Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Tecniche civilistiche di tutela del lavoro autonomo e divieto di abuso di dipendenza economica (di Stefano Gatti, Ricercatore di Diritto privato – Università degli Studi di Verona)


Il panorama delle norme di diritto privato a tutela dei contraenti deboli si è recentemente arricchito della disciplina di protezione del lavoratore autonomo. In un’area di confine tra il diritto civile e il diritto del lavoro, la legge n. 81/2017 (c.d. Jobs Act del lavoro autonomo) estende l’applicazione di diverse norme speciali di diritto civile che regolano i rapporti tra imprese e, secondo uno schema ormai ricorrente, individua alcune clausole che, nei contratti di cui è parte il lavoratore autonomo, devono ritenersi abusive e dunque inefficaci. Le norme del Jobs act del 2017, unitamente a quelle dettate dall’art. 13-bis l. n. 247/2012, a favore degli avvocati e degli altri professionisti nei rapporti con grandi imprese, danno forma ad un quadro stratificato di tutele. Questo contributo si propone di esaminare i diversi ambiti di applicazione delle nuove norme e si interroga sulla portata innovativa e sulla concreta effettività della protezione offerta dal diritto civile al lavoratore autonomo, alla luce delle specifiche esigenze di tutela questo soggetto (molte delle quali evidenti nella paradigmatica figura del lavoratore della cultura). Particolare attenzione è rivolta al significato del richiamo del divieto di abuso di dipendenza economica (art. 3, comma 4, l. n. 81/2017) e al problema, avvertito anche nei rapporti in cui è parte il lavoratore autonomo, dell’abuso che consiste nell’imposizione di un compenso iniquo.

Parole chiave: Lavoro autonomo – Tutela del contraente debole nei rapporti asimmetrici – Divieto di abuso di dipendenza economica – Self-employment – Protection of the weaker party in asymmetrical contractual relationships – Prohibition of abuse of economic dependence.

Civil law tools for the protection of self-employment and the prohibition of abuse of economic dependence

The landscape of private law rules protecting weaker parties in contractual relationships has recently been enriched by the regulation defending the interests of self-employed workers. In a borderline area between civil law and labor law, Law No. 81/2017 (the so-called Jobs Act of self-employment) extends the application of several special civil law rules governing business-to-business relations. Moreover, following a now-recurring pattern, the law identifies certain clauses that, in contracts to which the self-employed worker is a party, must be deemed unfair and therefore ineffective. The rules of the Jobs act of 2017, together with those laid down in Art. 13-bis of Law No. 247/2012 in favor of lawyers and other professionals parties to transactions with large companies, shape a layered framework of protections. This paper aims to examine the different scopes of application of the new rules and questions the innovative meaning and practical effectiveness of the protection offered by civil law to self-employed workers, in light of the specific needs of these individuals (many of these needs are evident in the paradigmatic figure of the self-employed worker in the field of culture). The study focuses in particular on the meaning of the reference in Article 3(4) of Law No. 81/2017 to the prohibition of abuse of economic dependence and addresses the problem, which also affects contracts to which the self-employed worker is a party, of abuses consisting in the imposition of unfair compensation.

Keywords: Civil law tools for the protection of self-employment and the prohibition of abuse of economic dependence.

SOMMARIO:

1. Le tutele civilistiche del lavoro autonomo nella l. 81/2017 - 2. L’ambito di applicazione dell’art. 9 l. n. 192/1998 - 3. La «dipendenza economica» e l’«abuso» quali presupposti della tutela dell’art. 9 l. subf. e il problema della loro rilevanza nelle declinazioni settoriali del divieto, quale quella a favore dei lavoratori autonomi - 4. Segue. Declinazioni settoriali del divieto di abuso di dipendenza economica e intersezioni con altre discipline che tutelano il contraente debole - 5. Una tutela civilistica composita del lavoratore autonomo. La tutela contro le clausole vessatorie - 6. Segue. Carattere integrativo e non sostitutivo della tutela rispetto alla disciplina codicistica: in particolare, il «congruo preavviso» per il recesso nei contratti «aventi ad oggetto una prestazione continuativa» - 7. Il divieto di abuso di dipendenza economica del lavoratore autonomo - 8. La questione dei rimedi all’abuso di dipendenza economica: in particolare, all’abuso che consiste nell’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose - 9. Considerazioni conclusive: sull’effettività delle tutele, alla luce delle peculiarità delle singole categorie (con uno sguardo rivolto ai lavoratori della cultura) - NOTE


