Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Giudicato implicito e tutela del consumatore. la nascita di un processo speciale (di Valerio Ceccarelli, Magistrato)


La sentenza CGUE SPV Project e Dobank (Cause riunite C-693/19 e C-831/19) ha affermato la necessità di riconoscere al giudice dell’esecuzione, in caso di decreto ingiuntivo non opposto dal consumatore, il potere di dichiarare il carattere abusivo delle clausole contenute nel contratto fonte del credito, con il superamento del giudicato implicito in ordine alla validità delle clausole contrattuali.

Il contributo si sofferma sulla necessità di individuare un equilibrio tra la tutela consumeristica e i principi di stabilità del giudicato civile e di limitazione dei poteri del giudice dell’esecuzione, analizzando i crescenti elementi di specialità che contraddistinguono il processo in cui sia parte un consumatore.

Parole chiave: SPV Project e Dobank – Cause riunite C-693/19 e C-831/19 – tutela del consumatore – decreto ingiuntivo non opposto – giudicato implicito – clausole abusive – nullità di protezione – poteri del giudice dell’esecuzione.

Implicit judgment and consumer protection the birth of a special process

The judgement of the CJEU SPV Project and Dobank (joined Cases C-693/19 and C-831/19) affirmed the need to recognize the Enforcement Judge, in the event of an order of payment, that has not been the subject of an objection lodged by the debtor, the power to declare the abusiveness of the clauses contained in the contract, with the nullification of the implicit judgment regarding the validity of the contractual clauses.

The contribution focuses on the need to identify a balance between consumer protection and the principles of stability of the civil judgment and limitation of the powers of the Enforcement Judge, analysing the growing elements of specialty that distinguish the process in which a consumer is a party.

SOMMARIO:

1. La questione problematica e la disciplina applicabile - 2. La posizione della Corte di Giustizia, sentenza 17 maggio 2022 nelle cause riunite C-693/19 e C-831/19 - 3. Conseguenze applicative e profili critici, la nascita di un processo speciale - 4. Prospettive future, la risposta dell’ordinamento interno - NOTE


1. La questione problematica e la disciplina applicabile

Il rapporto tra la stabilità del giudicato civile [1], principio cardine dell’ordinamento interno, e la rilevabilità officiosa della nullità di protezione a tutela del consumatore [2], fondata su disposizioni eurounitarie, evoca la nozione di relazione tra sistemi.

Invero, in base ad una delle enunciazioni del principio di aumento dell’entropia, proprio delle scienze fisiche e termodinamiche, “un sistema isolato che compie una trasformazione spontanea irreversibile evolve sempre verso stati che implicano un aumento della sua entropia [3].

In questa prospettiva, l’apertura dell’ordinamento nazionale alle fonti del diritto unionale, come trasformazione spontanea irreversibile, pone all’interprete delicate questioni applicative, così da prevenire la naturale evoluzione del quadro normativo in direzione caotica, cui l’applicazione del principio di entropia inevitabilmente condurrebbe.

La relazione tra sistemi, con esiti caotici prossimi all’entropia, è venuta in rilievo nella ricerca di una soluzione ad una questione applicativa di frequente verificazione nella prassi giurisprudenziale. A fronte di un decreto ingiuntivo non opposto e in caso di qualificabilità come consumatore del debitore ingiunto, si è posto il problema in ordine alla rilevabilità da parte del giudice dell’esecuzione della nullità di protezione della clausola presente nel contratto, fonte del diritto di credito azionato.

Un limite alla configurabilità di tale potere di rilevazione risiede nella formazione del giudicato, relativamente alla validità delle clausole del contratto fonte del diritto di credito azionato in via monitoria, a seguito della mancata opposizione a decreto ingiuntivo da parte del consumatore [4].

L’attitudine del decreto ingiuntivo a stabilizzarsi in caso di mancata opposizione del debitore, dando così luogo alla formazione del sistema di preclusioni proprio del giudicato, trova un supporto normativo negli artt. 647 e 650 cod. proc. civ., nella parte in cui prevedono l’esecutorietà per mancata opposizione del decreto ingiuntivo e precludono la possibilità per il debitore di esperire opposizione avverso il decreto ingiuntivo così dichiarato esecutivo, salvo le ipotesi di opposizione tardiva, tassativamente individuate.

