La responsabilità da inadempimento e la responsabilità da fatto illecito hanno oggi il medesimo compito di proteggere determinati interessi in caso di lesioni dannose. Pertanto, non si può più ritenere che la responsabilità civile assolva ad una preminente funzione sanzionatoria e deterrente. La funzione del risarcimento, invece, è perlopiù compensativa per i danni patrimoniali o satisfattiva per quelli non patrimoniali, anche se sfumature sanzionatorie e deterrenti non sono da escludere.
Parole chiave: Responsabilità da inadempimento / contrattuale – Responsabilità da fatto illecito / extracontrattuale / aquiliana – Tutela risarcitoria e tutela riparatoria – Funzione compensativa / satisfattiva / solidaristica / sanzionatoria / composita della responsabilità – Danni punitivi – Criteri di imputazione – Responsabilità soggettiva e oggettiva – Prova liberatoria – Garanzia e violazione del contratto.
Both liability for non-fulfillment and liability for tort aim today to protect certain interests in the event of a harmful injury. Therefore, it can no longer be stated that the function of civil liability is predominantly punitive and deterrent. The function of the claim, on the contrary, is mostly compensatory for pecuniary damages or satisfactory for non-pecuniary damages, even if punitive and deterrent shades are not to be excluded.
1. Responsabilità civile in senso lato come apparato di rimedi per la lesione di interessi giuridicamente rilevanti: tipologie e possibili funzioni della tutela - 2. Antiche ricostruzioni della responsabilità da fatto illecito e della responsabilità da inadempimento come sanzioni per la violazione di un “dovere” - 3.1. Progressivo superamento della qualificazione formale dell’interesse leso e della centralità di un dovere violato. Ruolo dell’“ingiustizia” nell’art. 2043 cod. civ. - 3.2. Ruolo dell’ingiustizia nell’art. 1218 cod. civ. La responsabilità da inadempimento quale species della responsabilità da fatto illecito - 4. Divergenza tra gli artt. 2043 e 1218 cod. civ. sotto il profilo dei criteri d’imputazione - 5.1. Varietà dei criteri d’imputazione nelle fattispecie settoriali di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale - 5.2. Fattispecie di responsabilità maggiormente rigorose per il criterio di imputazione o per l’irrilevanza della colpevolezza - 6. “Garanzia” e “violazione del contratto” come istituti che prescindono da un inadempimento in senso tecnico - 7. I c.d. “danni punitivi” - 8. Conclusioni. Interessi meritevoli di protezione quale baricentro delle due specie di responsabilità e attuale connotazione funzionale di entrambe. Dolo e colpa quali forme non sempre indifferenti di colpevolezza - NOTE
Gli interessi rilevanti per l’ordinamento giuridico [1] sono suscettibili di lesioni, che potrebbero generare danni. La responsabilità civile in senso lato [2] offre rimedio a questi ultimi [3].
L’art. 1223 c.c., dettato in materia di responsabilità contrattuale e richiamato in materia di responsabilità extracontrattuale dall’art. 2056, comma 1, cod. civ., identifica i pregiudizi risarcibili nella «perdita subita» (o “danno emergente”) e nel «mancato guadagno» (o “lucro cessante”). Queste espressioni alludono letteralmente a valori patrimoniali, ma vanno intese in un’accezione ampia, che ricomprenda utilità non patrimoniali e giustifichi una nozione altrettanto ampia di “patrimonio” [4].
Gli strumenti della responsabilità civile – principalmente – colmano il divario tra, da un lato, la situazione in cui il danneggiato viene a trovarsi in seguito all’inadempimento o all’illecito e, dall’altro, quella in cui si sarebbe ragionevolmente trovato se l’aspettativa connessa al suo interesse non fosse rimasta frustrata [5], ancorché una discutibile opinione tradizionale escluda che la responsabilità aquiliana consenta di collocare il danneggiato in una posizione migliore di quella anteriore alla violazione della sua sfera giuridica [6].
Ai sensi dell’art. 2058 cod. civ., la responsabilità civile, su richiesta del danneggiato e purché sia in tutto o in parte possibile, deve consistere in un “risarcimento in forma specifica” (anche detta “reintegrazione in forma specifica”) che elimini le conseguenze materiali della lesione [7]; ma il giudice può disporre un “risarcimento per equivalente” [8] nel caso in cui il primo tipo di tutela risulti eccessivamente oneroso per il responsabile. Ad ogni modo, nell’ipotesi in cui non si possa o voglia adempiere all’obbligazione risarcitoria in forma specifica, il risarcimento andrebbe tradotto in un’entità pecuniaria, pur da liquidare con criteri peculiari improntati al costo della restitutio in integrum o al valore d’uso del bene danneggiato [9].
La generica tutela apprestata dall’istituto della responsabilità, tuttavia, si tinge in concreto di sfumature funzionali diverse [10] a seconda delle circostanze nelle quali l’interesse protetto è stato leso e, soprattutto, della patrimonialità o non patrimonialità del pregiudizio [11].
La tutela è propriamente “risarcitoria” in presenza di un danno patrimoniale, che è stimabile attraverso parametri (di solito, “di mercato”) con i quali fissare un equivalente monetario oggettivo del bene perso o alterato in conseguenza della lesione illecita.
La funzione del “risarcimento” è o, perlomeno, può essere “compensativa”, giacché il denaro rientra nella gamma di valori del bene offeso e sostituisce un’utilità perduta. Il patrimonio del danneggiato, nonostante un’eventuale modificazione qualitativa, viene perfettamente reintegrato sul piano quantitativo [12].
La tutela è “riparatoria”, invece, in presenza di un danno non patrimoniale, che non è mai convertibile in un’entità monetaria equivalente. In tal caso, una somma di denaro può essere riconosciuta al danneggiato solo in via equitativa, con criteri di liquidazione che scongiurino arbìtri giudiziali, e si può parlare di risarcimento – come nel prosieguo si farà – unicamente in senso lato [13].
La funzione della “riparazione”, in astratto, potrebbe essere “sanzionatoria” [14], “solidaristica” [15], “satisfattiva” [16], “deterrente” [17] oppure “composita” [18], ma non propriamente compensativa, giacché il denaro ed il bene offeso sono valori tra loro incommensurabili.
Bisogna chiarire, dunque, quali siano le funzioni della tutela risarcitoria e della tutela riparatoria, in generale o in concreto, in entrambe le specie di responsabilità civile [19].
La distinzione tra responsabilità da inadempimento e responsabilità da fatto illecito è il riflesso di quella tra “obbligazione” – o “obbligo”, se si vuole utilizzare questo vocabolo come sinonimo, pur consci di opinioni difformi – e “doveri” [20], anche se una precisa definizione di tali situazioni giuridiche soggettive è ardua [21].
Secondo la tesi più plausibile, l’obbligazione è correlata ad un diritto di credito, che si caratterizza rispetto ad un mero dovere per l’indefettibile patrimonialità e la maggiore specificazione della condotta necessitata, per l’inserimento in un rapporto tra soggetti a priori determinati o determinabili (in particolare, per la determinatezza o determinabilità del soggetto che trae beneficio dalla condotta altrui) [22], nonché per la coercibilità. Se si concentra l’attenzione su quest’ultimo aspetto, il dovere è una regola di condotta che implica ex post la responsabilità di chi la trasgredisca, ma non rispecchia in capo al titolare dell’interesse protetto – al contrario di quanto può dirsi per un creditore – il potere di pretendere ex ante il comportamento prescritto [23].
Stando alle impostazioni classiche [24], il fatto illecito consisterebbe nella violazione o del generico divieto di neminem laedere, o di uno tra plurimi e specifici doveri di astensione – compendiabili nel neminem laedere solo sminuendone il significato – a protezione dei diritti soggettivi assoluti oppure, comunque, di situazioni giuridiche soggettive nominate [25], sicché l’obbligo di risarcire i danni avrebbe una funzione sanzionatoria [26]. La lesione di un diritto infrange, nel contempo, la norma che ne ha attribuito la titolarità e ha implicitamente imposto ai consociati di rispettarlo, sebbene la responsabilità aquiliana possa altresì scaturire dalla violazione di uno specifico precetto, pur non attributivo di diritti, a salvaguardia del soggetto rimasto danneggiato [27] (come nell’integrazione di un reato [28]).
D’altro canto, chi inquadra l’inadempimento nell’illecito extracontrattuale sostiene che la disciplina della responsabilità contrattuale, in fondo, comporterebbe l’apprezzamento dello sforzo del debitore di uniformarsi ad una regola di condotta, tanto che solo l’esito negativo di questo apprezzamento giustificherebbe gli effetti sfavorevoli subiti dall’inadempiente a tutela del creditore [29].
Taluno è giunto ad affermare che, in area extracontrattuale, «[i]l soggetto portatore dell’interesse subordinato non ha facoltà di scelta tra il comportamento necessario per la salvezza dell’interesse prevalente ed il risarcimento», bensì «è tenuto primariamente ad osservare quel comportamento, rispettando il precetto» [30]. Analogamente, non è mancato chi, dopo aver respinto la qualificazione dell’obbligo come «dovere libero» anziché come «dovere giuridico», ha ritenuto equiparabile la responsabilità contrattuale a quella extracontrattuale per l’intensità del precetto violato e ha asserito che, nell’ambito della prima, «l’obbligo del risarcimento non è soltanto condizionato dall’inadempimento del debitore, non è un dovere alternativo che nasce ove l’altro dovere non sia adempiuto, ma è una conseguenza dell’inadempimento», giacché «il debitore non ha una scelta, ma deve adempiere» [31]. Tuttavia, sono opinioni che paiono idealistiche ed ineffettive. In realtà, a parte la tutela inibitoria o quella esecutiva, niente impedisce che taluno realizzi un illecito aquiliano o un inadempimento, sebbene debba sobbarcarsi il costo del risarcimento spettante al danneggiato.
La distinzione tra le responsabilità contrattuale ed extracontrattuale in seno ad un’aggregante figura di illecito civile, peraltro, è irriducibile al tipo di dovere violato, perché i rispettivi meccanismi di individuazione del responsabile sono eterogenei. L’art. 2043 cod. civ. richiede di valutare la lesione inferta dal danneggiante con molta attenzione all’elemento soggettivo, in quanto l’illecito aquiliano sostanzia un’ingerenza nella sfera altrui. L’art. 1218 cod. civ., invece, richiede di valutare l’attività del debitore con criteri più oggettivi, in quanto la prestazione idonea a soddisfare l’interesse del creditore, ai sensi dell’art. 1175 cod. civ., va determinata alla stregua della buona fede oggettiva [32] (che, però, si rivolge ad entrambe le parti del rapporto obbligatorio ed è in grado di far transitare nel sistema privatistico i principi costituzionali, tra i quali la solidarietà ex art. 2 Cost. [33]).
A dispetto delle antiche ricostruzioni, il diritto vivente e parte della dottrina riconoscono all’art. 2043 cod. civ., incentrato sul filtro dell’“ingiustizia”, il rango di «clausola generale», la quale protegge con gli strumenti della responsabilità aquiliana, attraverso un’integrazione valutativa a cura dell’interprete, interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, vale a dire rilevanti in base ad indici legislativi ancorché spogli della veste formale di una situazione giuridica soggettiva [34]. Più precisamente, il filtro dell’ingiustizia seleziona, tra tutti gli interessi (solo) giuridicamente rilevanti, quelli che appaiano altresì meritevoli di una tutela risarcitoria [35].
Malgrado persistenti contrasti dottrinali, è stato osservato che la buona fede e/o la correttezza orientano l’ingiustizia. Gli artt. 1175 e 1375 cod. civ., rispettivamente, riferiscono la correttezza all’attuazione delle obbligazioni e la buona fede all’esecuzione dei contratti, ma questi concetti, nella radicata cultura giuridica europea, formano ormai un’endiade di sinonimi [36] e, per molti, esprimono un’altra ed unitaria clausola generale, che non è confinata nell’area dei rapporti obbligatori ed opera implicitamente anche in contesti relazionali assoggettati alla disciplina aquiliana [37].
L’ingiustizia secondo buona fede/correttezza concerne ipotesi caratterizzate da una specificazione a priori degli interessi contrapposti, che può conclamarsi in modi estremamente diversificati: si pensi ad un rapporto giuridico, ma anche al c.d. “affidamento” incolpevole di una parte nell’altra (ossia all’aspettativa di poter confidare, quale presupposto delle proprie scelte, in un dato atteggiarsi di una situazione fattuale o giuridica, oppure in un comportamento altrui che risulti coerente) o all’esistenza di particolari qualificazioni soggettive del danneggiante e del danneggiato [38]. La buona fede, innervata – nonostante differenti opinioni – dal principio costituzionale della solidarietà, permette di bilanciare quegli interessi contrapposti e, quindi, di valutare comparativamente, a posteriori, i comportamenti e le posizioni dei protagonisti di un illecito aquiliano [39]. Ad esempio, essa può rivelare l’abusività dell’esercizio di un diritto [40].
Questa impostazione si distacca da un’autorevole opinione dottrinale secondo cui la solidarietà, piuttosto, dovrebbe funzionare come limite generale ed interno al contenuto del diritto soggettivo. Pertanto, la figura dell’abuso del diritto oggi non avrebbe ragion d’essere, «perché, per definizione, il diritto soggettivo arriv[erebbe] fin dove comincia la sfera d’azione della solidarietà: quindi gli atti emulativi e gli altri non rispondenti alla buona fede o alla correttezza, come contrari alla solidarietà, ... non costitui[rebbero] un abuso, ossia uno sviamento, del diritto; al contrario ne s[arebbero] fuori, costitui[rebbero] un eccesso dal diritto, e, in quanto tali, s’intende agevolmente che po[trebbero] essere illeciti, secondo le norme generali» [41]. La pur plausibile scelta ricostruttiva da cui derivano queste conclusioni, però, a meno di non voler adoperare una nozione dilatata di diritto soggettivo comprensiva della libertà personale dell’agente, non consentirebbe di valutare come idoneo fondamento di responsabilità aquiliana la condotta di taluno a danno di altri in spregio alla correttezza, chiarificata dalla solidarietà, quando il comportamento lesivo non sia (neppure in apparenza) ricollegabile all’esercizio di un diritto. Il che è evidente soprattutto a proposito dei comportamenti omissivi.
Se l’art. 2043 cod. civ. è una clausola generale, l’accesso al risarcimento è possibile senza rinvenire nel sistema pseudo-diritti, ancor meno assoluti, al contrario di quanto è avvenuto con l’artificiosa elaborazione del diritto «di determinarsi liberamente rispetto al proprio patrimonio» o di quello «all’integrità del proprio patrimonio» [42]. Un soggetto può avere non un diritto sul proprio patrimonio, ma solo la titolarità delle situazioni giuridiche di vantaggio che concorrono a formarlo [43].
In particolare, l’affidamento incolpevole, di per sé rilevante ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., può essere ingenerato da una controparte in trattative contrattuali, da un terzo nell’esercizio di un’attività professionale qualificata o dalla Pubblica Amministrazione (P.A.) [44]. Pertanto, il richiamo alla lesione del patrimonio per risarcire il danno da fiducia mal riposta – ancora saltuariamente rinvenibile in alcune decisioni giurisprudenziali – è errato e, comunque, ultroneo [45] (come osservato da una recente giurisprudenza, in cui, peraltro, è stato richiamato il pur diverso diritto costituzionale «di autodeterminarsi liberamente nelle proprie scelte negoziali» senza interferenze illecite di terzi qualificate da scorrettezza [46]).
Altra parte della dottrina ritiene che l’art. 2043 cod. civ. esprima una «norma generale», riassuntiva di casi non specificamente elencati e dotati di una valenza giuridica da trarre aliunde [47], sicché la disposizione, pur connotata da «tipicità progressiva o evolutiva», si caratterizzerebbe per un inferiore tasso di elasticità [48]. Il giudice dovrebbe limitarsi a constatare se sia stata lesa una situazione giuridica previamente qualificata dall’ordinamento, intesa non necessariamente quale diritto soggettivo, bensì almeno quale interesse già riconosciuto dall’ordinamento giuridico, mentre una valutazione di meritevolezza a posteriori gli sarebbe preclusa [49].
Tra l’altro, nella locuzione «danno ingiusto» – diversamente da ciò che può di sicuro dirsi, ad esempio, per la buona fede ed il buon costume – mancherebbero direttive valoriali alle quali agganciare nel caso concreto il giudizio, che, laddove sia configurabile una clausola generale, verrebbe rimesso interamente all’interprete. Il che altererebbe il riparto di competenze tra potere legislativo e potere giudiziario [50].
La nomenclatura dell’art. 2043 cod. civ. come norma generale si riverbera sulla risarcibilità dei danni «meramente patrimoniali» (reine Vermögensschäden), i quali in questa prospettiva sono irrisarcibili, perché scaturiscono dalla lesione di interessi non classificabili come situazioni giuridiche in base alla sistematica tradizionale e, quindi, «meramente patrimoniali». Basti pensare, di nuovo, alla lesione di un affidamento [51].
Nell’una o nell’altra accezione, comunque, l’ingiustizia del danno è duttile, tanto da agevolare l’avanzata della responsabilità extracontrattuale con l’individuazione di nuovi interessi meritevoli di tutela e, perciò, l’ampliamento della categoria dei danneggiati in senso giuridico che possono avvalersi di strumenti risarcitori [52]. Inoltre, l’ingiustizia è talvolta affiancata da figure in grado di abbracciare ulteriori interessi da tutelare (come gli obblighi di protezione, che permettono di riparare un danno non patrimoniale laddove la responsabilità extracontrattuale venga incentrata su una norma generale [53]).
Formule definitorie diverse portano spesso a risultati simili [54]. La comparazione tra sistemi giuridici mostra che i modelli di responsabilità aquiliana astrattamente tipici muovono verso la atipicità nella stessa misura in cui quelli astrattamente atipici muovono verso la tipicità [55].
La responsabilità del debitore prevista dall’art. 1218 cod. civ. non va subordinata, di volta in volta, ad un criterio selettivo. Il riscontro di un’ingiustizia ex art. 2043 cod. civ., però, è a ben vedere superfluo nell’inadempimento, la cui ingiustizia è in re ipsa [56].
Quanto al contra jus, il vaglio dell’interesse leso dal debitore è stato effettuato, a monte, nella genesi del rapporto obbligatorio primario. L’interesse al conseguimento di una prestazione anima un diritto di credito solo se risulti “meritevole” a prescindere dall’eventuale successivo inadempimento, che determina il passaggio dall’attuazione fisiologica dell’obbligazione alla dimensione patologica della responsabilità. La fonte del rapporto obbligatorio deve superare un giudizio di conformità all’ordinamento effettuato o direttamente dal legislatore, come avviene nelle ipotesi di un’espressa previsione di legge, di un fatto giuridico in senso stretto oppure di un negozio tipico, o dall’interprete alla stregua di criteri parimenti legali indicati dagli artt. 1173, 1174 e 1322 cod. civ., come avviene nell’ipotesi di una fonte negoziale atipica [57].
Quanto al non jure datum, l’inadempienza è di per sé non autorizzata dall’ordinamento. La condotta del debitore deve uniformarsi all’obbligo strumentale al soddisfacimento dell’interesse creditorio ed il conflitto tra le libertà dei soggetti parti dell’obbligazione primaria, i quali saranno parti dell’obbligazione risarcitoria, è risolto dalla legge o dall’autonomia privata in una fase anteriore all’inadempimento produttivo di danno, che è addossabile al debitore senza ulteriori apprezzamenti di valore [58].
Sotto questo secondo aspetto, peraltro, anche l’inadempimento potrebbe essere escluso dalle cause di giustificazione della «legittima difesa» e dello «stato di necessità», che sono sì riconosciute dagli artt. 2044 e 2045 cod. civ. per la responsabilità extracontrattuale, ma rilevano pure per quella contrattuale [59], quantomeno come cause di impossibilità della prestazione non imputabili al debitore ex art. 1256 cod. civ. [60]. Le predette cause di giustificazione, del resto, sono l’epifania legislativa, in ambito civilistico, della più ampia figura dell’esercizio di un diritto.
Insomma, l’art. 2043 cod. civ., incentrato sul «danno ingiusto» quale criterio che assiste l’interprete nella selezione degli interessi da tutelare, evidenzia l’elemento nevralgico di tutte le ipotesi di responsabilità, sia extracontrattuali, sia contrattuali, ed è la disposizione generale dell’intera responsabilità civile [61]. L’art. 1218 cod. civ. è solo la più importante tra le disposizioni, diverse dall’art. 2043 cod. civ., che qualificano autonomamente determinate categorie di lesioni a fini risarcitori [62], poiché l’inadempimento procura sempre la lesione ingiusta dell’interesse creditorio [63].
L’art. 1218 cod. civ., che costituisce la base – non soltanto nella sistematica del Codice – dell’apposita normativa dedicata alla responsabilità da inadempimento, è una previsione specifica e, nel contempo, a propria volta generale. L’interesse all’adempimento, per un verso, è più nitido dell’atipico interesse giuridicamente rilevante contemplato nell’art. 2043 cod. civ., ma, per altro verso, richiede una precisazione in ragione della tipologia di ciascun rapporto obbligatorio, delle circostanze nelle quali si trova immerso e della volontà delle parti [64].
Qualora l’obbligazione abbia per fonte diretta un negozio, la responsabilità da inadempimento, di certo, reagisce anche a danni meramente patrimoniali, non discendenti dalla lesione di interessi positivamente qualificati dall’ordinamento a prescindere da valutazioni individuali, giacché i privati coinvolti convengono la rilevanza almeno relativa – id est, nel “contatto” reciproco – dell’interesse creditorio meramente patrimoniale che fosse violato dal debitore [65]. Non va dimenticato, però, che lo stesso ordinamento legittima l’autonomia negoziale – nondimeno circoscritta dagli artt. 1173, 1174 e 1322 cod. civ. – a conferire meritevolezza ad interessi che, in assenza di una volontà privata, ne sarebbero sforniti [66].
L’attitudine della responsabilità contrattuale a proteggere un ventaglio d’interessi più folto, allora, non è elemento di irriducibile divergenza rispetto alla responsabilità extracontrattuale. Entrambi i regimi, in definitiva, sono applicabili per la lesione solo di interessi “meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”.
