Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

La tutela del consumatore dalle asserzioni ambientali ingannevoli (di Tiziana Rumi, Professoressa aggregata – Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria)


Tra i diversi obiettivi dell’Agenda Onu 2030 il saggio si sofferma sulla promozione di modelli di produzione e di consumo sostenibili. Alla realizzazione di tale obiettivo contribuisce la maggiore responsabilizzazione sia delle imprese (chiamate a svolgere la propria attività con modalità rispettose della natura e di condizioni di vita e di lavoro giuste), sia dei consumatori (spinti ad acquistare beni di scarso impatto ambientale, realizzati nel rispetto dei diritti dei lavoratori, ed a ridurre il più possibile i consumi). La consapevolezza dei consumatori nell’effettuare scelte di consumo green e critico è condizionata, però, dalla comunicazione aziendale e dalla pubblicità commerciale che, frequentemente, contengono asserzioni ambientali ingannevoli, finalizzate cioè alla creazione di un’immagine verde dei prodotti, non sempre corrispondente alla realtà (greenwashing). Da qui tutta una serie di provvedimenti sanzionatori emessi sia da autorità amministrative che giurisdizionali contro le imprese socialmente responsabili e l’individuazione di alcuni strumenti, primo fra tutti la disciplina sulle pratiche commerciali scorrette, per tutelare i consumatori contro gli slogan ambientali ingannevoli.

Parole chiave: tutela consumatore – pratiche commerciali scorrette – greenwashing – green claims – sviluppo sostenibile.

Consumer protection from misleading environmental claims

Among the various objectives of the UN Agenda 2030, the essay focuses on the promotion of sustainable production and consumption models. The greater responsibility of both businesses (called to carry out their business in ways that respect nature and fair living and working conditions) and consumers (driven to buy goods with low environmental impact, made in the respect for workers' rights, and to reduce consumption as much as possible). Consumer awareness in making green and critical consumption choices is conditioned, however, by corporate communication and commercial advertising which frequently contain misleading environmental claims, i.e. aimed at creating a green image of the products, which does not always correspond to the reality (greenwashing). Hence a whole series of sanctions issued by both administrative and judicial authorities against socially responsible companies and the identification of some tools, first of all the discipline on unfair commercial practices, to protect consumers against misleading environmental slogans.

Keyword: consumer protection - unfair business practices - greenwashing – green claims – sustainable development.

Tiziana Rumi, Professoressa aggregata – Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria

SOMMARIO:

1. La produzione ed il consumo sostenibile nell’Agenda ONU 2030 - 2. La comunicazione aziendale sulla sostenibilità dei prodotti e il problema del greenwashing - 3. L’AGCM, il Giurì di Autodisciplina e la giustizia ordinaria sui claim ambientali scorretti: alcuni casi emblematici - 4. I rimedi a tutela di consumatori ed imprese contro le pratiche commerciali scorrette aventi ad oggetto slogan ambientali - NOTE


1. La produzione ed il consumo sostenibile nell’Agenda ONU 2030

Il tema oggetto del presente contributo si ricollega ad uno dei 17 obiettivi previsti dall’Agenda 2030 e, segnatamente, al numero 12, che promuove modelli sostenibili di produzione e consumo. Il raggiungimento di questo obiettivo è funzionale a realizzare gli altri obiettivi di sviluppo sostenibile [1] (dalla riduzione della fame alla tutela della salute, alla riduzione delle disuguaglianze, alla gestione sostenibile dell’acqua e del­l’energia, alla promozione di modelli di crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, alla mitigazione del cambiamento climatico) e ciò conformemente a quello che possiamo dire sia il concetto multidimensionale di sviluppo sostenibile, uno sviluppo cioè che coinvolge tre dimensioni, integrate ed indivisibili: quella ambientale, quella economica e quella sociale [2]. Dagli 11 target di cui si compone il 12° goal dell’Agenda 2030 emerge, altresì, il fine ultimo che si intende realizzare ovvero “il cambiamento radicale delle modalità con cui attualmente si producono e si consumano beni e servizi” [3]. Il raggiungimento di questo scopo presuppone, per un verso, una maggiore responsabilizzazione delle imprese che devono – concretamente e non solo dichiaratamente– svolgere la propria attività con modalità rispettose della natura ma anche di condizioni di vita e di lavoro giuste e, per altro verso, una responsabilizzazione dei consumatori affinché dirigano le loro scelte di consumo non soltanto verso prodotti con scarso impatto ambientale (consumatori green), ma anche nel rispetto dei diritti dei lavoratori, senza sfruttamento di manodopera a basso costo o in violazione delle normative sulla sicurezza nei luoghi di lavoro [4] (consumatori etici/critici) [5] e, soprattutto, in modo responsabile, cioè riducendo i consumi. Il dovere di sobrietà è una scelta di tipo quantitativo orientata alla sostenibilità; è uno stile di vita che sa distinguere tra bisogni reali e bisogni imposti. Significa un altro modo di intendere l’efficienza, non più legata al danaro, ma che garantisce il massimo servizio con il minimo impiego di risorse e la minore produzione di rifiuti [6]. Perché ciò accada appare necessario assicurare a tutte le persone le “informazioni rilevanti”. Emerge, allora, come la sostenibilità (in senso [continua ..]