Al medesimo esito interpretativo conduce la disciplina dell’art. 656 cod. proc. civ., che prevede la possibilità di impugnare il decreto ingiuntivo non opposto con i mezzi di impugnazione straordinari, ossia la revocazione straordinaria di cui all’art. 395, nn. 1, 2 e 6 cod. proc. civ. e l’opposizione di terzo revocatoria prevista dall’art. 404, secondo comma, cod. proc. civ., esperibili esclusivamente avverso decisioni dotate della stabilità propria del giudicato, nonché con lo strumento della revocazione di cui all’art. 395, n. 5 cod. proc. civ., esperibile in caso di contrasto tra il decreto ingiuntivo non opposto ed una sentenza passata in giudicato, disposizione preordinata alla finalità di evitare il formarsi di contrasto tra giudicati [5].

Con riguardo all’estensione del giudicato derivante dalla mancata opposizione avverso il decreto ingiuntivo, occorre osservare che la validità del contratto, oggetto del potere di accertamento officioso del giudice del procedimento monitorio, costituisce questione posta in rapporto di pregiudizialità logica [6] rispetto all’ac­certamento del credito azionato.

Pertanto, la mancata opposizione del debitore avverso il decreto ingiuntivo comporta la formazione di un giudicato, definito implicito [7] poiché non derivante da una statuizione espressa, relativo all’assenza di cause di nullità del contratto, che inciderebbero in chiave impeditiva del diritto di credito oggetto della pretesa [8].

Le stesse conclusioni risultano predicabili con riguardo alle ipotesi di nullità di protezione disciplinate in materia consumeristica, che devono formare oggetto di rilievo d’ufficio da parte del giudice del procedimento monitorio, in base al principio di effettività della tutela del consumatore [9].

Tuttavia, la formazione di un giudicato implicito, relativo all’assenza di cause di nullità di protezione, in caso di mancata opposizione a decreto ingiuntivo da parte del consumatore, potrebbe integrare un’ipotesi di ineffettività della tutela giurisdizionale in uno dei settori disciplinati dal diritto unionale.

Infatti, ciò comporterebbe l’impossibilità per il consumatore di dolersi della presenza di clausole vessatorie davanti ad un diverso giudice, né la nullità di protezione potrebbe formare oggetto di statuizione motivata nell’ambito di un diverso procedimento.

Tale risulta l’interrogativo alla base delle domande di pronuncia pregiudiziale sollevate dal Tribunale di Milano con ordinanze del 10 agosto 2019 e del 31 ottobre 2019, che hanno dato luogo rispettivamente alle cause C-693/19 e C-831/19 [10], riunite e pendenti davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

In entrambe le pronunce, i parametri alla stregua dei quali valutare la conformità dell’ordinamento interno sono individuati negli artt. 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE e nell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

In particolare, l’art. 6 della direttiva 93/13/CEE [11] prevede la non vincolatività per il consumatore delle clausole abusive contenute in un contratto stipulato tra un consumatore ed un professionista, mentre l’art. 7 della direttiva 93/13/CEE [12] dispone che gli Stati membri provvedano a fornire “mezzi adeguati ed efficaci” per far cessare l’inserimento di clausole abusive nei contratti intercorrenti tra consumatori e professionisti.

La disciplina trova implementazione nell’art. 19, paragrafo 1, TUE [13], in base al quale l’ordinamento degli Stati membri deve prevedere i “rimedi giurisdizionali necessari” al fine di assicurare “tutela giurisdizionale effettiva” in relazione ai settori disciplinati dal diritto unionale, nonché nell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea [14], in forza del quale ogni cittadino che lamenti una violazione dei diritti e delle libertà assicurate dal diritto dell’Unione Europea ha diritto ad un “ricorso effettivo” davanti ad un organo giurisdizionale.

Tali disposizioni rispondono alla necessità di una tutela efficace sul piano processuale, in modo da garantire l’effettiva tutela delle posizioni giuridiche sostanziali del consumatore e la generale limitazione all’inter­no del mercato del ricorso a clausole abusive da parte degli operatori economici [15], muovendo dalla considerazione relativa alla situazione di strutturale squilibrio informativo e negoziale tra la posizione del consumatore e quella professionista [16].

In questo contesto normativo e giurisprudenziale, risulta centrale l’interrogativo in ordine alla qualificabilità come “mezzo adeguato ed efficace” o “tutela giurisdizionale effettiva” della disciplina del diritto interno, che rimette all’iniziativa del consumatore la scelta se proporre opposizione avverso il decreto ingiuntivo, prevedendo in caso contrario la formazione di un giudicato implicito [17], senza statuizioni espresse né correlativa motivazione [18], in ordine all’assenza di clausole abusive nel contratto sottoscritto.