1. Le tutele civilistiche del lavoro autonomo nella l. 81/2017

È noto come, negli ultimi decenni, il diritto privato patrimoniale abbia sviluppato una crescente sensibilità verso i rapporti negoziali asimmetrici: su impulso del diritto eurounitario, ma anche su iniziativa del legislatore interno, è andato così progressivamente incrinandosi il dogma dell’intangibilità delle scelte dei contraenti («qui dit contractuel dit juste») [1]. La legislazione speciale, pur con tecniche differenti, ha moltiplicato le occasioni di un controllo esterno sul contenuto del negozio: si tratta di ipotesi, che, seppure eterogenee, risultano però tutte accomunate dal­l’esigenza di porre un limite, contenutistico o di procedimento, alla libertà negoziale in contesti asimmetrici. L’attenzione si è anzitutto concentrata sui rapporti tra consumatore e professionista (B2C), specialmente grazie all’impulso delle direttive europee (c.d. «secondo contratto»); di lì a poco, sono però fiorite altresì disposizioni che, in modo più puntiforme, si occupano dei contratti conclusi con imprese in posizione di debolezza contrattuale (B2B: si tratta del c.d. «terzo contratto») [2]. La massima espressione della tutela consumeristica è senza dubbio la tutela contro le clausole vessatorie, a cui si accompagna lo statuto della nullità di protezione [3]; la disciplina di questa forma di invalidità (parziale e “a vantaggio” esclusivo della parte protetta) è divenuta un punto di riferimento obbligato per la riflessione anche nel contesto dei rapporti tra imprese. Il diritto privato dei contraenti deboli ha infine conosciuto due linee di evoluzione ulteriore: la prima, tesa a intercettare le più recenti epifanie dell’asimmetria nel mercato digitale [4]; la seconda, volta ad estendere progressivamente l’ambito di applicazione dei meccanismi protettivi sperimentati in altri contesti caratterizzati da squilibri di forza suscettibili di tradursi in abusi della parte forte. In questo secondo filone rientrano le tutele civilistiche dei lavoratori autonomi, delineate dagli articoli 2 e 3 della l. 22 maggio 2017, n. 81 (c.d. Jobs Act degli autonomi), oltre che dalla più dettagliata (ma, ad un tempo, più circoscritta) disciplina dell’art. 13-bis l. 31 dicembre 2012, n. 247, introdotto dal d.l. 16 ottobre 2017, n. 148, [continua ..]


2. L’ambito di applicazione dell’art. 9 l. n. 192/1998

Mettere a fuoco l’ambito di applicazione dell’art. 9 l. subf. è un’operazione complessa, anche se si limita l’attenzione sul solo perimetro originario della norma e non si considerano, dunque, né le successive estensioni normative, quale è quella operata dalla l. n. 81/2017, né le ulteriori disposizioni che ne costituiscono particolari applicazioni in settori specifici [12]. La ragione di questa complessità può essere intuita ripercorrendo la travagliata genesi del divieto [13], largamente influenzata dalla doppia anima della previsione, la quale, ad un tempo, risponde ad esigenze di regolazione della concorrenza e introduce, nel contesto delle relazioni commerciali tra imprese, un limite funzionale ad evitare che le disparità di forza contrattuale si traducano in condizioni irragionevolmente pregiudizievoli per la parte debole [14]. L’attuale previsione è inserita nella disciplina del contratto di subfornitura (l. n. 192/1998), espressione, questa, che non indica un tipo contrattuale, ma una categoria transtipica: si intende, cioè, che, a prescindere dal contratto concretamente concluso (ad es., vendita, somministrazione, appalto, contratto d’opera), qualora il negozio risponda alla definizione di cui all’art. 1, l. cit. [15], ad esso si applicheranno anche le regole della subfornitura, protettive nei confronti dell’impresa fornitrice [16]. All’interno di questa disciplina, il dettato dell’art. 9 si caratterizza per una vocazione ancora più espansiva. Anche seguendo la più risalente e restrittiva posizione giurisprudenziale, che appunto limitava l’ambito di applicazione del divieto alle sole fattispecie di abuso inquadrabili entro la definizione di subfornitura [17], il dato letterale imponeva di riconoscere, a differenza delle altre disposizioni della legge, la bidirezionalità della tutela, atteso che la formulazione indica inequivocabilmente che anche l’impresa «cliente» (e dunque la «committente», in base alla definizione dell’art. 1, l. cit.) possa rivestire, nella concreta relazione contrattuale, il ruolo di parte debole [18]. Lo stesso dato letterale – che discorre più genericamente di imprese «clienti» e «fornitrici» – ha ben presto offerto il destro alla lettura, divenuta [continua ..]