2. La comunicazione aziendale sulla sostenibilità dei prodotti e il problema del greenwashing

La comunicazione aziendale sulla sostenibilità dei prodotti si pone al centro di un processo, per così dire, circolare: per un verso i consumatori si aspettano che le aziende producano beni compatibili con la tutela dell’ambiente così come dalle stesse dichiarato nella pubblicità commerciale e, per altro verso, le aziende spingono i consumatori verso l’acquisto di prodotti c.d. green servendosi, nel reclamizzare i loro beni, di asserzioni ambientali finalizzate alla creazione di un’immagine verde che, molto spesso, non corrisponde alla realtà [9]. Da qui l’esigenza di tutelare i consumatori da claim green scorretti, generatori del c.d. greenwashing (letteralmente tinteggiatura verde), cioè asserzioni ambientali non veritiere o comunque non scientificamente verificabili, che implicano un’appropriazione indebita di virtù ambientaliste finalizzata alla creazione di una falsa “immagine verde” [10]. Con riguardo ai claim ambientali, a livello europeo manca una normativa di armonizzazione del marketing verde, ma si riscontrano diverse normative settoriali sugli imballaggi e sull’etichettatura dei prodotti che tutelano il consumatore verso le informazioni false provenienti dalle imprese [11]. A queste discipline settoriali si aggiunge la più generale direttiva sulle pratiche commerciali scorrette (pcs) che, sebbene non contenga disposizioni specifiche relative agli slogan ambientali, onera il professionista che effettua delle dichiarazioni ecologiche di fornire informazioni veritiere e scientificamente verificabili [12]. Con riguardo alla direttiva sulle pcs acquistano particolare rilievo i criteri interpretativi contenuti negli Orientamenti della Commissione Europea per la sua attuazione [13], in relazione all’art. 6, par. 1, lett. a) e b) (corrispondenti all’art. 21 c. cons. [14]). Negli Orientamenti si legge che tale disposizione si applica alle comunicazioni commerciali, incluse le dichiarazioni ambientali (quali testi, loghi, immagini e uso di simboli). Essa stabilisce una valutazione caso per caso della singola pratica commerciale, tenendo presente il contenuto della dichiarazione ambientale e la sua influenza sulla decisione di acquisto da parte del consumatore medio, e distingue la pratica oggettivamente ingannevole (ossia quella che contiene informazioni false e quindi non veritiere sul prodotto, sulle sue [continua ..]


