Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Estinzione anticipata del credito al consumo e ‘giusta´ determinazione dei costi rimborsabili dopo la Corte costituzionale (di Davide Achille, Professore associato di Diritto privato – Università del Piemonte Orientale)


Il diritto del consumatore a rimborsare anticipatamente il finanziamento e alla riduzione del costo totale del credito ha dato luogo a non secondari dubbi interpretativi. Muovendo dall’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia nella sentenza c.d. Lexitor e considerando la recente pronuncia della Corte Costituzionale del 22 dicembre 2022 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 11-octies, co. 2, c.d. decreto Sostegni-bis, l’articolo tenta di individuare la disciplina applicabile alla restituzione dei costi non dovuti in relazione alla durata residua del finanziamento, facendo specifico riferimento alle regole in tema di indebito e arricchimento senza causa.

Parole chiave: credito al consumo – rimborso anticipato – riduzione del costo totale del credito.

Early termination on consumer credit and the ‘correct’ determination of reimbursable costs after the Constitutional Court

The consumers’ right to early repayment the loans and to reduce the total cost of their credit has given rise to significant interpretative doubts. Starting from the interpretation given by the Court of Justice in the Lexitor case and considering the recent judgment of the Constitutional Court of 22 December 2022 which declared the constitutional illegitimacy of art. 11-octies, co. 2, of Law Decree n. 73 of 25th May 2021 (so-called decreto Sostegni-bis), the article tries to bring forward the discipline applicable to the restitution of costs not accrued for the residual duration of the loan, making specific reference to the rules on undue payment and unjustified enrichment.

Keywords: consumer credit – early repayment – reduction in the total cost of the credit.

COMMENTO

Sommario:

1. Il quadro normativo in tema di estinzione anticipata del credito al consumo e le problematiche applicative - 2. Dalla distinzione tra costi up front (non rimborsabili) e costi recurring (rimborsabili) alla sentenza Lexitor - 3. L’adeguamento ai principi della giurisprudenza europea, l’intervento del legislatore nazionale e la relativa illegittimità costituzionale - 4. Per una ripetizione dei costi in caso di estinzione anticipata conforme alle regole generali: la qualificazione del contratto di finanziamento e la natura del diritto all’estinzione anticipata - 5. La giustificazione della rimborsabilità di tutti i costi - 6. Per una limitazione della retrocessione dei costi secondo la disciplina dell’arricchimento senza causa - 7. Quadro di sintesi e regime della riduzione dei costi in caso di estinzione anticipata del finanziamento al consumo - NOTE


1. Il quadro normativo in tema di estinzione anticipata del credito al consumo e le problematiche applicative

La previsione dell’art. 16 della Direttiva 2008/48/CE, che nel nostro ordinamento ha trovato attuazione nell’art. 125-sexies TUB, collegandosi a quanto già previsto dall’art. 8 della Direttiva 87/102/CEE, a sua volta attuato dall’art. 125, comma 2, TUB e dall’art. 3, d.m. del Tesoro dell’8 luglio 1992 (Disciplina e criteri di definizione del tasso annuo effettivo globale per la concessione di credito al consumo), in forza della quale – in caso di rimborso anticipato del finanziamento – il consumatore «ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto», ha tradizionalmente generato non secondari dubbi interpretativi.

Può in tal senso rilevarsi, che la disposizione in questione, per quanto apparentemente non problematica, ha in realtà costituito uno dei profili di maggiore criticità e incertezza della disciplina sul credito ai consumatori, tanto da essere qualificata quale «uno dei nodi più difficili e controversi che gli organi comunitari si sono trovati ad affrontare in sede di elaborazione della nuova direttiva» [1] e che, come dimostra il contenzioso che il tema continua a generare [2], può dirsi tutt’altro che superato dalla normativa di riferimento.

A ciò si aggiunga che una previsione specifica in tema di estinzione anticipata si trova anche, pur con una formulazione e una rilevanza differenti rispetto a quella riguardante il credito per l’acquisto di beni di consumo, nella Direttiva 2014/17/UE in tema di contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali, dove l’art. 25 riconosce pur sempre al consumatore «il diritto di adempiere […] prima della scadenza», nel qual caso «ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito […] che riguarda gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto».

In questo contesto le incertezze che caratterizzano il tema dell’estinzione anticipata del finanziamento di cui sia parte un consumatore si presentano all’interprete in tutta la loro complessità, in particolare per quanto concerne la determinazione dei costi da rimborsare, problematica questa su cui si intende rivolgere l’atten­zione nella presente indagine e con riguardo alla quale sembra opportuno muovere dall’evoluzione che ha caratterizzato la vicenda considerando non solo il quadro normativo e regolamentare ma anche, se non soprattutto, quello applicativo.


2. Dalla distinzione tra costi up front (non rimborsabili) e costi recurring (rimborsabili) alla sentenza Lexitor

Al fine di determinare il rimborso dovuto al consumatore per effetto dell’estinzione anticipata del finanziamento, l’opinione che si era inizialmente diffusa distingueva tra costi up front e costi recurring, i primi non retrocedibili perché sostenuti per il solo fatto di aver concluso il finanziamento e quindi dovuti indipendentemente dall’estinzione anticipata, mentre i secondi risultando collegati alla durata del contratto originariamente programmata dovevano essere rimborsati in misura proporzionale alla durata residua del contratto [3].

Tale interpretazione, a fronte di una formulazione testuale della norma tutt’altro che perentoria e pur in mancanza di una delega al CICR o alla Banca d’Italia [4], veniva ricavata dalla normativa secondaria ed in particolare dalle disposizioni in materia di “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti” del 29 luglio 2009, nel testo adottato con il Provvedimento del 9 febbraio 2011, entrato in vigore il 3 marzo 2011 e rimasto immutato nel tempo sulla parte di interesse, laddove si stabilisce che il rimborso deve avvenire con riguardo agli oneri che maturano nel corso del rapporto e che devono quindi essere restituiti per la parte non maturata [5].

In questa prima fase può dirsi che a fronte della distinzione tra costi retrocedibili (recurring) e non rimborsabili (up front), i profili che hanno interessato il tema del rimborso dovuto al consumatore per effetto dell’estinzione anticipata del finanziamento hanno riguardato essenzialmente l’interpretazione delle clausole contrattuali al fine di determinare la relativa giustificazione causale e quindi la natura delle singole voci di costo [6] o, al più, l’interrogativo circa la derogabilità convenzionale del criterio proporzionale del pro rata temporis [7].

Tale assetto è stato messo in discussione con effetti dirompenti a seguito della decisione della Corte di Giustizia nel c.d. caso Lexitor, dove si è affermato che l’art. 16 della Direttiva 2008/48/CE deve essere interpretato nel senso che «il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore» (§ 36, enfasi aggiunta) [8], escludendo che ci si possa riferire unicamente ai «costi presentati dal soggetto concedente il credito come dipendenti dalla durata del contratto» (§ 31).

Tale principio è stato enunciato muovendo dal rilievo che il riferimento alla «restante durata del contratto» che compare nel testo della disposizione normativa riferita all’estinzione anticipata del finanziamento si presta a differenti interpretazioni e che neppure un’analisi delle diverse versioni linguistiche della direttiva 2008/48/CE consente di stabilire l’esatta portata della riduzione del costo totale del credito [9], da ciò derivando la necessità di chiarire il significato della previsione in base al contesto e agli obiettivi perseguiti dalla normativa sul credito al consumo. A tal fine viene quindi attribuita rilevanza all’obiettivo di garantire un’elevata tutela del consumatore che risulta sotteso alla normativa sul credito al consumo [10], dovendosi quindi sottrare il consumatore dagli effetti pregiudizievoli connessi alla determinazione unilaterale dei costi rimborsabili da parte del finanziatore, il quale viene comunque compensato della perdita subita tramite l’in­dennizzo riconosciutogli dall’art. 16, par. 2, della Direttiva 2008/48/CE per gli eventuali costi direttamente collegati al rimborso anticipato [11].

A tale chiarimento, intervenuto in sede di rinvio pregiudiziale, sono seguite – pur dopo la pubblicazione delle linee guida della Banca d’Italia del 4 dicembre 2019 (prot. n. 1463869) [12] – applicazioni non uniformi nelle decisioni dell’ABF [13] e dei giudici ordinari [14], come anche un acceso dibattito in dottrina [15], sostanzialmente incentrato sulla efficacia che deve attribuirsi all’interpretazione della Corte di Giustizia nel nostro ordinamento [16], in particolare per quanto riguarda i rapporti contrattuali pregressi, sorti ed esauriti facendo applicazione della regolamentazione secondaria che, come si è visto, distingueva tra costi recurring e up front.


3. L’adeguamento ai principi della giurisprudenza europea, l’intervento del legislatore nazionale e la relativa illegittimità costituzionale

Alla pronuncia della giurisprudenza europea e alle eterogenee applicazioni del principio della rimborsabilità di tutti i costi del finanziamento ha fatto seguito un intervento normativo con cui il nostro legislatore, analogamente a quanto avvenuto in altri Stati membri [17], ha inteso conformare il diritto nazionale ai nuovi principi affermati nella sentenza Lexitor. Il riferimento è all’art. 11-octies, d.l. 25 maggio 2021, n. 73, convertito con modificazioni dalla l. 23 luglio 2021, n. 106 (decreto c.d. Sostegni-bis), che – come si avrà modo di vedere – ha invero sollevato non secondarie questioni interpretative e di costituzionalità, in particolare con riguardo alla disciplina transitoria relativa ai contratti stipulati ed estinti prima della sua entrata in vigore.

Prescindendo, per il momento, da tale ultima questione, può – per quanto in questa sede interessa – rilevarsi che con il citato provvedimento normativo il legislatore è intervenuto trasversalmente sul tema dei rimborsi dovuti per effetto dell’estinzione anticipata del finanziamento, riscrivendo le previsioni tanto per il credito immobiliare ai consumatori, quanto per il credito per l’acquisto di beni di consumo. Con riferimento al primo contesto, si è inserito un nuovo art. 120-quaterdecies. 1 TUB [18], eliminando al contempo il rinvio contenuto nell’art. 120-noviesdecies TUB all’art. 125-sexies TUB e quindi alla disciplina dell’estinzione anticipata per i contratti di credito per l’acquisto di beni di consumo. Con riguardo a quest’ultima disciplina, è invece stato riscritto completamente l’art. 125-sexies TUB, prevedendo in particolare la «riduzione, in misura proporzionale alla vita residua del contratto, degli interessi di tutti i costi compresi nel costo totale del credito, escluse le imposte» (c.n.) e demandando al contratto la determinazione dei criteri per la relativa riduzione «indicando in modo analitico se trovi applicazione il criterio della proporzionalità lineare o il criterio del costo ammortizzato», criterio quest’ultimo che troverà applicazione in mancanza di diversa indicazione all’in­terno del contratto [19]. Inoltre, viene previsto, innovando radicalmente la disciplina rispetto a quella pregressa, che – per quanto riguarda i costi di intermediazione – il finanziatore ha diritto di regresso nei confronti dell’intermediario del credito per la quota rimborsata a tale titolo al consumatore, salvo una diversa pattuizione che regoli diversamente i rapporti tra finanziatore e intermediario.

Il legislatore non si è, tuttavia, limitato ad adeguare la normativa ai principi affermati dalla giurisprudenza europea ma ha altresì previsto all’art. 10-octies, comma 2, del decreto Sostegni-bis una disciplina transitoria per i rapporti pregressi, prevedendo che la nuova disciplina «si applica ai contratti sottoscritti successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione», mentre per le «estinzioni anticipate dei contratti sottoscritti prima della data di entrata in vigore della legge di conversione […] continuano ad applicarsi le disposizioni dell’art. 125-sexies del testo unico […] e le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia vigenti alla data della sottoscrizione dei contratti».

Tale previsione, superando con eccessiva disinvoltura il rilievo che la pronuncia della Corte di Giustizia ha chiarito il significato da attribuire all’art. 16 della Direttiva 2008/48/CE e che, quindi, in virtù del primato del diritto europeo [20] s’impone pur sempre una interpretazione conforme con conseguente dovere del giudice di disapplicare la norma in contrasto con quella di derivazione europea per come interpretata dalla Corte di Giustizia [21], è stata intesa quale espressione della volontà del legislatore nazionale di attribuire piena efficacia alla disciplina previgente per i contratti stipulati prima del nuovo art. 125-sexies TUB. Ne è quindi derivata la reviviscenza della precedente interpretazione che – come detto – distingueva tra costi up front e costi recurring con la conseguente (ri)affermazione della rimborsabilità solo di questi ultimi [22].

