Il contributo muove dall’analisi di una vicenda, piuttosto frequente nella prassi, in cui il contraente al quale sia stata in precedenza versata una caparra confirmatoria si sia reso inadempiente alle obbligazioni assunte (e garantite dalla caparra) e, tuttavia, abbia restituito prontamente e spontaneamente la caparra medesima all’altro contraente, il quale l’abbia a sua volta ricevuta in restituzione senza sollevare riserve. Occorre chiedersi, infatti, quale sia il significato giuridico da attribuire ai comportamenti tenuti dalle parti in simili circostanze e, in particolare, se essi siano in grado di incidere sull’efficacia del patto di caparra, dando luogo all’estinzione dei diritti da esso nascenti.
La predetta fattispecie consente inoltre di interrogarsi riguardo all’esistenza, nel nostro ordinamento, di un più generale principio in forza del quale, affinché un comportamento concludente sia in grado di incidere, estinguendola, sulla posizione giuridica cui si riferisce, si impone la inequivocità del comportamento medesimo, come riflesso, a sua volta, della necessaria inequivocità della volontà estintiva che lo stesso dev’essere in grado di rappresentare.
Parole chiave: Caparra confirmatoria – restituzione della caparra – scioglimento del patto di caparra per mutuo dissenso – forma del patto di caparra – forma dell’accordo risolutorio del patto di caparra – restituzione della caparra e remissione del debito – efficacia estintiva dei comportamenti concludenti.
The paper is based on the analysis of a case, rather frequent, in which the party to whom a down payment has been previously paid defaults on the obligations undertaken (and guaranteed by the down payment) and nevertheless, promptly and spontaneously returns the deposit to the other party, who in turn receives it without raising any objections. The question arises as to the legal significance of the conduct of the parties in such circumstances and, in particular, whether it is capable of affecting the effectiveness of the down payment agreement by giving rise to the extinction of the related rights.
The aforementioned case also makes it possible to question the existence, in our legal system, of a more general principle under which, for a conclusive conduct to be capable of affecting, by extinguishing it, the legal position to which it refers, the conduct itself must be unequivocal, as a reflection of the necessary unambiguity of the extinguishing intention that it should represent.
Keywords: Down payment - return of the down payment - dissolution of the down payment agreement by mutual disagreement - form of the down payment agreement - form of the agreement terminating the down payment contract - return of the down payment and remission of the debt - extinguishing effect of conclusive conducts.
1. Introduzione - 2. Le molteplici funzioni della caparra confirmatoria - 3. La ricezione in restituzione della caparra versata e l’ipotesi del mutuo consenso allo scioglimento del patto di caparra: il problema della forma dell’accordo risolutorio del patto medesimo - 4. Segue. Lo scioglimento del patto di caparra per facta concludentia - 5. Segue. L’ipotesi della tacita remissione del debito - 6. Conclusioni - NOTE
Pur nella concisione del dato normativo, la disciplina della caparra confirmatoria consegnataci dal codice civile si apprezza per la sua capacità di delineare in modo nitido il complesso sistema di funzioni che è proprio di questo istituto, unitamente all’articolato apparato rimediale che vi è ricollegato. Ciò nondimeno, nessuna precisa indicazione si può in essa rinvenire riguardo al trattamento giuridico da riservare ad una vicenda piuttosto frequente nella prassi, al corretto inquadramento della quale possono peraltro soccorrere principi e nozioni fondamentali ricavabili dalla teoria generale del negozio giuridico e dell’obbligazione. Ci riferiamo all’ipotesi in cui il contraente al quale sia stata in precedenza versata la caparra confirmatoria si renda inadempiente alle obbligazioni assunte (e garantite dalla caparra) e, tuttavia, restituisca prontamente e spontaneamente la caparra medesima all’altro contraente, il quale la riceva a sua volta in restituzione senza sollevare riserve. Ci si chiede, in particolare, se i comportamenti tenuti dalle parti in simili circostanze siano in grado di incidere sull’efficacia stessa del patto di caparra e se possano, di conseguenza, dare luogo all’estinzione dei diritti nascenti dal patto stesso, in particolare in danno di colui che, con inerzia, si sia limitato a ricevere, senza nulla eccepire, la somma restituitagli. Attorno a codesta vicenda, che – pur con alcune variazioni – è sovente al vaglio della giurisprudenza [1], si agitano almeno tre questioni giuridiche di fondo. In primo luogo, occorre chiedersi se la restituzione della caparra confirmatoria, con la relativa ricezione da parte di chi l’aveva precedentemente versata, possa implicare la risoluzione per mutuo dissenso del patto di caparra, nella specie per facta concludentia. Come si vedrà, la soluzione di siffatto interrogativo presuppone, sul piano logico-argomentativo, l’analisi di un’altra questione, che riguarda l’accordo risolutorio del patto di caparra, ovvero se l’accordo in parola, qualora la caparra acceda ad un contratto per il quale è prevista la forma scritta ad substantiam, debba anch’esso rivestire la forma scritta. Da ultimo, e in alternativa rispetto alla ricostruzione in termini di mutuo dissenso, si tratta di valutare se, spostando l’attenzione sulle singole obbligazioni [continua ..]