Conseguentemente, la formazione del giudicato in ordine al carattere non vessatorio delle clausole inserite dal professionista nel contratto verrebbe affidata ad un contraddittorio soltanto potenziale, dipendente dalla scelta del consumatore di attivarsi tempestivamente in via giudiziale [19].

Rispetto a tale quadro interpretativo, deve essere aggiunto che la tutela del consumatore correlata al superamento del giudicato implicito trova un ulteriore ostacolo nella limitazione dei poteri di cognizione del giudice dell’esecuzione [20], destinatario delle censure relative all’esistenza di una causa di nullità di protezione a seguito dell’inizio del procedimento esecutivo.

Tuttavia, mentre il giudice della cognizione dispone del potere di accertare il merito della pretesa creditoria, il giudice dell’esecuzione è chiamato ad esercitare poteri di tipo ordinatorio [21], non finalizzati alla formazione di un provvedimento finale, ma all’attuazione del contenuto già determinato dal titolo azionato dal creditore, mediante un’attività di tipo esecutivo [22].

Inoltre, anche se il giudice dell’esecuzione dispone del potere di accertare l’esistenza giuridica del titolo esecutivo, quale condizione del procedimento di esecuzione, questo potere deve essere tenuto distinto rispetto al sindacato in merito al contenuto intrinseco del titolo esecutivo, potere di cui il giudice dell’esecuzione risulta sprovvisto. Tale preclusione risulta tanto più stringente in relazione ai titoli di formazione giudiziale, con riguardo ai quali si arriverebbe non solo all’esercizio da parte del giudice dell’esecuzione di un potere di cognizione nel merito della controversia, ma anche ad un indebito sindacato sull’attività decisoria già esercitata dal giudice della cognizione.

Anche il giudice dell’opposizione all’esecuzione, ancorché titolare del potere di sindacare l’esistenza del provvedimento in base alla quale il creditore ha avviato l’azione esecutiva, non potrebbe estendere la propria cognizione a vizi attinenti al contenuto intrinseco della decisione giudiziale, a pena di trasformare il giudizio di opposizione all’esecuzione in un rimedio di carattere impugnatorio [23].

Pertanto, la carenza del potere del giudice dell’esecuzione di effettuare un sindacato intrinseco del titolo esecutivo giudiziale, unitamente alla formazione del giudicato implicito in ordine alla non vessatorietà delle clausole del contratto, determinerebbe la potenziale attuazione forzosa di un contratto contenente clausole abusive, senza che alcun organo giurisdizionale abbia svolto uno scrutinio effettivo in ordine alla validità di tali pattuizioni.

Conseguentemente, si spiega come il Tribunale di Milano possa aver dubitato della conformità dell’ordinamento interno con i principi sanciti dagli artt. 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE e dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, in tema di previsione da parte dell’ordinamento interno di strumenti di tutela giurisdizionale effettiva per le posizioni di diritto sostanziale presidiate dall’ordinamen­to unionale [24].

Inoltre, la carenza di tutela del consumatore risulterebbe accentuata nelle ipotesi in cui l’orientamento giurisprudenziale prevalente al momento di emissione del decreto ingiuntivo negasse la qualificabilità del destinatario della pretesa creditoria come consumatore.

In ipotesi di mutamento giurisprudenziale sopravvenuto alla formazione del giudicato implicito, negare al soggetto, successivamente ritenuto consumatore, l’accesso alla declaratoria della nullità di protezione della previsione negoziale si risolverebbe in un contrasto dell’ordinamento interno con i principi di effettività della tutela giurisdizionale di matrice unionale [25].


2. La posizione della Corte di Giustizia, sentenza 17 maggio 2022 nelle cause riunite C-693/19 e C-831/19

La conclusione cui è giunta la Corte di Giustizia nel rispondere alla questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Milano è stata perentoria.

La sentenza sui casi SPV Project e Dobank (decisione 17 maggio 2022, cause riunite C-693-19 e C-831/19) ha affermato che l’art. 6, paragrafo 1, e l’art. 7, paragrafo 1, della direttiva 93/12 devono essere interpretati nel senso di ostare ad una normativa nazionale che preveda che, in caso di decreto ingiuntivo non opposto dal debitore avente la qualifica di consumatore, il giudice dell’esecuzione non possa rilevare il carattere abusivo delle clausole contenute nel contratto fonte del credito, stante la formazione di un giudicato implicito in ordine alla validità delle clausole del contratto [26].

