Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

L´atto di destinazione patrimoniale e il suo impiego per il soddisfacimento delle esigenze della famiglia legittima (di Erika Manazza, Dottoranda di ricerca – Università degli Studi di Pavia)


Il saggio, occasionato da una recente pronuncia di legittimità, indaga l’applicabilità dell’atto di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c. a favore di famiglie fondate sul matrimonio, come strumento alternativo al fondo patrimoniale. Tramite una ricognizione storico-concettuale sul tema, con particolare riguardo alla figura del trust di common law, e dopo aver delineato gli elementi essenziali della destinazione “all’italiana”, vengono analizzate criticamente le motivazioni addotte dalla Suprema Corte – in accordo con la dottrina maggioritaria – a sostegno della tesi restrittiva, prospettando così una rinnovata chiave di lettura dell’atto in questione, quale convenzione matrimoniale dal carattere atipico e pur sempre vincolato al rispetto di quei principi fondamentali che informano il diritto di famiglia dal punto di vista patrimoniale. Le conclusioni sviluppate nel presente saggio consentono, poi, di svolgere riflessioni sull’utilizzo dell’atto ex art 2645-ter finanche in contesti familiari more uxorio e a beneficio delle famiglie fondate sull’unione civile o su una convivenza c.d. registrata. Infine, il commento alla sentenza consente qualche considerazione aggiuntiva in tema di revocatoria dell’atto di destinazione e, più in generale, sulla tutela dei creditori a fronte di fenomeni di separazione patrimoniale.

Parole chiave: destinazione patrimoniale – matrimonio – unione civile – convivenza more uxorio – separazione patrimoniale – trust – revocatoria – meritevolezza – fondo patrimoniale

The deed of destination of assets and its use to satisfy the needs of the family founded on marriage

This essay, occasioned by a recent judgment of the Corte di Cassazione, investigates the applicability of the deed of destination of assets, stated in art. 2645-ter of the Italian civil code, in favor of families founded on marriage, as an alternative instrument to the patrimonial fund. Through a historical-conceptual review on the subject, with particular regard to the figure of the common law trust, and after having outlined the essential elements of the Italian destination, this paper critically analyzes the reasons given by the Supreme Court – in harmony with the doctrinal majority - in support of the restrictive thesis, thus proposing a renewed perspective on the act in question, configuring it as an atypical marriage agreement, yet bound to respect those fundamental principles which, from a patrimonial point of view, rule family law. The conclusions reached in this essay allow, furthermore, to reflect on the use of the deed founded on art. 2645-ter even in relation to more uxorio families and for the benefit of families founded on a civil union, or even to the advantage of a so-called registered cohabitation. Finally, the comment on the judgment allows for some additional considerations on the subject of the revocation of the deed of destination of assets and, more generally, on the protection of creditors against segregated assets.

SOMMARIO:

1. La destinazione patrimoniale con causa familiare alla luce di una recente pronuncia di legittimità - 2. Il travagliato percorso della destinazione patrimoniale in Italia - 3. Segue. Dalla Convenzione dell’Aja in materia di trusts all’introduzione dell’art. 2645-ter cod. civ. - 4. Aspetti essenziali della disciplina ex art. 2645-ter; in particolare, la meritevolezza degli interessi perseguibili e la tutela dei creditori - 5. Il primo motivo di inammissibilità addotto dalla Corte. Riflessioni sulla meritevolezza di una destinazione posta a presidio di interessi familiari - 6. Segue. La querelle dottrinale in tema di destinazione atipica a favore della famiglia coniugale e i relativi riflessi sull’applicazione dell’art. 2645-ter ai conviventi - 7. Il secondo motivo di inammissibilità addotto dalla Corte. La revocatoria dell’atto di destinazione ex art. 2645-ter - NOTE