3. L’AGCM, il Giurì di Autodisciplina e la giustizia ordinaria sui claim ambientali scorretti: alcuni casi emblematici

La materia delle asserzioni ambientali ingannevoli si segnala anche per le molteplici pronunce di condanna emesse da organi amministrativi e giurisdizionali che, a vario titolo, garantiscono il rispetto della normativa sulla correttezza della pubblicità e delle pratiche commerciali anche in materia ambientale. Faremo di seguito riferimento, solo esemplificativamente, ad alcune pronunce relative a claim ambientali al fine di evidenziare anche le difficoltà incontrate nella pratica per definire un vanto ambientale come ingannevole/scorretto [18]. Tra le varie decisioni dell’AGCM molto nota è sicuramente quella concernente la pratica commerciale di promozione di un carburante ENI ritenuto vantaggioso in termini di risparmio dei consumi e di riduzione di emissioni, con conseguente impatto positivo per l’ambiente [19]. Nel caso di specie veniva contestato da un’associazione consumeristica il vanto ambientale derivante dalla presenza nel carburante di una componente denominata Green Diesel e qualificata green o rinnovabile. L’AGCM ha censurato l’ENI perché aveva attribuito genericamente all’intero prodotto (e non ad una sua singola componente) un vanto ambientale in modo suggestivo, ingannando i consumatori circa il grande impatto ambientale positivo dello stesso (a fronte del reale e modesto impatto ambientale del prodotto offerto) [20]. Per l’AGCM era stato considerato scorretto nella pubblicità dell’ENI «utilizzare in modo non circostanziato il termine green e altri generici vanti ambientali» al fine di veicolare un minore effetto negativo sull’ambiente rispetto a quello di altri carburanti per autotrazione. Peraltro, nel caso di specie, si lamentava la mancanza, nei messaggi pubblicitari, degli ulteriori chiarimenti o specificazioni (c.d. claim di supporto) che rendevano chiaro, specifico, circostanziato e accurato il beneficio ambientale, rispetto alla capacità di comprensione del destinatario. E, poi, anche con riferimento alla componente HVO (ovvero la componente interessata dal vanto), tali concetti venivano prospettati al consumatore in maniera generale e suggestiva per indurre il destinatario dei messaggi ad associare il prodotto ad una generale idea di positività per l’ambiente, ad un impatto favorevole per lo stesso, sfruttando una accezione di ‘verde’ e/o ‘rinnovabile’ cui il consumatore [continua ..]


4. I rimedi a tutela di consumatori ed imprese contro le pratiche commerciali scorrette aventi ad oggetto slogan ambientali

Le condotte imprenditoriali produttive di greenwashing, per un verso, ledono la capacità dei consumatori di effettuare scelte commerciali libere e consapevoli a causa dell’ingannevolezza dei messaggi pubblicitari ricevuti e, per altro verso, danneggiano le imprese concorrenti, spesso vittime di concorrenza sleale sotto forma di comparazioni scorrette e di sviamento di clientela. Si pone, allora, l’esigenza di individuare il ventaglio di possibili rimedi che consumatori e imprese concorrenti lese da condotte di greenwashing possono esercitare in presenza della c.d. responsabilità “sociale” delle imprese scorrette [32]. Ed infatti, in presenza di vanti ambientali ingannevoli le imprese inserzioniste, oltre a venire sanzionate economicamente [33] dall’AGCM e/o con l’inibitoria del messaggio pubblicitario dall’autorità disciplinare, risponderanno per aver violato i rigorosi obblighi di informazione su di esse gravanti e la loro responsabilità finirà per assorbire anche quella aggiuntiva e imputabile agli eventuali terzi impegnati nella filiera green [34], al fine assicurare il rispetto dei protocolli che stanno alla base di eventuali certificazioni o dei requisiti di sostenibilità che vengono pubblicizzati. La responsabilità della comunicazione commerciale ingannevole, infatti, non può che restare in capo al professionista produttore del bene come confermato dal Consiglio di Stato in una pronuncia del 2012 [35]. Peraltro, la circostanza che si tratti di una responsabilità da illecito aquiliano esclude altresì la possibilità, da parte del produttore dei beni, di introdurre clausole contrattuali di esonero da responsabilità [36]. Sotto il profilo rimediale occorre distinguere i rimedi spettanti alle imprese pregiudicate [37] dalla pubblicità ingannevole, dai rimedi che possono, invece, invocare i consumatori. Le prime, contro gli illeciti concorrenziali, dispongono di una tutela giurisdizionale ordinaria al fine di ottenere il rispetto della disciplina sulla pubblicità ingannevole (v. art. 8, comma 15, d.lgs. n. 145/2007) e l’attuazione dell’art. 2598, n. 3, cod. civ., norma che considera sleale ogni comportamento che utilizza ogni mezzo «non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda», e che è espressione, [continua ..]


NOTE