La prevalenza assegnata alla tutela del consumatore è risultata così netta rispetto alla salvaguardia del principio del giudicato civile [27] da spingere la Corte di Giustizia a precisare l’irrilevanza dell’eventuale ignoranza del consumatore in ordine alla propria qualifica soggettiva, durante la decorrenza del termine previsto per l’opposizione a decreto ingiuntivo. Ignoranza evidentemente irrilevante, stante il superamento del giudicato civile anche in caso di consapevolezza del consumatore circa la propria qualifica soggettiva.

La comprensione delle ragioni poste alla base di tale decisione postula la ricostruzione degli sviluppi della giurisprudenza della Corte di Giustizia, di cui la pronuncia in esame costituisce l’ultimo approdo, il più netto ed incisivo per l’ordinamento interno.

Invero, risulta necessario muovere dalla premessa per cui le posizioni giuridiche che trovano la propria fonte nelle disposizioni del diritto unionale sono destinate a trovare attuazione attraverso gli strumenti processuali approntati dall’ordinamento interno. Nel predisporre la disciplina processuale, il legislatore interno è dotato di autonomia, mancando una specifica competenza sul punto dell’Unione Europea e la correlativa limitazione di sovranità degli Stati membri [28].

Tuttavia, il legislatore interno non potrebbe vanificare la portata dei diritti garantiti dalle fonti sovranazionali. In questo contesto, la Corte di Giustizia, a partire dal caso Rewe (decisione 16 dicembre 1976, C-33/76) ha sottoposto l’autonomia degli ordinamenti nazionali ai principi di equivalenza ed effettività [29].

Il principio di equivalenza [30] impone che la tutela apprestata dal legislatore interno per i diritti di fonte unionale non possa risultare meno efficace o favorevole rispetto a quella garantita ad analoghe posizioni soggettive fondate su norme nazionali. Pertanto, il principio di equivalenza ha carattere relazionale, basandosi su un giudizio di confronto tra la tutela processuale garantita dal diritto interno rispetto a posizioni di fonte rispettivamente nazionale e sovranazionale.

Il principio di effettività [31] richiede che il legislatore interno non preveda una disciplina processuale che renda concretamente impossibile la tutela della posizione giuridica garantita dal diritto sovranazionale. Diversamente dal principio di equivalenza, il principio di effettività ha carattere assoluto e non relazionale, implicando una valutazione sull’accessibilità della tutela predisposta dal diritto interno a vantaggio del beneficiario della situazione soggettiva disciplinata dal diritto unionale.

La giurisprudenza della Corte di Giustizia del caso Kone (decisione 5 giugno 2014, C-557/12) ha successivamente esteso la portata del principio di effettività [32], da intendersi non soltanto come limite alle disposizioni interne che rendano concretamente impossibile l’esercizio di un diritto garantito dall’ordinamento unionale, ma anche come parametro di valutazione delle norme nazionali che rendano eccessivamente difficile l’esercizio in sede giudiziaria di tali posizioni soggettive.

Nella sentenza in esame, i principi di equivalenza ed effettività sono stati espressamente richiamati [33].

Viene dato atto della mancata previsione da parte del diritto unionale di una disciplina di armonizzazione delle procedure applicabili all’esame del carattere abusivo della clausola contrattuale, rimettendosi conseguentemente all’ordinamento interno il compito di predisporre la normativa processuale applicabile, in attuazione del principio di autonomia processuale.

Tuttavia, a questa premessa segue il chiarimento per cui tale disciplina debba rispondere al principio di equivalenza, non potendo essere meno favorevole di quella che disciplina diritti garantiti dall’ordinamento nazionale, e al principio di effettività, non potendo rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti presidiati dall’ordinamento unionale [34].

Con riguardo al principio di equivalenza, non sorgono motivi di contrasto tra la normativa interna e quella sovranazionale, stante l’applicabilità della disciplina in materia di formazione del giudicato implicito sia alle posizioni soggettive garantite dal diritto interno, che a quelle presidiate dall’ordinamento unionale in materia di protezione dei consumatori [35].

Con riguardo a principio di effettività, si pone la questione nodale, avente ad oggetto il bilanciamento tra la tutela del consumatore [36] e la stabilità del giudicato civile [37], con l’esame relativo all’idoneità della disciplina processuale approntata dal legislatore interno a garantire una tutela tale da non rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti presidiati a livello sovranazionale.

La giurisprudenza della Corte di Giustizia ha mostrato di condividere il principio relativo alla rilevanza dell’autorità del giudicato, nella prospettiva della garanzia di stabilità dei rapporti giuridici e della buona amministrazione della giustizia, e il principio di non assolutezza della tutela del consumatore [38], tale da non imporre la disapplicazione delle norme processuali interne in materia di cosa giudicata per porre rimedio alla violazione di una disposizione sovranazionale [39].