Ai fini del presente discorso è utile, in premessa, ripercorrere brevemente e per sommi capi i tratti distintivi e salienti della caparra confirmatoria, nonché le principali funzioni che ad essa si accompagnano. A definire il quadro è la configurazione che, come noto, ne offre il codice civile, lì dove la definisce come una somma di denaro o una quantità di cose fungibili che una parte dà a garanzia dell’esecuzione del contratto, con l’intesa che, in caso di suo inadempimento, l’altra parte possa recedere dal contratto e trattenere definitivamente la somma o le cose ricevute oppure, se è inadempiente la parte che ha ricevuto la caparra, l’altro contraente possa recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra versata [2]. Per diffusa opinione l’accordo che ne sta alla base rappresenta un patto di natura contrattuale [3], reale [4] e ad effetti reali [5], accessorio rispetto al negozio principale al quale si riferisce [6]. Tuttavia, all’unitarietà che contraddistingue la caparra sul piano definitorio non corrisponde in modo speculare una configurazione unitaria del patto anche sul versante funzionale. Da tempo le Corti ne proclamano, infatti, la natura composita e la funzione eclettica, rammentando come, oltre alla già menzionata finalità di garanzia dell’esecuzione del contratto, la caparra assolva anche alla duplice funzione di autotutela per la parte fedele, a cui essa conferisce la facoltà di recedere dal contratto anche in via stragiudiziale, e di predeterminazione del pregiudizio, mediante la forfetizzazione del danno derivante dal recesso in parola [7]. Se ne esclude, invece, il carattere punitivo [8], così come la precipua rilevanza sul piano probatorio [9]. Nonostante il tenore letterale della norma – che discorre di «recesso» –, si ritiene che il legislatore, all’art. 1385, comma 2, cod. civ., abbia voluto introdurre una vera e propria ipotesi di risoluzione di diritto del contratto per inadempimento, con la conseguenza che l’inadempimento che legittima tale recesso deve avere le stesse caratteristiche – riguardo ad imputabilità e gravità – richieste per la risoluzione (giudiziale) per inadempimento [10]. Del resto, è appena il caso di rammentare che il recesso propriamente inteso, sia esso [continua ..]