L’interesse enucleato in un diritto di credito plasmato dai privati, poi, gode di un riconoscimento che non si esaurisce tra le parti dell’obbligazione, perché il programma negoziale è altresì preservato da offese esterne. La tutela aquiliana del credito leso da terzi, in passato esclusa [67], è da tempo ammessa nel diritto vivente [68], sicché la responsabilità extracontrattuale contribuisce alla protezione di interessi meramente patrimoniali oltre il rapporto tra coloro che abbiano stipulato un negozio.
La condotta concorsuale di un terzo nell’inadempimento del debitore, inoltre, potrebbe far sorgere nei confronti del creditore la responsabilità solidale tanto del debitore per inadempimento, quanto del terzo per fatto illecito [69] (o, stando ad un’opinione dottrinale, a titolo egualmente contrattuale [70]).
Anche la responsabilità contrattuale s’impadronisce di nuovi territori. Di frequente, ai fini della tutela di determinati interessi e, talvolta, degli interessi meramente patrimoniali, il requisito dell’inadempimento di un preesistente obbligo viene soddisfatto grazie alle teorie sulla struttura “complessa” dell’obbligazione e – più di recente – sull’«obbligazione senza prestazione» [71].
Gli artt. 2043 e 1218 cod. civ. divergono per il “criterio d’imputazione”, ossia per il collegamento tra un’eventuale responsabilità ed il soggetto che dovrebbe sopportarla.
Il criterio d’imputazione della responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 cod. civ. è la colpevolezza, nella forma della colpa o del dolo [72], che dev’essere dimostrata dal danneggiato.
I soggetti coinvolti dall’illecito aquiliano non erano legati da vincoli giuridici che sacrificassero la libertà di chi è divenuto responsabile in funzione di un vantaggio da far conseguire a chi è stato danneggiato; ed il primo entra in una relazione già in origine patologica con il secondo solo per l’avvenuta invasione della sua sfera individuale [73]. L’ipotetica condotta che il danneggiante avrebbe dovuto tenere è allora ricostruita, quale termine di paragone per quella effettivamente tenuta, in una fase successiva in senso tanto cronologico, quanto logico, perché risulta da un processo di astrazione adagiato sulla concretezza della vicenda [74]. Il giudizio di colpevolezza, dunque, non è sostituibile con generalizzati meccanismi presuntivi [75].
Nell’ambito della responsabilità da inadempimento, invece, è il debitore a dover provare di non essere responsabile. In virtù di un combinato disposto, infatti, il debitore, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., deve dimostrare un’impossibilità sopravvenuta della prestazione ex art. 1256 cod. civ., che non dev’essere imputabile ad un difetto della diligenza esigibile ex art. 1176 cod. civ.
Pertanto, l’«inadempimento» è una mancata o inesatta esecuzione della prestazione per causa imputabile almeno alla colpa del debitore. Il criterio d’imputazione dell’inadempimento, però, si esaurisce nel «mancato adempimento», ossia nell’elemento oggettivo della mancanza o dell’inesattezza materiale della prestazione, sebbene l’elemento soggettivo della colpevolezza, nella dimensione del diritto sostanziale, contribuisca ad integrare l’inadempienza [76].
L’obbligazione risarcitoria, poi, rientra tra i vari effetti tipici della responsabilità da inadempimento ed ha come elementi costitutivi sia un inadempimento, sia un danno cagionato da quest’ultimo al creditore.
Il debitore non è tenuto ad astenersi da interferenze illecite nella sfera del creditore, a cui è già legato sul piano obbligatorio, ma anzi ad una proficua condotta – necessitata ed anche lecita, finché non tracimi dal contenuto dell’obbligo – che viene rimessa alla sua capacità di organizzazione e di controllo. Sia la condotta e la diligenza attese dal debitore, sia il potenziale responsabile, sono allora determinati o determinabili prima di un eventuale inadempimento, perché l’attuazione fisiologica del rapporto a latere debitoris dev’essere preceduta in senso logico, se non cronologico, dall’elaborazione di un modello di adempimento al quale l’esecuzione della prestazione dovrà conformarsi. Può presumersi, dunque, che l’insoddisfazione del credito sia dipesa da una causa imputabile all’obbligato, ma questi è ammesso a provare il contrario [77].
La prova richiesta al debitore esenta da conseguenze giuridiche sfavorevoli e, perciò, viene spesso definita “liberatoria”. Tuttavia, l’elemento soggettivo – come si è detto – è costitutivo della responsabilità al pari degli elementi oggettivi, sicché al debitore, nel giudizio instaurato dal creditore, tocca dimostrare che la fattispecie della responsabilità non si è perfezionata, non un fatto estintivo o impeditivo della stessa. Parlare di prova liberatoria può abbagliare, perché si evoca l’immagine di una responsabilità già sorta che incombe, ma può essere cancellata dall’accertamento della non colpevolezza: l’equivoco deriva dalla confusione tra piano sostanziale e piano processuale nell’art. 1218 cod. civ. [78].
La «causa non imputabile» ex art. 1218 cod. civ. racchiude tutti gli eventi capaci di escludere la responsabilità del debitore per impossibilità della prestazione e, nella disciplina generale della responsabilità da inadempimento, sostituisce la varietà di formule liberatorie presenti nel Codice del 1865, che menzionava sia la «causa estranea non imputabile» (nell’art. 1225), sia la «forza maggiore» ed il «caso fortuito» (nell’art. 1226) [79].
Il problema, piuttosto, è stabilire il livello di dettaglio della prova addossata all’obbligato. La giurisprudenza suole non accontentarsi della dimostrazione di una condotta diligente del debitore da cui possa presumersi – in base all’equazione non culpa = casus [80] – una causa a lui non imputabile, ancorché rimasta processualmente ignota per la difficoltà di identificarla o provarla [81]. Normalmente si esige la dimostrazione di uno specifico fatto incolpevole [82]. Eppure una prova di questo tenore, al più, può dirsi imposta solo dalle discipline di alcuni contratti (laddove si menzionano il caso fortuito, la forza maggiore o l’aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno) [83], non dall’art. 1218 cod. civ. Insomma, soltanto un’espressa deroga al regime generale dei mezzi istruttori impedirebbe la prova per presunzioni del casus [84], che è suggerita sia dalla manualistica classica [85], sia dalla Relazione al Codice Civile [86].
Vale la pena di aggiungere che qualunque giudizio di colpevolezza deve poggiare sulla capacità d’intendere e di volere [87] anche ai fini della responsabilità da inadempimento, com’è sancito espressamente dall’art. 2046 cod. civ. in area extracontrattuale [88]. Una condotta diligente, infatti, è esigibile solo da chi abbia la capacità naturale di agire, che è a maggior ragione indispensabile per rimproverare al solvens un dolo [89].
Tutte le considerazioni sin qui svolte sono senz’altro vere se si aderisce alle tesi che attribuiscono natura soggettiva alla responsabilità contrattuale, ma la questione rimarrebbe inalterata anche qualora si accedesse alle tesi che ne sostengono la natura oggettiva [90]. Quest’ultima opzione ricostruttiva avrebbe come unica differenza – pur enorme sul piano dogmatico – l’integrazione dell’inadempimento con la mancanza o l’inesattezza della prestazione, a prescindere dalle ragioni personali adducibili dal debitore, mentre tutto il resto – in particolare, il criterio d’imputazione e l’elaborazione ex ante di un ideale di condotta a cui raffrontare quella concreta (ossia, la sufficienza di una discrasia oggettiva rispetto alla prestazione attesa) – si atteggerebbe allo stesso modo [91].
La disciplina delle due specie di responsabilità civile non si esaurisce nelle regole, rispettivamente generali, degli artt. 2043 e 1218 cod. civ., perché contiene molte fattispecie settoriali, le quali hanno criteri d’imputazione variegati.
Nondimeno, tali criteri sono spesso analoghi in ipotesi affini di responsabilità extracontrattuale e contrattuale. Ad esempio, gli artt. 2050 e 2054, comma 1, cod. civ. sono accostabili all’art. 1681 cod. civ.; e le regole degli artt. 2051 e 2052 cod. civ. sono simili a quella stabilita dall’art. 1693 cod. civ. per un’obbligazione contrattuale di custodia [92]. In effetti, «la formulazione di un criterio generale di imputabilità, pur se necessaria per completezza del sistema, deve svolgere tuttavia ruolo marginale e residuale rispetto all’esigenza primaria di individuare i differenti rapporti in cui il soggetto può venire a trovarsi con il fatto lesivo e le diverse conseguenti possibilità che lo stesso soggetto ha di impedire la produzione del danno» [93].
La giurisprudenza tende a riconnettere alla diligenza solo le prove liberatorie incentrate sulla condotta del responsabile, debitore o meno, come quando occorre la dimostrazione di «avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno» o di «aver fatto tutto il possibile per evitare il danno» (ad esempio, negli artt. 1681, 2047, 2048, 2050 e 2054, comma 1, cod. civ.) [94].
Al contrario, le prove liberatorie senza espliciti agganci alla condotta del responsabile escluderebbero il nesso di causalità materiale, come quando occorre la dimostrazione della «forza maggiore» o del «caso fortuito» (ad esempio, negli artt. 1693, 1785, n. 2, 2051 e 2052 cod. civ.) [95]. I giudici propensi alla responsabilità oggettiva, però, la contaminano spesso con elementi soggettivi, fino a creare regimi “misti” di responsabilità [96].
Quest’ultima lettura del dato positivo, tuttavia, è stata tenacemente osteggiata da una parte della dottrina. Si è già osservato, infatti, che la causa non imputabile ex art. 1218 cod. civ. assorbe ormai la forza maggiore ed il caso fortuito, sebbene le discipline di alcuni contratti continuino ad impiegare queste prove liberatorie a mo’ di mera specificazione della regola generale [97]. Come nella disciplina delle obbligazioni, poi, il riferimento alla forza maggiore ed al caso fortuito indica assenza di colpevolezza anche nel settore dei fatti illeciti [98]. Se si risolvessero in un’interruzione della causalità materiale, la forza maggiore ed il caso fortuito, che ricomprendono pacificamente le prescrizioni normative e gli ordini dell’Autorità impeditivi di determinati comportamenti (factum principis), sarebbero superflui nell’intelaiatura lessicale delle fattispecie di responsabilità, giacché il nesso eziologico è essenziale pure in quelle a carattere oggettivo [99].
Non a caso, il factum principis può rilevare altresì come causa di impossibilità della prestazione non imputabile al debitore. L’art. 91 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, ««Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19», come modificato in sede di conversione, dispone che «[i]l rispetto delle misure di contenimento [della pandemia da Covid-19] è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti» [100]: si tratta di una disposizione interpretativa, non eccezionale, perché ribadisce la regola generale in materia di factum principis nella fattispecie contemplata [101] e, con l’accertamento in via legislativa di una causa di forza maggiore, agevola sul piano probatorio il debitore [102].
Le sezioni unite della Corte di Cassazione, del resto, hanno recentemente definito la forza maggiore ed il factum principis «una causa esterna, sopravvenuta, imprevedibile ed inevitabile, malgrado l’adozione di tutte le precauzioni del caso, ... ciò rendendo inesigibile, secondo una regola generale immanente nell’ordinamento, il comportamento richiesto dalla norma...» [103].
Parte della dottrina sostiene che la costruzione ermeneutica di forme di responsabilità oggettiva sia necessaria almeno qualora il danno provenga da cose, perché il fondamento della responsabilità – come quella ex art. 2051 cod. civ. – riposerebbe sull’assunzione del rischio inerente ai beni dai quali il responsabile trae utilità. Tuttavia, «se ciascuno deve sopportare tale rischio rispetto alle cose che egli utilizza, a maggior ragione dovrebbe sopportare il rischio obiettivo dei fatti che provengono dalla propria persona», altrimenti la ratio della regola di responsabilità sarebbe inverosimile [104].
Una più vasta imputazione oggettiva degli illeciti contrattuali o extracontrattuali è auspicabile, magari sulla base di un’“analisi economica del diritto” [105]. Ma questo approdo – che sarebbe in linea con i progetti europei di codificazione [106] – può essere raggiunto perlopiù solo de jure condendo.
Semmai, l’impiego delle locuzioni «forza maggiore» e «caso fortuito» potrebbe segnalare, in entrambi i regimi di responsabilità civile, che la prova di una positiva causa non imputabile della lesione è indispensabile, così da porre il peso economico della causa ignota a carico di chi viene indicato dalla legge come obbligato al risarcimento [107]: l’assenza della prova richiesta farebbe rispondere del danno in virtù di una responsabilità definita “semioggettiva” [108]. Le regole giurisprudenziali sul riparto dell’onere della prova, allora, sarebbero uniformi almeno quando il diritto al risarcimento abbia per fonte o un inadempimento, dalla cui responsabilità ci si libererebbe con la dimostrazione di una causa non imputabile come interpretata – per quanto già detto – dalla giurisprudenza, o qualcuna tra quelle ipotesi settoriali di responsabilità, sia contrattuale sia extracontrattuale, neutralizzate ora dalla forza maggiore ora dal caso fortuito.
L’uniformità sul piano probatorio, però, sussisterebbe parimenti qualora le suddette locuzioni fossero intese in un’accezione oggettivata. Quest’ultima, se accolta per le fattispecie di responsabilità extracontrattuale, dovrebbe valere, giusta il principio di coerenza sistematica dell’ordinamento, anche per le analoghe fattispecie di responsabilità contrattuale [109].
Piuttosto, forse bisognerebbe rinunciare all’univocità delle espressioni «caso fortuito» e «forza maggiore», giacché l’uso che ne fa il legislatore «non appare preordinato da un chiaro disegno». In realtà, esse hanno un significato da ricercare «esclusivamente attraverso la ratio e la storia delle singole disposizioni, oltre che attraverso il loro collegamento sistematico con altre norme» [110].
Una parte della dottrina, poi, ha proposto di intendere la forza maggiore ed il caso fortuito non sul piano della colpevolezza o su quello della causalità, bensì come limite al «rischio» di una responsabilità oggettiva nel gioco dei profitti e delle perdite finanziarie calcolabili ex ante. Queste prove liberatorie, cioè, designerebbero fatti atipici estranei sia al tipo, sia all’entità economica del rischio che un soggetto si aspettava di correre, quale potenziale obbligato al risarcimento, in virtù di una data fattispecie sostanziale di responsabilità, ossia un rischio a cui non ci si sarebbe potuti preparare adeguatamente mediante la stipulazione di polizze assicurative o l’accantonamento di riserve proprie a mo’ di “autoassicurazione” [111]. E per le ipotesi di responsabilità del “custode”, con diversità di sfumature e di accenti, taluno ha proposto di ritenere fortuiti tutti i fatti estranei alla causalità propria di ciò che dev’essere controllato, nel senso che tale estraneità andrebbe determinata, di volta in volta, con riguardo alla possibilità di governare l’oggetto della “custodia” [112]. Si tratta di soluzioni ermeneutiche affioranti timidamente in una giurisprudenza di nicchia [113].
L’oggettivazione del fortuito tramite l’ancoraggio ad “anomalie” nei risvolti pregiudizievoli di un determinato fatto lesivo, inoltre, è ottenuta da chi in dottrina preferisce decifrare il lessico legislativo con il concetto di «pericolo». Il rischio ispira un’indagine perlopiù economica nell’esclusiva prospettiva del potenziale responsabile, cioè valutazioni di compatibilità tra regole di responsabilità ed equilibrio finanziario dell’obbligato al risarcimento. Il pericolo, invece, porta ad indagare il profilo più strettamente giuridico ed esteriore dei rapporti fra le sfere intersoggettive coinvolte, anche in quanto la responsabilità oggettiva è dominata dallo scopo di difendere gli individui dalle crescenti minacce di danno del mondo moderno. Più in particolare, il criterio del pericolo imputerebbe la responsabilità quando si accerti, da un lato, che il soggetto indicato come responsabile ha esposto i terzi danneggiati alla situazione tipica contemplata dalla fattispecie legale e, dall’altro, che da questa situazione è derivato il danno [114]. La nozione di fortuito sarebbe unitaria in entrambe le specie di responsabilità civile, ma oggigiorno si distinguerebbe da quella di causa non imputabile ex art. 1218 cod. civ., rilevante solo in materia di responsabilità da inadempimento, per i persistenti ancorché impliciti caratteri dell’assoluta inevitabilità dell’evento, nonché dell’estraneità o alla condotta del soggetto potenzialmente responsabile, o alla situazione fattuale che funge da criterio di imputazione [115].
Di certo, alcune fattispecie aquiliane ispirate a rationes peculiari, con un moto centrifugo, si sono distaccate maggiormente dal «fatto illecito», rectius dall’atto illecito di cui all’art. 2043 cod. civ., perché talvolta si diviene responsabili per la mera posizione rivestita verso la persona o il bene che siano risultati fonte del danno patito da altri, ossia a titolo oggettivo o, almeno, semioggettivo. Il nesso causale con l’evento lesivo potrebbe sussistere rispetto ad una condotta di terzi o ad una realtà materiale connessa alla qualifica giuridicamente rilevante rivestita dal responsabile, come quella di preponente ex art. 2049 cod. civ., di custode ex art. 2051 cod. civ. o di proprietario ex art. 2053 cod. civ. [116].
Si tende a ritenere che la responsabilità gravi sul titolare della qualifica anche qualora questi fosse incapace al momento dell’evento lesivo [117].
«Tutto ciò mette in chiara evidenza come la responsabilità civile non assolva una funzione unitaria, e meno che mai, come la giurisprudenza ha finito con l’ammettere, può essere ricondotta alla violazione di un generale principio esprimibile in termini di neminem laedere», anche perché le fattispecie di responsabilità indiretta od oggettiva hanno un àmbito di applicazione talmente esteso da non poter essere degradate a semplici eccezioni prive di significativi risvolti sistematici [118].
Nella disciplina dell’inadempimento, analogamente, è senza dubbio oggettiva, ai sensi dell’art. 1228 cod. civ., la responsabilità del debitore per la condotta degli ausiliari dei quali egli si sia avvalso, sebbene tale ipotesi di responsabilità vada preferibilmente inquadrata nella categoria di quelle per fatto proprio, ancorché in un’accezione lata, e non per fatto altrui (a differenza della responsabilità ex art. 2049 cod. civ.) [119].
L’esigenza di tutelare la parte di un contratto da oggettive disfunzioni del sinallagma ha prevalso nelle fattispecie ove il riequilibrio economico tra le posizioni dei contraenti viene affidato all’istituto della “garanzia”, ad esempio ai sensi degli artt. 1483 ss., 1490 o 1578 cod. civ.
La garanzia può nondimeno tradursi a carico del garante in un obbligo risarcitorio (primario come quello aquiliano) o nella risoluzione del contratto, ma l’uno e l’altro rimedio sono avulsi da un inadempimento, che presuppone tanto una preesistente obbligazione, quanto il mancato soddisfacimento dell’interesse creditorio per una condotta colpevole del debitore divergente da quella doverosa. Malgrado alcune opinioni dottrinali, la garanzia non è inscrivibile nella categoria dell’obbligazione, perché non obbliga il garante – ad esempio, il venditore, l’assicuratore o il locatore – ad un’azione od omissione che salvaguardi il garantito e sia valutabile secondo diligenza: in particolare, il garante non è obbligato ad evitare o, almeno, a verificare i presupposti della potenziale evizione piuttosto che i vizi della cosa oggetto di una compravendita, così come non è obbligato a scongiurare l’evento contemplato in un’assicurazione e temuto dall’assicurato [120]. La soluzione opposta, con un’evidente forzatura, postula in capo al garantito, in qualità di creditore, l’aspettativa di un vantaggio «che non si può sussumere né in un contegno controllabile ad una stregua di diligenza, e neppure nel risultato utile di un operare» [121].
Anche l’evizione per fatto proprio dell’alienante successivo al perfezionamento della compravendita può essere ricondotta alla relativa garanzia, malgrado l’usuale ancorché non pacifica circoscrizione del raggio applicativo di quest’ultima – in omaggio alla tradizione – alle vicende anteriori al negozio. Non c’è bisogno di ricostruire il fenomeno – ad esempio, in caso di doppia alienazione di un bene ad opera dello stesso dante causa – come illecito extracontrattuale, tanto che chi accoglie l’opzione aquiliana tende a ravvisare la colpevolezza del venditore nell’oggettivo scostamento della sua condotta dalla correttezza e, per di più, che pure la lesione dell’interesse dell’acquirente, in virtù di un’espressa qualificazione legislativa, dovrebbe reputarsi ingiusta in re ipsa. Le medesime considerazioni dovrebbero far ritenere superflua, parimenti, la costruzione in capo all’alienante di un obbligo legale “postcontrattuale” di astensione da comportamenti idonei a pregiudicare la stabilità dell’acquisto compiuto dalla controparte [122].
In realtà, il garante assume sempre, ex lege o ex contractu, unicamente il rischio insito nella manifestazione di una circostanza negativa, la cui concretizzazione, pur non imputabile al garante, attualizza determinati effetti a lui sfavorevoli e favorevoli al garantito. Tali effetti, che per l’inesistenza di un’obbligazione originaria rimasta inadempiuta non sono ad essa succedanei, sono soltanto simili a quelli della responsabilità da inadempimento e, talvolta, servono semplicemente a ripristinare il sinallagma contrattuale (come nella compravendita e nella locazione). Il garante, quindi, versa in una situazione giuridica di soggezione rispetto ai rimedi esperibili dal garantito [123].
Solo il rimedio risarcitorio può essere subordinato alla colpa o al dolo del garante, ma l’elemento soggettivo non qualifica l’inattuazione di un’obbligazione preesistente [124].
Il garante che pregiudichi il garantito con una condotta colpevole, a prescindere dagli effetti della garanzia funzionali al mero ripristino del sinallagma, risponde altresì – stando all’orientamento tradizionale – di un illecito aquiliano. Ed il risarcimento va determinato secondo il c.d. “interesse positivo”, anche qualora nel contesto della garanzia, in considerazione dell’imputazione oggettiva del rischio, il legislatore abbia previsto ristori improntati al più mite criterio del c.d. “interesse negativo” [125].