Proprio con riferimento alla previsione riguardante il regime da applicare ai contratti stipulati prima del nuovo art. 125-sexies TUB è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 3, 11 e 117, comma 1, Cost. [23], il che non è stata generalmente ritenuta una valida ragione per sospendere il contenzioso in attesa della decisione della Corte costituzionale. In questo senso, l’ABF ha infatti continuato ad applicare la disciplina previgente e quindi ad affermare la rimborsabilità unicamente dei costi recurring [24], invero uniformandosi al comunicato della Banca d’Italia del 1° dicembre 2021 (prot. n. 1710613), nel quale si legge che, pur a fronte della pendente questione di legittimità costituzionale, «la Banca d’Italia si atterrà alla nuova previsione di legge nello svolgimento della propria azione di supervisione: ragion per cui, come detto, questo Istituto – in relazione ai contratti ricadenti nel perimetro applicativo del ridetto art. 11-octies, comma 2 – considera non sussistenti i presupposti per poter dare seguito alle proprie “linee orientative” del 4 dicembre 2019» [25].

La Corte costituzionale, con la decisione n. 263 del 22 dicembre 2022 (red. Navarretta), dopo aver chiarito la vincolatività che deve attribuirsi in ragione dall’appartenenza all’Unione europea alle pronunce interpretative delle Corte di Giustizia (§ 11) e attuando con quest’ultima un’apprezzabile «collaborazione dialogante» [26], ha affermato la parziale illegittimità costituzionale dall’art. 11-octies, comma 2, decreto Sostegni-bis nella parte in cui per i contratti assoggettati alla precedente formulazione dell’art. 125-sexies TUB rinvia a «le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia». In particolare, si è ritenuto che «il legislatore del 2021, prevedendo una disposizione (l’art. 11-octies, comma 2) che cristallizza il contenuto normativo dell’originaria formulazione dell’art. 125-sexies, comma 1, t.u. bancario, in senso difforme rispetto al contenuto della sentenza Lexitor, così inibendo l’interpretazione conforme al diritto dell’Unione europea, ha posto in essere un inadempimento agli obblighi “derivanti dall’ordinamen­to comunitario” (art. 117, primo comma, Cost.)» (§ 12.4). In tal modo, eliminato il rinvio alla normativa secondaria e affermata la possibilità di interpretare conformemente ai principi Lexitor l’art. 125-sexies TUB nella formulazione previgente, si è quindi (ri)stabilita la conformità del dato normativo nazionale al diritto europeo, consentendo in definitiva la rimborsabilità proporzionale di tutti i costi sostenuti dal consumatore per l’erogazione del finanziamento.

L’esito senz’altro condivisibile cui giunge la Corte costituzionale lascia infine aperto un interrogativo non secondario, la cui risposta viene demandata espressamente all’interprete (§ 14.2), avente ad oggetto la rilevanza da attribuire ai commi 2 e 3 del nuovo art. 125-sexies TUB con riguardo ai contratti stipulati prima della sua entrata in vigore, posto che tali previsioni non trovano corrispondenza nella precedente formulazione dell’art. art. 125-sexies TUB. Al riguardo, appare difficile immagine che il comma 2 non sia destinato a orientare l’interprete e, quindi, debba trovare applicazione anche con riguardo ai contratti assoggettati alla vecchia formulazione dell’art. art. 125-sexies TUB, non fosse altro che contrariamente si realizzerebbe una diversità di trattamento difficilmente sostenibile, da ciò derivando che per tali ipotesi, essendo pur sempre ammissibile la determinazione convenzionale dei criteri di rimborso [27] e pur dovendo prevalere in caso di dubbio l’inter­pretazione della clausola contrattuale più favorevole (in termini di ammontare del rimborso) al consumatore ai sensi dell’art. 35, comma 2, c. cons., dovrà trovare applicazione il regime residuale del costo ammortizzato valevole per il caso in cui non sia stato diversamente disposto nel contratto di credito. Diversamente, per il comma 3 sembra giustificarsi una diversa soluzione laddove si consideri che con tale previsione si introduce una prerogativa a favore del finanziatore che non trova riscontro nella normativa previgente e che non è riconducibile all’interpretazione della giurisprudenza europea in tema di estinzione anticipata del finanziamento, il che dovrebbe condurre a escludere una sua applicazione con riguardo ai rapporti estinti in precedenza.


4. Per una ripetizione dei costi in caso di estinzione anticipata conforme alle regole generali: la qualificazione del contratto di finanziamento e la natura del diritto all’estinzione anticipata

L’intenso dibattito che la vicenda in esame ha suscitato e che si è dinnanzi tentato di ripercorrere sommariamente, pare con ogni probabilità destinato a permanere – pur sotto altra veste – anche dopo la riferita decisione della Corte costituzionale, non fosse altro che analoghi problemi interpretativi si pongono con riguardo all’estinzione anticipata dei finanziamenti per l’acquisto di beni immobili da parte dei consumatori in ragione di quanto previsto dall’art. 25 della Direttiva 2014/17/UE [28]. In particolare, la questione che sembra prospettarsi e che giustifica una riflessione sul punto, riguarda (non tanto il secondario e conseguente profilo dei criteri di calcolo dei rimborsi [29], quanto primariamente) la necessità di verificare se il quadro normativo di riferimento implichi un’applicazione rigorosa e disincantata dei principi affermati dalla Corte di Giustizia nella sentenza Lexitor o, piuttosto, si rendano necessari dei distinguo che consentano di affermare la non rimborsabilità di alcune voci di costo pur rientranti nella definizione di “costo totale del credito”.

L’interrogativo è viepiù rilevante considerando il dibattito attualmente avviato dal legislatore europeo con riferimento alla proposta della nuova direttiva relativa al credito al consumo del 30 giugno 2021 [30], apparentemente orientata a recepire indistintamente i principi enunciati dalla sentenza Lexitor, ma a cui hanno fatto seguito, prima, un diverso testo da parte del Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper), poi, una posizione del Consiglio del 7 giugno 2022 [31] che propone significative modifiche al testo originario della proposta e, da ultimo, una proposta della Commissione Internal Market and Consumer Protection (IMCO) del 12 luglio 2022 [32] che sembra distaccarsi sensibilmente dai principi affermati dalla Corte di Giustizia nella sentenza Lexitor.

Nello specifico, il Considerando n. 62 della proposta di nuova direttiva del 30 giugno 2021 afferma che in tema di estinzione anticipata del finanziamento «Come stabilito dalla Corte di giustizia dell’UE nella sentenza Lexitor, il diritto del consumatore ad una riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore», prevedendo quindi all’art. 29 che «il consumatore ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto. Nel calcolare tale riduzione vengono presi in considerazione tutti i costi che il creditore pone a carico del consumatore».

Diversamente, nella posizione del Consiglio del 7 giugno 2022 si legge che «Taxes and fees applied by and directly paid to a third party and which are not dependant on the duration of the contract should not be taken into consideration when calculating the reduction, as those costs are not imposed by the creditor and cannot therefore be unilaterally increased by the creditor. Fees charged by a creditor to the benefit of a third-party should however be taken into consideration when calculating the reduction» (Considerando n. 62), (ri)formulando l’art. 29 della proposta di direttiva nel senso che «the consumer shall be entitled to a proportionate reduction in the total cost of the credit to the consumer for the remaining duration of the contract. When calculating that reduction, all the costs imposed on the consumer by the creditor shall be taken into consideration».

Ancora, la Commissione IMCO propone di modificare la proposta prevedendo al considerando n. 62 che «the right of the consumer to a reduction in the total cost of the credit in the event of early repayment of the credit includes all the costs imposed on the consumer, except for up-front costs, which are fully exhausted at the time of granting the loan and correspond to services effectively provided to the consumer. The up-front costs should be adequately identified and declared in the credit agreement» e, di conseguenza, all’art. 29 che «the consumer shall be entitled to a reduction in the total cost of the credit, consisting of the interest and the costs for the remaining duration of the contract. When calculating that reduction, all the costs imposed on the consumer by the creditor shall be taken into consideration, except for up-front costs, which are fully exhausted at the time of granting the loan and correspond to services effectively provided to the consumer. The up-front costs shall be adequately identified and declared in the credit agreement».

Tale contesto, che comprova ulteriormente l’opportunità di riprendere in esame il tema, specialmente per quanto concerne l’interrogativo dinnanzi posto, vale a dire verificare se realmente la disciplina in concreto applicabile imponga incondizionatamente ed in termini assoluti il rimborso di qualsiasi costo occasionato dalla conclusione di un contratto di credito al consumo per effetto dell’estinzione anticipata del finanziamento, suggerisce di prendere le mosse dalla natura giuridica che deve attribuirsi a tale ultimo potere riconosciuto al consumatore dalla normativa di riferimento.

A tal fine, deve rilevarsi che la dottrina ha variamente qualificato la possibilità per il consumatore di estinguere anticipatamente il finanziamento, facendo in primo luogo riferimento alla disciplina del recesso [33] o, diversamente, riconducendo l’estinzione anticipata del finanziamento allo schema dell’obbligazione facoltativa [34], impostazioni quest’ultima maggiormente idonea a rappresentare la vicenda in esame laddove declina l’estinzione anticipata avendo riguardo alla prestazione e all’adempimento dell’obbligazione da parte del debitore e non anche allo scioglimento unilaterale dal rapporto contrattuale [35], ma che tuttavia non appare pienamente condivisibile laddove si consideri che l’estinzione anticipata del finanziamento non delinea una prestazione subordinata e secondaria, come propriamente avviene nelle obbligazioni facoltative [36], quanto la medesima prestazione (ossia la restituzione di quanto dovuto) con tempi differenti rispetto a quelli originariamente pattuiti. Ciò che, in ogni caso, induce a disattendere la qualificazione del potere di estinguere anticipatamente il contratto di credito da parte del consumatore tanto in termini di recesso quanto di obbligazione facoltativa sembra essere costituita dall’impostazione di fondo circa la natura giuridica del rapporto contrattuale di finanziamento, potendosi rilevare che entrambe le ricostruzioni aderiscono implicitamente al­l’opinione in forza della quale con il contratto di mutuo, da intendere come fattispecie tipica idonea a comprendere più in generale i contratti di finanziamento, si attribuisce il godimento della somma di denaro e che, quindi, si tratti di un contratto di durata [37]. In realtà, già da tempo tale impostazione è stata oggetto di riflessione critica, giungendo ad affermare condivisibilmente che il contratto di mutuo non è qualificabile come contratto di durata o a esecuzione periodica, bensì come contratto ad esecuzione istantanea ma progressivamente differita nel tempo in funzione delle relative rate per il rimborso [38].

Coerentemente con tale ultima impostazione, è quindi pienamente condivisibile la differente opinione secondo cui la disciplina in tema di estinzione anticipata del finanziamento ha inteso regolare le modalità di esecuzione della prestazione dovuta dal consumatore dal punto di vista temporale [39], in particolare modificando la regola comunemente applicabile nei rapporti di finanziamento laddove si afferma la coincidenza della esigibilità e della eseguibilità della prestazione (art. 1816 cod. civ.) [40]. In questo senso, nei contratti di credito al consumo il termine è sempre in favore del consumatore-debitore [41], prevedendo un termine di esigibilità della prestazione per il creditore ma non anche un termine di eseguibilità, potendo il debitore adempiere anche prima della scadenza del termine.

Inoltre, si è introdotta una disciplina derogatoria rispetto all’art. 1185 cod. civ. per l’ipotesi di adempimento anticipato laddove quest’ultima disposizione – dopo aver previsto che «il debitore non può ripetere ciò che ha pagato anticipatamente» – ammette la ripetizione dell’arricchimento conseguito dal creditore per effetto del pagamento anticipato solo nel caso in cui il debitore ignorasse l’esistenza del termine [42], seppure nei limiti della perdita subita dal debitore [43]. Diversamente, la legislazione europea e la relativa normativa di attuazione consentono al debitore-consumatore, nel cui interesse esclusivo è fissato il termine di adempimento della prestazione restitutoria del finanziamento ottenuto, di pretendere sempre la ripetizione dell’arricchi­mento conseguito dal creditore-finanziatore, quand’anche ciò sia escluso convenzionalmente dal contratto di credito [44].


5. La giustificazione della rimborsabilità di tutti i costi

Quanto da ultimo detto indurrebbe l’interprete ad una impostazione critica nei confronti della rimborsabilità integrale dei costi del credito per effetto dell’estinzione anticipata secondo quanto affermato dalla giurisprudenza europea, ritenendo invece ragionevole e conforme al dato normativo – in particolare secondo le regole proprie della ripetizione dell’indebito (artt. 2033 ss. cod. civ.) [45] – una limitazione della retrocessione unicamente ai costi destinati a maturare nel corso del tempo secondo quanto originariamente divisato dalle parti, avvallando quindi la distinzione dinnanzi richiamata tra costi up front e recurring. Sennonché, la diversa soluzione prospettata dalla Corte di Giustizia non sembra priva di giustificazioni, individuabili tanto in ragioni di politica del diritto, quanto di tutela del consumatore, risultando altresì coerente in chiave di analisi economica del diritto.

