, possa qualificarsi come strumento di diritto materiale uniforme, con la conseguenza di trasformarsi, a seguito di ratifica, in vera e propria normativa interna [60]. Tale interrogativo è stato risolto positivamente dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalente, le quali rinvengono nel disposto dell’art. 11 della Convenzione dell’Aja il dato normativo giustificativo che legittima il generarsi di un patrimonio separato ogni qualvolta si istituisca un trust interno dotato delle caratteristiche che lo rendono riconoscibile ai sensi della Convenzione [61]. [continua ..]


NOTE
Fascicolo 5 - 2022