L’istituto della garanzia è accostabile al c.d. “breach of contract” noto nei Paesi anglosassoni. Questa figura, designata in Italia con il nomen “violazione del contratto”, è stata sviluppata anche nel nostro ordinamento quale reazione alle alterazioni dell’assetto di interessi definito con il negozio, ed in particolare alla mancata realizzazione dei risultati programmati nel contratto a vantaggio di una delle parti per vicende che, però, non integrano un inadempimento in senso tecnico dell’altra [126].
Una responsabilità da violazione contrattuale, ad esempio, potrebbe essere fatta valere da chi abbia avuto interesse a stipulare un negozio a favore di terzo, ossia dallo stesso stipulante, nei confronti della controparte, perché creditore dell’obbligazione è – non lo stipulante (il quale, nondimeno, potrebbe risentire pregiudizio dall’inadempienza del debitore), bensì – il terzo beneficiario [127].
Il medesimo tipo di responsabilità, inoltre, potrebbe gravare su chi abbia venduto una cosa altrui ad un acquirente in buona fede, perché è incongruente affermare che la responsabilità del primo verso il secondo sia prevista dall’art. 1479 cod. civ. per un inadempimento coevo alla stipulazione del contratto [128].
L’art. 1223 cod. civ., in base ad un’interpretazione aderente al significato proprio delle parole ex art. 12 disp. prel. cod. civ., non rinnega i “risarcimenti punitivi” sul modello dei punitive damages anglosassoni (espressione spesso equivocamente tradotta con quella “danni punitivi”) [129], i quali permettono di far conseguire al danneggiato somme eccedenti i pregiudizi realmente patiti. L’art. 1223 cod. civ., invero, si limita a stabilire che la determinazione di un risarcimento deve senz’altro comprendere, di regola, almeno il danno emergente ed il lucro cessante [130].
In un primo tempo, la Cassazione ha statuito che la funzione sanzionatoria dei punitive damages sarebbe stata contrastante con i principi fondamentali dell’ordinamento interno, che avrebbero impresso alla responsabilità civile una funzione squisitamente compensativa, ossia il compito di “restaurare” la sfera del soggetto leso sul piano patrimoniale, ancorché il pregiudizio sia non patrimoniale [131]. La Suprema Corte ha misconosciuto che la responsabilità, seppur soltanto civile, già avesse ed abbia una polivalenza ottenuta con la valorizzazione della sussistenza e della graduazione dell’elemento soggettivo del danneggiante: la motivazione addotta, perciò, è «al tempo stesso sciattamente perentoria e supponentemente apodittica» [132].
La sentenza in parola pecca di eccessivo zelo agevolato dal caso in esame, fino a perdere la visione d’insieme. Tuttavia, forse si voleva solo rimarcare l’essenza funzionale della responsabilità civile, venuta faticosamente alla luce dopo una lunga gestazione dottrinale e giurisprudenziale.
Le sezioni unite della Cassazione, in un obiter dictum, hanno in seguito avuto modo di affermare che, oggi, una funzione sanzionatoria potrebbe «non apparire più così incompatibile con i principi generali del nostro ordinamento, ... giacché negli ultimi decenni sono state qua e là introdotte disposizioni volte a dare un connotato lato sensu sanzionatorio al risarcimento (si pensi, ad esempio, all’art. 96 c.p.c., u.c., in materia di responsabilità processuale aggravata), ma non lo si può ammettere al di fuori dei casi nei quali una qualche norma di legge chiaramente lo preveda, ostandovi il principio desumibile dall’art. 25 Cost., comma 2, nonché dall’art. 7 della Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali» [133].
In occasione di quest’ultima apertura è stato giustamente evidenziato che sanzione e responsabilità civile non sono agli antipodi. Tuttavia, la Cassazione ha all’epoca trascurato che la funzione sanzionatoria, pur all’infuori di fattispecie legali tipiche, può emergere come semplice momento del complessivo giudizio che porta all’applicazione di una norma di responsabilità, sia sul piano dell’an debeatur, sia su quello del quantum debeatur.
La questione del riconoscimento di provvedimenti giurisdizionali stranieri che condannino a risarcimenti punitivi, foriera di notevoli implicazioni sistematiche, è stata sottoposta allo specifico vaglio delle sezioni unite della Cassazione [134].
La prima sezione della Suprema Corte, nell’ordinanza con la quale ha sollecitato l’intervento delle sezioni unite, ha condivisibilmente osservato come il solo esercizio della discrezionalità conferita dalla Costituzione al legislatore per regolamentare certe materie e certi istituti non possa esprimere principi di ordine pubblico. «[S]e il legislatore è libero di atteggiarsi come meglio ritiene, allora potranno avere libero ingresso prodotti giudiziali stranieri applicativi di regole diverse, ma comunque non contrastanti con i valori costituzionali essenziali o non incidenti su materie disciplinate direttamente dalla Costituzione». Del resto, «quando l’illecito incide sui beni della persona, il confine tra compensazione e sanzione sbiadisce, in quanto la determinazione del quantum è rimessa a valori percentuali, indici tabellari e scelte giudiziali equitative, che non rispecchiano esattamente la lesione patita dal danneggiato» [135].
Le sezioni unite hanno constatato la polifunzionalità della responsabilità civile, riscontrabile finanche nella giurisprudenza costituzionale [136]. La funzione della responsabilità, infatti, non si esaurisce nel pur preponderante profilo compensativo-riparatorio, che lambisce immancabilmente la deterrenza, ma «si proietta verso più aree, tra cui sicuramente principali sono quella preventiva (o deterrente o dissuasiva) e quella sanzionatorio-punitiva», così da rispondere «soprattutto a un’esigenza di effettività (cfr. Corte cost. n. 238/2014 e Cass. n. 21255/13) della tutela», che altrimenti – come la dottrina non ha mancato di avvertire – resterebbe in molti casi sacrificata. «Ciò non significa che l’istituto aquiliano abbia mutato la sua essenza e che questa curvatura deterrente/sanzionatoria consenta ai giudici italiani che pronunciano in materia di danno extracontrattuale, ma anche contrattuale, di imprimere soggettive accentuazioni ai risarcimenti che vengono liquidati», perché l’art. 23 Cost., correlato agli artt. 24 e 25 Cost., pone una riserva di legge con riguardo alle prestazioni patrimoniali, ed il medesimo limite deve valere in sede di delibazione di un provvedimento giurisdizionale straniero. «Ne discende che dovrà esservi precisa perimetrazione della fattispecie (tipicità) e puntualizzazione dei limiti quantitativi delle condanne irrogabili (prevedibilità). Resta poi nella singolarità di ogni ordinamento, a seconda dell’attenzione portata alla figura dell’autore dell’illecito o a quella del danneggiato, la declinazione dei risarcimenti punitivi e il loro ancoraggio a profili sanzionatori o più strettamente compensatori, che risponderà verosimilmente anche alle differenze risalenti alla natura colposa o dolosa dell’illecito. ... La proporzionalità del risarcimento, in ogni sua articolazione, è ... uno dei cardini della materia della responsabilità civile». Sebbene il risarcimento punitivo non sia in generale incompatibile con il sistema italiano, la riconoscibilità della pronuncia straniera implica sempre la commisurazione dei potenziali effetti di quest’ultima attraverso il vaglio dell’ordine pubblico [137].
L’evoluzione dell’intera responsabilità civile – in coerenza, su un diverso piano, con gli istituti della garanzia e della violazione del contratto – è segnata dal progressivo spostamento della riflessione da un “dovere” di comportamento violato, che attribuisce centralità ad una condotta dannosa e solo normalmente colpevole, all’interesse leso del danneggiato, sebbene quest’ultimo interesse e quello dell’ipotetico responsabile vadano contemperati. La responsabilità da inadempimento e la responsabilità da fatto illecito, quindi, hanno oggi il medesimo compito di proteggere determinati interessi in caso di lesioni dannose [138]. Le due specie di responsabilità sono accostabili, appunto, se viene focalizzata la loro ratio, non l’effetto dell’obbligazione lato sensu risarcitoria in favore del danneggiato, perché sarebbe errato asseverare tra esse un’indifferenza «abbastanza rozzamente ricavata dalla constatazione che il risarcimento del danno è la conseguenza dell’una come dell’altra» [139].
Non si può più ritenere che la responsabilità civile assolva ad una preminente funzione sanzionatoria e deterrente. La funzione del risarcimento, invece, è perlopiù compensativa per i danni patrimoniali o satisfattiva per quelli non patrimoniali, anche se – come detto – sfumature sanzionatorie e deterrenti non sono da escludere.
I due commi dell’art. 1221 cod. civ. sono indice della polifunzionalità della responsabilità civile. Il comma 1, al di là del riferimento all’antica quanto vacua immagine di una perpetuatio obligationis, è informato ad una funzione puramente compensativa, perché stabilisce che il debitore costituito in mora è di norma tenuto a risarcire per equivalente la prestazione investita da impossibilità sopravvenuta a lui non imputabile, ma solo se non prova che, pur nell’eventualità di un adempimento, l’oggetto della prestazione sarebbe perito anche presso il creditore. Il comma 2, invece, è informato ad una funzione sanzionatoria nel dettare un’eccezione all’eccezione, perché stabilisce che il perimento o lo smarrimento della cosa illecitamente sottratta non libera mai dall’obbligo di corrisponderne il valore a chi ne abbia diritto.
Nel campo della responsabilità aquiliana, una funzione sanzionatoria e deterrente sarebbe inconciliabile con il carattere primario e, quindi, atipico ora prevalentemente assegnato alla regola generale dell’art. 2043 cod. civ. [140]. Un conflitto di interessi viene composto al momento del giudizio di responsabilità, senza che possa predicarsi la contrarietà della condotta del danneggiante ad un precetto preesistente [141].
Del resto, nella società moderna alcuni pregiudizi sono spesso inevitabili ed i loro autori rimangono anonimi. Lungi dall’essere riscontrabile a livello normativo un dovere di neminem laedere, anche in area aquiliana l’ordinamento privilegia la libertà individuale di agire rispetto ad un sistema di divieti, tanto che le fattispecie legali di responsabilità non vietano condotte prevedibilmente nocive, bensì obbligano il responsabile solo a sollevare il danneggiato da ogni pregiudizio. Come parziale ripercussione delle regole dettate per i danni inevitabili ed anonimi, ciò vale anche nei casi di azione lesiva colposa o dolosa, laddove l’alternativa tra agire o non agire a scapito di qualcuno si prospetta maggiormente: l’usuale irrilevanza del grado di colpevolezza e/o di riprovevolezza della condotta, così come l’usuale commisurazione del risarcimento solo al pregiudizio causalmente derivante dall’evento lesivo, dimostrano che l’obbligazione del responsabile, in linea tendenziale, non è una sanzione per l’atto illecito [142].
Chi sostiene che l’accento sulla funzione compensativa della responsabilità civile sopravvaluti la posizione del danneggiato, nondimeno, preferisce affermare che il risarcimento, ancor prima di compensare pregiudizi sopportati incolpevolmente, opera nella circolazione della ricchezza, perché governa la convenienza di spostamenti patrimoniali capaci di ricomporre un equilibrio di interessi [143]. La principale funzione della responsabilità, comunque, sarebbe «organizzativa o regolativa», e consisterebbe nel coordinare le attività sociali non vietate attraverso la redistribuzione del costo dei danni, quale accorgimento che induce i soggetti coinvolti a comportamenti spontanei [144].
Ad ogni modo, non bisogna dimenticare che l’affiancamento della colpa al dolo tra i criteri d’imputazione, in origine, ebbe lo scopo di rendere civilmente illeciti fatti privi di rilevanza penale, non di equiparare ai fini della responsabilità aquiliana le due forme di colpevolezza, le quali solo per uno smarrimento di coscienza storica sono lentamente scivolate verso l’indistinzione [145]. L’art. 2043 cod. civ., in base ad un’attività ermeneutica strettamente aderente al significato proprio delle parole, stabilisce unicamente che la condotta dannosa debba essere qualificata da colpa o da dolo [146].
[1] Un bisogno è un’entità pregiuridica che risulta dalla razionalizzazione dell’istinto individuale, ma una norma di diritto può riconoscere l’importanza del bisogno e trasformarlo nel sostrato reale di un’entità giuridica, ossia dell’“interesse” riferibile ad un soggetto giuridico. L’interesse «astrattamente identificato dalla norma e pertanto rilevante per il diritto», dunque, è la tensione positivamente rilevante verso un “bene della vita” in grado di appagare un’esigenza umana, e la norma ha il ruolo «di regola ordinante e di criterio risolutore di possibili conflitti» (così L. Bigliazzi Geri, voce Interesse legittimo: diritto privato, in Dig. disc. priv.-sez. civ., VI ed., IX, Torino, 1993, 537). Per una trattazione sul concetto assai complesso di “bene”, v. M. Barcellona, Attribuzione normativa e mercato nella teoria dei beni giuridici, in Quadr., 1987, 607.
Un conflitto tra interessi composto da qualche norma dell’ordinamento giuridico, d’altronde, è il comun denominatore di tutte le “situazioni giuridiche soggettive”, le quali esprimono «un modo di essere di un soggetto rispetto a un conflitto», ossia – guardando al fenomeno da una diversa angolazione – «un modo di atteggiarsi della norma in suo confronto» (così F. Carnelutti, Sistema di diritto processuale civile, I, Funzione e composizione del processo, Padova, 1936, 56). In questa prospettiva, il “rapporto giuridico”, nell’accezione di «rapporto sociale regolato dal diritto», è la posizione reciproca di due soggetti riconosciuti titolari, rispettivamente, di un interesse preminente e di un interesse recessivo rispetto al medesimo bene (così F. Carnelutti, Appunti sulla successione nella lite, in Riv. dir. proc. civ., 1932, I, 7).
L’opportunità di fondare la teoria generale del diritto sulla ricerca dell’interesse sotteso alle norme giuridiche è sostenuta, tra gli altri, da A. Falzea, voce Efficacia giuridica, in Enc. dir., XIV, Milano, 1965, 432; Id., La Costituzione e l’ordinamento, in Riv. dir. civ., 1998, I, 261. Per un’applicazione di tale metodo, v. già G. Chiovenda, Principii di diritto processuale civile. Le azioni. Il processo di cognizione, Napoli, rist. 1980, 29 ss.; F. Carnelutti, Teoria generale del diritto, III ed., Roma, 1951, passim; nonché L. Bigliazzi Geri, U. Breccia, F.D. Busnelli, U. Natoli, Diritto Civile, I, t. 1, Norme, soggetti e rapporto giuridico, Torino, 1987, cap. VI; G. Di Giandomenico, Rapporto giuridico e responsabilità civile, in Giur. it., 2006, 1543.
[2] Com’è noto, la “responsabilità civile in senso lato” comprende sia la responsabilità “da inadempimento” di un’obbligazione, denominata pure “contrattuale”, sia la responsabilità “da fatto illecito”, denominata pure “extracontrattuale” o “aquiliana” o “civile in senso stretto”.
[3] Parte della dottrina distingue correttamente la lesione di un interesse, collegata ad una condotta o ad una situazione lesiva alla stregua di un nesso di “causalità materiale”, dal danno in senso lato “risarcibile” che derivi da tale lesione alla stregua di un nesso di “causalità giuridica” (in senso stretto). In questa prospettiva, va osservato che, nell’area della responsabilità extracontrattuale, il termine «danno» ricorre nella formulazione dell’art. 2043 cod. civ. in una duplice accezione, perché una prima volta si trova inserito nella locuzione «danno ingiusto», che pertiene al risultato del «fatto doloso o colposo» (rectius, della “condotta colpevole”) del danneggiante in base ad un “nesso eziologico materiale” ex artt. 40 e 41 cod. pen., mentre una seconda volta indica l’oggetto dell’obbligazione risarcitoria, senza aggettivazioni o precisazioni. Più precisamente, sebbene spesso le due accezioni di “danno” – anche in giurisprudenza – vengano confuse ed impropriamente impiegate, il «danno ingiusto» è la lesione “ingiusta” di un interesse, mentre il «danno» menzionato nella seconda parte dell’art. 2043 cod. civ. indica, ex art. 1223 cod. civ., la perdita o la mancata acquisizione di un’utilità che il danneggiato ha sùbito, nei limiti di un “nesso eziologico giuridico (in senso stretto)”, in conseguenza dell’illecita invasione della sua sfera giuridica. In tal senso, v. G. Tucci, Il danno ingiusto, Padova, 1970, 15 ss., ma spec. 48 ss.; nonché D. Poletti, Il danno risarcibile, in Diritto civile, diretto da N. Lipari, P. Rescigno, coordinato da A. Zoppini, IV, Attuazione e tutela dei diritti, t. 3, La responsabilità e il danno, Milano, 2009, 349; M. Franzoni, Il danno risarcibile, in Tratt. della resp. civ., diretto da M. Franzoni, II, II ed., Milano, 2010, 3 ss.
Per una differente impostazione ed un’ulteriore rassegna delle opinioni sulla locuzione «danno ingiusto», v. R. Scognamiglio (Appunti sulla nozione di danno, in Scritti in onore di Gioacchino Scaduto, III, Diritto civile e diritto romano, Padova, 1970, 193); nonché A. De Cupis (Il danno. Teoria generale della responsabilità civile, I, Milano, 1979, 19 ss., 59 ss., 127 ss.), che identifica l’interesse – non nella tensione verso un bene della vita, bensì già – nell’obiettiva possibilità di soddisfare un bisogno tramite un bene, e A. di Majo (Discorso generale sulla responsabilità civile, in Diritto civile, diretto da N. Lipari-P. Rescigno, coordinato da A. Zoppini, IV, t. 3, cit., 5 ss., 34 ss.), Autori i quali sovrappongono il concetto di lesione di un interesse e quello di danno, tanto che sulla base di una tendenziale coincidenza tra danno ingiusto e danno risarcibile affermano la piena corrispondenza di natura, patrimoniale o non patrimoniale, tra interesse leso e pregiudizio conseguente.
La giurisprudenza non dubita della necessità di distinguere tra causalità materiale e giuridica, sebbene pure la prima implichi valutazioni di ordine giuridico: cfr. Cass. civ., 11 ottobre 2021, n. 27526. Per una visione d’insieme, cfr. Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 581; nonché, ex multis, Cass. civ., 30 novembre 2018, n. 30998.
Tutto ciò che si è detto, mutatis mutandis, vale anche per la responsabilità da inadempimento ex art. 1218 cod. civ. Del resto, la disciplina legislativa della responsabilità aquiliana, in virtù del richiamo contenuto nell’art. 2056, comma 1, cod. civ., è perlopiù la medesima dettata per la responsabilità contrattuale. In materia di responsabilità anche contrattuale, cfr. Cass. civ., 11 novembre 2019, n. 28985.
[4] La Differenztheorie, infatti, necessita sul punto di un correttivo alla luce della “teoria normativa” del danno (v. C. Castronovo, La nuova responsabilità civile, III ed., Milano, 2006, 150 ss.), nonché del “criterio soggettivo di determinazione del danno” fondato sull’id quod interest e del “danno figurativo” (v. M. Franzoni, op. cit., 115 ss.).
[5] «Di qui il significato di «interest» nel senso del far differenza fra l’essere di alcunché in un certo modo e l’essere in altro modo diverso, fra il caso che un dato evento (cui si ha interesse) si verifichi e il caso che non si verifichi, fra il caso che un rischio temuto non si avveri e il caso che si avveri» [così E. Betti, voce Interesse (Teoria generale), in Noviss. dig. it., VIII, Torino, 1962, 839]. Favorevole ad un criterio “soggettivo” di misurazione del danno risarcibile è anche A. De Cupis, op. cit., I, 330 ss.
Si tratta di concetti elaborati nel corso di millenni a partire dal diritto romano: v. F. Procchi, Dall’“id quod interest” alla costruzione della cd. “Differenzhypothese” ad opera di Friedrich Mommsen, in Actio in rem e actio in personam. In ricordo di Mario Talamanca, II, a cura di L. Garofalo, Padova, 2011, 483.
[6] In una prospettiva critica, si consenta il rinvio a G. Anzani, Interesse positivo e interesse negativo nelle diverse forme di responsabilità civile, in Resp. civ. e prev., 2019, 1692.
[7] La reintegrazione in forma specifica, pertanto, non è propriamente una reintegrazione del diritto leso.
[8] Com’è noto, si tratta del pagamento di una somma di denaro corrispondente alla stima del pregiudizio subìto.
[9] Per una panoramica, v. C. Angiolini, Risarcimento in forma specifica, in Codice della responsabilità civile, a cura di E. Navarretta, Milano, 2021, 1548.
[10] La funzione di un istituto giuridico «non è lo scopo, ma quel tanto di scopo che si attua nel risultato[,] cioè che mediante il mezzo può essere raggiunto» (così F. Carnelutti, op. ult. cit., XIV ss., il quale precisa che «[i]n verità la funzione non è né lo scopo senza il risultato né il risultato senza lo scopo, ma il rapporto o la proporzione tra l’uno e l’altro»).
[11] Sulle tipologie di tutela e sulle funzioni della responsabilità civile, pur con l’avvertenza che in dottrina non vi è uniformità di vedute neanche sulla terminologia, v., in generale, A. di Majo, Tutela risarcitoria: alla ricerca di una tipologia, in Riv. dir. civ., 2005, I, 243; più in particolare, G. Cricenti, Persona e risarcimento, Padova, 2005, 169 ss.; G. Clerico, Incidente, livello di precauzione e risarcimento del danno, in Riv. crit. dir. priv., 2003, 271; L. Di Bona De Sarzana, Funzioni e modelli giurisprudenziali del danno non patrimoniale, in Danno e resp., 2004, 585; M. Franzoni, op. cit., 699 ss. Inoltre, v. già le osservazioni di G. Giorgi, Teoria delle obbligazioni nel diritto moderno italiano, VII ed., V, Firenze, 1909, 399 ss. Per la pluralità e la differenziazione delle funzioni associabili alla tutela rimediale, v. V. Scalisi, Illecito civile e responsabilità: fondamento e senso di una distinzione, in Riv. dir. civ., 2009, I, 657.