In questa prospettiva può in primo luogo farsi riferimento al favor del legislatore europeo per l’estinzione anticipata dei finanziamenti, intendendo quindi la retrocessione integrale dei costi come incentivo all’estin­zione anticipata, orientata a promuovere e favorire la scelta del consumatore di liberarsi dal rimborso periodico del finanziamento [46]. Ciò corrisponde, in particolare, ad una precisa scelta di politica del diritto del legislatore europeo diretta a favorire l’erogazione di finanziamenti e a contrastare la immobilizzazione del patrimonio [47], potendosi rilevare che la possibilità di estinguere anticipatamente il finanziamento si determina per la disponibilità economica del consumatore, disponibilità che le istituzioni europee preferiscono sia immessa nel mercato consentendo agli operatori bancari di erogare nuovi finanziamenti ad altri soggetti [48], al fine ultimo di incrementare gli investimenti e la crescita economica.

A tale giustificazione si aggiunge senz’altro la necessità, coerente con la prospettiva regolatoria del mercato che è alla base della normativa europea [49], di tutelare il consumatore di fronte al rischio di una determinazione convenzionale di costi che in concreto sono destinati a maturare nel corso del tempo e quindi sono senz’altro rimborsabili ma che vengono qualificati diversamente al fine di sottrarli alla restituzione in caso di estinzione anticipata. In questo senso, può quindi ritenersi che la scelta di un rimborso che consideri genericamente gli oneri sostenuti per il finanziamento sia orientata a superare e correggere le asimmetrie di potere negoziale nella fase di conclusione del contratto [50], dove il consumatore subisce la determinazione unilaterale del finanziatore di qualificare i costi come connessi alla conclusione del contratto o, ancora, di incrementare gli stessi riducendo la quantificazione di quelli destinati a mutare nel corso del rapporto [51].

Quanto da ultimo rilevato consente inoltre di declinare in termini di analisi economica del diritto la regola del rimborso integrale, laddove quest’ultima risponde indubbiamente ad una ottimale allocazione dei costi in funzione delle scelte organizzative e patrimoniali del finanziatore, non potendo ricadere sul consumatore un costo riguardante attività che non essendo totalmente estranee alla sfera di controllo del creditore sono indipendenti dalle scelte di quest’ultimo pur risultando connesse all’erogazione del finanziamento.


6. Per una limitazione della retrocessione dei costi secondo la disciplina dell’arricchimento senza causa

Le anzidette ragioni a sostegno della rimborsabilità di “tutti i costi”, per usare l’espressione della sentenza Lexitor, in caso di estinzione anticipata del finanziamento da parte del consumatore non sembrano tuttavia in grado di condurre ad escludere che alcune voci di costo siano sottratte dal perimetro della retrocessione, sussistendo piuttosto non secondari argomenti a sostegno di una differente conclusione.

In primo luogo, a voler essere rigorosi, la regola del rimborso di ogni costo dovrebbe condurre alla retrocessione anche delle tasse e delle imposte, espressamente incluse nella nozione di «costo totale del credito», dovendosi tuttavia rilevare che una tale soluzione – oltre ad essere difficilmente sostenibile in termini di ragionevolezza – implicherebbe che la nuova formulazione dell’art. 125-sexies TUB sarebbe non conforme alla normativa europea come interpretata dalla Corte di Giustizia laddove esclude espressamente tali costi da quelli retrocedibili e, soprattutto, risulterebbe asistematica laddove si consideri che in altro contesto è proprio la normativa europea ad escludere la rimborsabilità delle imposte in ipotesi ben più radicali di sopravvenienza che incide sul contratto di credito. Il riferimento è, in particolare, al recesso di pentimento che l’art. 14 della Direttiva 2008/48/CE, come anche l’art. 125-ter TUB, accorda al consumatore nel termine di quattordici giorni dalla sottoscrizione del contratto e che, pur a fronte della espressa gratuità che lo caratterizza, non consente la retrocessione delle spese non rimborsabili pagate alla pubblica amministrazione.

Ciò induce ad escludere condivisibilmente che le tasse siano restituite per effetto dell’estinzione anticipata del finanziamento e offre una prima indicazione in senso contrario all’applicazione rigorosa dei principi affermati dalla Corte di Giustizia nella sentenza Lexitor, affermazione questa che assume ancor più concretezza laddove si tenga presente, da un lato, che con riguardo all’estinzione anticipata del finanziamento il legislatore non ha previsto la gratuità e, dall’altro, che i principi generali che regolano la vicenda restitutoria per il caso di sopravvenienze che incidono sull’assetto originariamente divisato dalle parti suggeriscono che in realtà non «tutti i costi» siano effettivamente rimborsabili in caso di estinzione anticipata del finanziamento da parte del consumatore. In questo senso, potendosi rilevare dalla semplice lettura della norma che l’estinzione anticipata non è presidiata dalla gratuità, maggiormente problematico è invece il diverso profilo della disciplina restitutoria cui si è fatto riferimento e che, anticipando quanto si avrà modo di vedere, consente di affermare la non rimborsabilità di alcune (specifiche) voci di costo che sono state sostenute per effetto della conclusione del contratto di credito al consumo, in ciò facendo applicazione della disciplina della ripetizione dell’indebito laddove vieta l’arricchimento senza causa, il quale, peraltro, viene notoriamente riconosciuto – anche dalla giurisprudenza europea [52] – quale principio generale comune ai diritti degli Stati membri [53].

Siffatta prospettiva risulta di immediata utilità laddove si considerino le regole generali in tema di reazione dell’ordinamento alla produzione della ricchezza non giustificata, che notoriamente impone che colui che si avvantaggia a scapito di un altro soggetto che ha subito una perdita non accettabile o non giustificabile è tenuto a indennizzarlo. Tale principio non può non trovare conferma anche nel contesto che ci occupa, dove la perdita economica del creditore-finanziatore è accettabile per quanto concerne i mancati guadagni e i compensi da questi percepiti ma non pare possa anche riguardare quelle voci di costo che sono relative a somme corrisposte a terzi soggetti, posto che ciò corrisponderebbe ad un arricchimento (o meglio ad un vantaggio) del consumatore-finanziato non accettabile e comunque non giustificato laddove questi ha comunque beneficiato della conclusione del contratto di finanziamento, dovendo quindi sopportare i costi sostenuti a suo vantaggio e relativi a prestazioni che non costituiscono remunerazione di attività svolta in suo favore dal creditore-finanziatore.

A tale ultimo fine, il riferimento è costituito, come intuibile, dalla disciplina generale dei rimborsi e delle obbligazioni restitutorie unitariamente intese, ed in particolare – lasciando in disparte la gestione d’affari, in ragione delle peculiarità che la fattispecie presenta [54] – dalla ripetizione dell’indebito e (soprattutto) dall’ar­ricchimento senza causa. È così possibile individuare i principi che consentono di definire il regime di dare e avere per il caso di sopravvenienze che incidono sull’assetto originariamente divisato dalle parti e che, per quanto in questa sede interessa, può seriamente dubitarsi non siano destinate a trovare applicazione anche per l’ipotesi di estinzione anticipata del finanziamento da parte del consumatore.

Considerando l’arricchimento senza causa ed omettendo di riprendere il dibattito che da tempo ha interessa l’istituto e che ha tradizionalmente ridimensionato l’applicazione della relativa disciplina, relegata – anche per effetto di una discutibile interpretazione della sussidiarietà di cui all’art. 2042 cod. civ. [55] – alla marginalità, sul convincimento che l’azione generale di arricchimento sia inutile e finanche pericolosa [56], deve riconoscersi che il legislatore impone in generale all’arricchito di riversare al soggetto impoverito il costo dei vantaggi ingiustamente conseguiti, in ciò esplicitando una esigenza di giustizia commutativa che non pare facilmente superabile e che, anzi, costituisce un principio universalmente accettato. Ciò spiega l’assunto in forza del quale «se le spese effettuate hanno consentito la realizzazione di un processo produttivo i cui risultati utili giovano ad altri, o la conservazione o l’incremento del valore capitale di un bene che […] compete ad altri, […] risultano […] integrati tutti gli estremi dell’azione di arricchimento» [57].

Declinando in modo più coerente con il dato normativo i requisiti per l’azione generale di arricchimento e depurando l’istituto da quei pregiudizi che ne hanno caratterizzato l’applicazione a partire dalla codificazione vigente [58], deve ritenersi – per quanto specificatamente interessa in questa sede – che l’arricchimento non possa essere inteso in senso meramente economico ma possa consistere anche in un vantaggio suscettibile di valutazione economica correlato (non ad un danno) ma ad una diminuzione patrimoniale di un altro soggetto. Al riguardo è infatti da ricordare che, muovendo dall’insegnamento della dottrina che da tempo ha ammesso che l’indennizzo di cui all’art. 2041 cod. civ. possa derivare anche dal c.d. arricchimento negativo, la giurisprudenza riconosce che l’arricchimento possa «consistere anche in un risparmio di spesa [59], purché si tratti sempre di risparmio ingiustificato, nel senso che la spesa risparmiata dall’arricchito debba essere da altri sostenuta senza ragione giuridica» [60].

Coerentemente con la disciplina dell’ingiustificato arricchimento vengono in rilievo, per quanto in questa sede specificatamente interessa, alcune previsioni paradigmatiche in tema di ripetizione dell’indebito in forza delle quali è possibile ricavare l’indicazione che la vicenda restitutoria non consente di escludere il rimborso di alcune voci di costo per il solo fatto che il titolo sia invalido, inefficace o sia stato comunque esercitato il diritto di recesso, casi questi in relazione ai quali – pur non essendo mancate perplessità e soluzioni alternative orientate a prospettare una differente disciplina del regime delle restituzione per il caso di inefficacia sopravvenuta del contratto rispetto alle differenti ipotesi di invalidità [61] – trova comunemente applicazione la disciplina degli artt. 2033 ss. cod. civ. [62].

A tale ultimo riguardo deve in particolare considerarsi l’art. 2040 cod. civ., che espressamente regola il rimborso delle spese in favore di colui che restituisce la cosa, richiamando a tal fine la disciplina del possesso relativamente agli artt. 1149-1152 cod. civ. Ciò comporta che tutte le volte in cui le restituzioni vengono declinate secondo la disciplina dell’indebito, deve riconoscersi – facendo applicazione dell’art. 2040 cod. civ. – che colui che è tenuto alla restituzione, quandanche in mala fede, ha sempre diritto al rimborso delle spese fatte per le riparazioni straordinarie e un’indennità per i miglioramenti sussistenti al tempo della restituzione in misura pari al minor valore tra la spesa e l’aumento di valore e, se ha diritto alla restituzione dei frutti (vale a dire quanto è in buona fede), anche alle spese per le riparazioni ordinarie. Peraltro, non pare superfluo rilevare che l’ipotesi considerata dall’art. 2040 cod. civ. è invero stata ricondotta alla logica dell’ar­ricchimento senza causa, intesa quale disciplina generale dei rimborsi [63], in tal modo superando la riduzione teleologica cui è stato tradizionalmente assoggettato il tema delle spese laddove si voglia fare riferimento al­l’indebito [64] ed imponendo in ogni caso di fare applicazione delle regole dell’arricchimento senza causa tutte le volte in cui la problematica delle spese da rimborsare risulti svincolata da qualsivoglia connotato reale e comunque di restituzione per effetto dell’indebito [65]. Quanto da ultimo rilevato conduce pur sempre alla conseguente applicazione del principio dell’integrale rimborso [66], tanto che nell’approcciarsi a tale tematica la dottrina non ha mancato di rilevare che il riferimento debba essere in ogni caso alle norme sull’arricchimento senza causa tutte le volte in cui manchi una specifica disciplina [67].

Nel medesimo contesto, si consideri inoltre che con riguardo alla risoluzione del contratto in generale la dottrina – mantenendo ferma la diversità ontologica tra rimborso e diritto al risarcimento del danno – ha affermato che in mancanza di inadempimento (e a favore della parte non inadempiente) il rimborso deve ammettersi anche oltre la disciplina richiamata dall’art. 2040 cod. civ., in ciò facendo riferimento a quanto previsto dall’art. 1479, comma 3, cod. civ., che per il caso di risoluzione del contratto di vendita di cosa altrui regola il rimborso delle spese in favore del compratore, e ritenendo che la previsione sia espressione di una regola generale applicabile analogicamente ad ogni ipotesi di risoluzione per inadempimento del contratto e idonea a «regolare la situazione in cui la parte non inadempiente eroga spese di cui non può giovarsi in conseguenza di una vicenda (risoluzione del contratto) causata dalla controparte», affermando quindi il «diritto al rimborso di tutte le spese necessarie e utili fatte per la cosa anche oltre il limite dell’aumento di valore della cosa» [68]. Si tratta di una impostazione di indubbia rilevanza per la questione in esame, posto che ciò ha consentito di affermare un principio generale in base al quale è possibile individuare un autonomo titolo al rimborso – cui sono applicabili le regole dell’arricchimento senza causa – che impone a colui che ha dato causa alla inoperatività anche incolpevole del contratto di mantenere indenne l’altro contraente delle spese fatte per il contratto [69].

