Il rapporto tra autonomia privata e diritto della crisi d’impresa da diverso tempo forma oggetto costante dell’interesse della dottrina che, sotto differenti profili e mediante variegate angolature, si occupa dei temi e dei problemi dell’insolvenza all’interno delle singole procedure concorsuali.
Il tema dell’autonomia privata all’interno delle procedure concorsuali è stato, negli anni, così, diffusamente trattato dalla letteratura giuridica che, anche per la sua oggettiva e indubbia rilevanza sotto molteplici ambiti disciplinari, ha superato i confini concettuali segnati dall’originario perimetro del diritto fallimentare ed ha disvelato punti prospettici, profili di indagine, entro i quali l’autonomia privata, possa, nel concreto, regolare interessi in gioco, molteplici e rilevanti.
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L’argomento, dunque, non è nuovo e chi volesse avvicinarsi al tema potrebbe correre il rischio di esercitarsi in un mero restatement di cose già dette o di soluzioni già prospettate, finendo per riproporre seppure con parole diverse i medesimi ragionamenti già presenti nella letteratura formatasi in materia.
Il lavoro che si segnala sfugge a questo rischio ed anzi ha l’oggettivo merito di collocarsi utilmente all’interno della riflessione teorica sull’insolvenza ed i suoi istituti (soprattutto quelli di natura rimediale, cioè tendenti ad evitare la perdita della continuità aziendale e del valore patrimoniale dell’impresa che ne consegue alla sua dissoluzione) mediante la capacità di conferire allo studio del tema un apporto significativo, a maggior ragione apprezzabile perché offerto appena è entrato in vigore il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.
Il tema del “potere dei privati” nelle procedure concorsuali è, infatti, affrontato nel libro con riferimento a un momento storico in cui irrompe nello scenario normativo il Codice che rappresenta la più ampia, organica e sistematica riforma del diritto dell’insolvenza dopo l’introduzione nel 1942, nel nostro ordinamento, della legge fallimentare.
Altri elementi di novità del lavoro sono necessariamente collegati, invece, al metodo “soggettivo” adottato dall’Autore, mediante il quale egli, per un verso, si sforza di scomporre “atomisticamente” il ruolo dell’autonomia privata che si esplica all’interno del diritto “fallimentare”, indagando questa peculiare prerogativa, “singolarmente”, in ogni “singola” procedura concorsuale; per altro verso, suggerisce al lettore come questa “scomposizione” non sia meramente classificatoria o, se si preferisce, didascalica, ma si riveli piuttosto funzionale a ricercare e ad adeguatamente argomentare differenti conseguenze interpretativo-applicative, nella disciplina concreta dei singoli istituti coinvolti, sulla base della precipua “autonomia privata” presa di volta in volta in considerazione.
Ne deriva che l’espressione “autonomie private”, contenuta anche nel titolo dell’opera, non assume un valore provocatorio, ma, piuttosto, un significato evocativo di un metodo che si snoda lungo tutto il percorso che l’indagine segue all’interno del volume.
La valorizzazione di quella che l’autore definisce “concezione pluralistica” degli istituti giuridici induce anche a evidenziare le differenze fra gli accordi di ristrutturazione e i concordati e a destituire di fondamento l’accostamento di entrambi questi istituti a quello contrattuale, con una prima conseguenza sistematica, che consiste, secondo l’a., nel riconoscimento di un progressivo processo di emancipazione dell’autonomia privata, quale figura generale, rispetto all’istituto contrattuale, che non pare rappresentare più l’emblema della prima, ma soltanto una delle sue possibili espressioni.
Il volume, infatti, scompone l’autonomia privata mediante un criterio diacronico della procedura concorsuale e del suo svolgersi nelle varie fasi che ne compongono la struttura procedimentale, cioè a dire a seconda che si studi, all’interno della vicenda concorsuale, il c.d. “periodo sospetto”, la fase concordataria, la fase liquidatoria e, infine, gli accordi di ristrutturazione.
Nella fase genetica dell’insolvenza, vale a dire nello stadio anteriore alla dichiarazione della liquidazione giudiziale, la constatazione di un regime di esenzioni rispetto all’azione revocatoria che è di fatto più ampio dell’ambito applicativo della regola di autotutela medesima induce, sillogisticamente, l’Autore a concludere come l’autonomia privata, che si esplica in questo peculiare momento, sia ampia e in realtà non dimidiata da peculiari limitazioni (p. 40 ss.).
Nella fase c.d. concordataria, invece, rileva l’autore, il potere dispositivo del debitore/imprenditore deve ritenersi limitato in una duplice direzione: in primo luogo, infatti, il potere autorizzativo del tribunale si esercita sulla base di uno specifico criterio rappresentato dalla corrispondenza dell’atto posto in essere al “miglior interesse dei creditori”; in secondo luogo, si riscontra un limite negativo, previsto nel vigente quadro normativo, in forza del quale vi è l’impossibilità per il disponente di individuare il soggetto destinatario dell’attribuzione.