3. La «dipendenza economica» e l’«abuso» quali presupposti della tutela dell’art. 9 l. subf. e il problema della loro rilevanza nelle declinazioni settoriali del divieto, quale quella a favore dei lavoratori autonomi

L’art. 9 l. subf. sanziona l’abuso, nell’ambito di una relazione tra imprese, della dipendenza economica dell’una, in posizione di “dominanza relativa” nei confronti dell’altra. Lo stato in cui si trova l’impresa abusata, la «dipendenza economica», è dirimente, poiché definisce il tipo di debolezza che il legislatore ha voluto prendere in considerazione a fini protettivi. Comprendere cosa essa significhi è dunque necessario anche per delineare la tutela che lo stesso legislatore ha inteso offrire estendendo la norma – o, se si accoglie la lettura qui preferita, ribadendone l’applicabilità – ai lavoratori autonomi. È imprescindibile muovere dal tenore letterale dell’art. 9, comma 1, cit., che, nei periodi secondo e terzo, si preoccupa di precisare che la dipendenza economica consiste in quella situazione in cui un’impresa risulta «in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi». Come è agevole rilevare, dunque, non importa che, in concreto, le condizioni contrattuali siano effettivamente squilibrate: quello che conta è che la posizione di forza di una delle imprese sia tale da poterle imporre in modo sostanzialmente unilaterale. Di qui si giustifica il prosieguo della disposizione, secondo cui «la dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti». Questo secondo criterio ha il duplice obiettivo di spiegare la ragione per la quale un soggetto economico non è effettivamente in grado di opporsi all’abuso (se si tratta di condizioni contrattuali, queste producono effetto in forza dell’accordo e quindi grazie al consenso che lo stesso abusato ha manifestato) e di indicare all’interessato l’elemento di fatto su cui profondere lo sforzo probatorio per dimostrare il presupposto della tutela [32]. Per questa ragione, nonostante l’indubbia ambiguità della formulazione normativa – che, specialmente con la congiunzione «anche», sembra sottendere l’idea che quello indicato rappresenti solo un parametro ausiliario –, dottrina e giurisprudenza hanno considerato il criterio dell’assenza di “alternative [continua ..]


4. Segue. Declinazioni settoriali del divieto di abuso di dipendenza economica e intersezioni con altre discipline che tutelano il contraente debole

Le difficoltà probatorie intrinseche ad entrambi gli elementi della fattispecie di abuso di dipendenza economica ha indotto il legislatore ad intervenire in due direzioni, arricchendo il panorama normativo di declinazioni settoriali della regola, con l’obiettivo di una maggiore effettività della tutela offerta [38]. Da un lato, la situazione di debolezza è stata sostanzialmente presunta per alcune categorie di relazioni commerciali, dove questa condizione è strutturale per talune tipologie di impresa e, dall’altro, sono stati stilati elenchi di ipotesi (pratiche o clausole) che configurano senz’altro un abuso, così contribuendo anche a delinearne più precisamente il significato. È accaduto, ad esempio, nell’ambito della filiera agricola e alimentare, con riguardo alla quale l’art. 62 d.l. 1/2012 ha stabilito, precorrendo il successivo intervento europeo, il divieto di talune pratiche (nonostante l’elenco si chiuda con una clausola aperta, idonea a ricomprendere anche altre ipotesi non specificamente contemplate), sollevando ad un tempo l’impresa vittima dall’onere di dimostrare il suo stato di dipendenza economica [39]. Un analogo percorso è stato seguito per il lavoro autonomo non imprenditoriale: l’art. 3, comma 1, l. n. 81/2017 contempla infatti una lista di clausole che «si considerano abusive» e la tutela contro di esse – che si risolve nella loro inefficacia, oltre al diritto al risarcimento del danno – prescinde dalla dimostrazione da parte dell’interessato di una situazione di soggezione economica. Su questa disciplina di settore si innestano però due ulteriori complicazioni. In primo luogo, l’art. 3 cit., come si è visto, dopo avere concretizzato il divieto di abuso in alcune clausole, ha altresì previsto, al comma 4, l’applicabilità, in quanto compatibile, della fattispecie generale dell’art. 9 l. n. 192/1998, instillando così il dubbio se, anche per quest’ultima, operi una presunzione e, nel caso, se essa qui ammetta oppure no la prova contraria. In secondo luogo, l’elenco di clausole e lo statuto della loro inefficacia, va coordinato con la nullità di protezione disposta dall’art. 13-bis l. n. 247/2012 per un più ampio elenco di pattuizioni, allorché siano contenute in convenzioni che regolano i [continua ..]