Conseguentemente, l’applicazione congiunta dei principi di stabilità del giudicato e di non assolutezza della tutela del consumatore ha condotto la pregressa giurisprudenza della Corte di Giustizia a non comprimere l’autonomia processuale degli ordinamenti interni al punto da imporre la disapplicazione della disciplina in materia di formazione del giudicato, se non in casi eccezionali e in presenza di condizioni tassative.

A tal fine, risulta rilevante la giurisprudenza del caso Asturcom Telecomunicaciones (decisione 6 ottobre 2009, C– 40/08), relativa alla disciplina dell’ordinamento spagnolo che precludeva al giudice, investito della domanda di esecuzione di un lodo non impugnato, la possibilità di esaminare d’ufficio la vessatorietà della clausola che determinava la sede del giudizio arbitrale.

In questa ipotesi, ha trovato affermazione il principio per cui la necessità di garantire effettività della tutela alle posizioni del consumatore non può imporre di disapplicare la disciplina in materia di formazione del giudicato, in modo da consentire al giudice di supplire ad un’omissione processuale del consumatore [40].

Ai principi di autonomia processuale e stabilità del giudicato civile è stata riconosciuta una tutela meno incisiva nel caso Finanmadrid (decisione 18 febbraio 2016, C-49/14), riguardante la configurabilità in capo al giudice dell’esecuzione del potere di pronunciarsi sul carattere abusivo della previsione contrattuale, a seguito della formazione del giudicato per mancata opposizione del debitore nel corso del procedimento monitorio [41].

Tale decisione ha riguardato la previgente disciplina dell’ordinamento spagnolo, basata sull’assegnazione del potere di emanare ingiunzioni di pagamento in capo al secretario judicial, soggetto qualificabile come funzionario giudiziario con compiti di cancelleria, e sulla previsione di un termine breve di venti giorni per proporre opposizione avverso il provvedimento ingiuntivo emesso [42].

Conseguentemente, in caso di mancata tempestiva opposizione al provvedimento ingiuntivo, si sarebbe verificata la formazione di un giudicato, senza che alcun organo giurisdizionale avesse potuto esercitare nel corso del processo i poteri di rilevazione officiosa dell’inefficacia delle clausole abusive [43].

Invece, il primo organo giurisdizionale sarebbe intervenuto nella fase dell’esecuzione del provvedimento ingiuntivo non opposto. Dunque, non riconoscere in capo a tale giudice il potere di accertare la nullità di protezione delle clausole abusive avrebbe comportato che nell’intero processo alcun organo giurisdizionale avrebbe potuto svolgere un simile accertamento [44].

Ciò ha condotto all’affermazione del contrasto di tale disciplina con il principio di effettività della tutela del consumatore, ritenendo il giudice dell’esecuzione non vincolato al rispetto del giudicato così formatosi e, conseguentemente, titolare del potere di dichiarare l’inefficacia delle clausole vessatorie nel corso del procedimento di esecuzione [45].

Stante la peculiarità dell’ordinamento spagnolo previgente, tale pronuncia non può essere interpretata come diretta a sostenere in termini assoluti la cedevolezza del giudicato civile a fronte della tutela del consumatore. Piuttosto, dovrebbe affermarsi che il giudicato, formatosi senza che alcun organo giurisdizionale abbia effettuato un accertamento sulla presenza di clausole abusive nel contratto, sia un giudicato non correttamente formatosi su tale questione, suscettibile di essere sottoposta alla cognizione di ogni altro organo giurisdizionale, incluso il giudice investito dell’esecuzione del credito derivante dal contratto [46].

Inoltre, il rapporto tra il principio di stabilità del giudicato e la tutela del consumatore è stato analizzato nel caso Banco Primus SA (decisione 26 gennaio 2017, C-421/14), che ha confermato la stretta correlazione esistente tra lo svolgimento da parte di un giudice nel corso del processo dell’esame in ordine al carattere non vessatorio delle clausole contrattuali e la stabilità del giudicato formatosi in relazione alla natura non abusiva di tali pattuizioni [47].

Sulla base di tale correlazione, ha trovato giustificazione l’affermazione del principio per cui, nel caso in cui la cognizione del giudice sia stata limitata ad un numero limitato delle pattuizioni previste nel contratto, l’organo giudiziario, successivamente adito dal consumatore, risulta titolare del potere di accertare il carattere abusivo delle altre clausole contenute nel contratto [48].