Sulle funzioni della sanzione penale, v. F. Mantovani, Diritto penale, Parte generale, Milano, 2001, 739 ss.; T. Padovani, Diritto penale, Milano, 1999, 401 ss.
[12] La categoria delle “sanzioni civili” ricomprende, in senso ampio, tutte le misure sanzionatorie di diritto privato consistenti nella perdita di un diritto o nell’imposizione di un’obbligazione a carico di un privato in seguito alla trasgressione di un precetto giuridico. All’interno di questa categoria, le “sanzioni civili indirette” e le “pene private” implicano entrambe l’obbligo di eseguire una prestazione patrimoniale ed esprimono la fiducia dell’ordinamento verso la capacità di autoregolamentazione della società, ma i due istituti mostrano elementi di diversità: le sanzioni civili indirette, sebbene presuppongano l’iniziativa del privato percettore del vantaggio economico, devono essere previste dal legislatore con riguardo a specifici illeciti civili ed essere irrogate dall’Autorità giudiziaria, giacché tendono a soddisfare pure interessi pubblici o generali; le pene private, invece, oltre a poter essere irrogate dall’Autorità giudiziaria su istanza di un privato, possono essere irrogate da privati a privati senza il necessario intervento degli organi statuali e possono avere fonte contrattuale, ma sono sempre la reazione alla lesione di interessi esclusivamente individuali.
Ad ogni modo, il risarcimento, a differenza di una sanzione, presuppone sempre un concreto pregiudizio, a cui viene ragionevolmente e proporzionalmente commisurato.
Per una panoramica, v. F. Episcopo, Rapporto fra componenti risarcitorie con funzione deterrente e pene private, in Codice della responsabilità civile, cit., 2065.
[13] La distinzione tra risarcimento e riparazione è riconosciuta anche da A. De Cupis (Il danno. Teoria generale della responsabilità civile, II, Milano, 1979, 245 ss.), il quale, però, la respinge per ragioni di opportunità.
[14] Così da punire il responsabile di un illecito anche o almeno sul piano civile.
[15] Così da manifestare “vicinanza” al danneggiato, a cui altrimenti l’ordinamento negherebbe ogni tutela.
[16] Così da garantire al danneggiato almeno un bene alternativo a quello pregiudicato dalla lesione illecita.
[17] Così da spronare i consociati ad astenersi da condotte lesive con la rappresentazione dei “costi” economici ai quali andrebbero incontro se a loro carico sorgessero obblighi riparatori sul piano civile. Il medesimo scopo può essere perseguito tramite la commisurazione della somma monetaria dovuta al danneggiato al vantaggio economico che il responsabile abbia tratto dalla lesione illecita, in modo da azzerare quel vantaggio e rendere inutile il fatto illecito o l’inadempimento (come avviene negli U.S.A. con l’istituto del discorgement).
La previsione dell’eventuale responsabilità, comunque, favorisce l’adozione di ogni ragionevole cautela tesa a scongiurare pregiudizi a terzi, almeno nei limiti dell’equivalenza tra i costi delle cautele suggerite dalla diligenza e l’entità del risarcimento o della riparazione che spetterebbe al danneggiato.
[18] Ossia risultante dalla variabile combinazione delle sfumature funzionali appena menzionate.
[19] Sulle plurime funzioni della responsabilità civile, «le quali, a seconda delle mode, sono ora l’una ora l’altra maggiormente in auge», v. P.G. Monateri, La responsabilità civile, in Tratt. di dir. civ., diretto da R. Sacco, Le fonti delle obbligazioni, 3, Torino, 1998, 19 ss.
[20] V. M. Giorgianni [L’obbligazione (La parte generale delle obbligazioni), Milano, rist. 1968, passim], il quale afferma (alle pagg. 76 e ss.) che taluni doveri familiari sarebbero «obblighi», e non «obbligazioni», solo per la non patrimonialità del comportamento richiesto. Per evitare eccessive distinzioni classificatorie, in questo lavoro i due predetti vocaboli verranno impiegati come sinonimi.
[21] V. il tentativo di S. Romano, Doveri. Obblighi, in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1947, 91.
[22] Per gli opportuni riferimenti bibliografici sulla sufficienza o meno della determinabilità delle parti di un rapporto obbligatorio, si rinvia a M. Maggiolo, Il risarcimento della pura perdita patrimoniale, Milano, 2003, 133, nota 119. Secondo M. Giorgianni (op. cit., 41 ss.), comunque, le parti dell’obbligazione dovrebbero essere sempre determinate e non soltanto determinabili.
[23] Per considerazioni di teoria generale del diritto, v., per tutti, Giorgianni, op. cit., passim; L. Bigliazzi Geri, U. Breccia, F.D. Busnelli, U. Natoli, op. cit., I, t. 1, 312 ss.
[24] Basti il rinvio a G. Giorgi, op. cit., V, 217 ss., 276 ss.; F. Carnelutti, Sulla distinzione tra colpa contrattuale e colpa extracontrattuale, nota di commento ad App. Venezia, 5 luglio 1912, in Riv. dir. comm., 1912, II, 744; L. Barassi, La teoria generale delle obbligazioni, II, Le fonti, Milano, rist. 1964, 422 ss.; S. Pugliatti, voce Alterum non laedere, in Enc. dir., II, Milano, 1958, 98; C. Maiorca, voce Colpa civile (Teoria generale), in Enc. dir., VII, Milano, 1960, 534; P. Schlesinger, La «ingiustizia» del danno nell’illecito civile, in Jus, 1960, 342 ss.; P. Trimarchi, voce Illecito (Diritto privato), in Enc. dir., XX, Milano, 1970, 90; A. De Cupis (op. cit., I, 78 ss.; Id., op. cit., II, 16 ss., 232 ss., 263 ss.), secondo cui, tra l’altro, le due specie di responsabilità civile si distinguerebbero, perché nella responsabilità da inadempimento l’obbligazione risarcitoria consisterebbe nella mera modificazione oggettiva del preesistente rapporto giuridico tra le medesime parti, mentre nella responsabilità da fatto illecito l’obbligazione risarcitoria sorgerebbe ex novo.
Una sintesi delle principali impostazioni tradizionali è offerta da M. Barcellona, Strutture della responsabilità e «ingiustizia» del danno, in Eur. e dir. priv., 2000, 416 ss.
[25] Nell’art. 1151 del codice civile del 1865, ed ancor prima nel suo modello costituito dall’art. 1382 del codice civile francese del 1804, si faceva riferimento ad un «danno» che non veniva qualificato «ingiusto» come nell’attuale art. 2043 cod. civ. Nondimeno, era implicito che di «danno» non potesse giuridicamente parlarsi senza la lesione “ingiusta” – cioè mediante atto illecito – di un diritto: la mancanza di tale precisazione si spiega storicamente «ricordando come da Giustiniano in poi il rilievo dato al nuovo requisito soggettivo della colpa ha fatto sì che venisse non certamente messo da parte, ma lasciato in certo modo nell’ombra, l’altro requisito, originario e pur sempre fondamentale» (così G. Rotondi, Dalla “lex Aquilia” all’art. 1151 cod. civ.. Ricerche storico-dogmatiche, in Riv. dir. comm., 1917, I, 286).
[26] Una risalente variante dell’alternativa tra primarietà o secondarietà della responsabilità aquiliana era radicata nella discussione sull’autonomia o meno del principio dell’alterum non laedere. «In questa versione, si supponeva che il disposto dell’art. 2043 (e prima ancora quello dell’art. 1151 cod. civ. abr.) avesse natura meramente sanzionatoria di un’istanza deontica precedente e da esso presupposta. E ci si chiedeva se tale istanza deontica potesse farsi consistere in un autonomo principio precettivo, quello appunto dell’alterum non laedere …. Rappresentarlo come principio autonomo avrebbe significato, infatti, attribuire alla responsabilità il ruolo di tecnica volta a conferire rilevanza giuridica a beni e interessi e, perciò, a (contribuire a) determinare l’ambito della garanzia giuridica riconosciuta ai privati. Mentre dissolverlo nella moltitudine degli obblighi preesistenti avrebbe significato relegarla al ruolo di «tutela esterna» di ciò, e solo di ciò, che è già loro riconosciuto ed in capo a loro protetto dall’ordinamento in altre sedi, ad altri fini e sotto altre forme» (così riassume la questione M. Barcellona, op. ult. cit., 416).
Secondo G. Pacchioni (Diritto civile italiano, Parte Seconda, Diritto delle obbligazioni, IV, Dei delitti e quasi delitti, Padova, 1940, 49), peraltro, il primo dei doveri sociali è sì un dovere di astensione, in quanto culpa est immiscere se rei ad se non pertinenti, «[m]a poiché i singoli devono venire in rapporti molteplici gli uni con gli altri, al dovere negativo generale di astensione deve necessariamente aggiungersi un dovere positivo di riguardo per i legittimi interessi dei propri consociati (…) in conformità ai più generali precetti del neminem laedere, dell’honeste vivere, del suum cuique tribuere».
[27] V. P.G. Monateri, op. cit., 198 ss. V., inoltre, già G.P. Chironi, La colpa nel diritto civile odierno, Colpa contrattuale, II ed., Torino, 1897, 1, nota 1, 27.
[28] Cfr. Cass. civ., 11 febbraio 1995, n. 1540, nella banca dati on line del sistema DeJure.
[29] Per questa prospettiva, v. C.M. Bianca, Dell’inadempimento delle obbligazioni, in Comm. Cod. Civ., a cura di V. Scialoja, G. Branca, sub artt. 1218-1229, Bologna-Roma, 1967, 79.
In senso analogo, v. anche L. Barassi (op. cit., II, 439 ss.), il quale sottolinea, però, che una differenza sta in ciò, «che nei generali rapporti individuali il dovere giuridico di contegno corretto non è scritto espressamente ma tuttavia è una imprescindibile esigenza della convivenza sociale; ogni individuo ha un diritto proprio alla loro osservanza per parte degli altri. ... Dall’altra parte invece (contratto ecc.) troviamo doveri giuridici chiaramente espressi: per lo più doveri contrattuali ...».
Secondo M. Giorgianni [voce Inadempimento (Diritto privato), in Enc. dir., XX, Milano, 1970, 888], ancora, «può affermarsi che l’«imputabilità» dell’inadempimento costituisce il necessario presupposto del solo risarcimento del danno. L’art. 1218 si pone, perciò, esattamente sullo stesso piano dell’art. 2043 che regola le conseguenze della responsabilità cosiddetta extracontrattuale. … [I] rimedi posti a disposizione del creditore hanno un diverso presupposto a seconda che colpiscano la violazione del dovere consumata dal debitore, o tentino invece di realizzare l’interesse del creditore. .... Peraltro, anche sul terreno della responsabilità cosiddetta extracontrattuale è dato cogliere una analoga distinzione. Così, i rimedi diretti alla reintegrazione del diritto assoluto (come ad esempio l’azione di revindica) prescindono dalla «colpa» del violatore ovvero dalla «imputabilità»; quest’ultimo presupposto, che l’ordinamento valuta talora in termini di assenza della «buona fede»[,] rileva invece ai fini del risarcimento del danno, o a fini analoghi (restituzione dei frutti, rimborsi per spese, ecc.). Una puntuale applicazione può vedersi anche in tema di concorrenza sleale, in cui i rimedi disposti dal giudice per inibirne la continuazione e per eliminarne gli effetti prescindono, a differenza del risarcimento del danno, dalla colpa dell’autore (art[t]. 2599 e 2600 cod. civ.); ed altresì in tema di abuso dell’immagine altrui (art. 10 cod. civ.), e di tutela dei diritti di autore e di brevetto. In definitiva, dunque, sotto il rilevato punto di vista, si assiste ad una significativa confluenza di principi nel campo più ampio dell’illecito civile».
Inoltre, v. P. Trimarchi, op. cit., 91 ss.
Anche nel sistema di common law inglese è ancora diffusa l’opinione secondo cui la responsabilità da contract e da tort, pur nella diversità delle fonti, avrebbe un’origine comune. Si ritiene che ogni forma di responsabilità derivi, in alternativa, dalla violazione di un’obbligazione oppure di un dovere preesistenti, cosicché nel binomio verbale obligation, riferito al contract, e duty, riferito al tort, andrebbe colta «l’imprescindibilità dell’osservanza dell’una o dell’altro e, quindi, la costruzione in senso doveristico, cioè di centralità della situazione soggettiva passiva, della responsabilità civile» (così M. Serio, La responsabilità civile e la stagione dei doveri, in Eur. e dir. priv., 2008, 403, il quale aggiunge che «[c]iò che differenzia ... le due figure è la fonte dell’obligation o del duty violato: l’accordo o la legge»).
[30] Così A. De Cupis, op. cit., II, 19.
[31] Così M. Giorgianni, L’obbligazione, cit., 18 ss.
[32] V. G. Tucci, op. cit., 128 ss. In coerenza con lo stereotipo dei doveri di protezione, v. già U. Majello, Custodia e deposito, Napoli, 1958, 57 ss.
[33] In dottrina, v. U. Natoli, L’attuazione del rapporto obbligatorio, in Tratt. di dir. civ. e comm., già diretto da A. Cicu, F. Messineo, continuato da L. Mengoni, XVI, t. 1, Il comportamento del creditore, Milano, 1974, passim; S. Rodotà (Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969, 111 ss.), il quale (alle p. 132 ss.) precisa che la portata della buona fede si estende anche alle obbligazioni di fonte non negoziale; A. di Majo, Delle obbligazioni in generale, in Comm. Cod. Civ. V. Scialoja-G. Branca, a cura di F. Galgano, sub artt. 1173-1176, Bologna-Roma, 1988, 116 ss.; F.D. Busnelli, Note in tema di buona fede ed equità, in Riv. dir. civ., 2001, I, spec. 543 ss.
In giurisprudenza, la solidarietà, tramite la buona fede, è stata posta a fondamento dei revirement sulla rilevabilità ex officio della manifesta eccessività della penale ai sensi dell’art. 1384 cod. civ. [cfr. Cass. civ., sez. un., 13 settembre 2005, n. 18128 (in Corr. giur., 2005, 1534, con nota di A. di Majo), alla quale ha fatto seguito Cass. civ., 28 settembre 2006, n. 21066 (in Corr. giur., 2007, 46, con nota di F. Agnino)], sulla non frazionabilità in plurime richieste di adempimento della tutela giurisdizionale per un unico credito, o per i distinti crediti relativi al capitale ed agli interessi, ad opera del creditore (posto che la portata della buona fede investe altresì l’eventuale fase della tutela processuale delle situazioni soggettive che trovano causa nel contratto) [per la prima ipotesi, cfr. Cass. civ., sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726 (in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, 458, con note di A. Finessi e F. Cossignani) e Cass. civ., 22 dicembre 2011, n. 28286 (in Danno e resp., 2012, 1123, con nota di A. Rossi); per la seconda ipotesi, cfr. Trib. Foggia, 3 febbraio 2012 (in I contratti, 2012, 803, con nota di G. Petti)], sull’efficacia solutoria del pagamento mediante titoli di credito [cfr. Cass. civ., sez. un., 18 dicembre 2007, n. 26617, in Corr. giur., 2008, 500, con nota di A. di Majo] e sulla domanda di accertamento selettivo delle nullità dei singoli ordini di investimento in caso di nullità protettiva del contratto quadro per mancanza di forma (cfr. Cass. civ., sez. un., 4 novembre 2019, n. 28314). Cfr. anche Cass. civ., 18 ottobre 2004, n. 20399, in I contratti, 2005, 429, con nota di M. Selvini.
[34] Il lungo percorso verso il riconoscimento nell’art. 2043 cod. civ. di una clausola generale è culminato con la storica seppur contraddittoria Cass. civ., sez. un., 22 luglio 1999, n. 500, in Foro it., 1999, I, 2487, con osservazioni di A. Palmieri e R. Pardolesi; in Eur. e dir. priv., 1999, 1241, con note di S. Agrifoglio e C. Castronovo.
In proposito, si rinvia in dottrina a F.D. Busnelli (voce Illecito civile, in Enc. giur. Treccani, XV, Roma, 1989, ma agg. 1991, 7 ss.; Id., Lesione di interessi legittimi: dal “muro di sbarramento” alla “rete di contenimento”, in Danno e resp., 1997, 269), il quale condivide l’alternativa della clausola generale, già accolta tra gli altri da S. Rodotà (Il problema della responsabilità civile, Milano, 1964, 79 ss.), che la àncora al principio di solidarietà, e da G. Visintini (Il danno ingiusto, in Riv. crit. dir. priv., 1987, 177).
Per un quadro d’insieme, v. A. Belvedere, «Fatto» e «danno» nelle interpretazioni dell’art. 2043 c.c., in Resp. civ. e prev., 2018, 740; E. Bargelli, L’ingiustizia del danno, in Codice della responsabilità civile, cit., 806; Ead., Lesione di interessi atipici, in Codice della responsabilità civile, cit., 973.
Sulla concretizzazione giudiziale delle clausole generali, v. S. Patti, L’interpretazione delle clausole generali, in Riv. dir. civ., 2013, 263.
[35] V. E. Navarretta, L’evoluzione storica dell’ingiustizia del danno e i suoi lineamenti attuali, in Diritto civile, diretto da N. Lipari, P. Rescigno, coordinato da A. Zoppini, IV, t. 3, cit., 135; Ead., La tutela risarcitoria degli interessi legittimi, in Diritto civile, diretto da N. Lipari, P. Rescigno, coordinato da A. Zoppini, IV, t. 3, cit., 199.
[36] V. F. Piraino (Diligenza, buona fede e ragionevolezza nelle pratiche commerciali scorrette. Ipotesi sulla ragionevolezza nel diritto privato, in Eur. e dir. priv., 2010, 1152 ss.), il quale osserva che, però, il legislatore italiano ha di solito riservato l’espressione “buona fede” alla materia contrattuale e ha preferibilmente impiegato l’espressione “correttezza” in altri contesti.
[37] V. U. Breccia, L’abuso del diritto, in Diritto Privato, III, L’abuso del diritto, Padova, 1997, 5; F.D. Busnelli, E. Navarretta, Abuso del diritto e responsabilità civile, in Diritto Privato, III, L’abuso del diritto, cit., 171 ss. L. Nivarra (Un dibattito palermitano su illeciti atipici, in Eur. e dir. priv., 2006, 1019) sottolinea che la buona fede permette un’interazione tra regole e principi.
[38] V. E. Navarretta, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, Torino, 1996, 149 ss., 170 ss.
[39] In dottrina, contrario alla penetrazione della solidarietà nella responsabilità civile attraverso l’ingiustizia del danno è M. Barcellona (op. ult. cit. 424 ss.), il quale replica che «l’ingiustizia ... non è stata affatto concepita come una clausola generale. Ed è abbastanza ovvio che il valore sovraordinato del dettato costituzionale possa, sì, pretendere di influenzare il senso di una clausola generale ma non possa, invece, pretendere di trasformare in clausola generale ciò che non lo è. Peraltro, contro una tale solidarizzazione della responsabilità civile depongono due altre, e decisive, ragioni. La prima è che il principio di solidarietà nella Carta costituzionale ha, da un lato, un senso perequativo parallelo a quello dell’eguaglianza materiale e, dall’altro, una funzione di legittimazione dell’intervento sul potere d’impresa e sui poteri proprietari, l’uno e l’altra assolutamente impertinenti rispetto al tipo di problema di cui si discute sotto il titolo dell’ingiustizia del danno. La seconda è che, comunque, la «riserva di legge», a cui la Costituzione subordina le opzioni solidaristiche, renderebbe costituzionalmente incongrua un’attivazione giudiziale del principio di solidarietà quale necessariamente si darebbe assumendolo a criterio del giudizio di «ingiustizia» del danno».
Tuttavia, l’assunto secondo cui l’art. 2043 cod. civ. non delineerebbe una clausola generale è rovesciabile, ed è stato nei fatti rovesciato. Inoltre, ridurre la solidarietà ad una funzione perequativa su un piano solo materiale è una petizione di principio. Infine, la presenza di una riserva di legge non impedisce la concretizzazione in via ermeneutica di concetti elastici, che dallo stesso legislatore sono stati rimessi alla pur cauta elaborazione dell’interprete.
In giurisprudenza, contra, Cass. civ., 5 maggio 2017, n. 10906 (nella banca dati on line del sistema DeJure), in cui si afferma che la correlazione tra correttezza e solidarietà può valere solo in ambito contrattuale.
[40] In dottrina, con riguardo all’abuso del diritto e non solo, v. U. Natoli, Note preliminari ad una teoria dell’abuso del diritto nell’ordinamento giuridico italiano, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1958, 18, spec. 26 ss.; Id., L’attuazione del rapporto obbligatorio, cit., t. 1, 32 ss.; A. Galoppini, Appunti sulla rilevanza della regola di buona fede in materia di responsabilità extracontrattuale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1965, 1386; U. Breccia, Diligenza e buona fede nell’attuazione del rapporto obbligatorio, Milano, 1968, 33, nota 52, 46 ss.; A. di Majo, Delle obbligazioni in generale, cit., 116 ss.; F.D. Busnelli, Note in tema di buona fede ed equità, cit., spec. 543 ss.; E. Navarretta, Il danno non iure e l’abuso del diritto, in Diritto civile, diretto da N. Lipari-P. Rescigno, coordinato da A. Zoppini, IV, t. 3, cit., 255; L. Balestra, Rilevanza, utilità (e abuso) dell’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 2017, 541. Talvolta il giudizio di buona fede apre la via alla «ragionevolezza» e se ne serve: sulla nozione di ragionevolezza, v. S. Patti, La ragionevolezza nel diritto civile, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2012, 1; sui rapporti tra buona fede e ragionevolezza, v. E. Navarretta, Buona fede e ragionevolezza nel diritto contrattuale europeo, in Eur. e dir. priv., 2012, 953.
In giurisprudenza, cfr. Cass. civ., 9 giugno 1998, n. 5659, in Foro it., 1999, I, 660, con nota di L. Lambo; Cass. civ., 29 agosto 2011, n. 17685, in Danno e resp., 2012, 135, con nota di P. Patti, G.M. Tancredi.