5. Una tutela civilistica composita del lavoratore autonomo. La tutela contro le clausole vessatorie

L’intreccio di disposizioni anima una tutela civilistica del lavoratore autonomo strutturata su diversi livelli, suscettibili di intersecarsi tra loro, a seconda della situazione in cui questo si trova. Al lavoratore autonomo che svolga un’attività professionale nei confronti di grandi imprese sulla base di convenzioni con queste stipulate, si applica, in aggiunta alle tutele della l. n. 81/2017, la disciplina dell’art. 13-bis citato, sopra illustrata per cenni [41]. La compatibilità di questa tutela con quella, di base, prevista dal c.d. Jobs Act autonomi, è confermata dallo stesso legislatore, nella misura in cui, pur avendola congegnata per gli avvocati, la ha estesa a tutti i professionisti di cui all’art. 1 della l. n. 81/2017. Le due discipline, dunque, si integrano, e, in taluni casi, si sovrappongono [42]. La novità più significativa della disciplina dell’art. 13-bis cit. consiste nella specifica attenzione al compenso del professionista, considerato in una posizione di debolezza per il solo fatto di intrattenere la relazione economica con una grande impresa: l’iniquità del corrispettivo, infatti, può dare luogo ad un giudizio di vessatorietà della relativa clausola – purché inserita nelle convenzioni di cui si è detto – e quindi alla sua nullità, con la previsione espressa di un intervento integrativo del giudice, basato sui parametri ministeriali [43]. Al di là dei casi in cui si applica la disciplina appena vista, le clausole inefficaci sono solo quelle elencate nell’art. 3, comma 1, l. n. 81/2017. L’inefficacia, peraltro, prescinde dal tipo di contratto stipulato con il committente e dal modo in cui, concretamente, è stato pattuito [44]. Alla tutela che attiene agli effetti della clausola, si accompagna il diritto al risarcimento del danno (art. 3, comma 3, cit.). Come già si è visto, la disposizione in esame sembra disinteressarsi della situazione di effettiva debolezza in cui si trovi il lavoratore autonomo, sì che le prospettive che si aprono all’interprete sono due: a) ritenere che il legislatore abbia preso le mosse da una valutazione strutturale del mercato e che, dunque, abbia presunto in posizione di inferiorità il lavoratore autonomo, sollevandolo dal corrispondente onere della prova [45]; oppure b) argomentare da una tale [continua ..]


6. Segue. Carattere integrativo e non sostitutivo della tutela rispetto alla disciplina codicistica: in particolare, il «congruo preavviso» per il recesso nei contratti «aventi ad oggetto una prestazione continuativa»