Considerando che l’art. 2040 cod. civ., nel prevedere la restituzione della cosa ed il rimborso al possessore delle spese e dei miglioramenti riguarda un’ipotesi senz’altro riconducibile all’obbligazione restitutoria derivante dall’estinzione anticipata del finanziamento, dove il problema del diritto al rimborso delle spese sostenute dall’accipiens si pone con riguardo al creditore-finanziatore, vale a dire colui che è tenuto alla restituzione della quota non maturata dei costi sostenuti dal debitore-consumatore (solvens), sembra doversi ammettere che il creditore-finanziatore ha diritto al rimborso integrale delle spese necessarie e di quelle utili nei limiti dell’aumento di valore ottenuto [70].

Quanto detto impone di precisare che il riconoscimento del diritto del consumatore alla retrocessione di tutto ciò che formalmente è ricompreso nel «costo totale del credito», secondo la definizione dell’art. 3, lett. g), della Direttiva 2008/48/CE, come anche dell’art. 121, comma 1, lett. e), TUB, non esclude e non risulta incompatibile con l’applicazione dei principi dinnanzi menzionati, non potendosi peraltro dimenticare che la giurisprudenza europea ha da tempo affermato che tanto la buona fede, quanto le regole sull’arricchimento senza causa, possono determinare la nascita di un obbligo in capo al consumatore di risarcire o indennizzare il professionista per l’uso del bene precedentemente all’esercizio del diritto di recesso [71], il che induce ad applicare una analoga regola anche per il caso di estinzione anticipata del contratto di credito al consumo da parte del consumatore. Piuttosto, confermata la rimborsabilità proporzionale di tutti i costi in seguito al­l’estinzione anticipata e riconoscendo che il limite dell’arricchimento non contrasta con l’interpretazione del­l’art. 16 della Direttiva 2008/48/CE fornita dalla giurisprudenza europea in quanto ciò attiene pur sempre ai criteri di rimborso, che espressamente non vengono considerati dalla Corte di Giustizia, sembra doversi ammettere che l’art. 2040 cod. civ. debba trovare applicazione anche per il caso di estinzione anticipata del credito al consumo, fermo in ogni caso l’onere per l’accipiens di provare – ai sensi dell’art. 2697, comma 2, cod. civ. – le spese in concreto sostenute.


7. Quadro di sintesi e regime della riduzione dei costi in caso di estinzione anticipata del finanziamento al consumo

La prospettazione dinnanzi fatta induce, quindi, a dubitare fondatamente che la lettura offerta dalla giurisprudenza europea consenta di semplificare eccessivamente il problema degli effetti dell’estinzione anticipata del finanziamento quanto ai costi che devono essere retrocessi al consumatore, imponendo piuttosto di limitare il principio espresso dalla giurisprudenza europea nella sentenza Lexitor unicamente ai costi che vengono imposti dal finanziatore, escludendo di conseguenza quelli corrisposti da quest’ultimo ai terzi estranei al rapporto di finanziamento [72].

A quest’ultimo fine, il riferimento è – in particolare – a quelle voci di costo che corrispondono a somme che non sono attribuite al finanziatore e relativamente alle quali lo stesso è estraneo per quanto riguarda la loro determinazione, non risultando rappresentative di una sua scelta organizzativa interna, la cui esclusione delle voci di costo rimborsabili non sembra porsi in contrasto con le rilevate ragioni sottese alla regola del rimborso integrale, risultando piuttosto coerente con un ragionevole ed efficiente distribuzione dei costi in ragione dei benefici ottenuti [73]. Tanto le regole generali applicabili alle restituzioni, come anche ragioni di efficienza allocativa, sembrano giustificare l’esclusione di alcuni costi dalla rimborsabilità per effetto del­l’estinzione anticipata del finanziamento [74], dovendo rimanere a carico del debitore-consumatore i costi non determinati unilateralmente dal finanziatore e da questi non acquisiti [75].

In questo contesto, oltre alle imposte e ad eventuali oneri di stipula del contratto, tra i quali assumono rilevanza gli ipotetici costi notarili, deve farsi riferimento, da un lato, ai costi assicurativi e, dall’altro, alle commissioni per la promozione e conclusione dei contratti di finanziamento. Tuttavia, mentre per quanto concerne gli oneri assicurativi la rimborsabilità al consumatore consegue direttamente alla disciplina applicabile nel caso di specie al contratto di assicurazione, vale a dire la disposizione che – analogamente a quanto previsto dall’art. 122, comma 3, c. ass. per l’assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore e i natanti e diversamente da quanto previsto dall’art. 1896 cod. civ. per il contratto di assicurazione in generale – impone il rimborso della quota non maturata del premio (art. 22, comma 15-quater ss., d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221) [76], per le riferite commissioni s’impone una necessaria distinzione tra quelle di intermediazione e quelle dell’agente finanziario, laddove solo relativamente alle prime il finanziatore risulta effettivamente estraneo, mentre le seconde – risultando rappresentative di una scelta organizzativa interna dello stesso – sono da lui determinate e (soprattutto) a lui direttamente corrisposte in quanto l’agente promuove e conclude contratti su mandato diretto dell’intermediario [77].

D’altronde, neppure pare che la prospettata soluzione che esclude dal rimborso spettante al consumatore somme che nella sostanza non rispecchiano il corrispettivo di attività svolte dal finanziatore in quanto da corrispondere a soggetti terzi sia in contrasto con i principi affermati dalla sentenza Lexitor [78], dovendosi ricordare che in questa sede la Corte di Giustizia ha fatto riferimento unicamente ai costi determinati unilateralmente dal finanziatore [79], con il che non appare possibile estendere tale conclusione ai costi che non presentano tale caratteristica [80]. Da ciò deriva che per questi ultimi costi potrà (e dovrà) farsi riferimento ai principi generali e comuni al diritto degli Stati membri e, in particolare, alla disciplina dell’arricchimento senza causa che come dinnanzi detto costituisce espressione di quell’esigenza di giustizia sostanziale posta a presidio di qualsivoglia rapporto giuridico cui non pare possano sottrarsi neppure i contratti di credito stipulati con il consumatore.


NOTE

[1] G. De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: la direttiva 2008/48/CE e l’armonizzazione «completa» delle disposizioni nazionali concernenti «taluni aspetti» dei «contratti di credito ai consumatori», in Riv. dir. civ., 2008, II, 296.

[2] Al riguardo possono considerarsi i dati forniti dalle relazioni annuali dell’Arbitro Bancario Finanziario (ABF), sia in quanto organismo che per le sue caratteristiche strutturali ha registrato un ampio contenzioso sull’estinzione anticipata del credito al consumo, sia perché le relative decisioni sono oggetto di un costante e puntuale monitoraggio dagli uffici della Banca d’Italia che, a differenza delle decisioni dei giudici ordinari, consente di avere un quadro particolarmente attendibile. In ciò, considerando con particolare rilevanza le relazioni precedenti al 2019 (anno in cui è stata emessa la decisione della Corte di Giustizia c.d. Lexitor, che come si avrà modo di vedere nel prosieguo ha generato una non trascurabile confusione sul tema, con conseguente incremento esponenziale dei ricorsi e successiva contrazione del contezioso per effetto della normativa nazionale intervenuta al fine di dare attuazione ai principi espressi dalla giurisprudenza europea), i ricorsi in tema di cessione del quinto dello stipendio, fattispecie con riguardo alla quale generalmente si controverte in merito alla determinazione dei rimborsi per effetto dell’estinzione anticipata dei finanziamenti, sono stati 58 nel 2010, 150 nel 2011, 543 nel 2012, 1.458 nel 2013, 3.673 nel 2014, 7.410 nel 2015, 15.324 nel 2016, 22.232 nel 2017, 17.350 nel 2018, 10.557 nel 2019, 16.999 nel 2020 e 7.681 nel 2021 (i dati sono ricavabili dalle relazioni annuali pubblicate, al pari delle decisioni dell’ABF che verranno citate nel prosieguo e salvo che sia diversamente indicato nel caso in cui siano consultabili anche altrove, sul sito internet dell’organismo all’indirizzo www.arbitrobancariofinanziario.it).

[3] Il criterio in questione trova una espressa affermazione in ABF-Coll. coord. n. 6167 del 22 settembre 2014.

[4] Nella normativa precedente all’attuazione della Direttiva 2008/48/CE, l’art. 125 TUB prevedeva che «Le facoltà di adempiere in via anticipata o di recedere dal contratto senza penalità spettano unicamente al consumatore senza possibilità di patto contrario. Se il consumatore esercita la facoltà di adempimento anticipato, ha diritto a un’equa riduzione del costo complessivo del credito, secondo le modalità stabilite dal CICR» e, su tale base normativa, l’art. 3, d.m. del Tesoro dell’8 luglio 1992 prevedeva che «Il consumatore ha sempre la facoltà dell’adempimento anticipato; tale facoltà si esercita mediante versamento al creditore del capitale residuo, degli interessi e di altri oneri maturati fino a quel momento e, se previsto dal contratto, di un compenso comunque non superiore al­l’uno percento del capitale residuo».

[5] Il riferimento è, in particolare, alla Sez. VII, par. 5.2.1 («Nei contratti di credito con cessione del quinto dello stipendio o della pensione e nelle fattispecie assimilate, le modalità di calcolo della riduzione del costo totale del credito a cui il consumatore ha diritto in caso di estinzione anticipata includono l’indicazione degli oneri che maturano nel corso del rapporto e che devono quindi essere restituiti per la parte non maturata, dal finanziatore o da terzi, al consumatore, se questi li ha corrisposti anticipatamente al finanziatore») e alla Sez. XI, par. 2 («in relazione ai contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio o della pensione e a fattispecie assimilate, le procedure quantificano altresì in maniera chiara, dettagliata e inequivoca gli oneri che maturano nel corso del rapporto e che, in caso di estinzione anticipata, sono restituiti per la parte non maturata, dal finanziatore o da terzi, al consumatore, se questi li ha corrisposti anticipatamente al finanziatore»), quest’ultima espressamente richiamata con riguardo ai contratti di cessione del quinto dalla Sez. VII-bis («ai sensi della sezione XI, paragrafo 2 le procedure interne dell’intermediario quantificano in maniera chiara, dettagliata e inequivoca gli oneri che maturano nel corso del rapporto e che, in caso di estinzione anticipata, sono restituiti per la parte non maturata, dal finanziatore o da terzi, al consumatore, se questi li ha corrisposti anticipatamente al finanziatore»).

[6] In ciò, muovendo sempre dalla normativa secondaria, si è declinata la problematica in questione in termini di trasparenza contrattuale, ritenendo che l’opaca formulazione della clausola contrattuale relativa a determinate voci di costo imponga di qualificare quest’ultimo come recurring (ABF-Coll. coord. n. 6167 del 22 settembre 2014).

[7] La questione, che trova la sua premessa nell’affermazione del criterio pro rata temporis come parametro di riferimento per la quantificazione del rimborso da riconoscere al consumatore in caso di estinzione anticipata (ABF-Coll. coord. n. 6167 del 22 settembre 2014), è stata affrontata e risolta dall’ABF ritenendo che «le parti sono libere di determinare i futuri costi recurring e la loro distribuzione nel corso del tempo, ma non la quota di quei costi oggetto di rimborso in caso di estinzione anticipata del finanziamento, la cui determinazione è, in ogni caso, regolata dal principio di competenza economica, da intendersi quale criterio legale di rimborso ex art. 125-sexies TUB» (ABF-Coll. coord. n. 10003 dell’11 novembre 2016, dove si è ulteriormente chiarito che «se […] non è ammissibile una distinzione tra costi up front e costi recurring per tramite della sola indicazione della misura percentuale oggetto di rimborso, in quanto la quota percentuale unilateralmente indicata dall’intermediario nulla dice sulla natura dei costi corrispondenti, escludendo, quindi, ogni possibilità di verifica da parte del cliente sulle caratteristiche obiettive delle attività prestate e sulla corrispondente natura (up front o recurring); a differente conclusione deve giungersi, invece, qualora – come nel caso in esame – l’indi­cazione di una quota percentuale costituisce, in realtà, criterio (non di distinzione tra attività up front e recurring, ma) di ripartizione e di distribuzione dei costi complessivamente sostenuti dal cliente, sulla base di una preliminare distinzione tra le diverse voci di costo (up front e recurring)»).

[8] Corte di Giustizia 11 settembre 2019 (C-383/18), ECLI:EU:C:2019:702, in Foro it., 2019, IV, c. 605 ss.