Dalla lettura coordinata dei precedenti giurisprudenziali emerge la correlazione tra tre elementi apparentemente inscindibili, relativi alla stabilità del giudicato civile, al principio di effettività della tutela del consumatore, allo svolgimento da parte di un organo giurisdizionale dell’accertamento in ordine alla natura vessatoria delle clausole inserite nel contratto.

Tale relazione si giustifica in base ad un doppo passaggio logico, per cui l’effettuazione da parte di un giudice nel corso del processo del sindacato in ordine al carattere abusivo delle pattuizioni negoziali garantisce l’effettività della tutela del consumatore e l’effettività della tutela del consumatore giustifica la non cedevolezza del giudicato civile.

Questa ricostruzione ha trovato conferma anche nella sentenza della Corte di Giustizia sul caso Impuls Leasing Romania (decisione 17 maggio 2022, C-725/19), che ha affermato la necessità di riconoscere al giudice investito di un’opposizione all’esecuzione il potere di rilevare la nullità di protezione della clausola inserita in un contratto, che costituisca titolo esecutivo [49].

La pronuncia richiamata ha confermato il precedente orientamento interpretativo, non analizzando i profili del superamento del giudicato civile e dell’obbligo di motivazione del provvedimento giurisdizionale, ma limitandosi ad affermare la necessità che un giudice nel corso del processo esamini la vessatorietà delle clausole contrattuali, ai fini del rispetto del principio di effettività della tutela del consumatore [50].

Tali conclusioni devono essere rimeditate alla luce della sentenza della Corte di Giustizia sui casi SPV Project e Dobank (decisione 17 maggio 2022, cause riunite C-693-19 e C-831/19).

Permane la correlazione tra la stabilità del giudicato civile e il principio di effettività della tutela. Viene meno il legame tra il principio di effettività della tutela e lo svolgimento da parte di un giudice nel corso del processo dell’accertamento in ordine alla vessatorietà delle clausole contrattuali.

Infatti, nell’ordinamento interno, il procedimento monitorio si svolge sotto la cognizione di un organo giurisdizionale, titolare del potere di accertamento officioso della vessatorietà delle pattuizioni negoziali poste a fondamento del credito azionato. Eppure, l’esistenza del vaglio di un giudice in ordine all’integrazione di nullità di protezione del contratto non è stato ritenuto dalla Corte di Giustizia elemento sufficiente per affermare il rispetto del principio di effettività della tutela, che implicherebbe la stabilità del giudicato formatosi nel processo.

Invece, la Corte di Giustizia ha ritenuto necessaria l’espressa motivazione del provvedimento giurisdizionale in ordine all’esame della vessatorietà delle previsioni contrattuali per ritenere integrato il principio di effettività della tutela [51].

Nella relazione precedentemente ricostruita, l’elemento dato dallo svolgimento da parte di un giudice nel corso del processo dell’accertamento in ordine alla vessatorietà delle clausole contrattuali dovrebbe essere sostituito con l’elemento relativo alla espressa motivazione nel provvedimento giurisdizionale in ordine al compimento del suddetto accertamento.

Dal mancato rispetto del principio di effettività della tutela, conseguente all’assenza di tale motivazione espressa nel provvedimento giurisdizionale, discende allora la cedevolezza del giudicato civile, venendo meno il presupposto per l’affermazione del principio di autonomia processuale dell’ordinamento interno.

Allora, disapplicando la disciplina interna in tema di formazione di giudicato implicito del decreto ingiuntivo non opposto, ma anche di limitazione dei poteri del giudice dell’esecuzione di svolgere un sindacato intrinseco del provvedimento di formazione giurisdizionale, si giunge al riconoscimento al giudice dell’esecu­zione del potere di valutare la nullità di protezione delle clausole negoziali, poste alla base del credito oggetto del titolo esecutivo azionato [52].


3. Conseguenze applicative e profili critici, la nascita di un processo speciale

La portata applicativa nell’ordinamento interno del principio di diritto affermato dalla Corte di Giustizia risulta notevole e incisiva.

Anzitutto, la formulazione letterale del principio implica l’applicazione di una disciplina speciale relativamente al procedimento monitorio avviato nei confronti di un consumatore, connotata dalla non configurabilità del giudicato implicito in ordine alla non vessatorietà delle clausole contrattuali.