1. La destinazione patrimoniale con causa familiare alla luce di una recente pronuncia di legittimità

Nonostante siano trascorsi oltre quindici anni dall’introduzione dell’art. 2645-ter nel codice civile, l’opportunità di sfruttare la destinazione atipica quale alternativa ad altre figure destinatorie già tipizzate rimane attualmente una questione tutt’altro che risolta; il che, a ben vedere, non sorprende più di tanto, considerando i notevoli dubbi che, ancora oggi, coinvolgono la maggior parte degli aspetti essenziali di tale fattispecie normativa, nonché la relativa estensibilità a settori del diritto tuttora permeati da un certo – ingiustificato – immobilismo. Sicché, quantunque con meno frequenza rispetto al passato, i nostri giudici sovente si ritrovano di fronte a casi che implicano una necessaria presa di posizione al riguardo, talvolta mantenendo sul punto un atteggiamento troppo prudente e restrittivo, come testimoniato dalle ultime sentenze di merito in tema di destinazione testamentaria [1]. Resta una costante, però, il fatto che la quasi totalità delle pronunce riguardanti la disciplina di cui all’art. 2645-ter sia circoscritta all’ambito giusfamiliare; un settore, a dire il vero, tutt’altro che “stagnante” [2], e improntato a valori e obiettivi tali da potersi ben attagliare allo strumento destinatorio, considerata la principale finalità di quest’ultimo di attribuire vantaggi patrimoniali – tra l’altro non indifferenti, come si dirà nel prosieguo – a favore di chi ne venga designato beneficiario. Proprio questo dato empirico cela in sé un’evidenza di non poco conto: al di là di alcuni approdi, ormai dati per certi, circa l’utilizzo dello strumento destinatorio atipico per porre rimedio alle situazioni familiari c.d. patologiche [3], ovvero semplicemente non regolamentate [4], emerge un ciclico dibattito dottrinale sull’am­missibilità dello stesso finanche a favore di famiglie fondate sul vincolo del matrimonio [5]. Difatti, ad assillare gli operatori del diritto e a farli propendere, tendenzialmente, per una risposta negativa v’è il rilievo del­l’esistenza, ormai da più di cinquant’anni, di una fattispecie destinatoria ad hoc riservata ai membri di tale tipo di famiglia, vale a dire il fondo patrimoniale, la cui disciplina si rinviene agli artt. 167 ss. del codice. Non a caso, [continua ..]


2. Il travagliato percorso della destinazione patrimoniale in Italia

Prima di addentrarci nella trattazione dei temi invocati dalla pronuncia in esame, appare opportuno accennare ai profili evolutivi caratterizzanti la destinazione patrimoniale nell’ambito del diritto privato italiano [7]. Innanzitutto, la destinazione patrimoniale costituisce una categoria concettuale la cui peculiarità principale è costituita dalla sussistenza di un elemento teleologico, ossia la finalizzazione di situazioni giuridiche soggettive a contenuto patrimoniale per la realizzazione di un dato interesse, il quale risulta estraneo alla sfera del soggetto che pone in essere l’operazione e mira, invece, a beneficiare un terzo, ovvero a realizzare uno scopo [8]. Ne deriva la nascita di un c.d. vincolo [9] – appunto, di destinazione – idoneo tanto a imporre limitazioni alle facoltà dominicali del titolare, quanto a comportare l’insorgere di obblighi inerenti ai beni vincolati, obblighi che attengono alla conservazione e all’amministrazione di tali cespiti proprio al fine di attuare il programma destinatorio [10]. Inoltre, sebbene non costituisca elemento indispensabile alla costituzione di un vincolo di destinazione, per accentuarne la rilevanza non meramente obbligatoria e renderlo opponibile ai terzi [11], è opportuno che ad esso si accompagni un effetto di separazione patrimoniale, in deroga a quanto disposto dall’art. 2740, comma 1, cod. civ. in tema di responsabilità patrimoniale generica, e dall’art. 2741, dal quale si fa discendere il principio della par condicio creditorum [12]. A ben vedere, il precipuo significato dell’espressione “patrimoni separati”, generalmente impiegata dal legislatore con riferimento a fattispecie tra loro piuttosto eterogenee [13], costituisce il riflesso di una complessa opera di elaborazione dottrinale incominciata, per opera della Pandettistica tedesca, nel XIX secolo [14], e sta ad indicare ipotesi in cui un soggetto risulti titolare di più entità patrimoniali, ciascuna dotata di autonoma rilevanza [15], senza la necessità di ricorrere all’espediente della personificazione patrimoniale [16]. Limitazione della responsabilità patrimoniale, opponibilità di tale limitazione erga omnes, trattamento diversificato dei creditori, sottoposizione della massa separata a speciali regole di amministrazione e organizzazione, sussistenza [continua ..]