[9] Su tale profilo vd., tuttavia, i rilievi di G. De Cristofaro, Estinzione anticipata del debito e quantificazione della “riduzione del costo totale del credito” spettante al consumatore: considerazioni critiche sulla sentenza “Lexitor”, in Nuova giur. civ. comm., 2020, 283 s., secondo il quale «La rilevanza delle differenze intercorrenti fra le varie versioni linguistiche del testo della direttiva è stata […] senz’altro sopravvalutata (se non addirittura artificiosamente creata) dalla Corte».

[10] L’affermazione, supportata richiamando Corte di Giustizia 6 giugno 2019 (C-58/18), EU:C:2019:467, è stata considerata «per un verso falsa, per altro verso gravemente lacunosa e conseguentemente fuorviante» da G. De Cristofaro, Estinzione anticipata, cit., 285 s.

[11] Si tenga al riguardo presente che ABF-Coll. coord. n. 5909 del 31 marzo 2020, in Nuova giur. civ. comm., 2020, 1034, ha affermato che «la previsione di cui all’art. 125-sexies, comma 2, TUB in ordine all’equo indennizzo spettante al finanziatore in caso di rimborso anticipato del finanziamento va interpretata nel senso che la commissione di estinzione anticipata prevista in contratto entro le soglie di legge è dovuta a meno che il ricorrente non alleghi e dimostri che, nella singola fattispecie, l’indennizzo preteso sia privo di oggettiva giustificazione».

[12] Per quanto interessa, le linee orientative prevedono che «a) Con riguardo ai nuovi contratti di credito ai consumatori (inclusi quelli di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio o della pensione), in caso di rimborso anticipato dovrà essere assicurata la riduzione del costo totale del credito includendo tutti i costi a carico del consumatore, escluse le imposte. A questi fini, gli intermediari potranno far riferimento anche alle buone prassi rese note dalla Banca d’Italia in occasione dell’emanazione degli “Orientamenti di vigilanza” in materia di finanziamenti contro cessione del quinto dello stipendio o della pensione, con riguardo alle indicazioni sull’opportunità di ricorrere a schemi tariffari che incorporano nel c.d. tasso annuo nominale (TAN) la gran parte o tutti gli oneri connessi con il finanziamento, incluso il compenso per l’attività di intermediazione del credito (nn. 16 e 44). Schemi tariffari che non prevedono l’applicazione di tariffe ulteriori rispetto al tasso annuo nominale assicurano infatti, in modo più agevole, che, in caso di rimborso anticipato, la riduzione del costo totale del credito tenga conto di tutti i costi del finanziamento. Per assicurare la massima trasparenza nei confronti dei clienti, i criteri di riduzione dei costi dovranno formare oggetto di specifica informativa al cliente. La Banca d’Italia, nello svolgimento dell’attività di controllo, si attende che dette informazioni siano fornite nell’ambito: – dell’informativa precontrattuale, che deve essere fornita al consumatore prima che sia vincolato da un contratto di credito o da una proposta irrevocabile per consentirgli il confronto tra le diverse offerte di credito sul mercato, così che possa prendere una decisione informata e consapevole; – delle condizioni contrattuali sul diritto di rimborso anticipato e sulla relativa procedura. b) Nel caso in cui il cliente eserciti il diritto al rimborso anticipato di finanziamenti in essere, gli intermediari sono chiamati a determinare la riduzione del costo totale del credito includendo tutti i costi a carico del consumatore, escluse le imposte. Quanto ai costi chiaramente definiti e indicati nei contratti come non rimborsabili in caso di estinzione anticipata del finanziamento (cc.dd. up front), la Banca d’Italia rimette al prudente apprezzamento degli intermediari la determinazione del criterio di rimborso; dovrà in ogni caso trattarsi di un criterio proporzionale rispetto alla durata (ad esempio, lineare oppure costo ammortizzato)».

[13] La posizione assunta da ABF-Coll. coord. n. 26525 del 17 dicembre 2019, secondo cui «A seguito della sentenza 11 settembre 2019 della Corte di Giustizia Europea, immediatamente applicabile anche ai ricorsi non ancora decisi, l’art. 125-sexies TUB deve essere interpretato nel senso che, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, il consumatore ha diritto alla riduzione di tutte le componenti del costo totale del credito, compresi i costi up front» e che «Il criterio applicabile per la riduzione dei costi istantanei, in mancanza di una diversa previsione pattizia che sia comunque basata su un principio di proporzionalità, deve essere determinato in via integrativa dal Collegio decidente secondo equità [n.d.r.: ritenendo al riguardo che il criterio preferibile per quantificare la quota di costi up front ripetibile sia analogo a quello che le parti hanno previsto per il conteggio degli interessi corrispettivi, costituendo essi la principale voce del costo totale del credito espressamente disciplinata in via negoziale], mentre per i costi recurring e gli oneri assicurativi continuano ad applicarsi gli orientamenti consolidati dell’ABF», ha trovato una iniziale e temporanea resistenza da parte del Collegio di Roma, il quale ha in un primo momento escluso la rimborsabilità di alcune voci di costo (spese di istruttoria, spese del mediatore e tasse) ed applicato a tutte le voci di costo rimborsabili il criterio della proporzionalità lineare (c.d. pro rata temporis) (vd. ABF-Coll. Roma n. 1345 del 29 gennaio 2020 e n. 8760 del 14 maggio 2020).

[14] Nella giurisprudenza di merito, pur risultando maggioritaria l’opinione che ritiene senz’altro vincolante l’interpretazione fornita in sede di rinvio pregiudiziale per quanto riguarda l’art. 16 della Direttiva 2008/48/CE (vd. Giudice di Pace di Savona, 7 gennaio 2020, in Nuova giur. civ. comm., 2020, 743 ss.; Trib. Torino 7 dicembre 2020, n. 4350, in DeJure; Trib. Bologna 7 gennaio 2021, n. 26, ivi; Trib. Palermo 14 gennaio 2021, n. 111, in ForoPlus; Trib. Napoli 9 febbraio 2021, n. 1273, in DeJure; Trib. Napoli 26 novembre 2021, n. 9614, ivi; Trib. Pavia 14 maggio 2021, n. 671, ivi; Trib. Alessandria 5 luglio 2021, n. 538, ivi; Trib. Savona 15 settembre 2021, n. 680, ivi; Trib. Cuneo 30 settembre 2021, n. 761, ivi; Trib. Brindisi 4 ottobre 2021, n. 1279, ivi; Trib. Roma 5 ottobre 2021, n. 15456, ivi; Trib. Genova 14 ottobre 2021, n. 2248, in ForoPlus; Trib. Pesaro 3 dicembre 2021, n. 869, ivi; Trib. Napoli 22 gennaio 2022, n. 743, in DeJure; Trib. Savona 1° febbraio 2022, n. 87, ivi; Trib. Roma 10 giugno 2022, n. 9190, in ForoPlus; Trib. Napoli 24 giugno 2022, n. 6398, in DeJure; Trib. Nocera Inferiore 8 luglio 2022, n. 1048, ivi), non mancano pronunce che ritengono non applicabili nel nostro ordinamento i principi affermati dalla Corte di Giustizia nella sentenza Lexitor (vd. Trib. Monza 22 novembre 2019, n. 2573, in DeJure; Trib. Vicenza 13 novembre 2020, in Giur. it., 2020, 2382; Trib. Napoli 22 novembre 2019, n. 10489, in dirittobancario.it; Trib. Bari 16 settembre 2021, n. 3277, in ForoPlus; Trib. Crotone 11 ottobre 2021, n. 822, ivi; Trib. Catania 6 giugno 2022, n. 2549, in DeJure; Trib. Salerno 28 luglio 2022, n. 2781, in ForoPlus).

[15] Nella dottrina che si è occupata della questione, una evidente contrapposizione si registra confrontando le opinioni di: A.A. Dolmetta, Anticipata estinzione e «riduzione del costo totale del credito». Il caso della cessione del quinto, in Banca, borsa, tit. cred., 2019, II, 644 ss.; A. Tina, Il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del finanziamento ex art. 125-sexies, primo comma, t.u.b. Prime riflessioni a margine della sentenza della Corte di Giustizia del­l’Unione europea, in Riv. dir. banc., 2019, 155 ss.; A. Zoppini, Gli effetti della sentenza Lexitor nell’ordinamento italiano, in Banca, borsa, tit. cred., 2020, II, 1 ss.; G. Liace, Il diritto dei consumatori alla riduzione del costo totale del credito nel caso di estinzione anticipata del finanziamento: il caso Lexitor, in Giur. comm., 2020, II, 1002 ss.; A. Mutarelli, La Corte di Giustizia e il “crollo della Baliverna”, a proposito della sentenza “Lexitor”, in Rass. Avv. dello Stato, 2020, n. 3, 27 ss.; F. Gigliotti, Rimborso anticipato del finanziamento e riduzione dei costi del credito. Variazioni ermeneutiche sull’art. 125-sexies T.U.B. (tra sentenza “Lexitor” e decreto Sostegni bis), in Banca, borsa, tit. cred., 2022, I, 198 ss.

[16] Vd., per un’analisi incentrata su tale profilo, A. Nervi, La vicenda c.d. Lexitor: un caso problematico nei rapporti tra diritto civile e diritto europeo, in Riv. dir. impr., 2021, 1 ss.

[17] Il riferimento è, in particolare, al legislatore austriaco, che attraverso il BGBl. I Nr. 1/2021 del 5 gennaio 2021 ha modificato il § 16 del Verbraucherkreditgesetz (VKrG) e il § 20 dell’Hypothekar – und Immobilienkreditgesetz (HIKrG), e a quello tedesco, che con il § 1 della Gesetz zur Anpassung des Finanzdienstleistungsrechts an die Rechtsprechung des Gerichtshofs der Europäischen Union vom 11. September 2019 in der Rechtssache C-383/18 und vom 26. März 2020 in der Rechtssache C-66/19 (FinDLRANpG) ha modificato a far data al 15 giugno 2021 il § 501 BGB.

[18] Il quale, rubricato “Rimborso anticipato”, prevede che «Il consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in tutto o in parte, l’importo dovuto al finanziatore e ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, in misura pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto».

[19] In senso critico su tale scelta, vd. R. Santagata, Prime note sulla nuova disciplina del rimborso anticipato del credito ai consumatori (e del credito immobiliare), in Banca, borsa, tit. cred., 2022, I, 189; U. Malvagna, La nuova disciplina dell’estinzione anticipata dei contratti di credito ai consumatori: tra legge, ABF e Corte Costituzionale, ivi, I, 54 ss.

[20] Al riguardo, sia consentito il rinvio a D. Achille, Primato del diritto europeo e tutela dei diritti fondamentali nel sistema ordinamentale integrato, in Nuova giur. civ. comm., 2018, 1890 ss.

[21] Rileva P. Sirena, Tutela dei diritti fondamentali e sistemi di risoluzione alternativa delle controversie, in Riv. di dir. comparati, 2021, 109, che «La maggior parte dei giudici di merito che hanno affrontato la questione si è […] determinata a disapplicare automaticamente la norma italiana di diritto intertemporale».

[22] Il riferimento è, in particolare, ad ABF-Coll. coord. n. 21676 del 15 ottobre 2021, secondo cui «in applicazione della Novella legislativa di cui all’art. 11-octies, comma 2, ultimo periodo, d.l. 25 maggio 2021, n. 73, convertito in legge n. 106 del 23 luglio 2021, in caso di estinzione anticipata di un finanziamento stipulato prima della entrata in vigore del citato provvedimento normativo, deve distinguersi tra costi relativi ad attività soggette a maturazione nel corso dell’intero svolgimento del rapporto negoziale (c.d. costi recurring) e costi relativi ad adempimenti preliminari alla concessione del prestito (c.d. costi up front). Da ciò consegue la retrocedibilità dei primi e non anche dei secondi, limitatamente alla quota non maturata degli stessi in ragione dell’anticipata estinzione, così come meglio illustrato da questo Collegio nella propria decisione n. 6167/2014».

[23] Trib. Torino (ord.) 2 novembre 2021, in Foro it., 2022, I, c. 350 ss., che ha in particolare sollevato la questione di legittimità costituzione dell’art. 11-octies del decreto Sostegni-bis nella parte in cui «prevede che alle estinzioni anticipata dei contratti sottoscritti prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del […] decreto […] continuano ad applicarsi le disposizioni […] vigenti alla data di sottoscrizione dei contratti» e «limita ai contratti sottoscritti successivamente all’entrata in vigore della legge il principio, espresso nell’art. 16, par. 1, della direttiva 2008/48/Ce, come interpretata dalla Corte di giustizia […] e recepito nel novellato art. 125 sexies, 1° comma, t.u.b.».

[24] Le decisioni che danno continuità ad ABF-Coll. coord. n. 21676 del 15 ottobre 2021 pur dopo la rimessione alla Corte costituzionale sono molteplici, tanto da rendere superfluo il richiamo espresso e rimandare il lettore alle pronunce rinvenibili sul sito internet dell’Arbitro. La scelta di continuare ad applicare la norma assoggettata al giudizio di legittimità costituzionale ha determinato «un deficit piuttosto significativo di coerenza all’interno del sistema della giustizia civile» (P. Sirena, Tutela dei diritti fondamentali, cit., 112).