Una simile conclusione lascia inalterata la qualificazione della validità delle pattuizioni negoziali come questione posta in rapporto di pregiudizialità logica rispetto alla condanna alla prestazione prevista nel contratto. Infatti, la ragione a supporto della non estensione del giudicato alla questione logicamente pregiudiziale non attiene all’applicazione ad un caso specifico di una regola generale. Si tratta di una deroga alle regole processuali previste dall’ordinamento interno, giustificata esclusivamente da ragioni di effettività della tutela della parte debole del rapporto.

La specialità della disciplina riguarda anche lo strumento processuale attraverso cui la tutela del consumatore viene ad essere applicata. Infatti, a seguito della mancata opposizione a decreto ingiuntivo e dell’avvio del procedimento esecutivo da parte del creditore, il consumatore potrebbe sollecitare un sindacato intrinseco sul titolo esecutivo di formazione giudiziale da parte del giudice dell’opposizione all’esecuzione. Anche in questo caso, non si tratta dell’applicazione ad un caso specifico di regole generali appartenenti al processo civile, dovendosi assegnare necessariamente veste impugnatoria ad un giudizio preordinato non alla contestazione, ma all’attuazione della statuizione contenuta nel titolo esecutivo.

Nell’ambito di un simile processo, la stessa nozione di giudicato civile deve essere ripensata, avendosi una pronuncia non soggetta a mezzi di impugnazione ordinaria, ma inidonea a fare stato tra le parti in ordine alla non vessatorietà delle clausole del contratto che non abbiano formato oggetto di motivazione, sia pur a fronte di una pronuncia di condanna che ne presupponga necessariamente l’efficacia.

Viene ad esistere una pronuncia formalmente passata in giudicato, perché non più soggetta ai mezzi di impugnazione ordinaria, eppure sostanzialmente inidonea a fare stato nei confronti del consumatore su una questione logicamente pregiudiziale alla statuizione, con una scissione tra le nozioni di giudicato in senso formale e di giudicato in senso sostanziale [53].

Si tratta di una inidoneità al giudicato con carattere necessariamente parziale, involgendo esclusivamente le clausole la cui vessatorietà non abbia formato oggetto di motivazione. Allora, si potrebbe ipotizzare un provvedimento dotato del giudicato in senso formale nella sua interezza e del giudicato in senso sostanziale con riguardo alla statuizione motivata relativa ad alcune delle clausole del contratto, tuttavia inidoneo a fare stato nei confronti del consumatore in ordine alla non vessatorietà delle pattuizioni non espressamente analizzate in motivazione.

A ciò deve aggiungersi che tale inidoneità al giudicato può essere fatta valere dal solo consumatore, attenendo le ragioni di non effettività della tutela, poste alla base della deroga al principio di autonomia processuale dell’ordinamento interno, esclusivamente alla protezione della parte debole del rapporto.

Pertanto, si assiste ad un parallelismo rispetto alla disciplina sostanziale della nullità di protezione delle clausole abusive. Come la clausola vessatoria risulta inefficace, con nullità necessariamente parziale del contratto, suscettibile di essere azionata dal solo consumatore, così la pronuncia giudiziaria, non motivata in merito alla natura non abusiva della singola clausola contrattuale, risulta affetta da una inidoneità al giudicato riguardante la sola statuizione implicita attinente all’efficacia della singola clausola, suscettibile di essere fatta valere dal solo consumatore in sede di opposizione all’esecuzione.

Le delineate deroghe al regime generale del processo civile appaiono troppo incisive per non riscontrare la configurazione di un processo speciale del consumatore.

Conseguentemente, occorre comprendere l’ambito e la portata applicativa di tale processo speciale, analizzando l’intensità dell’obbligo di motivazione necessario perché non si determini la cedevolezza del giudicato, il novero dei provvedimenti giurisdizionali sottoposti a tale obbligo di motivazione, le categorie soggettive la cui protezione giustifichi l’applicazione della disciplina processuale speciale.

Con riguardo al carattere dell’obbligo di motivazione, un approccio di tipo estensivo, basato sulle ragioni di protezione del consumatore, che sono state poste a fondamento della giurisprudenza in esame, condurrebbe a ritenere necessaria una motivazione analitica.

In particolare, il giudice dovrebbe, con riferimento alle singole clausole del contratto, motivare in ordine alla violazione del principio di buona fede e allo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti (art. 33, comma 1, cod. cons.), alla specifica corrispondenza rispetto alle clausole presuntivamente vessatorie (art 33, comma 2, cod. cons. e art. 36, comma 2, cod. cons.) e all’eventuale svolgimento di una trattativa individuale (art. 34, comma 4, cod. cons.).