Un’ulteriore conferma della ricostruzione proposta, la quale, in concreto, limita la disposta inefficacia delle clausole ex art. 3 ai soli contratti tra soggetti in posizione di forza diseguale, si può cogliere dalla previsione secondo cui è abusiva la clausola che riserva al committente la facoltà di recedere senza «congruo preavviso» dal contratto di lavoro autonomo che abbia «ad oggetto una prestazione continuativa». Dalla norma possono ricavarsi due regole: da un lato, l’inefficacia della clausola in questione e, dall’altro, l’illegittimità del recesso esercitato senza preavviso, da cui consegue il risarcimento del danno, secondo quanto prevede l’art. 3, comma 3, l. n. 81/2017. Queste regole integrano, senza sostituirle, le discipline dello scioglimento unilaterale del contratto contenute nei vari schemi tipici riconducibili al lavoro autonomo [53]. Come è stato osservato, tali discipline risultano già espressione di un equilibrato bilanciamento tra i contrapposti interessi dei contraenti, immaginati, però, su un piano di sostanziale parità: assumendo a parametro della riflessione il contratto d’opera, ad esempio, la facoltà di recesso ad nutum del committente, prevista dagli artt. 2227 e 2237 cod. civ., è compensata con il diritto del prestatore ad un indennizzo, giustificato alla luce dell’attività prodromica all’adempimento [54]. È dubbio, invero, che queste norme condividano il proprio campo di applicazione con l’art. 3, comma 1, cit., in quanto esse, sancendo una deroga all’art. 1373, comma 1, cod. civ., sembrano riferirsi a contratti ad esecuzione istantanea, per quanto la prestazione richieda un certo lavoro preparatorio e, dunque, un certo tempo: si parla, per queste ipotesi, di contratti ad esecuzione «prolungata», fattispecie ben distinte da quelle ad esecuzione «continuata» o «periodica» [55]. L’onere procedimentale del preavviso «congruo», che nulla aggiunge rispetto ai presupposti perché sorga la facoltà di recedere (che rimane ad nutum), non sembra giustificarsi per queste ipotesi, dove la prestazione è unitaria: in ciò si spiega la precisazione contenuta dell’art. 3, comma 1, l. n. 81/2017, che limita la considerazione ai contratti di lavoro autonomo aventi ad oggetto [continua ..]


7. Il divieto di abuso di dipendenza economica del lavoratore autonomo

Ci si potrebbe domandare se la presunzione di debolezza che giustifica la nullità delle clausole abusive operi anche al fine di sollevare il lavoratore autonomo dalla prova dello stato di dipendenza economica al­lorché lamenti un abuso dell’impresa committente ed invochi dunque le tutele dell’art. 9 l. n. 192/1998, richiamato dall’art. 3, comma 4, l. n. 81/2017. Un tale esito interpretativo avrebbe senz’altro il merito di assegnare un reale significato innovativo (rispetto all’ordinamento previgente) a questa disposizione. Sembra tuttavia da preferirsi la risposta negativa, sulla base del concorso di due argomenti, di ordine logico, prima ancora che giuridico: come si è visto, il legislatore pare presumere con riguardo all’elenco di clausole dell’art. 3, comma 1, cit. uno stato di debolezza che non sfocia necessariamente in una dipendenza economica, forma di asimmetria, questa, più grave, che legittima l’applicazione di una fattispecie dai contenuti elastici (un “abuso”) [61]. La presunzione ha dunque ad oggetto un quid minus rispetto alla dipendenza economica, la quale, dando invece accesso ad una tutela più ampia (in relazione alle condotte e alle clausole che possono dirsi “abusive”), dovrà essere dimostrata dall’interessato (anche sulla base di presunzioni, le quali, però, in questo caso, sono da intendersi presunzioni semplici, mezzi critici di prova ai sensi dell’art. 2729 cod. civ.). Del resto, una simile ricostruzione trova conferma nella tecnica legislativa di rinvio alla norma di divieto, che, in assenza di ulteriori specificazioni, deve intendersi richiamata anche nei suoi presupposti di fatto [62]. Il richiamo ad una norma che regola i rapporti tra imprese e che, come attesta la sua collocazione nella l. n. 192/1998, è preordinata a regolare un contesto asimmetrico il cui paradigma è l’integrazione verticale di beni e servizi forniti da una parte nel processo produttivo dell’altra [63] solleva l’interrogativo di comprendere come il presupposto della dipendenza economica, maturato in quel contesto, si relazioni con la condizione di debolezza che può caratterizzare il lavoro autonomo [64]. Occorre prendere atto che il legislatore non ha confezionato una declinazione settoriale del divieto di abuso di dipendenza economica, ma si è limitato ad [continua ..]