[25] Precisazione, questa, che peraltro avvalla – anche dal punto di vista regolamentare – l’interpretazione in forza della quale la nuova normativa ha comportato la reviviscenza della precedente soluzione che – come più volte detto – distingueva tra costi up front e recurring e affermava la rimborsabilità solo di queste ultime voci di costo.

[26] È l’auspicio formulato da V. Scalisi, Ermeneutica dei diritti fondamentali e principio «personalista» in Italina e nell’Unione europea, in Riv. dir. civ., 2010, I, 174, il quale – pur con specifico riferimento ai diritti fondamentali – guarda con favore «un rapporto di intima e costante tensione dialogica in un processo continuo e ininterrotto di incessante interlocuzione e reciproco adeguamento, senza che nessuna delle due Corti abbia la pretesa di pronunciare l’ultima parola, perché solo così anche all’interno della categoria dei diritti fondamentali è possibile istituire quel doppio senso di marcia, quella indispensabile circolarità tra centro e periferia, senza la quale il processo di implementazione dello standard di protezione dei diritti fondamentali può subire solo inceppamenti e ritardi con riflessi negativi anche sullo stesso processo di integrazione giuridica europea».

[27] Dovrà quindi essere soddisfatto il requisito della indicazione analitica del criterio della proporzionalità lineare o del costo ammortizzato, sembrando altresì ammissibile una combinazione volontaria (non anche legale) dei due criteri che determini una differenziazione del regime cui sono assoggettati alcuni costi rispetto ad altri.

[28] Su tale specifica questione si sono interrogati gli interpreti all’indomani della sentenza Lexitor (vd., in particolare, F. Mezzanotte, Il rimborso anticipato nei contratti di credito immobiliare ai consumatori, in Nuove leggi civ. comm., 2020, 65 ss.), potendosi inoltre rilevare che al riguardo è pendente il rinvio pregiudiziale proposto dall’Oberster Gerichtshof dinnanzi alla Corte di Giustizia (causa C-555/21) che con riferimento alla disciplina vigente nell’ordinamento austriaco ha chiesto di chiarire se in caso di estinzione anticipata del finanziamento assoggettato alla disciplina della Direttiva 2014/17/UE sia compatibile con il relativo art. 25 «una normativa nazionale che preveda […] che gli interessi dovuti dallo stesso mutuatario e i costi dipendenti dalla durata del contratto siano ridotti proporzionalmente, mentre una simile disposizione non è prevista per i costi che non dipendono da tale durata» (una puntuale e completa indagine che muove dal rinvio pregiudiziale in questione si rinviene in M. Natale, Estinzione anticipata nel credito immobiliare ai consumatori. Novità legislative e spunti comparativi dall’esperienza austriaca, in I contratti di credito immobiliare fra diritto europeo e attuazione nazionale. Strumenti di prevenzione del sovraindebitamento del consumatore a cura di A. Addante, L. Bozzi, Bari, 2022, 79 ss.). Nell’attesa della decisione della Corte di Giustizia, sono state depositate il 29 settembre 2022 le conclusioni dell’Avvocato Generale Sánchez-Bordona (ECLI:EU:C:2022:742) il quale, pur muovendo dalla sentenza Lexitor, ritiene che «la riduzione non operi in maniera indiscriminata su ciascuna delle voci che, sommate, indicano al consumatore il costo totale del credito prima della stipula del contratto» (§ 55) ma «sia limitata alle somme che il consumatore dovrebbe pagare per prestazioni ancora da effettuare in esecuzione del contratto» (§ 70) (al riguardo, vd. B. Nascimbene, La causa UniCredit Bank Austria. Le conclusioni dell’avvocato generale: Lexitor o non Lexitor?, in dirittobancario.it). Vale la pena rilevare che sull’applicabilità dei principi Lexitor alla disciplina della Direttiva 2014/17/UE si registra un contrasto nell’ABF, posto che secondo una prima interpretazione tale applicazione deve essere esclusa (ABF-Coll. Napoli 9 ottobre 2020, n. 17588, in Foro it., 2021, I, c. 358 ss.; ABF-Coll. Napoli 21 gennaio 2021, n. 1753; ABF-Coll. Palermo 11 agosto 2021, n. 18803), mentre secondo una differente opinione non si rinvengono ragioni per una diversa soluzione (ABF-Coll. Bari n. 20119 del 12 novembre 2020).

[29] Al riguardo può rilevarsi che la necessaria proporzionalità dei rimborsi, affermata dalla Corte di Giustizia nella sentenza Lexitor (§ 24), ha posto la questione proprio per quanto riguarda i relativi criteri, ritenendo in particolare che siano proporzionali alla durata residua del contratto sia il criterio della proporzionalità lineare (c.d. pro rata temporis), in forza del quale la quantificazione del rimborso si effettua dividendo l’importo del costo per il numero di rate complessivamente pattuite e moltiplicando il risultato per il numero di rate residue al momento dell’estinzione anticipata, sia il criterio del costo ammortizzato, per effetto del quale il rimborso deve essere determinato estendendo ai costi la determinazione applicabile agli interessi corrispettivi come esplicitata nel piano di ammortamento, finanche ipotizzando una discutibile ed ecclettica combinazione dei due criteri, il primo applicabile ai costi up front e il secondo applicabile ai costi recurring (vd. ABF-Coll. coord. n. 26525 del 17 dicembre 2019, il quale a tal fine richiama – in mancanza di una precisa indicazione da parte del legislatore – un non meglio precisato potere di equità integrativa spettante al giudicante). Sul punto si registra una varietà di opinioni in dottrina, posto che secondo alcuni deve dubitarsi che il criterio del costo ammortizzato sia propriamente proporzionale (G. Liace, Il credito al consumo, in Tratt. dir. civ. e comm. Cicu-Messineo già diretto da L. Mengoni e P. Schlesinger continuato da V. Roppo e F. Anelli, Milano, 2022, 156; M. Natale, Estinzione anticipata, cit., 675), mentre secondo una diversa opinione sembra addirittura da preferire «il medesimo criterio di calcolo utilizzato per gli interessi corrispettivi, che costituiscono la principale voce di costo totale del credito», specificando che «la sentenza della Corte di Giustizia non impone l’applicazione del criterio pro rata temporis strettamente proporzionale» (A. Tina, Il diritto del consumatore alla riduzione, cit., 173 ss.), soluzione quest’ultima che in ogni caso occorre coordinare con il rilievo – senz’altro corretto – secondo cui «una regola di recupero degli esborsi […] in linea con il [...] piano di ammortamento, ancorché non esattamente proporzionale, deve pur sempre ritenersi conforme al criterio di competenza economica, dato che il rimborso avverrebbe comunque secondo la quota dei costi “dovuti” tempo per tempo maturati» (F. Mezzanotte, Il rimborso anticipato, cit., 83) e dovendosi ricordare che il criterio della proporzionalità lineare è stato ritenuto «il più logico e, con ciò stesso, il più conforme al diritto ed all’equità sostanziale» (ABF-Coll. coord. n. 6167 del 22 settembre 2014, che ha invece ritenuto «non […] conforme a ragionevolezza» l’applicazione del criterio del costo ammortizzato con riguardo ai costi recurring sul rilievo che «Tali costi in realtà remunerano, e quindi sono corrispettivi allo svolgimento di attività amministrative del rapporto, sicché il loro costo, al netto di fattori esogeni, è costante in pendenza di rapporto»). Opinabile è, invece, la scelta di combinare i due criteri in funzione della natura giuridica dei costi rimborsabili, posto che, da un lato, l’in­troduzione di un tale criterio discretivo non trova corrispondenza nel dato normativo contrastando indirettamente con l’impostazione unitaria della Corte di Giustizia e, dall’altro, che equità significa non solo giustizia del caso concreto ma anche uniformità, il che dovrebbe comportare l’applicazione di un solo e uniforme criterio di determinazione dei costi retrocedibili per effetto dell’estinzione anticipata del finanziamento. In questo senso è quindi da approvare l’unicità del criterio di rimborso affermata dal nuovo art. 125-sexies TUB che, come si è dinnanzi detto e ferme le perplessità che suscita la scelta di riferirsi al criterio residuale del costo ammortizzato (vd. retro, nota n. 19), sembra doversi applicare anche ai contratti stipulati ed estinti precedentemente e disciplinati dalla vecchia formulazione dell’art. 125-sexies TUB, senza però potersi escludere che il contratto possa combinare i due criteri diversificando il regime applicabile alle singole voci di costo.

[30] COM/2021/347 final.

[31] 9433/1/22 REV1.

[32] A9-0212/2022.

[33] F. Padovini, I contratti di credito ai consumatori, il recesso e l’estinzione del rapporto, in Banca, borsa, tit. cred., 2011, I, 702. Sembrano riferirsi ad una ipotesi di recesso anche E. Battelli, F.S. Porcelli, Il diritto alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipata, in Giut. it., 2020, 1598.

[34] A.A. Dometta, A. Sciarrone Alibrandi, La facoltà di «estinzione anticipata» nei contratti bancari, con segnato riguardo alla disposizione dell’art. 7 legge n. 40/2007, in Riv. dir. civ., 2008, II, 538.

[35] Al riguardo, pur nella diversità di accezioni con cui il recesso ha assunto nell’attuale realtà giuridica, pare che nella prospettiva che qualifica l’estinzione anticipata come ipotesi di recesso il riferimento sia a all’atto di scioglimento unilaterale dal vincolo contrattuale e non anche al recesso di pentimento.

[36] Si consideri infatti che la giurisprudenza, nel distinguere le obbligazioni alternative da quelle facoltative, ha affermato che «L’obbligazione alternativa, ai sensi dell’art. 1285 e seg. c.c., presuppone l’originario concorso di due o più prestazioni, poste in posizione di reciproca parità e dedotte in modo disgiuntivo, nessuna delle quali può essere adempiuta prima dell’indispensabile scelta di una di esse, scelta rimessa alla volontà di una delle parti e che diventa irrevocabile con la dichiarazione comunicata alla controparte; l’obbligazione cosiddetta facoltativa, invece, postula un’obbligazione semplice, avente ad oggetto una prestazione principale, unica e determinata fin dall’origine, nonché, accanto a questa, una prestazione facoltativa – della cui effettiva ed attuale esigibilità il creditore optante abbia piena consapevolezza – dovuta solo in via subordinata e secondaria, qualora venga preferita dal creditore stesso e costituisca, quindi l’oggetto di una sua specifica ed univoca opzione, esercitabile, peraltro, solo fino al momento in cui non vi sia stato l’adempimento della prestazione principale» (Cass., 23 agosto 2011, n. 17512, in Rep. Foro it., 2011, voce Obbligazioni in genere, n. 34).

[37] Il riferimento alla teoria del godimento (c.d. Nutzungstheorie) si trova in F. Messineo, Operazioni di borsa e di banca, Roma, 1926, 559 ss.; F. Carnelutti, Teoria giuridica della circolazione, Padova, 1933, 25 s.; F. Carresi, Il comodato. Il mutuo, in Tratt. dir. civ. fondato da F. Vassalli, Torino, 1957, 101. Contra vd. T. Ascarelli, Obbligazioni pecuniarie (art. 1277-1284), in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1959, 338.

[38] In questo senso, vd. P.M. Vecchi, Il contratto, in Il mutuo e le altre operazioni di finanziamento opera diretta da V. Cuffaro, Bologna, 2005, 23 s., il quale, oltre a chiarire che «la posizione del mutuante […] difficilmente può essere considerata un’esecuzione continuativa del contratto», rileva che «il richiamo ad eventuali obbligazioni accessorie delle parti […] non appare significativo per la qualificazione del mutuo come contratto ad esecuzione periodica o continuata, dato che da un lato obbligazioni accessorie analoghe possono ben sussistere anche in contratti ad esecuzione istantanea, finché questa non è avvenuta, e dall’altro seguendo quest’ordine d’idee si dovrebbe arrivare a configurare un contratto di durata ogni qual volta l’adempimento di una delle parti sia differito, dato che quantomeno si avrebbero obblighi di correttezza a carico delle parti»; P. Sirena, Il ius variandi della banca dopo il c.d. decreto-legge sulla competitività (n. 223 del 2006), in Banca, borsa, tit. cred., 2007, I, 268 ss. il quale – riferendosi alla ricostruzione di G. Oppo, I contratti di durata, in Id., Scritti giuridici. III. Obbligazioni e negozio giuridico, Padova, 1992, 260 ss. – afferma che l’impossibilità di ricondurre il contratto di mutuo alla categoria dei contratti di durata «è stata dimostrata con argomenti che possono considerarsi insuperabili» (posizione successivamente ribadita anche in Id., La “portabilità” del mutuo bancario e finanziario, in Studi in onore di Nicolò Lipari, II, Milano, 2008, 2887, dove si legge che «il contratto di mutuo non sia classificabile come un contratto ad esecuzione periodica, bensì come un contratto a esecuzione istantanea, benché progressivamente differita nel tempo mediante la successiva scadenza delle rate di rimborso»). Diversamente, invece, oltre alla dottrina tradizionale (G. Giampiccolo, Mutuo (dir. priv.), in Enc. dir., XXVII, Milano, 1977, 451; Id., Comodato e mutuo, in Tratt. dir. civ. diretto da G. Grosso e F. Santoro Passarelli, Torino, 1972, 70; E. Simonetto, Mutuo, in Enc. giur. Treccani, XX, Roma, 1992, 6 s.; L. Bigliazzi Geri, U. Breccia, F.D. Busnelli, U. Natoli, Diritto civile. III. Obbligazioni e contratti, Torino, 1992, 578 s.), vd. P.L. Fausti, Il mutuo, in Tratt. dir. civ. del CNN diretto da P. Perlingieri, IV.17, Napoli, 2004, 77 ss., il quale ritiene che «la teoria del godimento appare ancora oggi centrare l’obiettivo di una realistica e arricchente spiegazione» (p. 81), con ciò affermando che il contratto di mutuo «può definirsi di durata e, inoltre, con obbligazioni da entrambe le parti (bilaterale)» (p. 82).