Contra, in dottrina, P. Rescigno [Notazioni generali sul principio di buona fede, in Il principio di buona fede (Giornata di studio-Pisa, 14 giugno 1985), Milano, 1987, 34 ss], secondo cui «[l]a buona fede è sempre nozione legata al contratto» (così alla pag. 35); C. Scognamiglio (Buona fede e responsabilità civile, in Eur. e dir. priv., 2001, 343; Lesione dell’affidamento e responsabilità civile della Pubblica Amministrazione, nota di commento a Cass. civ., sez. un., 23 marzo 2011, nn. 6594, 6595 e 6596, ord., in Resp. civ. e prev., 2011, 1749), il quale afferma che la buona fede, nelle ipotesi solitamente portate ad esempio per attestarne la rilevanza ai fini della responsabilità aquiliana, dovrebbe in realtà servire, in quanto possibile fonte di obblighi di protezione in contesti relazionali qualificati, a fondare una responsabilità da contatto sociale, senza avvedersi che questa visione presuppone proprio l’operatività della buona fede anche in ambiti dove mancasse una preesistente obbligazione inadempiuta tra danneggiante e danneggiato, perché è lapalissiano che, se i contesti relazionali irriconducibili allo schema del rapporto obbligatorio tradizionale (e, quindi, altrimenti appannaggio delle regole extracontrattuali) fossero per principio sottratti alla sfera d’azione della buona fede, quest’ultima, in tali contesti, non potrebbe neppure essere fonte di obblighi di protezione; M. Barcellona (L’abuso del diritto: dalla funzione sociale alla regolazione teleologicamente orientata del traffico giuridico, in Riv. dir. civ., 2014, 467), il quale afferma che l’abuso del diritto «non costituisce un «principio autonomo» ma lo schema di ragionamento (funzional-teleologico) che si implementa per risolvere un conflitto tra principi rivali» e, «poiché il parametro secondo cui attingere la relativa soluzione dipende dal tipo di problema che, di volta in volta, tale conflitto prospetta e dalle rationes che, di volta in volta, mette a confronto», «la buona fede non è altro che uno dei diversi parametri ai quali ... rimettere la soluzione» (così alla pag. 490); C. Castronovo (Eclissi del diritto civile, Milano, 2015, 106 ss.), il quale ritiene che la buona fede inerisca solo all’area dei rapporti obbligatori, ma anche che abuso del diritto e buona fede siano figure distinte, in quanto il primo atterrebbe ad un atto, si riferirebbe ad un vizio del potere ed in ambito contrattuale si tradurrebbe in un’invalidità, mentre la seconda atterrebbe al rapporto, ne sarebbe fonte di integrazione e la sua violazione in ambito contrattuale sarebbe fonte di responsabilità.
[41] Così F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, IX ed., Napoli, 1966 (rist. 1971), 76 ss.
[42] Con riguardo al celebre “caso De Chirico”, cfr. Cass. civ., 4 maggio 1982, n. 2765, in Foro it., 1982, I, 2864, con nota di F. Macario; in Giust. civ., 1982, I, 1745, con nota di A. di Majo. Cfr., inoltre, Cass. civ., 25 luglio 1986, n. 4755, in Nuova giur. civ. comm., 1987, I, 386, con nota di M. Libertini.
[43] D’altronde, un ipotetico diritto al patrimonio o all’integrità patrimoniale non comprenderebbe gli interessi ugualmente patrimoniali definiti “dinamici”. Un’eccessiva concentrazione sulla posizione del danneggiato, poi, vanificherebbe il filtro dell’ingiustizia, fino ad impedire sia il contemperamento con la posizione del danneggiante, sia la delimitazione della cerchia di coloro che sono ammessi alla tutela risarcitoria.
In proposito, in dottrina, v. L. Bigliazzi Geri, Interessi emergenti, tutela risarcitoria e nozione di danno, in Riv. crit. dir. priv., 1996, 50 ss.; M. Maggiolo, op. cit., Milano, 2003, 64 ss.; sulla vanificazione dell’ingiustizia di cui all’art. 2043 cod. civ., P.G. Monateri, op. cit., 578 ss.
Un diritto all’integrità del patrimonio, tale da impetrare il principio di effettività della tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost., non può essere desunto neppure dall’art. 41 Cost. In primo luogo, la sua sfera di incidenza è principalmente quella dei rapporti tra il cittadino e lo Stato. In secondo luogo, la disposizione sembra garantire – non il patrimonio privato, bensì – la libertà di concorrenza, indispensabile per un funzionamento efficiente del sistema economico. In terzo luogo, è da escludere l’applicabilità dell’art. 41 Cost. a situazioni concernenti coloro che non esplichino un’attività economica in regime di libera concorrenza. In proposito, v. C. Scognamiglio, L’ingiustizia del danno (art. 2043), in Tratt. di dir. priv., diretto da M. Bessone, X, Illecito e responsabilità civile, t. 1, Torino, 2005, 63 ss.
Sulla nozione generale ed astratta di patrimonio, il quale «può subire delle diminuzioni senza che nessuna delle sue componenti esteriori sia stata in alcun modo colpita», v. già R. von Jhering, Della culpa in contrahendo ossia del risarcimento del danno nei contratti nulli o non giunti a perfezione (trad. italiana di F. Procchi), Napoli, 2005, 51.
[44] Si pensi al rilascio di informazioni che non integrino il contenuto di una prestazione obbligatoria, oppure ad una contraddittoria condotta provvedimentale o non provvedimentale.
Ormai «ognuno può essere chiamato a rispondere degli affidamenti ingiustamente creati nei terzi in relazione ad affari che rientrino nell’ambito dei poteri, pur limitati, che concretamente gli spettino su di un determinato bene» (così si legge, a proposito della responsabilità precontrattuale verso terzi dell’utilizzatore del fondo oggetto di un contratto di leasing, ma con affermazione di portata generale, in Cass. civ., 13 febbraio 2014, n. 3362, in I contratti, 2014, 629, con nota di G. Petti).
Sugli affidamenti nei rapporti politici, cfr. Trib. Torino, 23 luglio 2003, in Foro it., 2004, I, 1953.
Sulla responsabilità del franchisor per l’affidamento ingenerato in ordine alle caratteristiche ed all’attività del franchisee, cfr. App. Napoli, 3 marzo 2005, in I contratti, 2005, 1133, con nota di A. Venezia.
Sulla responsabilità della banca per lesione dell’incolpevole affidamento instillato con false, inesatte o omesse informazioni (in relazione ai c.d. “benefondi”, in caso di insider trading ovvero circa l’affidabilità economica di un soggetto), oppure con un’abusiva concessione di credito, cfr. Cass. civ., sez. un., 28 marzo 2006, n. 7030, in Corr. giur., 2006, 643, con nota di G. Fauceglia; Cass. civ., 25 settembre 2003, n. 14234, in I contratti, 2004, 145, con nota di A. Franchi; Cass. civ., 6 giugno 2003, n. 9103, in Resp. civ. e prev., 2004, 756, con nota di R. Frau; Cass. civ., 9 giugno 1998, n. 5659, in Foro it., 1999, I, 660, con nota di L. Lambo; Cass., 1 agosto 1992, n. 9167, nella banca dati on line del sistema DeJure; Trib. Milano, 14 febbraio 2004, in Foro it., 2004, I, 1581, con nota di G. Carriero; Trib. Foggia, 7 maggio 2002, in Resp. civ. e prev., 2003, 839, con nota di M. Nuzzo.
Sulla responsabilità da informazioni inesatte della P.A., cfr. Cass. civ., 9 febbraio 2004, n. 2424, in Resp. civ. e prev., 2004, 731, con nota di M. Poto; in Danno e resp., 2005, 63, con nota di M. Grondona; in Corr. giur., 2005, 253, con nota di B. Di Vito.
Sulla responsabilità della Co.n.so.b. per omesso o insufficiente controllo su informazioni soggette alla sua vigilanza, poi rivelatesi false, immesse nel mercato da operatori privati e tali da far sorgere affidamento negli investitori, cfr. Cass. civ., sez. un., 2 maggio 2003, n. 6719, ord. e App. Milano, 21 ottobre 2003, in Resp. civ. e prev., 2004, 165, con nota di R. Caranta; Cass. civ., sez. un., n. 6719/2013, ord., cit., è anche in Corr. giur., 2003, 734, con nota di A. di Majo; App. Milano, 21 ottobre 2003, cit., è anche in Corr. giur., 2004, 933, con nota di A. Tina; Cass. civ., 3 marzo 2001, n. 3132, che ha cassato App. Milano, 13 novembre 1998, in Le società, 2001, 565, con nota di P. Anello, S. Rizzini Bisinelli; Trib. Roma, 26 luglio 2004, in Foro it., 2005, I, 559, con nota di A. Palmieri.
Sulla responsabilità solidale della società di revisione, dei revisori e dei dipendenti della società di revisione per l’affidamento falsamente ingenerato nei terzi investitori circa la società certificata, cfr. Trib. Milano, 4 novembre 2008, in Corr. giur., 2009, 531, con nota di V. Sangiovanni.
Sulla sostanziale lesione dell’affidamento incolpevole del depositante in un caso di deposito a titolo di cortesia, cfr. Trib. Belluno, 21 novembre 2003, in Foro it., 2004, I, 1949.
Sull’affidamento ingenerato dalla P.A. nel soggetto individuato come contraente a seguito di un’aggiudicazione viziata e poi annullata dall’Autorità Giudiziaria Amministrativa o revocata in via di autotutela, cfr. Cass. civ., 21 novembre 2011, n. 24438, in Urb. e app., 2012, 673, con nota di D. Ponte; sull’affidamento ingenerato dalla P.A. per mancata informazione sull’invalidità o sull’inefficacia del contratto stipulato con un privato, anche qualora l’invalidità o l’inefficacia derivino da una norma astrattamente conoscibile dalla controparte, cfr., invece, Cass. civ., 12 maggio 2015, n. 9636, in Corr. giur., 2016, 56, con nota di M.C. Agnello.
[45] A proposito della lesione dell’affidamento di un privato nella legittimità di un provvedimento amministrativo a sé favorevole, poi al contrario annullato in quanto illegittimo, a causa di un contraddittorio comportamento della P.A., cfr. Cass. civ., sez. un., 4 settembre 2015, n. 17586, nonché Cass., sez. un., 22 maggio 2017, n. 12799, entrambe nella banca dati on line del sistema DeJure.
In dottrina, v. A.G. Grasso, Annullamento dell’atto amministrativo e lesione dell’affidamento incolpevole, in Riv. dir. civ., 2019, 243.
[46] A proposito della lesione dell’affidamento di un privato a causa di un’incoerente condotta della P.A., tanto nell’esercizio diretto o mediato di un potere pubblico, quanto al di fuori di un tale esercizio, cfr., a prescindere dalla configurazione di una responsabilità paracontrattuale, Cass. civ., sez. un., 28 aprile 2020, n. 8236, e Cass. civ., sez. un., 15 gennaio 2021, n. 615, entrambe nella banca dati on line del sistema DeJure.
[47] La stessa espressione «clausola generale» è stata sovente impiegata in due differenti significati. «Da un lato, ... alludendo in realtà ad una norma generale, riassuntiva di una serie di casi che il legislatore non intende specificamente elencare; dall’altro, ... come concetto elastico, che necessita, caso per caso, di un’integrazione valutativa da parte dell’interprete» (così C. Scognamiglio, voce Ingiustizia del danno, in Enc. giur. Treccani, XVII, Roma, 1989, ma agg. 1996, 8).
Sulla differenza tra clausola generale e norma generale, v. L. Mengoni, Spunti per una teoria delle clausole generali, in Riv. crit. dir. priv., 1986, 9 ss.; nonché P. Rescigno [voce Obbligazioni (nozioni), in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, 154 ss.], che presta particolare attenzione al formante giurisprudenziale.
[48] L’ordinamento italiano, quindi, si attesterebbe su una posizione mediana tra quella francese (il cui fulcro era l’art. 1382 del Code Civil, divenuto ora l’art. 1240, che non menziona il requisito dell’ingiustizia del danno) e quella tedesca (il cui fulcro è il § 823 BGB, che delinea un sistema di illeciti tendenzialmente tipici).
[49] V. C. Castronovo, Le frontiere nobili della responsabilità civile, in Riv. crit. dir. priv., 1989, 546 ss.; Id., La nuova responsabilità, cit., spec. 6 ss.; C. Scognamiglio, voce Ingiustizia del danno, cit., passim; Id., L’ingiustizia, cit., 23 ss.; nonché, pur con accenti diversi, M. Barcellona, Strutture, cit., 401, 413 ss.
Se l’art. 2043 cod. civ. venisse ricostruito come norma generale imperniata sull’offesa ad una situazione giuridica lato sensu intesa, poi, l’antigiuridicità della condotta lesiva, ossia l’aspetto del non jure datum, non rientrerebbe nella nozione di «danno ingiusto», che allora sarebbe composta solo dal contra jus, e l’illecito aquiliano – tranne quando sia richiesta la violazione di una norma di legge – avrebbe non l’“antigiuridicità” tra i propri elementi costitutivi, bensì piuttosto la “non antigiuridicità” tra i propri elementi impeditivi. Per un verso, il danneggiato non dovrebbe provare l’antigiuridicità. Per altro verso, anche la categoria degli atti leciti dannosi comprenderebbe ipotesi di responsabilità a fronte di un danno ingiusto, seppure in deroga al principio dell’integrale risarcimento del danno. In proposito, v. C. Castronovo, La nuova responsabilità, cit., 17 ss.; F. Piraino, «Ingiustizia del danno» e antigiuridicità, in Eur. e dir. priv., 2005, 703 ss.
Il principio di tipicità degli illeciti sarebbe avallato anche da una lettura non restrittiva dell’art. 23 Cost.: v. P. Forchielli, Responsabilità civile, Padova, 1984, 78 ss.; A. Gorassini, Art. 23 Cost. e responsabilità civile, in Responsabilità civile e assicurazione obbligatoria, a cura di M. Comporti, G. Scalfi, Milano, 1988, 259. Ciò comporterebbe «[l]a perdita di rilevanza, nell’esame del dato positivo, delle discussioni sui modelli e le funzioni della responsabilità civile» (così A. Gorassini, op. cit., 263), perché ogni fattispecie extracontrattuale avrebbe la propria ragion d’essere.
La lettura dell’art. 2043 cod. civ. come norma generale è perlopiù negletta in giurisprudenza, ma in tal senso cfr. Cons. Stato, 17 gennaio 2014, n. 183, nella banca dati del sistema Jurisdata.
[50] V. F. Forcellini, A. Iuliani, Le clausole generali tra struttura e funzione, in Eur. e dir. priv., 2013, 395.
Si è già visto, però, che la buona fede, in realtà, orienta anche l’ingiustizia del danno.
[51] V. A. di Majo, Il problema del danno al patrimonio, in Riv. crit. dir. priv., 1984, 297; C. Castronovo, Le frontiere, cit., 549 ss.; Id., La nuova responsabilità, cit., 109 ss.; G. Ponzanelli, Il risarcimento del danno meramente patrimoniale nel diritto italiano, in Danno e resp., 1998, 729; N. Muccioli, Osservazioni in tema di danno meramente patrimoniale, in Nuova giur. civ. comm., 2008, II, 430; E. Bargelli, Il problema del danno meramente patrimoniale, in Codice della responsabilità civile, cit., 979.
Tra l’altro, si osserva che, sul terreno patrimoniale, «la Carta costituzionale ha obiettivamente fatto arretrare la tutela del soggetto privato rispetto al passato, come provano i limiti intrinseci della funzione sociale e dell’utilità sociale imposti rispettivamente alla proprietà e all’iniziativa economica che del soggetto privato costituiscono le due dimensioni fondamentali nei rapporti patrimoniali. Un allargamento dell’area del danno risarcibile fino al limite della diminuzione puramente patrimoniale ... appare allora situarsi proprio in controtendenza rispetto alle scelte costituzionali, in quanto rende rilevante una perdita che per definizione non dovrebbe esserlo» (così C. Castronovo, La nuova responsabilità, cit., 196).
Per M. Maggiolo (op. cit., 1 ss., 30 ss.), in senso più restrittivo, danno meramente patrimoniale sarebbe quello non discendente dalla distruzione o dal deterioramento di un bene materiale, così come dalla lesione della persona del danneggiato, sicché, ad esempio, sarebbe meramente patrimoniale anche il danno derivante dalla lesione di un interesse legittimo, che pure rientra nel catalogo delle situazioni giuridiche.
[52] Sui temi di maggiore spessore che hanno riguardato la responsabilità aquiliana, v. R. Scognamiglio, voce Responsabilità civile, in Noviss. dig. it., XV, Torino, 1968, 628; F.D. Busnelli, Nuove frontiere della responsabilità civile, in Jus, 1976, 41; Id., La parabola della responsabilità civile, in Riv. crit. dir. priv., 1988, 643; Id., voce Illecito civile, cit., 1 ss.; F. Galgano, Le mobili frontiere del danno ingiusto, in Contr. e impr., 1985, 1; Id., La commedia della responsabilità civile, in Riv. crit. dir. priv., 1987, 191; C. Castronovo, Le frontiere, cit., 539; Id., La responsabilità civile in Italia al passaggio del Millennio, in Eur. e dir. priv., 2003, 123; Id., Le due specie della responsabilità civile e il problema del concorso, in Eur. e dir. priv., 2004, 76; V. Scalisi, Ingiustizia del danno e analitica della responsabilità civile, in Riv. dir. civ., 2004, I, 29; G. Alpa, Gli incerti confini della responsabilità civile, in Resp. civ. e prev., 2006, 1805; S. Mazzamuto, Spunti in tema di danno ingiusto e di danno meramente patrimoniale, in Eur. e dir. priv., 2008, 349.
[53] In prospettiva critica, v. F. Azzarri, Risarcimento dei danni non patrimoniali contrattuali, in Codice della responsabilità civile, cit., 414 ss.
[54] V. R. Sacco, L’ingiustizia di cui all’art. 2043 c.c., nota di commento ad App. Palermo, 11 giugno 1959, in Foro pad., 1960, I, 1420. Lo stesso C. Castronovo (L’avventura delle clausole generali, in Riv. crit. dir. priv., 1986, 21), da un lato, taccia di overstatement la battaglia per l’affermazione delle clausole generali quali strumenti che permettono la partecipazione dell’interprete alla costruzione dell’ordinamento giuridico, ma, dall’altro, avversa la tendenza tradizionale che ricollega all’interpretazione una funzione meramente dichiarativa e ne esalta il ruolo creativo tout court, a prescindere dalla concretizzazione di una clausola generale piuttosto che di una qualunque disposizione.
[55] V. G. Alpa, Il problema della atipicità dell’illecito, Napoli, 1979, 23 ss.; P.G. Monateri, op. cit., 51 ss. Con particolare riguardo al sistema inglese della responsabilità extracontrattuale, la cui originaria tipicità viene erosa dal tort of negligence, v. G. Villa, Il tort of negligence nel sistema inglese dei fatti illeciti, in Contr. e impr., 2011, 263. Sul pencolare del diritto europeo della responsabilità civile tra gli antagonistici modelli nazionali della clausola generale e della norma generale, v. C. Castronovo, Sentieri di responsabilità civile europea, in Eur. e dir. priv., 2008, 787.
[56] In dottrina, v. E. Betti, op. ult. cit., I, 107 ss.; L. Bigliazzi Geri, op. ult. cit., 40 ss.; F. Giardina, Responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale. Significato attuale di una distinzione tradizionale, Milano, 1993, 139 ss.; C. Salvi, La responsabilità civile, II ed., in Tratt. di dir. priv., a cura di G. Iudica, P. Zatti, Milano, 2005, 14; C. Castronovo (La nuova responsabilità, cit., 455 ss.), secondo cui l’ingiustizia «è presupposto essenziale del sorgere ex novo di un’obbligazione (di risarcimento), laddove nella responsabilità contrattuale il vinculum iuris già esiste e la responsabilità ne diventa uno stato allotropico, un modo altro di perseguire lo stesso interesse in funzione del quale il rapporto è stato costituito» (così alla pag. 456); E. Navarretta, L’evoluzione, cit., 160 ss.; Ead., L’ingiustizia del danno e i problemi di confine tra responsabilità contrattuale e extracontrattuale, in Diritto civile, diretto da N. Lipari, P. Rescigno, coordinato da A. Zoppini, IV, t. 3, cit., 237 ss.
Nella prospettiva dell’art. 2043 cod. civ. come clausola generale, osservare che l’ingiustizia caratterizza sempre l’inadempimento è utile proprio per accostare, sotto questo profilo, le due specie di responsabilità civile. A dimostrazione della loro perdurante distinzione, quindi, non vale affermare che, riguardo alla responsabilità da inadempimento, «risulta privo di qualsiasi senso giuridico un discorso sulla «ingiustizia» del danno», in quanto, «dal punto di vista costruttivo, non ha senso discorrere del requisito di una fattispecie che sia in essa invariabilmente presente (... in re ipsa)» [così, invece, C. Scognamiglio, L’ingiustizia, cit., 9].
In giurisprudenza, cfr. Cass. civ., 11 novembre 2019, n. 28992 ed in Cass. civ., 11 novembre 2019, n. 28991, entrambe nella banca dati on line del sistema DeJure; in Resp. civ. e prev., 2020, 193, con note di M. Franzoni e di C. Scognamiglio.
[57] Sulla meritevolezza dell’interesse ai sensi dell’art. 1322 cod. civ., v., anche per l’esposizione delle varie tesi in materia, oscillanti tra il richiedere la mera non illiceità ed il pretendere il superamento di un determinato grado di apprezzabilità dell’interesse, E. Betti (Teoria generale delle obbligazioni, III, 1, Fonti e vicende dell’obbligazione, Milano, 1954, 59 ss.), che preferisce addirittura non parlare di negozi “atipici”, bensì adoperare le categorie della “tipicità legislativa” e della “tipicità sociale”; G.B. Ferri, Meritevolezza dell’interesse e utilità sociale, nota di commento ad App. Milano, 29 dicembre 1970, in Riv. dir. comm., 1971, II, 81; Id., Ancora in tema di meritevolezza dell’interesse, in Riv. dir. comm., 1979, I, 1; Id., voce Ordine pubblico (Diritto privato), in Enc. dir., XXX, Milano, 1980, 1040 ss.; F. Gazzoni, Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi, in Riv. dir. civ., 1978, I, 52; F. Piraino, voce Meritevolezza degli interessi, in Enc. dir., I tematici, I, Contratto, diretto da G. D’Amico, Milano, 2021, 667.