3. Segue. Dalla Convenzione dell’Aja in materia di trusts all’introduzione dell’art. 2645-ter cod. civ.

A partire dalla seconda metà del Novecento, tuttavia, si è riscontrato un rinnovato approccio alla destinazione patrimoniale nel panorama giuridico internazionale, testimoniato dalla diffusione di fattispecie latu sensu fiduciarie, paragonabili al trust, finanche nelle legislazioni degli Stati di civil law [35]; un approdo che era, però, ancora piuttosto lontano in Italia, dove si può soltanto osservare come, all’epoca, la giurisprudenza di merito incominciasse timidamente a negare il carattere di ordine pubblico dei summenzionati principi civilistici [36]. Per tale ragione, ha destato non poco stupore la prontezza con cui il Parlamento italiano ha proceduto alla ratifica della Convenzione dell’Aja del 1985 relativa alla legge applicabile ai trusts e al loro riconoscimento [37], tenendo presente che, per contro, alla ratifica non è stata accompagnata una disciplina interna di recepimento dell’istituto dal punto di vista sostanziale [38]. Nondimeno – se ciò non apparisse già desumibile dal relativo titolo – è sufficiente soffermarsi sulle prime disposizioni della Convenzione [39] per comprendere come l’intento dei redattori in realtà non fosse quello di introdurre la figura destinatoria anglosassone in ordinamenti che ne fossero sprovvisti, bensì, da un lato, di fissare regole universali volte a individuare la normativa applicabile, nei casi di conflitto tra leggi, a quei trusts connotati da elementi di internazionalità e, dall’altro, di dettare criteri univoci per il loro riconoscimento – o disconoscimento – da parte degli Stati firmatari [40]. A sostegno di questa teoria, la dottrina ha fatto leva sulla formulazione estremamente generica dell’art. 2 della Convenzione, la quale sembra dettare, più che una definizione di trust, una serie di aspetti minimali idonei a delineare una mera struttura generica [41]; da qui la nota espressione “trust amorfo”, coniata da uno dei massimi esperti di trusts in Italia [42], intendendosi con essa una figura in grado di sussumere al proprio interno fattispecie anche piuttosto differenti tra loro, appartenenti tanto a ordinamenti di common law quanto di civil law [43]. Se non altro, la Convenzione dell’Aja, con riguardo al tema della destinazione patrimoniale, ha avuto il pregio di “smuovere le acque” [continua ..]


4. Aspetti essenziali della disciplina ex art. 2645-ter; in particolare, la meritevolezza degli interessi perseguibili e la tutela dei creditori

Una volta delineato per sommi capi l’iter concettuale della destinazione patrimoniale nel nostro Paese, per comprendere appieno le argomentazioni addotte dalla Suprema Corte nell’ordinanza da cui prende spunto il presente saggio è bene considerare, altrettanto sinteticamente, alcuni degli elementi caratterizzanti la figura destinatoria di cui all’art. 2645-ter, soffermandoci poi maggiormente su quelli che costituiscono il perno motivazionale della pronuncia de qua. Come già accennato, la novella del 2006 ha inteso regolamentare (la trascrizione del) l’atto di destinazione patrimoniale, dettando svariate indicazioni circa i parametri formali, contenutistici, temporali, causali ed effettuali cui l’atto stesso deve conformarsi; ciononostante, con riguardo a molti altri presupposti, del pari fondamentali per completare la disciplina in questione, il legislatore ha assunto un atteggiamento a dir poco reticente. Infatti, nessun riferimento si rinviene circa l’eventuale struttura – unilaterale e/o contrattuale – dell’atto [59], né sulla possibilità o meno di porre in essere una destinazione traslativa [60], menzionando la norma solamente il conferente e il beneficiario quali parti del rapporto negoziale. Ad ogni modo, una prima indicazione espressa è quella relativa al presupposto formale della destinazione: senza troppi giri di parole, il testo dell’art. 2645-ter prescrive la redazione dell’atto in forma pubblica, con ragionevole certezza, ai fini della sua validità [61], ritenendosi piuttosto improbabile, invece, che tale requisito sia funzionale soltanto alla trascrizione del vincolo nei pubblici registri e, di conseguenza, alla sua opponibilità erga omnes [62]. Onde evitare che i privati pongano in essere vincoli perpetui, in spregio della funzione socio-economica che la proprietà assume nel nostro ordinamento [63], la norma si premura di stabilire la durata massima della destinazione patrimoniale, commisurandola alternativamente alla vita del beneficiario ovvero a un lasso di tempo non superiore a novant’anni. La violazione di tale precetto, infatti, determina l’invalidità della clausola temporale e la sua automatica sostituzione con il termine imperativo [64], mentre la semplice omissione non pare idonea a inficiare l’atto, potendo soccorrere, in questi casi, un meccanismo di [continua ..]