[39] Vd. A. Ciatti, La corresponsione anticipata delle somme dovute dal consumatore al creditore, in La nuova disciplina europea del credito al consumo. La direttiva 2008/48/Ce relativa ai contratti di credito dei consumatori e il diritto italiano a cura di G. De Cristofaro, Torino, 2009, 156; F. Oliviero, L’anticipato adempimento dell’obbligazione restitutoria nel credito ai consumatori, in Nuove l. civ. comm., 2014, 380; F. Mezzanotte, Il rimborso anticipato, cit., 74; G. Liace, Il credito al consumo, cit., 142 s.

[40] U. Natoli, L’attuazione del rapporto obbligatorio. I. Il comportamento del creditore, in Tratt. dir. civ. comm. diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1974, 96, riconduce il contratto di mutuo a quelle ipotesi in cui «la necessità del termine è nella stessa struttura legale del rapporto; è, in certo senso, un elemento connaturato alla sua causa e in stretta connessione con il particolare rilievo attribuito all’interesse del soggetto passivo», con ciò escludendo – nel caso di mancata fissazione convenzionale del termine per l’adem­pimento – che possa trovare applicazione l’art. 1183, comma 1, c.c. Sul punto occorre in ogni caso rilevare che la modalità temporale, pur essenziale, non può essere intesa come elemento del tipo dovendo piuttosto essere ricondotto a quegli «elementi […] necessari affinché il tipo, già supposto esistente in astratto, possa realizzare in concreto la funzione che è chiamato ad assolvere» (A. Di Majo, Del­l’adempimento in generale (artt. 1177-1200), in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca a cura di Galgano, Bologna-Roma, 1994, 174 s., nota n. 12).

[41] F. Oliviero, L’anticipato adempimento, cit., 380, il quale condivisibilmente afferma che per effetto dell’art. 125-sexies TUB «il termine di adempimento dell’obbligazione restitutoria derivante da contratti di credito al consumo deve essere considerato come stipulato esclusivamente in favore del debitore, il quale può pertanto legittimamente adempiere in via anticipata».

[42] Cfr. U. Natoli, Il comportamento del creditore, cit., 24 s., il quale – oltre a «denunciare la sostanziale irrilevanza, anche sul piano pratico, della prevista “ripetizione”» – chiarisce che non si tratta di ripetizione per un pagamento indebito, bensì di «una richiesta di indennizzo a sensi dell’art. 2041»; A. Di Majo, Dell’adempimento, cit., 200, nota n. 10; C.M. Bianca, Diritto civile. 4. L’obbligazione, Milano, 1990, 218; L. Nonne, Luogo e tempo dell’adempimento, in Tratt. delle obbligazioni diretto da L. Garofalo, M. Talamanca, La struttura e l’adempimento. V. La liberazione del debitore a cura di M. Talamanca, M. Maggiolo, Padova, 2010, 295. Supera il dato normativo, affermando la generica ripetibilità dell’arricchimento conseguito dal creditore, senza distinguere rispetto all’ipotesi che il debitore fosse a conoscenza del termine, P. Gallo, Trattato di diritto civile. IV. L’obbligazione, Torino, 2019, 187; Id., Trattato di diritto civile. VII. L’arricchimento senza causa, la responsabilità civile, Torino, 2019, 207.

[43] Specifica al riguardo D. Carusi, Le obbligazioni nascenti dalla legge, in Tratt. dir. civ. del CNN diretto da P. Perlingieri, III.15, Napoli, 2004, 337, che, facendo riferimento a tale specifico limite, «la norma indica che tale arricchimento si identifica in linea di principio col valore obiettivo del godimento del denaro o delle res in questione nel periodo intercorrente tra la ricezione e l’effettiva scadenza del credito, e che i profitti realizzati dal creditore con l’impiego, in quel periodo, del danaro o delle res non assumo rilevanza: ciò che si viole – appunto – è che al debitore sia restituita l’utilità della quale ingiustamente si è privato».

[44] È opportuno ricordare che secondo quanto si ricava dall’art. 22, comma 2, della Direttiva 2008/48/CE e dall’art. 127, comma 1, TUB, come anche dalle fonti secondarie e da ulteriori documenti che interessano l’argomento (cfr. l’Accordo ABI-Ania del 22 ottobre 2008, la Comunicazione della Banca d’Italia del 10 novembre 2009, la Comunicazione della Banca d’Italia del 7 aprile 2011, l’art. 49 del Regolamento ISVAP n. 35/2010, l’art. 22, comma 15-quater, d.lgs. 18 ottobre 2012, n. 179, la lettera al mercato congiunta di Banca d’Italia e IVASS del 26 agosto 2015), la disciplina di cui all’art. 125-sexies TUB in tema di estinzione anticipata è inderogabile, non potendo quindi essere escluso convenzionalmente il diritto del consumatore ad ottenere il rimborso dei costi per la durata residua del finanziamento.

[45] Si tenga presente che proprio richiamando l’art. 2033 c.c. si è ritenuto di spiegare la pretesa restitutoria del consumatore ai sensi dell’art. 125-sexies TUB (vd. ABF-Coll. coord. n. 13306 del 19 giugno 2018). Diversamente, si è ritenuto, anche richiamando l’art. 1185, comma 2, c.c., che «il tema si muova fuori dall’ambito dell’indebito» (A.A. Dolmetta, Anticipata estinzione, cit., 649; in senso analogo sembra orientato anche A. Tina, Il diritto del consumatore, cit., 172), posizione questa difficilmente condivisibile laddove si consideri che «ciò che giustifica la sottrazione della “quota parte delle commissioni non maturate” dal “debito da capitale residuo” altro non è che un basilare meccanismo di compensazione (artt. 1241 ss. c.c.) tra il credito di fonte contrattuale, da un lato, e il credito restitutorio dall’altro» (F. Mezzanotte, Il rimborso anticipato, cit., 102, nota n. 137).

[46] Con questa specificazione è condivisibile la spiegazione fornita da F. Mezzanotte, Il rimborso anticipato, cit., 106, laddove si riferisce a «una forma di “sussidio privato” capace di assolvere un duplice ruolo. Da un lato, quello di incentivare l’estinzione pre-termine […]. Dall’altro lato […] quello di orientare verso la parte debole (e, tendenzialmente, meno abbiente) del rapporto l’attribu­zione di quella (seppur minima) porzione di somme che, pur avendo remunerato un’attività tecnicamente già compiuta, difficilmente potrebbero altrimenti distinguersi da quelle forme imputabili a prestazioni ancora pendenti nel rapporto».

[47] Al riguardo, una indicazione in tal senso può rinvenirsi, pur in tutt’altro contesto e nella complessità del fenomeno, nel bail-in quale strumento di gestione delle crisi bancarie che consente (dopo che sia stato richiesto l’intervento di azionisti e obbligazionisti) di pretendere il contribuito di persone fisiche e PMI che abbiano un deposito superiore ad € 100.000,00 al fine di consentire il risanamento dell’ente creditizio (il tema è ampiamente indagato in dottrina, sotto vari profili, tra questa particolarmente incisivi con riferimento alla posizione dei creditori e in una prospettiva attenta alla tutela del risparmio si presentano i rilievi di G.M. Uda, Il bail-in e i principi della par condicio creditorum e del no creditor worse off (ncwo), in La gestione delle crisi bancarie. Strumenti, processi, implicazioni nei rapporti con la clientela a cura di V. Troiano, G.M. Uda, Padova, 2018, 257 ss.).

[48] Proprio la possibilità di erogare nuovi finanziamenti una volta ottenuta la restituzione dell’importo finanziato in seguito al­l’estinzione anticipata costituisce uno degli argomenti spesi dalla sentenza Lexitor per affermare il principio del rimborso integrale di tutti i costi laddove ha affermato che «nel caso di un rimborso anticipato del credito, il mutuante recupera in anticipo la somma data a prestito, sicché quest’ultima diventa disponibile per la conclusione, eventualmente, di un nuovo contratto di credito» (§ 35).

[49] Sul punto, oltre ai classici studi della dottrina straniera (S. Grundman, F. Möslein, K. Riesenhuber (a cura di), Contract Governance. Dimensions in Law and Interdisciplinary Research, Oxfrord, 2015; H.W. Micklitz, The Visible Hand of European Regulatory-The Transformation of European Private Law from Autonomy to Functionalism in Competition and Regulation, in Yearbook Eur. Law, 2009, 3 ss.), vd. A. Zoppini, Diritto privato vs. diritto amministrativo (ovvero alla ricerca dei confini tra stato e mercato), in Riv. dir. civ., 2013, 515 ss.; Id., Diritto privato generale, diritto privato speciale, diritto regolatorio, in Ars interpretandi, 2021, 37 ss.

[50] Sulla rilevanza che l’asimmetria e la regolazione hanno nell’attuale diritto dei contratti, tanto da costituire una nuova parte del diritto dei contatti, vd. la suggestiva ricostruzione di V. Roppo, Una parte generale, o due parti generali?, in Pactum, 2022, 176.

[51] Tale profilo è indagato, in base ai principi dell’analisi economica del diritto, da E. Baffi, F. Parisi, Gli effetti della “sentenza Lexitor”: una valutazione con il metodo dell’analisi economica del diritto, in Tutela del cliente e “giurisprudenza” ABF. Rassegna ragionata a cura di G.L. Carriero, R. Lener, Roma, 2020, 11 ss. ma spec., 18-32.

[52] Corte di Giustizia 16 dicembre 2008 (C-47/07), ECLI:EU:C:2008:726.

[53] Vd., in dottrina, A. Nicolussi, Le restituzioni, in Manuale di diritto privato europeo diretto da Castronovo, Mazzamuto, II. Proprietà Obbligazioni Contratti, Milano, 2007, 185. Per l’arricchimento senza causa come espressione del ius commune europaeum, anche per i necessari riferimenti bibliografici, vd. P. Sirena, Arricchimento ingiustificato e restituzioni: una prospettiva di diritto europeo, in Rass. dir. civ., 2018, 657 ss.

[54] Non è un caso che la dottrina abbia rilevato che la «gestione di affari altrui presenta […] una complessità dogmatica difficilmente riconducibile alla linearità del divieto generale di ingiustificato arricchimento» (P. Sirena, La gestione di affari altrui. Ingerenze altruistiche, ingerenze egoistiche e restituzione del profitto, Torino, 1999, 31, il quale parla di «diverso modello dogmatico delle rispettive pretese restitutorie»).

[55] Sul punto vd. P. Sirena, La sussidiarietà dell’azione generale di arricchimento senza causa, in Riv. dir. civ., 2018, 403, il quale con specifico riguardo al rapporto tra azione di arricchimento senza causa e risarcimento del danno ritiene si debba ammettere il concorso alternativo e il concorso integrativo, non anche il concorso cumulativo (in termini pressoché analoghi, già Id., L’azione generale di arricchimento senza causa, in Diritto civile diretto da Lipari, Rescigno, II. Obbligazioni, I. Il rapporto obbligatorio, Milano, 2009, 558; Id., La restituzione dell’arricchimento e il risarcimento del danno, in Riv. dir. civ., 2009, I, 78; Id., Note critiche sulla sussidiarietà dell’azione generale di arricchimento senza causa, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, 115), soluzione questa che è stata di recente recepita da Cass., 17 gennaio 2020, n. 843, in Giur. it., 2020, 1891 ss., la quale ha affermato che «la vittima di un atto illecito potrà scegliere di pretendere da colui che lo ha commesso la restituzione dell’arricchimento senza causa ovvero il risarcimento del danno (concorso alternativo). Non potrà invece pretendere tanto la restituzione dell’arricchimento senza causa, quanto il risarcimento del danno, in quanto ciò è vietato dall’art. 2042 c.c. (concorso cumulativo). Al coordinamento tra le due suddette regole consegue logicamente che potrà pretendere la restituzione dell’arricchimento senza causa e anche il risarcimento del maggior danno, ovvero il risarcimento del danno e anche la restituzione dell’arricchimento senza causa ulteriore (concorso integrativo)».