[58] V. A. di Majo, La tutela civile dei diritti, IV ed., Milano, 2003, 198).
[59] V., in particolare, L. Barassi, La teoria generale delle obbligazioni, III, L’attuazione, Milano, rist. 1964, 365 ss. Di recente, dopo la novellazione dell’istituto della legittima difesa nel diritto penale ed in quello civile (con l’aggiunta di due commi all’art. 2044 cod. civ.), v. C. Chessa, La legittima difesa novellata nel prisma della responsabilità civile, in Riv. dir. civ., 2020, 1289, spec. 1315 ss.
[60] Uno stato di necessità, anche se fosse irrilevante come categoria autonoma in area contrattuale, potrebbe nondimeno escludere la responsabilità da inadempimento, magari attraverso una valutazione secondo buona fede, in quanto causa non imputabile al debitore dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione: v. F.D. Busnelli, La lesione del credito da parte di terzi, Milano, 1963, 177 ss.; M. Franzoni, L’illecito, in Tratt. della resp. civ., diretto da M. Franzoni, II ed., I, Milano, 2010, 1163 ss.; contra, L. Cabella Pisu, La nozione di impossibilità come limite della responsabilità del debitore, in Tratt. della resp. contr., diretto da G. Visintini, I, Inadempimento e rimedi, Padova, 2009, 212 ss.; L. Nonne, Contributo ad una rilettura dell’art. 2045 c.c. Fattispecie e disciplina, in Giust. civ., 2017, 477 ss.
Per l’assorbimento dello stato di necessità e della legittima difesa nella causa non imputabile ai sensi dell’art. 1256 cod. civ., v. P. Perlingieri (Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, in Comm. Cod. Civ., a cura di V. Scialoja-G. Branca, sub artt. 1330-1259, Bologna-Roma, 1975, 463 ss.), il quale, pertanto, nega che il debitore sia obbligato all’indennità prevista dall’art. 2045 cod. civ. In tal senso, con riguardo allo stato di necessità, v. anche E. Carbone, Diligenza e risultato nella teoria dell’obbligazione, Torino, 2007, 111 ss.
[61] V. U. Majello, Responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale, in Rass. dir. civ., 1988, 123. In senso analogo, almeno se si utilizza la lesione di un interesse come fulcro di una ricostruzione sistematica della responsabilità civile, v. F. Giardina, op. cit., 43. Più di recente, v. anche A. Gnani, Sistema di responsabilità e prevedibilità del danno, Torino, 2008, 86 ss.
[62] V. F. Giardina, op. cit., 224 ss., 233 ss.
[63] Già G. Giorgi (Teoria delle obbligazioni nel diritto moderno italiano, VII ed., II, Firenze, 1907, 133 ss.) avvertiva «che il fondamento giuridico dell’obbligo di riparazione è sempre un fatto illecito: la violazione imputabile dell’obbligazione».
[64] Si può anche dire che gli artt. 2043 e 1218 cod. civ. prevedono illeciti atipici e, quindi, sono due disposizioni generali, rispettivamente, nell’area della responsabilità da fatto illecito e nell’area della responsabilità da inadempimento. Tali disposizioni, però, non sono contrapposte, ed il loro coordinamento offre una regola comune. D’altronde, l’art. 1218 cod. civ. tutela, in virtù di una selezione effettuata a priori, anche interessi meritevoli di tutela secondo l’art. 2043 cod. civ. In tal senso, v. F. Giardina, op. cit., 126, 139 ss., 181 ss., 233 ss.
[65] V. C. Scognamiglio, Il danno al patrimonio tra contratto e torto, in Resp. civ. e prev., 2007, 1253. V. anche S. Mazzamuto, op. cit., 398.
In prospettiva comparatistica, v. J. van Dunné (trad. italiana di C. Amato, G. Pedrazzi, G. Ponzanelli), Responsabilità per danno meramente patrimoniale: regola o eccezione?, in Danno e resp., 2000, 121.
[66] A proposito del negozio giuridico, v. F. Santoro-Passarelli, op. cit., 125 ss.
[67] L’irrisarcibilità del danno da lesione del diritto di credito ad opera di terzi veniva giustificata non soltanto con la natura relativa anziché assoluta del diritto, tale che avrebbe potuto essere inciso unicamente dall’obbligato (per tutti, v. già G. Giorgi, Teoria delle obbligazioni nel diritto moderno italiano, VII ed., I, Firenze, 1907, 3; V. Polacco, Le obbligazioni nel diritto civile italiano, II ed., Roma, 1915, 22 ss.; nonché, sotto il Codice Civile vigente, A. De Cupis, op. cit., II, 56 ss., il quale, però, alle pagg. 82 ss., ammette un’eccezione alla regola, in virtù del principio sotteso al divieto di atti emulativi di cui all’art. 833 cod. civ., quando il terzo abbia leso il diritto di credito con l’esclusiva intenzione di nuocere al creditore), ma altresì con l’assenza di causalità giuridica tra la morte o l’infortunio del debitore e la violazione del diritto del creditore (cfr., in merito alla celebre vicenda del disastro di Superga, il tortuoso ragionamento sviluppato in Cass. civ., 4 luglio 1953, n. 2085, in Foro it., 1953, I, 1086).
Eppure la medesima vicenda mostra profili diversi a seconda che la si guardi dalla prospettiva dell’una o dell’altra parte dell’obbligazione. Invero, il debitore di cui il terzo comprometta un interesse personale riporta danni-conseguenza, ma questi sono a propria volta eventi lesivi del diritto di credito, dai quali derivano per il creditore distinti pregiudizi immediati e diretti.
Peraltro, con un orientamento che affonda le proprie radici in un’antica tradizione giuridica, la giurisprudenza non ha mai negato il risarcimento ai familiari della vittima primaria dell’illecito in caso di lesione di un credito alimentare: per un accenno, v. G. Giorgi, op cit., V, 320 ss. La diversità delle soluzioni sfugge ad ogni logica, ed una responsabilità verso il gruppo familiare trova spiegazione unicamente nella storia, «perché la tradizione germanistica è giunta ininterrotta fino a noi, e ci consegna l’idea che l’ingiustizia dell’uccisione o della lesione permanente sussista verso i familiari, oltreché verso la vittima diretta» (così R. Sacco, op. ult. cit., 1441).
[68] La tutelabilità aquiliana del credito è stata ammessa attraverso due distinte fasi.
Dapprima, il risarcimento è stato subordinato all’estinzione dell’obbligazione provocata dalla condotta lesiva del terzo, con la conseguenza per il creditore di una perdita definitiva ed irreparabile in base al criterio dell’insostituibilità del debitore: la svolta si è avuta con Cass. civ., sez. un., 26 gennaio 1971, n. 174 (in Foro it., 1971, I, 342), inerente all’altrettanto celebre “caso Meroni”, in cui la definitività della mancanza o dell’inesattezza della prestazione dipendeva dal decesso del debitore a causa dell’illecito del terzo (anche se il grado di sostituibilità del debitore dovrebbe rilevare solo sulla risarcibilità in concreto del danno da lesione del credito, non anche sulla sua tutelabilità in astratto). Tuttavia, anche il creditore di una somma di denaro potrebbe risentire danno dall’uccisione del debitore, se costui, in mancanza di sufficienti risorse patrimoniali, ricavava dal proprio lavoro i mezzi per adempiere, almeno qualora l’eredità del debitore venga accettata con beneficio di inventario; ed è palese, pertanto, che la limitazione della responsabilità all’uccisione del debitore di un «fare» infungibile era dettata dalla preoccupazione di non estendere troppo la legittimazione all’azione: v. P. Trimarchi, Sulla responsabilità del terzo per pregiudizio al diritto di credito, in Riv. dir. civ., 1983, I, 225.
Più tardi, la tutela è stata estesa al creditore che, a causa dell’illecito del terzo, abbia subìto danno per la temporanea impossibilità del debitore di eseguire la prestazione: cfr. Cass. civ., sez. un., 24 giugno 1972, n. 2135, in Foro it., 1972, I, 99, con nota di V.M. Caferra. Un’applicazione di questo principio si è avuta a vantaggio del datore di lavoro di un lavoratore temporaneamente inabilitato, quando il primo sia tenuto a corrispondere la retribuzione e contributi previdenziali nell’interesse dell’infortunato: sulla questione si rinvia, anche per i pertinenti riferimenti giurisprudenziali, ad A. Venturelli, nota di commento a Cass. civ., 24 maggio 2003, n. 8250, in Danno e resp., 2004, 47.
Un contributo fondamentale all’estensione della tutela aquiliana ai diritti di credito è stato offerto in dottrina primariamente da F.D. Busnelli, La lesione del credito da parte di terzi, cit., passim; Id., La tutela aquiliana del credito: evoluzione giurisprudenziale e significato attuale del principio, in Riv. crit. dir. priv., 1987, 273. E la riferibilità dell’ingiustizia di cui all’art. 2043 cod. civ. anche alla lesione dei diritti relativi è dimostrata, mediante una comparazione con l’evoluzione dell’ordinamento francese, da S. Patti, Famiglia e responsabilità civile, Milano, 1984, 150 ss., 153 ss.
Contra, P. Trimarchi (op. ult. cit., 217), il quale, salva l’ipotesi in cui il terzo abbia agito con lo specifico scopo di danneggiare il creditore, deplora l’estensione della tutela aquiliana alla lesione del credito ad opera di terzi in considerazione di plurime esigenze: favorire tanto la scioltezza e la sicurezza dei traffici, quanto l’esplicarsi della concorrenza; garantire un’adeguata tutela dei danneggiati diretti (i quali potrebbero essere pregiudicati dalle concorrenti pretese risarcitorie di una “folla” di danneggiati indiretti); ripartire razionalmente i rischi fra tutti coloro che possano prevenirli o gestirli.
Per un inquadramento generale del tema, v. E. Navarretta, Lesione del credito da parte di terzi, lesione del possesso e altre vicende, in Diritto civile, diretto da N. Lipari, P. Rescigno, coordinato da A. Zoppini, IV, t. 3, cit., 181.
[69] In giurisprudenza, cfr. Cass. civ., 3 dicembre 2002, n. 17110, in I contratti, 2003, 987, con nota di S. Tandoi.
In dottrina, v. E. Betti, op. ult. cit., I, 139 ss.; nonché, per un quadro generale, F. Poliani, L’induzione all’inadempimento: dal contratto alla culpa in contrahendo, in Riv. dir. priv., 2006, 565.
[70] V. già F. Carnelutti, op. ult. cit., I, 554 ss.; nonché C. Castronovo, Le frontiere, cit., 554 ss.
[71] V. C. Castronovo, voce Obblighi di protezione, in Enc. giur. Treccani, XXI, Roma, 1990, 1.
[72] Sul ruolo della culpa nel diritto romano, al contrario, le opinioni non sono concordi, ma di certo nell’evoluzione storica, fino ai nostri giorni, l’elemento soggettivo è stato valorizzato sempre più. In origine, la lex aquilia aveva un ambito applicativo circoscritto alla lesione della proprietà e, probabilmente, configurava una responsabilità puramente oggettiva, suscettibile di essere esclusa solo dal caso fortuito o dalla forza maggiore quali fattori interruttivi del nesso eziologico. In epoca giustinianea, a seguito delle interpolazioni operate dai compilatori del Corpus iuris sui testi classici, la tutela aquiliana fu estesa ai casi di lesione di ulteriori diritti reali e, inoltre, la colpa comparve come elemento soggettivo della responsabilità. La colpa, così, venne ritenuta il presupposto della responsabilità extracontrattuale dai glossatori del Basso Medioevo, che si richiamavano al Digesto. I giusnaturalisti dei secoli XVII° e XVIII°, poi, proclamarono che un principio di ragione, pur in assenza di basi testuali nel diritto romano, imponeva di risarcire ogni danno cagionato con dolo o colpa, in caso di lesione tanto di un diritto patrimoniale, quanto del corpo, della reputazione o del decoro (ossia, con linguaggio odierno, di un diritto della personalità). Infine, le progressive acquisizioni teoriche, con diverse sfumature, hanno influenzato le codificazioni moderne in materia di responsabilità extracontrattuale: il Codice francese detta una clausola generale ispirata dalla Scuola del diritto naturale, mentre il BGB tedesco reca l’impronta tipizzante dell’eredità romanistica, ma l’incidenza del giusnaturalismo è visibile nell’allargamento della protezione ai diritti della personalità. V. G. Rotondi, Dalla “lex Aquilia” all’art. 1151 cod. civ.. Ricerche storico-dogmatiche, in Riv. dir. comm., 1916, I, 942; Id., Dalla “lex Aquilia” all’art. 1151 cod. civ.. Ricerche storico-dogmatiche, in Riv. dir. comm., 1917, I, 236; E. Betti, op. ult. cit., III, 1, 37 ss.; F. Galgano, Trattato di diritto civile, III, Gli atti unilaterali e i titoli di credito. I fatti illeciti e gli altri fatti fonte di obbligazioni. La tutela del credito e l’impresa, III ed. agg. a cura di N. Zorzi Galgano, Padova, 2015, 120 ss.
[73] V. M. Giorgianni, op. ult. cit., 70 ss.
[74] Soltanto la verificazione del pregiudizio giustifica un sindacato ex post sull’an e sul quomodo della condotta del danneggiante.
[75] V. P. Forchielli, voce Colpa (Diritto civile), in Enc. giur. Treccani, VI, Roma, 1988, 1 ss.
Sulla possibilità di impiegare con larghezza le presunzioni semplici, invece, v. già G. Giorgi, op. cit., V, 256 ss.
[76] V. U. Natoli, L’attuazione del rapporto obbligatorio, in Tratt. di dir. civ. e comm., già diretto da A. Cicu, F. Messineo, continuato da L. Mengoni, XVI, t. 2, Il comportamento del debitore, Milano, 1984, 78; L. Bigliazzi Geri, U. Breccia, F.D. Busnelli, U. Natoli, Diritto Civile, III, Obbligazioni e contratti, Torino, 1992, 142.
[77] Sotto il previgente Codice, a proposito dell’art. 1225, v. già G.P. Chironi, La colpa nel diritto civile odierno, Colpa extra-contrattuale, II ed., I, Torino, 1903, 54; G. Giorgi, op. cit., II, 57 ss.; G. Pacchioni, Diritto civile italiano, Parte Seconda, Diritto delle obbligazioni, II, Dei contratti in generale, Padova, 1936, 191 ss.
[78] La commistione era ancor più marcata nel corrispondente art. 1225 del Codice previgente, il quale così disponeva: «[i]l debitore sarà condannato al risarcimento dei danni ... ove non provi ... una causa estranea a lui non imputabile ...» [corsivi aggiunti].
Contra, F. Carnelutti (Appunti sulle obbligazioni, II, Distinzione tra colpa contrattuale e colpa extracontrattuale, in Riv. dir. comm., 1915, 620 ss., spec. 622 ss.), che attribuiva a questa disposizione natura sostanziale, in quanto avrebbe imposto di considerare l’elemento della colpa quale fatto (non costitutivo, bensì) impeditivo della responsabilità, e ne propugnava l’applicazione analogica anche in area aquiliana. Nella stessa direzione, di recente, v. A. Nicolussi, voce Obblighi di protezione, in Enc. dir., Annali, VIII, Milano, 2015, 659 ss.
[79] V. L. Mengoni, Obbligazioni «di risultato» e obbligazioni «di mezzi» (studio critico), in Riv. dir. comm., 1954, I, 290, nota 33; U. Natoli, op. ult. cit., t. 2, 59 ss.; U. Breccia, Le obbligazioni, in Tratt. di dir. priv., a cura di G. Iudica, P. Zatti, Milano, 1991, 481 ss.; G. Visintini, Inadempimento e mora del debitore, Artt. 1218-1222, in Il Codice Civile, Commentario, diretto da P. Schlesinger, Milano, 1987, 293 ss.; F. Giardina, op. ult. cit., 198 ss.
[80] V., per tutti, U. Natoli (op. ult. cit., t. 2, 62 ss., secondo il quale, durante la vigenza del Codice del 1865, l’equazione casus = non culpa poteva ben essere invertita, così da dare luogo ad un risultato valido anche sotto l’impero del Codice attuale); nonché U. Breccia, op. ult. cit., 242, 485 ss., 490 ss. V., inoltre, P. Perlingieri, op. cit., 481 ss.
[81] In giurisprudenza, cfr., ad esempio, Cass. civ., 13 aprile 2007, n. 8826, in Resp. civ. e prev., 2007, 1824, con nota di M. Gorgoni.
[82] Cfr., ex multis, Cass. civ., 7 giugno 2011, n. 12274, in Resp. civ. e prev., 2012, 536, con nota di M. Ronchi; Cass. civ., 10 marzo 2009, n. 5736, nella banca dati del sistema Jurisdata; Trib. Chieti, 22 febbraio 2012, n. 157, in I contratti, 2012, 913, con nota di G. Orlando.
[83] Si tratta di discipline che, per taluni, o imporrebbero al debitore una diligenza più intensa di quella ordinaria – sull’errato presupposto che essa sia di livello medio – o sgancerebbero la prova liberatoria dalla diligenza.
Ad esempio, sull’art. 1681, comma 1, cod. civ., v. L.F. Paolucci, Il trasporto di persone, in Il contratto di trasporto, a cura di L.F. Paolucci, M. Iacuaniello Bruggi, in Giur. sist. civ. e comm., fondata da W. Bigiavi, Torino, 1979, 155 ss.; M. Grigoli, Il trasporto, in Tratt. di dir. priv., diretto da P. Rescigno, Torino, 1984, 775; G. Visintini, op. ult. cit., 298 ss. Contra, L. Mengoni, op. ult. cit., 381; A. Venditti, Alcune osservazioni sulla responsabilità del vettore nel contratto di trasporto di persone, in Giur. it., 1955, I, sez. 1, 789; M. Jannuzzi, Del trasporto, artt. 1678-1702, in Comm. Cod. Civ., a cura di V. Scialoja-G. Branca, sub art. 1681, Bologna-Roma, 1961, 87 ss.; A. Asquini, voce Trasporto di persone (contratto di), in Noviss. dig. it., XIX, Torino, 1973, 615.
Sull’art. 408 c.nav. v. G.A. Righetti, voce Trasporto marittimo, in Dig. Disc. Priv. – Sez. Comm., XVI, Torino, 1999, 133 ss.
Sull’art. 1588 cod. civ. del conduttore per incendio della cosa locata, cfr. Cass. civ., 9 giugno 2003, n. 9199, in I contratti, 2004, 49, con nota di M.C. Campagnoli, a cui si rinvia per maggiori riferimenti.
Nella dottrina francese, v. già G. Baudry-Lacantinerie, L. Barde (Delle obbligazioni, in Trattato di Diritto Civile diretto da G. Baudry-Lacantinerie, vol. III, trad. sulla 3a edizione originale in corso di stampa da una Società di Giuristi, a cura di P. Bonfante, G. Pacchioni-A. Sraffa, Milano, s.d., 261 ss.), secondo i quali la stringente regola probatoria si spiega in quanto alcuni avvenimenti, «se possono talora costituire caso fortuito, non hanno però necessariamente, e neppure ordinariamente, questo carattere»: ad esempio, l’incendio della cosa locata o il furto della cosa in custodia sono di solito resi possibili da una negligenza del debitore. Nello stesso senso, nella dottrina italiana maturata sotto il previgente Codice, v. G. Giorgi, op. cit., II, 26 ss.
[84] L’osservazione è di U. Breccia (op. ult. cit., 486), il quale aggiunge che la ragione per cui si tende ad escludere a priori la prova per presunzioni «sta nell’idea che soltanto l’imposizione della prova dello specifico fatto impeditivo scongiuri il pericolo che il debitore si liberi invocando un comportamento genericamente “diligente”. Il giudice nondimeno dovrebbe escludere una tale prova indipendentemente dalla palese inidoneità di quest’ultima a fornire la presunzione dell’impossibilità derivante da causa non imputabile. La formula dell’art. 1218 è di per sé compatibile soltanto con accertamenti rigorosi e puntuali, dai quali possa desumersi che il debitore abbia agito fino al limite del “possibile” ...». V. anche C.M. Bianca, op. cit., 159 ss.
Questa soluzione è ritenuta assai discutibile da F. Piraino («Ingiustizia del danno» e antigiuridicità, cit., 1079 ss.), il quale replica che «[l]’attestazione del generico agire diligenter non si pone in alcun rapporto di causa ad effetto con il sopraggiungere di una causa di impossibilità, neppure se il debitore provi di aver adottato tutte le misure richieste dal contenuto della prestazione fino al limite dell’impossibilità oggettiva e relativa, anche perché una tale prova non attiene alla c.d. diligenza conservativa ma, al limite, si colloca sul piano dell’esattezza della condotta debitoria ...». Bisogna osservare, però, che la prova di aver adottato tutta la diligenza necessaria per una prestazione esatta è idonea a soddisfare almeno in prima battuta l’onere probatorio del debitore e a trasferire sul creditore l’onere di una controprova.
[85] V. già G. Giorgi, op. cit., II, 33, 56, 59 ss.; nonché M. Giorgianni, L’inadempimento. Corso di diritto civile, Milano, rist. 1970, 244 ss.
[86] V. il n. 571.
[87] Nella dottrina penalistica, v. F. Mantovani, op. cit., 305 ss.; T. Padovani, op. cit., 240 ss.
[88] Sull’estensibilità dell’art. 2046 cod. civ. a tutti gli atti anche leciti, v. F. Santoro-Passarelli, op. cit., 110 ss.