Ai fini della presente indagine si pone, in primo luogo, la questione se la restituzione della caparra confirmatoria, con la relativa accettazione da parte di chi l’aveva precedentemente versata, possa integrare una risoluzione per mutuo dissenso del patto di caparra, facendo così venire meno anche tutti i diritti previsti dal patto medesimo. Si tratterebbe, nel caso di specie, di uno scioglimento del rapporto contrattuale per facta concludentia, come tale desumibile nella sua interezza dal modo in cui si atteggiano i comportamenti delle parti. A tale proposito, prima di riflettere sul significato concludente delle condotte dei contraenti, pare opportuno indagare in via preliminare una questione che potrebbe, invero, rivestire carattere assorbente rispetto all’altra, ossia quella relativa alla forma che deve rivestire il contratto risolutorio del patto di caparra, specialmente nell’ipotesi – assai frequente – in cui la caparra acceda ad un contratto per il quale è prevista la forma scritta ad substantiam [14]. Se, infatti, la soluzione da prediligersi riguardo a questo interrogativo fosse quella per la quale si impone un determinato vincolo di forma per la stipula del predetto accordo risolutorio, va da sé che verrebbe ad escludersi ab origine qualsivoglia possibilità di una risoluzione del patto di caparra per il solo fatto materiale della ricezione in restituzione della caparra stessa, ciò che toglierebbe pertanto spazio, perlomeno sotto questo profilo, all’ipotesi di inquadramento di cui qui si discorre. Muovendo dalla diffusa ricostruzione dei criteri che – a partire dal generale principio di libertà della forma [15] – governano la disciplina della forma del contratto, non pare revocabile in dubbio che per il mutuo dissenso, ovverosia l’accordo mediante il quale le parti estinguono un precedente contratto [16], non si impone di regola alcun requisito di forma, con la conseguenza che l’accordo risolutorio ben può risultare anche da comportamenti concludenti. Sfuggono, tuttavia, a questo criterio le ipotesi in cui la risoluzione attenga ad un contratto per il quale è prescritta una determinata forma ad substantiam. È, infatti, plausibile ritenere che il vincolo formale legislativamente prescritto per i contratti elencati all’art. 1350 cod. civ. riguardi, in via di interpretazione estensiva, anche [continua ..]
Se è vero, quindi, che lo scioglimento del patto di caparra ben può verificarsi anche per facta concludentia, occorre a questo punto soffermarsi sui requisiti che il comportamento delle parti deve possedere affinché si possa sostenere che una simile fattispecie risolutoria si sia perfezionata. È un dato ormai diffuso, e sul quale non v’è ragione di dubitare, quello per cui, in assenza di una manifestazione di volontà da parte dei contraenti, la predetta risoluzione possa avvenire solo lì dove il comportamento delle parti sia tale da disvelare in modo certo, chiaro ed inequivoco l’intento di estinguere il rapporto negoziale [24]. Diversamente ragionando, ossia ammettendo che un così dirompente effetto demolitorio possa riconnettersi ad una volontà cristallizzata in condotte non univoche, si rischierebbe, infatti, di minare sensibilmente la stabilità dei rapporti contrattuali e delle obbligazioni che in tali rapporti trovano la loro fonte; senza contare, poi, l’evidente frattura che verrebbe a crearsi all’interno del sistema nel dare spazio ad una soluzione interpretativa, quale è quella qui criticata, che diametralmente confligge con il generale principio di conservazione del contratto [25]. Sulla base di tali premesse non sembra quindi possibile desumere dalla “mera” restituzione della caparra precedentemente versata, quand’anche ricevuta dall’altro contraente, una inequivoca volontà risolutoria [26]. La ricezione in restituzione della caparra, infatti, è sotto questo punto di vista un comportamento neutro, che di per sé non pregiudica i diritti delle parti scaturenti dalla caparra medesima e a cui possono essere sottese le più diverse e insondabili ragioni. Condivisibile risulta, pertanto, la linea interpretativa sulla quale sembra ormai essersi assestata la giurisprudenza di legittimità [27], lì dove – ripercorrendo, seppur non del tutto consapevolmente, le direttrici di un orientamento giurisprudenziale assai più remoto [28]–, afferma che anche a seguito della spontanea restituzione della caparra da parte di chi l’aveva precedentemente ricevuta, la controparte conserva il diritto di recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra versata. Peraltro, neppure si può affermare, perlomeno di regola e fatti salvi elementi [continua ..]