8. La questione dei rimedi all’abuso di dipendenza economica: in particolare, all’abuso che consiste nell’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose

Il tema dei rimedi si intreccia strettamente al tipo di abusi in cui può concretizzarsi la condotta, vietata, di chi approfitti dell’altrui stato di dipendenza economica. Comune ad ogni fattispecie d’abuso è senz’altro il risarcimento del danno; si profila altresì, per i casi in cui si tratti di un comportamento tenuto in modo prolungato, la strada dell’inibitoria. L’effettività della tutela dipende però dall’esistenza di strumenti che consentano altresì di rimediare in forma specifica all’abuso, ossia di eliminarne le conseguenze sul piano giuridico. Paradigmatici sono i casi in cui questo trovi cristallizzazione nel contratto. In alcuni casi, appare sufficiente privare di effetti l’atto abusivo: ne costituisce un esempio l’invalidità del patto che attribuisca al committente la facoltà di modificare unilateralmente il contratto. La clausola è nulla e, dunque, l’atto unilaterale esercizio dello ius variandi inefficace. Con riguardo all’interruzione arbitraria della relazione economica, la privazione degli effetti della clausola contrattuale che eventualmente [71] la consentiva, rende illegittimo l’esercizio del recesso, con conseguenze che muteranno a seconda della disciplina del tipo contrattuale [72]. In generale, può ritenersi che l’invalidità della clausola determini la riespansione del diritto dispositivo, ossia di quelle norme che avrebbero trovato applicazione sin dal principio se il profilo non fosse regolato dalla clausola abusiva. Più problematico è quando l’abuso consista nell’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose in relazione all’equilibrio economico del contratto [73]. Rilevante è ad esempio l’ipotesi, su cui qui di seguito ci soffermeremo, di un compenso iniquo [74]. La riflessione può essere subito calata nel contesto del lavoro autonomo. Come si è ricordato, l’iniquità del corrispettivo pattuito nell’ambito di una convenzione tra un professionista e una grande impresa può dare luogo, per espressa previsione di legge, ad un giudizio di vessatorietà della clausola e, in aggiunta, ad un intervento del giudice, volto a rideterminarlo «tenendo conto dei parametri» ministeriali. Fuori dall’ambito di applicazione dell’art. [continua ..]


9. Considerazioni conclusive: sull’effettività delle tutele, alla luce delle peculiarità delle singole categorie (con uno sguardo rivolto ai lavoratori della cultura)

L’estensione di alcuni strumenti elaborati dall’avanguardia del diritto civile contemporaneo, sensibile alle asimmetrie informative o economiche che alterano il libero gioco degli scambi, può essere considerato un sicuro passo in avanti nella tutela del lavoro autonomo c.d. genuino [89]. Qui, la contaminazione, che percorre tutto il diritto privato dei contraenti deboli, tra la tutela della libertà negoziale e le istanze della concorrenza, si arricchisce ulteriormente, dovendo prendere in considerazione le esigenze di protezione della persona dalla prospettiva costituzionalmente rilevante del lavoro. La tecnica della l. n. 81/2017, che combina norme ad hoc per i contratti del lavoratore autonomo con il rinvio a discipline che attengono ai rapporti tra imprese, consegna all’interprete alcuni nodi da sciogliere, ma tempera, dall’altro lato, l’universalismo della protezione, su cui si appuntano le critiche di molti commenti (v. supra, par. 5). Si delinea, infatti, una struttura di tutela per cerchi concentrici. Infatti, come si è visto, della regola-rinvio sui termini di pagamento, di cui all’art. 2 l. cit., possono avvantaggiarsi tutti i lavoratori autonomi; diversamente, l’art. 3 l. cit., nel considerare nulle talune clausole e abusivo il rifiuto di stipulare il contratto in forma scritta, muove dal presupposto – almeno secondo la ricostruzione qui sostenuta – che sussista una asimmetria tra le parti; della più pervasiva protezione offerta dal divieto di abuso di dipendenza economica potranno invece giovarsi solo quei lavoratori che dimostrino di trovarsi in questa condizione. Su questo quadro, si innesta l’art. 13-bis, l. n. 247/2012, il quale trova sì applicazione a prescindere dalla dipendenza economica – ritenuta in re ipsa in considerazione del potere negoziale di determinate categorie di imprese committenti –, ma incide su un fascio di rapporti limitato alla luce di criteri soggettivi (rapporti tra professionisti con c.d. “grandi imprese”) e oggettivi (rapporti regolati da «convenzioni unilateralmente imposte»). Il sistema delle tutele civilistiche trova però un sostanziale punto debole nel rischio di scarsa effettività, sul lato pratico. Concentrandosi sugli abusi contrattuali, su cui abbiamo soffermato in via prevalente l’attenzione in questo contributo, ritroviamo le criticità [continua ..]


NOTE