Contra, P.G. Monateri, op. cit., 673; V. Di Gravio (Prevedibilità del danno e inadempimento doloso, Milano, 1999, 80 ss.), il quale reputa che la responsabilità contrattuale non sia la reazione dell’ordinamento ad un illecito del debitore e, dunque, che l’irrilevanza dello stato soggettivo dell’inadempiente si giustifichi perfettamente, «ove si consideri che l’obbligazione risarcitoria fa parte della disciplina complessiva dell’obbligazione così come venne assunta; sicché la verifica sulla capacità va fatta con riguardo all’epoca dell’assunzione e non già a quella dell’esecuzione», sebbene l’incapacità naturale del debitore possa esonerarlo da responsabilità qualora integri un’impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile.
[89] Sulla necessità della capacità naturale di agire anche ai fini della responsabilità contrattuale e sull’impossibilità di argomentare in senso contrario dall’art. 1191 cod. civ., si consenta il rinvio a G. Anzani, Capacità di agire e inadempimento: alcune questioni aperte, in Jus civile, 2020, 1309.
[90] Per una ricostruzione delle varie tesi in materia, v. A. Nicolussi, Le obbligazioni, Milano, 2021, 124 ss. Si consenta il rinvio anche a G. Anzani, Diligenza e figura del buon padre di famiglia tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale, in IlCaso.it, 10 maggio 2020, 1.
Uno degli argomenti spesi in dottrina dai sostenitori della natura oggettiva della responsabilità da inadempimento si fonda sull’analisi della giurisprudenza, la quale, se si oltrepassasse lo schermo degli obiter dicta, evidenzierebbe come nelle soluzioni dei casi concreti sia riscontrabile l’accentuata tendenza a non ritenere sufficiente la prova di un comportamento diligente da parte del debitore: v. G. Visintini, Inadempimento e mora del debitore, cit., 364 ss.; Ead., Trattato breve della responsabilità civile. Fatti illeciti. Inadempimento. Danno risarcibile, III ed., Milano, 2005, 200 ss.; F. Galgano, La responsabilità contrattuale: i contrasti giurisprudenziali, in Contr. e impr., 1989, 35 ss.
Tuttavia, non mancano Autori che ricostruiscono il sistema attraverso l’analisi della giurisprudenza, ma giungono alla conclusione diametralmente opposta: il riferimento è a C.M. Bianca, Diritto Civile, V, La responsabilità, Milano, 1994, 15 ss.
[91] Non vale osservare – come fa G. Visintini (I fatti illeciti, II, L’imputabilità e la colpa in rapporto agli altri criteri di imputazione, II ed., Milano, 1998, 159 ss.; voce Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in Enc. giur. Treccani, XXVI, Roma, 1990, 3; Trattato breve, cit., 256 ss.) – che, se la nozione di colpa contrattuale coincide con l’oggettiva omissione di una condotta dovuta o conforme a quella dovuta, spetta sempre al danneggiato, come in ambito aquiliano, dimostrare tutti i fatti costitutivi della pretesa (sebbene essi siano in numero inferiore ai fini della responsabilità ex art. 1218 cod. civ., dove non rileverebbe una colpa in senso soggettivo). Il creditore, comunque, sarebbe sollevato dall’onere di dimostrare che quel dato oggettivo deriva da una causa imputabile al debitore, a prescindere dal significato che si voglia attribuire alla formula «causa a lui non imputabile» e, quindi, anche se la si voglia riferire semplicemente alle cause esterne alla sfera organizzativa del debitore.
[92] V. F. Giardina, op. cit., 8.
[93] Così U. Majello, op. ult. cit., 113 ss.
[94] Sull’art. 1681 cod. civ., cfr. Cass. civ., 20 aprile 2018, n. 9811, in cui si legge che l’evento dannoso deve costituire «fatto imprevedibile e non evitabile con la normale diligenza»; Cass. civ., 27 ottobre 1993, n. 10680, in Giust. civ., 1994, I, 700. Sulla regola simile dell’art. 2054, comma 1, cod. civ., cfr. Cass. civ., 21 gennaio 2000, n. 681, in Arch. circ., 2000, 298. Sull’art. 2048 cod. civ., cfr. Cass. civ., 20 aprile 2007, n. 9509, in Danno e resp., 2007, 1025, con nota di S. Taccini; Cass. civ., 18 gennaio 2006, n. 831, in Resp. civ. e prev., 2006, 1071, con nota di L. Gavazzi; Cass. civ., 20 ottobre 2005, n. 20322, in Nuova giur. civ. comm., 2006, I, 990, con nota di P. Quarticelli. Sull’art. 2050 cod. civ., cfr. Cass. civ., 4 maggio 2004, n. 8457, in Foro it., 2004, I, 2378, con nota di A.L. Bitetto; Cass. civ., 24 novembre 2003, n. 17851, in Danno e resp., 2004, 1223, con nota di A. Giordo; Cass. civ., 13 maggio 2003, n. 7298, in Resp. civ. e prev., 2003, 1351, con nota di M. Ronchi; in Danno e resp., 2004, 181, con nota di C. Perfumi. La regola di responsabilità delineata nell’art. 2050 cod. civ. viene poi richiamata, quantomeno con riguardo al riparto probatorio, in caso di illecito trattamento dei dati personali, sebbene l’attività di trattamento non abbia di per sé natura pericolosa: in proposito, cfr. Cass. civ., 26 giugno 2012, n. 10646, in Danno e resp., 2013, 399, con nota di C. Baldassarre.
Per M. Comporti (Esposizione al pericolo e responsabilità civile, Pompei, 1965, 264 ss.), tuttavia, si scorgerebbe una notevole diversità tra la formula dell’art. 2050 cod. civ., da un lato, e quelle degli artt. 2047, 2048 e 2054, comma 1, cod. civ., dall’altro, giacché nella prima si richiederebbe la prova di un dato precedente al sinistro, ossia dell’adozione di misure di prevenzione astrattamente idonee, secondo la tecnica e l’esperienza, a scongiurare pregiudizi a terzi, mentre nelle altre si esigerebbe che il potenziale responsabile dimostri di aver compiuto tutte le manovre e di aver posto in essere ogni cautela che in concreto fossero possibili per evitare il danno. «A tale interpretazione si perviene anche attraverso il confronto letterale fra la norma di cui all’art. 2050 e quella di cui all’art. 2054 c. 1: nella prima la prova liberatoria viene fondata sull’adozione di misure di prevenzione per l’esercizio dell’attività pericolosa, ossia su un particolare «fatto tecnico» qualificato da una diligenza «tecnica» in relazione all’art. 1176 cpv. C.C.; nell’art. 2054 c. 1 la norma pone l’accento sulla circostanza che il conducente del veicolo abbia fatto tutto il possibile per evitare il danno, e cioè si riferisce non ad un dato anteriore, ma ad un comportamento immediato del soggetto. ... Insomma, mentre la prova dell’assenza di colpa si raggiunge attraverso la dimostrazione dell’inevitabilità del fatto dannoso, essenzialmente in concreto, nell’art. 2050 C.C., agli effetti liberatori[,] occorre sia la prova di tale assenza di colpa (perché se risultasse l’evitabilità in concreto del danno sussisterebbe certamente responsabilità), sia la prova più difficile e più rigorosa attinente all’organizzazione preventiva di accorgimenti tecnici idonei ad evitare il danno».
Secondo M. Franzoni (op. ult. cit., 437 ss., 605 ss., 613 ss., 691 ss., 722 ss.), poi, l’analisi della giurisprudenza evidenzierebbe che, al di là delle declamazioni, nessun rilievo viene riconosciuto alla diligenza dell’agente nell’applicazione degli artt. 2050 e 2054 cod. civ., così come degli artt. 2047 e 2048 cod. civ.: siccome è esigibile ogni cautela idonea ad evitare anche eventi lesivi rientranti normalmente nella nozione del fortuito e la stessa verificazione di tali eventi è indice della loro prevedibilità, la prova liberatoria può consistere in definitiva solo in un evento del tutto inevitabile che abbia interrotto il nesso causale. Per conclusioni analoghe fondate sullo scrutinio della giurisprudenza, ed in particolare sull’art. 2048 cod. civ., v. inoltre già P.G. Monateri (op. cit., 944 ss.), per il quale tra l’altro, ai sensi di questa disposizione, sussisterebbe soltanto la responsabilità vicaria e non quella del minore (965 ss.).
[95] Sulla responsabilità ex art. 1693 cod. civ., cfr. Cass. civ., 10 febbraio 2003, n. 1935, in I contratti, 2003, 1016, con nota di L. Castelli; Cass. civ., 8 agosto 1996, n. 7293 (in Foro it. DVD), in cui il caso fortuito viene formalmente identificato con l’assenza di colpa, ma la diligenza nell’adempimento è apprezzata con estremo rigore. Peraltro, è controversa la riconducibilità dei danni al bagaglio consegnato al vettore di persone (cioè al bagaglio “non a mano”) alla disciplina del trasporto di persone piuttosto che di cose (sull’assunto, in quest’ultima prospettiva, della stipulazione di un contratto di trasporto di cose accessorio a quello di trasporto di persone): cfr. Cass. civ., 11 novembre 2003, n. 16938 (in Danno e resp., 2004, 403, con nota di A. Giordo), in cui viene prediletta la prima alternativa.
Sull’art. 1785, n. 2, cod. civ., cfr. Cass. civ., 5 dicembre 2003, n. 18651 (in I contratti, 2004, 469, con nota di L. Castelli), in cui si effettua un parallelismo con l’art. 1693 cod. civ.
Sull’art. 2051 cod. civ., per la natura oggettiva della responsabilità, cfr., di recente e soprattutto, Cass. civ., 28 novembre 2019, n. 31065, nella banca dati on line del sistema DeJure; Cass. civ., 13 marzo 2018, n. 6034 (nella banca dati del sistema Jurisdata), in cui si precisa che l’imprevedibilità e l’inevitabilità della causa di esclusione della responsabilità vanno intese «nel senso di estraneità alla regolarità o adeguatezza causale»; nonché Cass. civ., 6 febbraio 2007, n. 2563, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, 1263, con nota di C.M. Penuti; Cass. civ., 11 gennaio 2005, n. 376, Cass. civ., 15 ottobre 2004, n. 20335, in Danno e resp., 2005, 1103, con nota di P. Laghezza; Cass. civ., 6 luglio 2004, n. 12329, in Danno e resp., 2004, 1193, con osservazioni di G. Finocchiaro; Cass. civ., 15 marzo 2004, n. 5236, in Foro it., 2004, I, 2098, con nota di A. Fabrizio-Salvatore; Cass. civ., 20 agosto 2003, n. 12219 e Cass. civ., 20 agosto 2003, n. 12211, in Danno e resp., 2004, 515, con nota di C. Costantini; Cass. civ., 10 febbraio 2003, n. 1948, in Resp. civ. e prev., 2003, 1377, con nota di G. Facci. Contra, per la natura soggettiva della responsabilità, cfr., ex multis, Cass. civ., 2 febbraio 2007, n. 2308, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, 1252, con nota di A. Menini; Trib. Monza, 17 marzo 2016, in Danno e resp., 2016, 1012, con nota di E. Baffi, D. Nardi. Sull’art. 2052 cod. civ., cfr. Cass. civ., 19 marzo 2007, n. 6454, in Foro it. DVD. Sull’art. 2053 cod. civ., in cui il caso fortuito, pur non esplicitamente menzionato, viene recuperato come prova liberatoria in via interpretativa, cfr. Cass. civ., 14 ottobre 2005, n. 19974, in Danno e resp., 2006, 865, con nota di R. Foffa.
Per una rassegna dei tanti significati, praticamente coincidenti, di caso fortuito e di forza maggiore, v., nella dottrina civilistica, G. Giorgi, op. cit., II, 7 ss.; G. Cottino, voce Caso fortuito e forza maggiore (Diritto civile), in Enc. dir., VI, Milano, 1960, 377; P. Trimarchi, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961, 169 ss.; nella dottrina penalistica, dove si parla di «istituti senza patria», A. Pecoraro-Albani, voce Caso fortuito e forza maggiore (Diritto penale), in Enc. dir., VI, Milano, 1960, 390; G. Gregori, voce Caso fortuito e forza maggiore (Diritto penale), in Enc. giur. Treccani, V, Roma, 1988, 1; T. Padovani, op. cit., 308 ss.
La progressiva oggettivazione giurisprudenziale di molte fattispecie settoriali di responsabilità, nelle quali il legislatore storico aveva ravvisato il criterio d’imputazione della colpa, ha poi permesso ad una parte della dottrina di affermare, ad esempio, che «continuare a pensare all’art. 2050 come regola di responsabilità per colpa[,] sia pure risultando «ampliato il contenuto del dovere di diligenza» secondo le parole della Relazione (n. 795), diventa sistematicamente incongruo. La norma concepita come la fonte di responsabilità più intensa e rigorosa finirebbe con l’essere superata da regole portatrici di responsabilità oggettiva per ipotesi pensate dal legislatore come meno cogenti a una disciplina di tal genere. In questo caso l’interpretazione storica e l’interpretazione sistematica cospirano in senso antagonista rispetto alla interpretazione letterale e ... possono a questo punto essere dichiarate senz’altro prevalenti» (così C. Castronovo, Dagli ordinamenti nazionali al diritto uniforme europeo: la prospettiva italiana, in Eur. e dir. priv., 1999, 464 ss.).
[96] Sulla necessità di leggere criticamente la giurisprudenza in materia, v. A.P. Benedetti, Condotta del danneggiato e responsabilità da cose in custodia: spunti di riflessione, in Danno e resp., 2011, 234. A proposito dell’art. 2051 cod. civ., v. in generale F.P. Patti, Il declino della responsabilità oggettiva (a margine dell’art. 2051 cod. civ.), in Riv. dir. civ., 2019, 977.
[97] V. la Relazione al Codice Civile, n. 571.
Al massimo, può ritenersi plausibile che l’impossibilità della prestazione, ai fini dell’esonero del debitore da responsabilità, abbia contorni che risentono della diversa denominazione della fonte originatrice. In questa prospettiva, l’impossibilità rilevante solo in quanto conseguenza di una forza maggiore o di un caso fortuito sarebbe più rigida dell’impossibilità conseguente ad una causa non imputabile, poiché si sposterebbe oltre la linea della relatività e dovrebbe avere il carattere dell’assolutezza, come avviene per le responsabilità ex recepto. V. F. Piraino, Sulla natura non colposa della responsabilità contrattuale, in Eur. e dir. priv., 2011, 1068 ss.
[98] V. G. Cottino, op. cit., 377 ss., spec. 380; F.D. Busnelli, Nuove frontiere della responsabilità civile, cit., 66 ss. V. anche P. Forchielli, op. ult. cit., 6.
[99] V. P. Forchielli, voce Caso fortuito e forza maggiore (Diritto civile), in Enc. giur. Treccani, V, Roma, 1988, 1 ss. Con particolare riguardo al ruolo del caso fortuito nell’art. 2051 cod. civ., v. C.M. Bianca, Danni da beni demaniali: spunti sistematici in tema di responsabilità del custode sollecitati dalla lettura delle sentenze della Cassazione, in Riv. dir. civ., 2009, I, 29 ss.
Le fattispecie di responsabilità oggettiva, infatti, si differenziano da quelle di responsabilità soggettiva solo per un diverso criterio d’imputazione: V. F. Carnelutti, op. ult. cit., II, 624 ss.
[100] Sebbene alcuni Autori suggeriscano un’interpretazione estensiva di questa disposizione (v. V. Cuffaro, Le locazioni commerciali e gli effetti giuridici dell’epidemia, in GiustiziaCivile.com, 31 marzo 2020, 4; A. Monteverde, L’incursione del D.L. 17 marzo 2020 n. 18 in tema di obbligazioni non adempiute e responsabilità del debitore, in IlCaso.it del 20 aprile 2020, 7 ss.), attualmente prevale l’interpretazione restrittiva, secondo cui il debitore è esonerato da responsabilità solo se non abbia potuto eseguire la prestazione nel periodo di c.d. lockdown e per cause strettamente inerenti ad esso, non anche per difficoltà economiche e carenza di liquidità generate dalla paralisi o dal rallentamento delle attività economiche resesi indispensabili per fronteggiare la pandemia (v. R. Della Santina, Le discipline dell’insolvenza e della crisi d’impresa ai tempi della pandemia da Covid-19. Impressioni e spunti di riflessione, in IlCaso.it del 1° aprile 2020, 9; A.M. Benedetti, Il «rapporto» obbligatorio al tempo dell’isolamento: una causa (transitoria) di giustificazione?, in GiustiziaCivile.com del 3 aprile 2020, 5 ss.).
Non manca, infatti, chi propone de jure condendo un intervento legislativo che giustifichi l’insolvenza cagionata da forza maggiore, come una pandemia foriera di una grave crisi economica, così da evitare la responsabilità da inadempimento del debitore e, nel caso in cui questi sia un imprenditore, il suo assoggettamento a procedure concorsuali: v. G. Limitone, La forza maggiore nel giudizio sull’insolvenza, in IlCaso.it del 2 aprile 2020, 1.
[101] V. R. Senigaglia, Le attuali sopravvenienze contrattuali tra diritto vigente e diritto vivente, in Jus civile, 2021, 653 ss.
[102] V. G. Carapezza Figlia, Locazioni commerciali e sopravvenienze da Covid-19. Riflessioni a margine delle prime decisioni giurisprudenziali, in Danno e resp., 2020, 702.
[103] Così si legge in Cass. civ., sez. un., 23 aprile 2020, n. 8094, sul sito www.cortedicassazione.it.
[104] «Dunque, o la responsabilità è sempre obiettiva, anche quando si tratta di un fatto che proviene dalla propria persona, oppure la limitazione del rischio obiettivo al fatto delle cose non sembra avere giustificazione alcuna» (così U. Majello, Custodia e deposito, cit., 182).
[105] V. C. Castronovo, voce Responsabilità oggettiva, II) Disciplina privatistica (Dir. comp. e stran.), in Enc. giur. Treccani, XXVI, Roma, 1991, 1.
[106] V. V. Roppo, Responsabilità oggettiva e funzione deterrente, in Riv. dir. priv., 2012, 167.
[107] In proposito, v. la rassegna offerta da P. Trimarchi, op. ult. cit., spec. 183 ss.
Nella dottrina italiana, v. anche M. Giorgianni, voce Inadempimento (Diritto privato), cit., 876 ss.; nonché già G. Giorgi (op. cit., V, 609 ss., 621), il quale, a proposito della responsabilità extracontrattuale per il danno cagionato da animali o da rovina di edifici, affermava che le prove generiche e vaghe sarebbero state in contrasto con la presunzione legale di colpa del “custode”; V. Polacco, op. cit., 338 ss.
Nella dottrina francese, v. già G. Baudry-Lacantinerie, L. Barde, Delle obbligazioni, in Trattato di Diritto Civile diretto da G. Baudry-Lacantinerie, vol. IV, trad. sulla III edizione originale in corso di stampa da una Società di Giuristi, a cura di P. Bonfante, G. Pacchioni, A. Sraffa, Milano, s.d., 686, 715 ss.
[108] L’espressione è di F.D. Busnelli, voce Illecito civile, cit., 25.
[109] V. L. Mengoni (La responsabilità contrattuale, in Jus, 1986, 125), che (alle pagg. 120 ss.) propende per la generalizzazione dell’accezione oggettivata.
[110] Così conclude M. Giorgianni, L’inadempimento, cit., 252 ss.
[111] V. P. Trimarchi (op. ult. cit., spec. 209 ss.), il quale (alle p. 223 ss.) afferma che allora la prova liberatoria attiene ad un evento «che risponde a una definizione, diversa per le diverse attività, la quale abbia la proprietà di comprendere solo eventi tanto rari da non potersi pretendere che se ne tenga conto, e di natura tale da causare danni in un ordine di grandezza superiore a quello dei danni che l’attività è idonea a causare e dei quali si può pretendere che si tenga conto. Da questa definizione deriva immediatamente che la categoria del «caso fortuito» si assottiglia tanto più quanto più alto è l’ordine di grandezza dei danni tipici che l’attività è idonea a causare. Inoltre, la categoria del «caso fortuito» si assottiglia tanto più per l’operare della legge dei grandi numeri, quanto più vasta e sviluppata è l’attività cui il rischio appartiene». Lo stesso Autore (alle p. 275 ss.) ritiene, inoltre, che la prova liberatoria incentrata, ad esempio, sull’«avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno», com’è quella dell’art. 2050 cod. civ., possa essere intesa nel senso della rilevanza non della circostanza soggettiva che il danneggiante ed i suoi collaboratori abbiano fatto quanto loro spettava di fare per andare esenti da colpa, bensì della circostanza oggettiva della mancata adozione dei dispositivi di sicurezza offerti dallo stato attuale delle conoscenze tecniche e idonei ad evitare il danno: ne risulterebbe una figura particolare di responsabilità oggettiva, più circoscritta di quella che ha per limite il caso fortuito, ossia «una responsabilità per rischio oggettivamente evitabile». V. anche P. Trimarchi, Causalità e danno, Milano, 1967, 133 ss.; Id., La responsabilità civile: atti illeciti, rischio, danno, Milano, 2019, passim.
Sulla «teoria del rischio creato», v. nella dottrina francese già G. Baudry-Lacantinerie, L. Barde, op. cit., IV, 716 ss.
[112] V. R. Scognamiglio, op. ult. cit., 644 ss.
[113] Cfr., in materia di responsabilità ex art. 2051 cod. civ. della P.A., Cass. civ., 16 maggio 2008, n. 12449 e Cass. civ., 25 luglio 2008, n. 20427, in Danno e resp., 2008, 1241, con nota di P. Laghezza; in materia di responsabilità ex art. 2051 cod. civ. dei privati, Cass. civ., 8 ottobre 2008, n. 24804, in Danno e resp., 2009, 489, con note di M. Pastore e P. Santoro.