5. Il primo motivo di inammissibilità addotto dalla Corte. Riflessioni sulla meritevolezza di una destinazione posta a presidio di interessi familiari

La disamina degli ultimi due profili della destinazione patrimoniale ivi considerati, vale a dire quello causale e quello rimediale, ci consentono ora di analizzare in maniera più dettagliata le ragioni che hanno condotto la Suprema Corte a dichiarare l’inammissibilità del ricorso. Nella motivazione della Corte si legge come i ricorrenti abbiano tralasciato di considerare che i rispettivi atti di destinazione non soltanto sono da reputarsi inefficaci, dato il vittorioso esperimento della revocatoria esercitata dalla controparte, bensì finanche nulli, dal momento che l’interesse perseguito è stato giudicato inidoneo a superare positivamente il vaglio di meritevolezza; un requisito, questo, indispensabile ai fini dell’effettiva validità della destinazione, costituendo il nucleo centrale – come osservato poc’anzi – della figura delineata all’art. 2645-ter. Precisamente, la Corte, richiamando l’orientamento prevalente in dottrina [104], lascia intendere come destinare un patrimonio alla soddisfazione di interessi riconducibili al sostentamento del nucleo familiare del conferente, servendosi dell’espediente di cui all’art. 2645-ter, rappresenti un’opera­zione “fin troppo accorta”: difatti, a presidiare gli interessi patrimoniali della famiglia fondata sul vincolo del matrimonio soccorre già, nel nostro ordinamento, la fattispecie del fondo patrimoniale, la quale è connotata, tra l’altro, da una serie di norme che limitano la discrezionalità delle parti coinvolte nell’opera­zione destinatoria [105]. Diversamente, afferma sempre la Corte (stavolta espressamente), la destinazione ex art. 2645-ter costituisce uno strumento legittimamente sfruttabile a favore di contesti familiari che esulano dall’ambito applicativo del fondo patrimoniale, come accade per la famiglia fondata su una mera convivenza more uxorio [106]. Tuttavia, pacifico quest’ultimo punto, è sulla prima affermazione che si potrebbe – direi, a ragione – dissentire. Che la destinazione costituisca un utile strumento per provvedere alla realizzazione di interessi familiari non è da mettere in dubbio: lo stesso legislatore, provvedendo a tipizzare entro i confini dello schema di cui all’art. 2740, comma 2, cod. civ. una fattispecie di separazione ad hoc riservata alla famiglia legittima, ha [continua ..]


6. Segue. La querelle dottrinale in tema di destinazione atipica a favore della famiglia coniugale e i relativi riflessi sull’applicazione dell’art. 2645-ter ai conviventi