L’ “autonomia privata attenuata”, che caratterizzerebbe questa peculiare fase, sarebbe ulteriormente contrassegnata dall’insistenza di un controllo di carattere preventivo sul potere dispositivo del soggetto debitore-“agente” (p. 68 ss.).
Il percorso tracciato dall’Autore lo porta quindi a scoprire un’ulteriore espressione propria della tassonomia che contribuirebbe a sistematizzare il potere dei privati nel diritto dell’insolvenza: si tratterebbe della c.d. “autonomia privata d’impresa” che si esplicherebbe, principalmente, sia nel c.d. esercizio provvisorio, sia nel concordato in continuità.
Le “finalità continuative” che caratterizzano questa(e) fase(i) hanno delle precise conseguenze applicative che l’autore, con puntuale chiarezza, mette in evidenza; così se da un latto i cc.dd. contratti pendenti sono destinati a continuare, anche per il caso in cui esistano patti accessori che prevedano una sorte differente, come la sospensione o la perdita di efficacia (sia essa totale che parziale); dall’altro lato il potere di scioglimento e sospensione del curatore deve essere conseguente ad una valutazione complessiva dell’attività di impresa e non della singola e isolata fattispecie contrattuale.
L’originalità del profilo d’indagine segnalato, al di là della condivisibilità o meno della soluzione adottata, si riscontra anche nell’analisi del tema, di grande attualità, delle cc.dd. clausole ipso facto; in questa occasione l’autore si spinge nell’“audace” direzione di una interpretazione quasi abrogatrice del testo dell’art. 172 comma 6 del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza. In tal modo valorizzando il giudizio di disfunzionalità dell’opzione normativa di considerare inefficaci le predette clausole: disfunzionalità proprio in ragione delle finalità liquidatorie che caratterizzano la procedura in esame, la quale troverebbe conferma dall’astratta possibilità di creare convenzionalmente categorie di “contratti personali” che avrebbero un regime disciplinare segnato proprio dal ricorrere dell’effetto risolutorio per il caso di insorgenza della procedura liquidatoria.
Occorre porre in evidenza, incidentalmente, che l’analisi compiuta dall’autore, soprattutto quando tenta di indagare più nel dettaglio i poteri dei privati nelle procedure concorsuali, è incline sempre a proporre giudizi di conformità della singola opzione interpretativa adottata (nei termini di riconoscimento o meno di un dato potere) alle finalità della procedura concorsuale, di volta in volta, considerata, per come normativamente tratteggiate.
Anche l’analisi degli accordi di ristrutturazione si segnala per la rilevanza assegnata alle conseguenze applicative; al riguardo è opportuno porre in evidenza, in particolare, l’idea dell’autore di estendere a questo istituto l’apparato rimediale previsto in tema di concordato per il caso di inadempimento (155 ss.).
Le ragioni di questa estensione derivano, principalmente, dal progressivo accostamento “normativo” dell’accordo di ristrutturazione all’istituto concordatario; dalla progressiva emancipazione dell’istituto dallo schema contrattuale che porta all’impossibilità dell’applicazione indiscriminata dei classici rimedi contrattuali.
Il lavoro si chiude con notazioni di carattere sistematico volte a cristallizzare quello che potrebbe essere definito come una sorta di “nuovo” trend del diritto dell’insolvenza.
Da questo punto prospettico, il riconoscimento di un generale ampliamento dei poteri dei privati in questo peculiare settore del diritto, connesso alla perdita di centralità del fallimento (oggi liquidazione giudiziale) e alle difficoltà teoriche/concettuali di accostare alcune delle procedure richiamate al paradigma contrattuale portano l’autore a invertire la rotta scandita dall’espressione “dalla privatizzazione al contrattualismo”(M. Fabiani, Contratto e processo nel concordato fallimentare, Torino, 2009, p. 82 ss.); si abbraccia in tal modo una nuova prospettiva ben sintetizzata attraverso l’espressione “dal contrattualismo alla privatizzazione”.
Secondo l’a., in conclusione, l’ampliamento dei poteri dei privati all’interno delle procedure concorsuali non deve ritenersi sinonimo del riconoscimento di un maggior ruolo e di una rinnovata centralità del paradigma contrattuale all’interno di questo peculiare ambito disciplinare, quanto, piuttosto, espressione di una più generale tendenza normativa che troverebbe concreta espressione anche nell’introduzione di nuove figure, quali, ad esempio, la “composizione negoziata”, sempre più tese a far ritenere il fallimento (oggi liquidazione giudiziale) quale extrema ratio, quale strumento soltanto residuale ai fini della risoluzione di molte delle questioni oggetto del “nuovo” diritto dell’insolvenza.
Il volume merita, dunque, di essere segnalato ed apprezzato, non solo per l’impegno dimostrato dall’a. nell’indagine, puntuale, accurata e chiara nell’esposizione del percorso argomentativo prescelto, ma anche perché riesce a conferire al lavoro un carattere di novità ed originalità teorica non disgiunta dalla sua concreta utilità pratica.