In Cass. civ., n. 12449/2008, cit., in particolare, si legge che «il custode di beni privati risponde oggettivamente dei danni provocati dal modo di essere e di operare del bene, sia in virtù del tradizionale principio “cuius commoda eius incommoda” ...; sia anche in considerazione del fatto che il privato ha il potere di escludere i terzi dall’uso del bene, e così di circoscrivere i possibili rischi di danni provenienti dai comportamenti altrui. Il custode del bene demaniale destinato all’uso pubblico, per contro, è esposto a fattori di rischio potenzialmente indeterminati, a causa dei comportamenti più o meno civili, corretti e avveduti degli innumerevoli utilizzatori, che egli non può escludere dall’uso del bene e di cui solo entro certi limiti può sorvegliare le azioni. In questi casi la responsabilità oggettiva del custode di cui all’art. 2051 cod. civ. – pur in linea di principio innegabile – presenta un problema di delimitazione dei rischi di cui far carico all’ente gestore e “custode”, la cui soluzione va ricercata in principi non sempre coincidenti con quelli che valgono per i privati. Le peculiarità vanno individuate non solo e non tanto nell’estensione territoriale del bene e nelle concrete possibilità di vigilanza su di esso e sul comportamento degli utenti – a cui si fa spesso riferimento, nella casistica giurisprudenziale – quanto piuttosto nella natura e nella tipologia delle cause che abbiano provocato il danno: per esempio, secondo che siano intrinseche alla struttura del bene, sì da costituire fattori di rischio conosciuti, conoscibili ed evitabili dal custode ..., o che si tratti invece di situazioni di pericolo estemporaneamente create da terzi, non conoscibili né eliminabili dal custode se non dopo un certo tempo, neppure con la più diligente attività di manutenzione ... I principi giurisprudenziali enunciati in precedenza stanno ad indicare per l’appunto la necessità di addossare al custode solo i rischi di cui egli può essere tenuto a rispondere, in relazione ai doveri di sorveglianza e di manutenzione da lui razionalmente esigibili, in base a criteri di corretta e diligente gestione, tenuto conto della natura del bene e della causa del danno. Sotto il profilo sistematico la suddetta selezione dei rischi va compiuta ... tramite una più ampia ed elastica applicazione della nozione di caso fortuito, idoneo ad interrompere il nesso causale fra il modo di essere e di operare della cosa e il danno».
In Cass. civ., n. 24804/2008, cit., invece, si adopera il criterio di un utilizzo improprio della cosa, ossia non conforme alla sua destinazione, da parte del danneggiato.
[114] V. M. Comporti (Esposizione al pericolo, cit., passim, ma spec. 168 ss.), secondo cui, «mentre con la regola del rischio si riesce solo a stabilire che il risarcimento di certi danni costituisce un onere dell’impresa (la quale ne deve tener conto nella sua gestione economica), con la regola del pericolo si indaga sul rapporto intercorso fra soggetto causa del pericolo e soggetto effettivamente danneggiato, e ci si domanda se questo danno, pur non essendo imputabile a colpa di colui che lo ebbe a causare, debba ugualmente esser risarcito, tenendo conto della pericolosità dell’attività dalla quale fu prodotto, o della pericolosità dei mezzi dei quali l’agente si sia servito» (così alla pag. 171).
[115] V. M. Comporti, Esposizione al pericolo, cit., 71 ss.; Id., Le presunzioni di responsabilità, cit., 615, il quale svolge un’analisi anche storica.
[116] V. M. Comporti, Esposizione al pericolo, cit., 182 ss.; M. Franzoni, op. ult. cit., 7 ss., 35 ss.; F. Galgano, Trattato di diritto civile, II, Le obbligazioni in generale. Il contratto in generale. I Singoli contratti, III ed. agg. a cura di N. Zorzi Galgano, Padova, 2015, 118 ss.
[117] V. P.G. Monateri, op. cit., 1080; F. Galgano, op. ult. cit., 119.
[118] Così F. Galgano, op. ult. cit., 119 ss.
[119] Per un inquadramento, si consenta il rinvio a G. Anzani, La responsabilità civile del professionista per condotte dell’ausiliario o del preposto, in La responsabilità del professionista, a cura di V. Cuffaro, Bologna, 2019, 283.
[120] La confusione tra i concetti di responsabilità da inadempimento e di garanzia è forse spiegabile con le comuni radici storiche e, nella dottrina tedesca, era già visibile in R. von Jhering, op. cit., 69 ss. In Germania, tale confusione è stata acuita nel BGB riformato: v. M. Schermaier (trad. italiana di S. Cherti), Una superficiale e arbitraria modifica del BGB? Perché la riforma dello Schuldrecht si è rivelata un insuccesso, in Contr. e impr./Eur., 2004, 910 ss.; R. Calvo, Vendita e rimedi nel diritto tedesco: dalla «garanzia» all’inadempimento, in Riv. dir. civ., 2013, 297.
Nell’ordinamento italiano, l’assenza di commistioni tra colpa e garanzia era riconosciuta già da G.P. Chironi (op. ult. cit., 8 ss.), il quale, però, sembra contraddirsi laddove riporta la garanzia nel genere della culpa in contrahendo sul postulato di un obbligo di buona fede, «imposto a chi concorre a costituire un negozio giuridico, di accertare l’esistenza reale dei termini giustificanti il suo concorso, perché la serietà delle contrattazioni la presuppone necessariamente ...». Se così fosse, infatti, l’inadempimento di quest’obbligo andrebbe apprezzato secondo diligenza.
Analogamente, G. Visintini (La reticenza nella formazione dei contratti, Padova, 1972, 158 ss., 174 ss.), dopo aver dato conto delle contrastanti opinioni sull’argomento, spiega il sistema rimediale annesso ad una garanzia quale conseguenza dell’inadempimento di un obbligo di informazione secondo buona fede, che – come nella responsabilità precontrattuale ed in linea con l’impostazione dello Jhering – rileverebbe a prescindere da un’imputazione colposa.
[121] Così E. Betti (Teoria generale delle obbligazioni, I, cit., 41 ss.), che annovera la garanzia tra le obbligazioni. Nondimeno, il garante sarebbe privo «del potere di fatto di produrre l’evento per cui risponde» (così ancora E. Betti, Teoria generale delle obbligazioni, II, Struttura dei rapporti d’obbligazione, Milano, 1953, 82 ss.).
La garanzia per evizione e per vizi a cui è tenuto il venditore è considerata una forma di responsabilità da inadempimento di un’obbligazione, rispettivamente per violazione dell’impegno traslativo o per violazione dell’obbligo (non che il bene abbia determinati requisiti, ma) di far ricevere all’acquirente un bene con determinati requisiti, da C.M. Bianca, Contratti traslativi e responsabilità per inadempimento, in Il danno contrattuale, opera diretta da M. Costanza, Bologna, 2014, 4 ss.; con riguardo alla garanzia per vizi, già Id., La vendita e la permuta, in Tratt. di dir. civ. italiano, diretto da F. Vassalli, Torino, 1972, 632. Per una rassegna di opinioni sulla garanzia per vizi, v. V. Ferrara, La natura giuridica della garanzia per vizi nella vendita e la prescrizione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2020, 1095.
Secondo F. Piraino (La garanzia nella vendita: durata e fatti costitutivi delle azioni edilizie, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2000, 1117), la garanzia per vizi implicherebbe una prestazione avente per contenuto «la sicurezza dell’immunità dai costi dell’eventuale insorgenza di vizi entro il periodo di rilevanza, i quali, pertanto, vengono così sottratti all’area dei rischi inclusi nell’alea normale del contratto per il compratore e ascritti invece al novero di quelli addossati al venditore. … In altri termini, gli effetti secondari della garanzia scattano in presenza di violazioni oggettive del contratto, di cui è irrilevante determinare la causa… Se la vanificazione dell’utilità attribuita a controparte mediante la prestazione di garanzia dipende dalla condotta del venditore, la legge preclude la possibilità, viceversa riconosciuta, di escludere o limitare la garanzia…» (così alle p. 1127 ss.). L’Autore, pertanto, ritiene che gravi sul venditore l’onere di provare l’assenza dei vizi o la non preesistenza della causa degli stessi alla consegna del bene (v. le p. 1134 ss.).
Sulla garanzia nella locazione, v. già L. Barassi, Appendice a G. Baudry-Lacantinerie-A. Wahl, Del contratto di locazione, in Trattato di Diritto Civile diretto da G. Baudry-Lacantinerie, vol. I, trad. sulla III edizione originale in corso di stampa da una Società di Giuristi, a cura di P. Bonfante, G. Pacchioni, A. Sraffa, Milano, s.d., 1052 ss.
[122] Contra, A. Bertolini (Il postcontratto, Bologna, 2018, 61 ss., spec. 72 ss.), il quale precisa che si tratterebbe di un obbligo pieno e non di sola protezione.
[123] Sull’impossibilità di ricondurre un impegno di garanzia al concetto di prestazione in senso proprio come contenuto dell’obbligazione, v. P. Schlesinger, Riflessioni sulla prestazione dovuta nel rapporto obbligatorio, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1959, 1273.
La garanzia opera su un terreno diverso dall’inadempimento, eccettuata l’ipotesi dell’inesattezza nella vendita di cose generiche, anche per M. Giorgianni (op. ult. cit., 33 ss., 44 ss., 279 ss.), il quale sottolinea l’irrilevanza di una colpa del garante.
Già G. Giorgi (op. cit., II, 134) precisava «come il fondamento giuridico dell’obbligo di riparazione non sia nella libera volontà dei contraenti, ma si trovi invece nel principio, che vieta a chiunque di recar danno al suo simile. Nel solo caso, in cui il debitore si sia per patto obbligato a rispondere dei casi fortuiti, si può trovare il fondamento convenzionale. Ma allora veramente, piuttostoch[é] la riparazione del danno, si ha l’assunzione del rischio».
Anche L. Barassi (op. ult. cit., 1065 ss.) osservava che «il garante assicura comunque la non lesione di quelle aspettative [che una o più persone ricollegano al verificarsi di un fatto, n.d.r.]; sia che ciò avvenga per il verificarsi oggettivo del fenomeno, sia perché, in caso non si verifichi, la persona o le persone subbietti di quelle aspettative si vedranno assicurate egualmente, sebbene per equipollente, quella somma di utilità che dal verificarsi di quel fenomeno speravano» (così alla p. 1066). Insomma, «la garanzia non è, in ultima analisi, che una forma di assunzione dei casi fortuiti in ordine ai danni che un evento o un non evento possono arrecare a una persona», mentre «non mira già a determinare alla volontà o all’attività del garante una linea di condotta in ordine all’evento ...» (così alle p. 1068 ss.).
In Cass. civ., sez. un., 3 maggio 2019, n. 11748 (in IlCaso.it), si legge che «il disposto dell’art. 1476 c.c., là dove qualifica la garanzia per vizi come oggetto di una obbligazione, va inteso non nel senso che il venditore assuma una obbligazione circa i modi di essere attuali di una cosa, bensì nel senso che egli è legalmente assoggettato all’applicazione dei rimedi in cui si sostanzia la garanzia stessa». Siccome la cosa compravenduta dev’essere consegnata nello stato in cui si trovava al momento della vendita (ex art. 1477, comma 1, cod. civ.), senza alcun riferimento all’immunità da vizi, non è possibile concepire la connessa garanzia come oggetto di un dovere di prestazione. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno addossato al compratore l’onere di provare i vizi della cosa acquistata.
In Cass. civ., 28 maggio 2021, n. 14986 (in IlCaso.it.), viene affermato che ai fini dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod. civ. può rilevare, in senso ampio, anche «il fatto che il bene consegnato in esecuzione del contratto risulti affetto da vizi o mancante di qualità essenziali».
[124] Di «una sorta di responsabilità contrattuale “a geometria variabile”» disegnata dallo statuto normativo delle garanzie parla F. Azzarri, Responsabilità da violazioni del contratto diverse dall’inadempimento e responsabilità da mancata cooperazione del creditore, in Codice della responsabilità civile, cit., spec. 111 ss.
[125] A proposito della responsabilità del venditore in caso di evizione, cfr. Cass. civ., 1° giugno 1993, n. 6109, nella banca dati del sistema Jurisdata. A proposito della responsabilità del venditore in caso di vizi, cfr. Cass. civ. n. 14986/2021, cit.
[126] La categoria generale dell’obbligazione è sconosciuta nella tradizione di common law, dove l’inadempimento viene collegato direttamente al contratto, tanto che nel lessico giuridico non si parla di «inadempimento». «La scelta non è meramente teorica. Se l’obbligazione è espressione di «regole di comportamento» (si pensi alla regola sulla diligenza e/o sulla buona fede) nella tradizione di civil law, in quella di common law, le cose stanno in modo diverso. Non si ha infatti riguardo ad analoghi doveri di comportamento ma piuttosto alla garanzia di «un risultato», quello previsto e programmato in contratto, onde è alla stessa «promessa» del risultato che si collega la responsabilità del contraente. Soltanto laddove si dovesse dimostrare che quel «risultato» non è «garantito» nel contratto né espressamente né implicitamente, il contraente potrà essere ritenuto non responsabile della sua mancata realizzazione» [così C.C. Castronovo, S. Mazzamuto (a cura di), Manuale di diritto privato europeo, II, Proprietà, Obbligazioni, Contratti, Milano, 2007, 165].
Come osserva C. Castronovo (Le frontiere nobili, cit., 567 ss.), «[è] possibile pensare ... a un inadempimento che attenga al rapporto contrattuale pur se non riguardi propriamente una obbligazione ex contractu. Corre qui invero l’occasione di utilizzare la categoria della lex contractus, del precetto che le parti si sono date e che prefigura gli effetti che esse intendono perseguire onde il mancato attingimento di essi per opera di uno dei contraenti integra la violazione di tale precetto in termini analoghi a quanto accade quando viene violato sotto forma di inadempimento di una obbligazione».
Il tema, appunto in quanto avviluppato a quello della garanzia, è stato approfondito in dottrina a proposito della vendita in generale (v. già L. Mengoni, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, in Riv. dir. comm., 1953, I, 3) e, più di recente, della vendita di beni di consumo (v. A. Nicolussi, Diritto europeo della vendita dei beni di consumo e categorie dogmatiche, in Eur. e dir. priv., 2003, 525; S. Mazzamuto, Equivoci e concettualismi nel diritto europeo dei contratti: il dibattito sulla vendita dei beni di consumo, in Eur. e dir. priv., 2004, 1043 ss.).
In giurisprudenza, cfr. ora Cass. civ., sez. un., n. 11748/2019, cit., in cui si legge che «lo schema concettuale a cui ricondurre l’ipotesi che la cosa venduta risulti viziata non può essere quello dell’inadempimento di una obbligazione», ma che questa conclusione «non impone di collocare detta ipotesi fuori dal campo dell’inadempimento (più precisamente, dell’inesatto adempimento) del contratto, nel quale tradizionalmente essa è stata collocata ...: La consegna di una cosa viziata integra un inadempimento contrattuale, ossia una violazione della lex contractus; ma, come è stato persuasivamente osservato in dottrina, non tutte le violazioni della lex contractus realizzano ipotesi di inadempimento di obbligazioni».
[127] V. A. De Cupis, op. cit., II, 52.
[128] In quest’ultimo senso, invece, cfr. Cass. civ., 18 febbraio 1986, n. 960, nella banca dati on line del Sistema Leggi d’Italia.
[129] V. G. Ponzanelli, I punitive damages nell’esperienza nordamericana, in Riv. dir. civ., 1983, I, 435.
[130] V. G. Grisi, L’inadempimento dipendente da dolo, in Jus civile, 2018, 659 e ss.
[131] In giurisprudenza, cfr. Cass. civ., 19 gennaio 2007, n. 1183, in Corr. giur., 2007, 497, con nota di P. Fava; Cass. civ., 8 febbraio 2012, n. 1781, in Corr. giur., 2012, 1068, con nota di P. Pardolesi.
In dottrina, v. G. Ponzanelli, I danni punitivi, in Nuova giur. civ. comm., 2008, II, 25. Sul contemperamento tra funzione satisfattiva e funzione sanzionatoria, nonché sul corretto modo di intendere e sviluppare quest’ultima nella responsabilità civile italiana, v. F.D. Busnelli, Deterrenza, responsabilità civile, fatto illecito, danni punitivi, in Eur. e dir. priv., 2009, 909.
I punitive damages vanno distinti dalle astreintes, che servono ad indurre il debitore ad adempiere un obbligo infungibile e sono compatibili con l’ordine publico italiano: in giurisprudenza, cfr. Cass. civ., 15 aprile 2015, n. 7613, nella banca dati del sistema Jurisdata; in dottrina, G. Ponzanelli, Novità per i danni esemplari?, in Contr. e impr., 2015, 1195.
[132] Così F.D. Busnelli, Atto illecito e contratto illecito: quale connessione?, in Contr. e impr., 2013, 904.
[133] Così si legge in Cass. civ., sez. un., 6 maggio 2015, n. 9100, in IlCaso.it.
[134] Per un quadro della situazione anteriore all’intervento delle Sezioni Unite, v., in dottrina, C. De Menech, Il Problema della riconoscibilità di sentenze comminatorie di punitive damages: alcuni spunti ricostruttivi, in Riv. dir. civ., 2016, 1644.
[135] Così si legge in Cass. civ., 16 maggio 2016, n. 9978, ord., in Nuova giur. civ. comm., 2016, I, 1285, con nota di M. Gagliardi. Secondo la prima sezione, «[i]l giudice della delibazione ... dovrà negare il contrasto in presenza di una mera incompatibilità (temporanea) della norma straniera con l’assetto normativo interno, quando questo rappresenti una delle diverse modalità di attuazione del programma costituzionale .... In questa prospettiva, non dovrebbe considerarsi pregiudizialmente contrario a valori essenziali della comunità internazionale (e, quindi, all’ordine pubblico internazionale) l’istituto di origine nordamericana dei danni non risarcitori, aventi carattere punitivo: una statuizione di tal genere potrebbe esserlo, in astratto, solo quando la liquidazione sia giudicata effettivamente abnorme, in conseguenza di una valutazione, in concreto, che tenga conto delle “circostanze del caso di specie e dell’ordinamento giuridico dello Stato membro del giudice adito” (in tal senso il Considerando 32 del regol. CE 11 luglio 2007, n. 864, sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali). Analoghe indicazioni provengono dal diritto comparato».
[136] Le sezioni unite, nonostante la parziale inammissibilità del ricorso sul quale sono state chiamate a pronunciarsi, hanno scelto di enunciare un principio di diritto su una “questione di particolare importanza”.
[137] Così si legge in Cass. civ., sez. un., 5 luglio 2017, n. 16601, in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, 1392, con nota di M. Grondona. In dottrina, v. A. Gambaro, Le funzioni della responsabilità civile tra diritto giurisprudenziale e dialoghi transnazionali, in Nuova giur. civ. comm., 2017, II, 1405; P.G. Monateri, Le Sezioni Unite e le molteplici funzioni della responsabilità civile, in Nuova giur. civ. comm., 2017, II, 1410; G. Ponzanelli, Le Sezioni Unite sui danni punitivi tra diritto internazionale privato e diritto interno, in Nuova giur. civ. comm., 2017, II, 1413; M. Tescaro, Il revirement “moderato” sui punitive damages, in Contr. e impr./Eur., 2017, 52; P. Trimarchi (Responsabilità civile punitiva?, in Riv. dir. civ., 2020, 687), il quale rileva come le disposizioni italiane annoverate tra quelle a connotazione punitiva, in realtà, non esorbitino dalla logica compensativa, sebbene una funzione anche deterrente sia immanente in qualunque risarcimento.
Il concetto di ordine pubblico si è evoluto e, ora, viene inteso come sintesi dei principi fondamentali che caratterizzano un ordinamento, sono invalicabili dall’autonomia privata e sono desumibili tanto dalla Costituzione, quanto dalle fonti sovranazionali, specialmente da quelle dell’Unione Europea, in rapporto di autonomia e coesistenza ed in funzione di promozione dei valori tutelati. Sulla relazione tra norme imperative e norme di ordine pubblico, v. G. Panza, voce Ordine pubblico (Teoria generale), in Enc. giur. Treccani, XXII, Roma, 1990, 5 ss., nonché l’approfondita disamina di A. Guarneri, voce Ordine Pubblico, in Dig. Disc. Priv.-Sez. Civ., XIII, Torino, 1995, 154. Di recente, però, è stato osservato che l’ordine pubblico, più che come difesa di un dato ordine socio-politico da applicare in casi eccezionali ed in senso restrittivo, andrebbe inteso come applicazione analogica di norme imperative, così da limitare l’autonomia privata, in consonanza alla ratio di queste ultime, pure in casi non espressamente disciplinati: v. M. Barcellona, voce Ordine pubblico, in Enc. dir., I tematici, I, Contratto, cit., 753.
Per un inquadramento critico del tema, v. F. Episcopo, Il problema dei danni punitivi, in Codice della responsabilità civile, cit., 2100.
[138] V. già G.P. Chironi, op. ult. cit., I, 11 ss.; nonché L. Bigliazzi Geri, U. Breccia, F.D. Busnelli, U. Natoli, op. cit., III, 779; U. Breccia, op. ult. cit., 670.
[139] Così C. Castronovo, La responsabilità civile, cit., 154.
[140] L’esitazione sulla connotazione funzionale della responsabilità aquiliana, a fronte della sua attuale atipicità, è stata considerata la spia di una «paradossale» crisi dell’istituto: v. C. Salvi, Il paradosso della responsabilità civile, in Riv. crit. dir. priv., 1983, n. 1, 123.
[141] V. N. Rizzo, Le funzioni della responsabilità civile tra concettualizzazioni e regole operative, in Resp. civ. e prev., 2018, 1811.
[142] V. S. Rodotà, op. ult. cit., passim, ma spec. 22 ss.; R. Scognamiglio, Considerazioni conclusive, in Responsabilità civile e assicurazione obbligatoria, cit., 358 ss.
[143] V. già F. Carnelutti, op. ult. cit., II, 618 ss., 623 ss.; nonché M. Franzoni, Il danno risarcibile, cit., 747 ss.
[144] Così P.G. Monateri (La responsabilità civile, cit., 316), il quale aggiunge che «[l]a responsabilità civile permette l’espletamento di più attività confliggenti, allocando ad un soggetto l’obbligo di pagare i costi indotti dalla sua azione. La tutela risarcitoria agisce in questo senso come alternativa alla tutela inibitoria».
[145] V. G. Visintini, I fatti illeciti, cit., 53 ss.
[146] V. G. Grisi, op. cit., 659 e ss.