Se quanto appena illustrato non bastasse ad ammettere la destinazione atipica per la famiglia legittima, si potrebbe volgere lo sguardo verso alcuni dei più recenti approdi dottrinali. Come accennato, l’applicabilità dell’art. 2645-ter nel suddetto contesto viene avversata, oltre che dalla Corte nella pronuncia in esame, da buona parte dei commentatori alla novella [135], nella convinzione che, altrimenti, si renderebbe inoperante la disciplina del fondo patrimoniale, o peggio, si acconsentirebbe ad eluderne le norme, e che, per di più, l’impiego dello strumento atipico in luogo di quello tipizzato per la realizzazione dei medesimi interessi integrerebbe una violazione della riserva di legge di cui all’art. 2740, comma 2, cod. civ. [136]. Altre argomentazioni ritenute decisive fanno leva sul presunto difetto di meritevolezza di una destinazione ex art. 2645-ter fondata su un interesse identico a quello perseguito da un’altra fattispecie già tipizzata [137] e sull’idea che in ogni caso questa figura, se riferita alla tutela della famiglia coniugale, concreterebbe una forma di autodestinazione, in quanto i coniugi assumerebbero in sé il ruolo di conferenti, amministratori e beneficiari allo stesso tempo [138]. Alla base della dottrina appena menzionata è possibile ravvisare una concezione del tipo “genere-specie” circa il rapporto tra il vincolo di destinazione atipico e il vincolo discendente dal fondo, tale per cui al primo, pur se congegnato “a maglie larghe”, non sarebbe comunque consentito di sovrapporsi all’ambito applicativo di altre figure già tipizzate di destinazione con separazione patrimoniale [139]. Nondimeno, una distinta corrente di pensiero accoglie una concezione parzialmente differente del rapporto tra destinazione atipica e destinazione familiare, concepito in termini maggiormente conciliativi [140]. Precisamente, si afferma come in realtà il vincolo ex art. 2645-ter possa impiegarsi anche a favore di una famiglia legittima, ma con l’accortezza di estendervi proprio quegli stessi principi inderogabili in tema di fondo patrimoniale – per giunta, utili a integrare le lacune della novella [141] – in modo tale da impedire ai privati di aggirare la disciplina di cui agli artt. 167 ss. e, al contempo, assicurare una posizione egualitaria alle parti coinvolte [142]. [continua ..]


7. Il secondo motivo di inammissibilità addotto dalla Corte. La revocatoria dell’atto di destinazione ex art. 2645-ter

Per ragioni di completezza, ci pare adeguato considerare anche il secondo motivo per cui viene respinto il ricorso, nella pronuncia da cui prende spunto il presente lavoro: precisamente, esso concerne l’aspetto della tutela dei creditori pregiudicati dalla destinazione, fondato sul vittorioso esperimento dell’a­zione revocatoria esercitata in primo grado dalla curatela [175], il che avrebbe comunque reso inefficaci nei confronti di questa i negozi destinatori posti in essere dai ricorrenti, a prescindere dalla relativa (in)validità. Nondimeno, già in secondo grado gli ex amministratori avevano lamentato la mancata verifica, da parte del Tribunale, del requisito del consilium fraudis anche in capo ai terzi – id est dei beneficiari della destinazione, dunque i familiari degli amministratori [176] – coinvolti nell’operazione destinatoria; ma la Corte di Appello di Genova aveva prontamente smentito tale obiezione, affermando come, data la gratuità dell’atto di destinazione, non risultasse necessario verificare tale requisito, essendo sufficiente la constatazione dello stesso con riguardo ai soli debitori disponenti. Quanto al giudizio innanzi alla Cassazione, i ricorrenti perseverano nell’affermare la negligenza del giudice di secondo grado in ordine all’accertamento del succitato requisito; la Cassazione, invero, non fa altro che ribadire le medesime conclusioni emerse in appello: richiamando una costante giurisprudenza di legittimità [177], afferma che la gratuità dell’atto di destinazione esime chi giudica dal verificare tanto la sussistenza della participatio fraudis di terzi all’operazione pregiudizievole quanto, per il caso di crediti sorti successivamente all’atto pregiudizievole, della loro dolosa preordinazione assieme al debitore. Ma sia consentito, a tal proposito, fare un passo indietro e chiedersi: in che rapporti si pongono l’azione revocatoria [178] e la destinazione patrimoniale? O meglio, come si può assicurare la tutela dei creditori a fronte di una destinazione patrimoniale con efficacia di separazione? La tutela dei creditori, in primo luogo, passa attraverso la pubblicizzazione del vincolo, aspetto che, secondo l’orientamento prevalente, è indefettibilmente connaturato all’art. 2645-ter [179]: in tal guisa, attraverso la trascrizione dell’atto e l’applicazione [continua ..]


NOTE
Fascicolo 5 - 2022