Nello scenario qui esaminato, rimane tuttavia da indagare un ultimo rilevante profilo, fugacemente sfiorato anche da un già citato, recente, arresto intervenuto sul tema [30]. Spostando l’attenzione dal piano del rapporto contrattuale di caparra a quello riguardante le singole obbligazioni dal medesimo nascenti, occorre, infatti, chiedersi se l’accettazione senza riserve della restituzione della caparra da parte di colui che l’aveva precedentemente versata possa disvelare un intento remissorio di quest’ultimo, volto a estinguere, per remissione del creditore, l’obbligazione avente ad oggetto la corresponsione al contraente fedele del doppio della caparra stessa per inadempimento della controparte. Si tratta, evidentemente, di una questione differente da quella esaminata in precedenza, se solo si considera che una cosa è discorrere della risoluzione consensuale del patto di caparra, che determina l’estinzione di tutte le posizioni giuridiche che accedono al rapporto contrattuale, altra è, invece, interrogarsi circa l’estinzione di singoli effetti giuridici nascenti dal patto medesimo [31]. A ben vedere, neppure una simile ricostruzione può essere accolta con riguardo alla vicenda che si sta indagando, difettando ancora una volta una inequivoca manifestazione di volontà nel senso indicato, imprescindibile affinché possa predicarsi anche siffatta (diversa e più limitata) conseguenza. Vale la pena rammentare in questo contesto che la remissione del debito, quale istituto che si pone come alternativo rispetto al naturale meccanismo di estinzione dell’obbligazione mediante esecuzione della prestazione [32], non esige una forma particolare [33], né richiede che la volontà del creditore sia manifestata in modo espresso. Di conseguenza, anche se la lettera dell’art. 1236 cod. civ. parla di «dichiarazione» [34], nulla vieta che la volontà remissoria possa desumersi tacitamente [35], attraverso comportamenti concludenti [36]. Del resto, un’indiretta conferma dell’ammissibilità di una remissione tacita del debito si rinviene dallo stesso dato normativo, lì dove, nell’art. 1237 cod. civ., circoscrive le ipotesi ove può presumersi una liberazione del debitore a fronte della restituzione volontaria del titolo del credito [37], o, nell’art. 1238 [continua ..]
Le riflessioni qui sviluppate muovendo dalla peculiare fattispecie della ricezione in restituzione della caparra precedentemente versata consentono, in definitiva, di individuare un elemento identificativo che accomuna trasversalmente diverse e molteplici ipotesi, ponendosi come limite generale alla possibilità di perfezionamento per fatti concludenti di fattispecie negoziali con effetti estintivi, siano essi estintivi di singole obbligazioni oppure di un più complesso rapporto contrattuale; non a caso, esso concerne anche entrambe le ricostruzioni che si sono prospettate nel caso oggetto di indagine, tanto la prima, che ragiona di una possibile estinzione dell’intera fattispecie contrattuale del patto di caparra per facta concludentia, quanto la seconda, che indaga la possibile estinzione, per remissione del creditore, di taluni diritti nascenti dal patto medesimo. Ci riferiamo al limite della necessaria inequivocità del comportamento concludente, che è il riflesso, a sua volta, della necessaria inequivocità della volontà estintiva che lo stesso dev’essere in grado di rappresentare affinché possa incidere, estinguendola, sulla posizione giuridica cui si riferisce. Già si è detto che, talvolta, è lo stesso legislatore a imporre la predetta, univoca volontà quale presupposto per il determinarsi di taluni effetti [49]; ma, anche a prescindere da una declamazione del dato normativo, è possibile portare a emersione un più generale principio immanente al nostro ordinamento e desumibile, implicitamente, anche da alcune altre disposizioni. Si pensi, per rimanere entro il perimetro dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, alla possibilità per le parti, obbligate reciprocamente l’una verso l’altra, di estinguere volontariamente i loro debiti mediante compensazione. Non v’è ragione per dubitare del fatto che il contratto che sorregge la comune volontà delle parti non richieda una forma particolare e possa concludersi anche attraverso comportamenti concludenti [50], ma da ciò non pare possibile predicare una reciproca estinzione delle rispettive posizioni debitorie in mancanza di una chiara e comune volontà dei contraenti diretta a tale fine. Lo stesso è a dirsi per la datio in solutum, che parimenti trova la sua fonte in un accordo negoziale [51] e [continua ..]