[56] In questo senso E. Moscati, Questioni vecchie e nuove in tema di ingiustificato arricchimento e pagamento dell’indebito, negli Atti del Convegno «Il diritto delle obbligazioni e dei contratti: verso una riforma? Le prospettive di una novellazione del Libro IV del Codice Civile nel momento storico attuale», in Riv. dir. civ., 2006, n. 6, 499 e 503.

[57] P. Gallo, Spese in diritto civile e comparato, in Dig. disc. priv. Sez. civ., XVIII, Torino, 1998, 676.

[58] Il riferimento, per limitarsi alla dottrina più autorevole e immediatamente successiva al codice vigente, è ad A. Trabucchi, Arricchimento (dir. civ.), in Enc. dir., III, Milano, 1958, 64 ss.; P. Schlesinger, Arricchimento (azione di), in Nov. dig. it., I.2, Torino, 1958, 1004 ss.

[59] P. Schlesinger, Arricchimento, cit., 1007.

[60] Così Cass., 4 settembre 2013, n. 20226, in Rep. Foro it., 2013, voce Arricchimento senza causa, n. 2.

[61] È al riguardo noto che mentre l’impostazione tradizionale ipotizza l’applicazione delle regole della ripetizione dell’indebito al­l’ipotesi della mancanza originaria e alla mancanza sopravvenuta di giustificazione della causa di attribuzione (vd. E. Moscati, Caducazione degli effetti del contratto e pretese di restituzione, in Riv. dir. civ., 2007, I, 435 ss.), una più recente impostazione ha teorizzato un regime giuridico differenziato per le due ipotesi (sul tema, per la completezza dell’indagine e per gli opportuni riferimenti bibliografici, vd. E. Bargelli, Sinallagma rovesciato e ripetizione dell’indebito. L’impossibilità della restitutio in integrum nella prassi giurisprudenziale, in Riv. dir. civ., 2008, I, 92; Id., Il sinallagma rovesciato, Milano, 2010, passim ma spec. 145 ss.).

[62] La disciplina della ripetizione dell’indebito è applicata indistintamente dalla giurisprudenza quale conseguenza dell’invalidità e per l’ipotesi della risoluzione, affermando in particolare che «l’art. 2033 c.c., pur essendo formulato con riferimento all’ipotesi del pagamento ab origine indebito, è applicabile per analogia anche alle ipotesi di indebito oggettivo sopravvenuto per essere venuta meno, in dipendenza di qualsiasi ragione, in un momento successivo al pagamento, la causa debendi» (vd. Cass., Sez. un., 9 marzo 2009, n. 5624, in Giust. civ., 2009, I, 836).

[63] Sul punto, vd. C. Pasquinelli, I rimborsi, in Ripetizione dell’indebito a cura di E. Bargelli, nella Nuova giur. di dir. civ. e comm. fondata da W. Bigiavi, Torino, 2014, 449.

[64] Tale impostazione è evidente laddove si consideri che secondo parte della dottrina gli artt. 2037 ss. c.c. «sono […] certamente inapplicabili all’ipotesi di indebita solutio di danaro» (D. Carusi, Le obbligazioni nascenti dalla legge, cit., 215 s.).

[65] Vale la pena ricordare che secondo la giurisprudenza di legittimità «la ripetibilità è condizionata dal contenuto della prestazione e dalla possibilità concreta di ripetizione, secondo le regole dell’art. 2033 e ss. cod. civ., operando altrimenti, ove ne sussistano i presupposti, in mancanza di altra azione, l’azione generale di arricchimento prevista dall’art. 2041 c.c.» (così Cass., 15 aprile 2010, n. 9052, in Giust. civ., 2011, I, 1294 ss., e già in precedenza Cass., 8 novembre 2005, n. 21647, in Contratti, 2006, 552 ss.), da ciò ricavandosi che la natura non ripetibile della prestazione impone l’applicazione della disciplina dell’arricchimento senza causa e non anche della ripetizione dell’indebito.

[66] Tale conclusione non pare argomentabile, come invece sostenuto in dottrina, in base all’art. 2031 c.c. in tema di gestione di affari altrui (vd. A. Barba, Spese (diritto privato), in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, 326), posto che – oltre alla già rilevata eterogeneità funzionale della gestione di affari e del divieto di arricchimento senza causa (vd. retro, nota n. 54) – nella gestione di affari altrui, al fine di ammettere il rimborso delle spese, si richiede unicamente che la gestione sia utilmente iniziata, mentre nella disciplina dell’arricchimento senza causa occorre far riferimento all’arricchimento effettivo (vd. P. Sirena, La gestione di affari altrui, cit., 314 ss.).

[67] Vd. E. Moscati, La problematica delle spese e l’azione di arricchimento, in Id., Studi sull’indebito e sull’arricchimento senza causa, Padova, 2012, 355 s.

[68] C.M. Bianca, Diritto civile. 5. La responsabilità3, Milano, 2021, 313, e nello stesso, già in precedenza, Id., La vendita e la permuta2, in Tratt. dir. civ. it. fondato da F. Vassalli, Torino, 1993, 637 s., 759 ss. e 975 s., rispettivamente con riguardo all’in­validità del contratto di vendita, alla risoluzione della vendita di cosa altrui e alla risoluzione in presenza di vizi e mancanza di qualità della cosa compravenduta. Si tenga a tale ultimo riguardo presente che, superando la limitazione ai rimborsi per «le spese e i pagamenti legittimamente fatti per la vendita» (art. 1493 c.c.), secondo parte della dottrina dovrebbe farsi riferimento all’art. 1150 c.c., con conseguente diritto al rimborso delle spese utili e necessarie, anche nell’ipotesi di risoluzione del contratto di compravendita per vizi, (P. Greco, G. Cottino, Della vendita (art. 1470-1547)2, in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1981, 269), mentre, secondo una diversa impostazione, in tale ipotesi dovrebbero applicarsi analogicamente le norme sulla garanzia contro l’evizione (D. Rubino, La compravendita, in Tratt. dir. civ. comm. diretto da Cicu, Messineo, Milano, 1952, 816).

[69] C.M. Bianca, La vendita, cit., 759 ss., facendo riferimento alla previsione dell’art. 1479 c.c., vi fa rientrare «spese concernenti la redazione dell’atto, la trascrizione, i pesi fiscali, i compensi dovuti a terzi per la conclusione della vendita o per la determinazione delle sue attribuzioni».

[70] P. Sirena, La ripetizione dell’indebito, in Diritto civile diretto da Lipari e Rescigno, II. Obbligazioni, I. Il rapporto obbligatorio, Milano, 2009, 545 s.

[71] Il riferimento è a Corte di Giustizia 3 settembre 2009 (C-489/07), ECLI:EU:C:2009:502, in Contratti, 2010, 355 ss.

[72] Sul punto, vd. M. Rabitti, ABF e LEXITOR: estinzione anticipata e riduzione del costo del credito alla luce del principio di equità integrativa, in dirittobancario.it, richiama «il principio per cui nessuno può essere obbligato, se non per espressa previsione di legge, a rimborsare un costo che è stato sopportato per remunerare l’attività di un terzo».

[73] Al riguardo sembra pertinente il riferimento ad una regola di imputazione coerente con l’efficienza propria dell’analisi economica del diritto sulla cui base distinguere dalle ipotesi in cui può ravvisarsi una asimmetria di potere contrattuale che sottende all’im­posizione dei costi, gli oneri che derivano da «prestazioni esaurite e attribuibili all’iniziativa del consumatore» (vd. M. Natale, Estinzione anticipata nel credito, cit., 101, nota n. 53, il quale richiama la riflessione di R. Pardolesi, Clausole abusive nei contratti dei consumatori. E oltre?, in Foro it., 2014, V, c. 12, che sembra evocare il principio del cheapest cost avoider, sul quale il riferimento imprescindibile è a G. Calabresi, The Cost of Accidents. A Legal and Economic Analysis, New Haven, 1970, passim).

[74] E. Baffi, F. Parisi, Gli effetti della “sentenza Lexitor”, cit., 32, nel rilevare le inefficienze derivanti dalla interpretazione della giurisprudenza europea sul rimborso di tutti i costi, affermano che «Le inefficienze […] potrebbero […] essere limitate rendendo non rimborsabili quelle voci di costo up-front, eventualmente identificate in una normativa integrativa, che non possono essere artificialmente incrementate dai finanziatori».

[75] In proposito, vd. G. Alpa, Il caso Lexitor e l’estinzione anticipata del debito nel rapporto di credito al consumo, in Riv. trim. dir. ec., 2021, 232, il quale ritiene necessario considerare che «le provvigioni eventualmente dovute all’intermediario creditizio scelto dal consumatore sono versate all’intermediario da parte della banca, che se le accolla. La scelta dell’intermediario è rimessa però al consumatore, ed è il consumatore che sceglie di rivolgersi all’intermediario piuttosto che non direttamente all’istituto di credito; istituto di credito potrebbe risparmiare i relativi costi se il consumatore si rivolgesse direttamente ad esso».

[76] L’onere di restituzione, secondo quanto prevede la norma, compete a «le imprese», il che potrebbe indurre a ritenere che con ciò si sia inteso fare riferimento all’assicuratore e non anche al finanziatore, dovendosi tuttavia rilevare che le decisioni dell’ABF hanno tradizionalmente affermato che anche il finanziatore sia tenuto in solido con la compagnia di assicurazione ad effettuare il rimborso del premio non goduto (vd. ABF-Coll. coord. n. 6167 del 22 settembre 2014), soluzione questa da condividere anche in ragione del rilievo che la previsione dell’art. 22, comma 15-quater ss., d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, riprende l’art. 49, regolamento ISVAP n. 35 del 26 maggio 2010, che a sua volta è ispirato alle Linee guida sottoscritte da ABI e ANIA il 22 ottobre 2008 (il rilievo si trova in F. Oliviero, L’anticipato adempimento, cit., 392, nota n. 68), il quale prevede che in caso di estinzione del contratto di assicurazione per effetto dell’estinzione anticipata del finanziamento «il soggetto mutuante restituisce al cliente – sia nel caso in cui il pagamento del premio sia stato anticipato dal mutuante sia nel caso in cui sia stato effettuato direttamente dal cliente nei confronti dell’assicurato – la parte del premio pagato relativo al periodo residuo per il quale il rischio è cessato».

[77] Con riferimento alla rete distributiva, al ricorso a reti esterne di distribuzione e al ruolo degli intermediari del credito, la Delibera 145/2018 della Banca d’Italia, avente ad oggetto “Operazioni di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio o della pensione: Orientamenti di vigilanza”, sottolinea che l’intervento di soggetti nel processo distributivo «assicura capillarità dell’offerta, ma espone gli intermediari a rischi operativi, legali e reputazionali; incide inoltre in misura rilevante sul costo finale del prodotto per il cliente» (§ 39), specificando che «gli intermediari del credito sono tenuti a indicare negli annunci pubblicitari e negli altri documenti destinati ai consumatori a quale titolo operano, entro quali limiti possono svolgere la propria attività e, in particolare, se sono legati da rapporti contrattuali con uno o più finanziatori oppure agiscono in qualità di mediatori convenzionali o non convenzionali» (§ 40) e prevedendo che «Qualora il mediatore creditizio richieda al consumatore un corrispettivo per i suoi servizi il compenso è comunicato al consumatore e costituisce oggetto di accordo scritto su supporto cartaceo o su altro supporto durevole, prima della conclusione del contatto di credito nel rispetto delle previsioni di cui alla Sezione VIII delle Disposizioni» (§ 42).

[78] Così, al fine di escludere la possibilità di riferirsi utilmente agli artt. 1149 e 1150 c.c. e riferirsi alla disciplina dell’ar­ricchimento senza causa, G. Liace, Il credito al consumo, cit., 150, il quale afferma che «normativamente è prevista la non rimborsabilità delle spese necessarie come quelle notarili e le imposte».

[79] Corte di Giustizia 11 settembre 2019 (C-383/2018), cit., § 31.

[80] In questo senso suscita non poche perplessità la previsione contenuta nella nuova formulazione dell’art. 125-sexies, comma 3, TUB laddove prevede che, in mancanza di diversa pattuizione tra finanziatore e intermediario del credito, il primo abbia diritto di regresso nei confronti del secondo per la quota rimborsata al consumatore a titolo di costi di intermediazione, previsione questa che risulta asistematica e difficilmente giustificabile (vd. U. Malvagna, L’estinzione anticipata, cit., 58-60).