Tuttavia, la necessità di un obbligo di motivazione analitico in merito al carattere non abusivo delle singole clausole del contratto determinerebbe la formazione di una pronuncia con un apparato motivazionale sovrabbondante, con un eccesso informativo che si tradurrebbe per il consumatore nella mancanza di comprensibilità del messaggio veicolato [54].

Inoltre, vi sarebbe un aggravio nei tempi della giustizia, stante la necessità di predisporre un apparato motivazionale notevole per ogni singolo provvedimento di ingiunzione, in contrasto peraltro con le esigenze di celerità poste alla base del procedimento monitorio.

Infine, emerge una rilevante distinzione tra il tenore testuale delle conclusioni dell’Avvocato Generale Evgeni Tanchev nelle cause riunite C-693/19 e C-831/19 e la lettera della sentenza della Corte di Giustizia. Mentre le conclusioni dell’Avvocato Generale fanno riferimento alla necessità di “una valutazione esplicita e sufficientemente motivata da parte del giudice nazionale [55], invece la sentenza della Corte di Giustizia censura la formazione del giudicato “anche in assenza di qualsiasi motivazione [56].

Dunque, nel primo caso si faceva riferimento ad un obbligo di motivazione qualificato, esplicito rispetto all’indicazione delle ragioni poste alla base della valutazione di non vessatorietà delle clausole, sufficiente rispetto al raggiungimento dello scopo di assicurare l’avvenuta valutazione del giudice in merito al carattere non vessatorio della clausola e di garantire al consumatore di comprendere il percorso logico seguito dalla decisione.

Diversamente, la sentenza in esame non ha fatto alcun riferimento al requisito della motivazione esplicita e sufficiente, limitandosi ad affermare la cedevolezza del giudicato in ipotesi di mancanza di motivazione a supporto della relativa statuizione.

Da questo dato può trarsi argomento per sostenere che la tesi condivisa dalla Corte di Giustizia non presupponga che l’effettività della tutela del consumatore sia correlata alla necessità di una motivazione qualificata, essendo sufficiente l’esistenza di una statuizione espressa e motivata in ordine alla valutazione del carattere non vessatorio delle clausole.

A tal fine, non è indifferente osservare che la pregressa giurisprudenza della Corte di Giustizia riteneva sufficiente ai fini del rispetto del principio di effettività della tutela il solo svolgimento nel corso del giudizio di un sindacato da parte di un organo giudiziario sulla vessatorietà delle clausole [57].

L’attuale orientamento interpretativo richiede l’esistenza di un sindacato espresso e motivato da parte di un giudice, così da rendere il consumatore consapevole dello svolgimento di tale valutazione e porlo nella condizione di ricorrere ai mezzi di impugnazione ordinari avverso il provvedimento giurisdizionale. Si tratta di uno sviluppo logico connesso rispetto al precedente indirizzo interpretativo, di cui rappresenta una evoluzione.

Invece, presupporre un obbligo di motivazione qualificato comporterebbe la configurabilità di un sindacato nel merito della specifica motivazione, facendo dipendere la tenuta del giudicato da una valutazione sulla motivazione del provvedimento. Ma così procedendo, si incorrerebbe in una aporia logica, dato che tale sindacato sarebbe possibile nel corso di una impugnazione soltanto se il provvedimento in questione non si ritenga coperto dal giudicato. Inoltre, si tratterebbe dell’affermazione di un principio senza precedenti, non in rapporto di evoluzione, ma in contrasto con la precedente giurisprudenza unionale.

Pertanto, sul piano dell’intensità dell’obbligo di motivazione del provvedimento giurisdizionale, può ritenersi sufficiente una motivazione sintetica, redatta anche con riferimento ad un insieme di clausole, indicate relativamente a profili comuni di possibile vessatorietà.

Maggiori dubbi potrebbe suscitare il ricorso a formule di stile, riferite alla generica assenza di cause di nullità di protezione all’interno del contratto. In questa ipotesi, risulterebbe notevole il rischio di incorrere in una motivazione apparente, tale da non garantire l’effettività della tutela del consumatore, correlata ad una valutazione concretamente compiuta dal giudice in ordine al carattere abusivo delle clausole contrattuali.

Con riguardo all’ambito dei provvedimenti cui risulta applicabile il principio di diritto affermato dalla Corte di Giustizia, occorre muovere dalla premessa per cui tale principio è stato testualmente riferito al solo decreto ingiuntivo [58].

Pertanto, al momento attuale non risulta possibile ipotizzare un ambito di applicazione diverso da quello specificamente individuato dalla Corte di Giustizia. Inoltre, il carattere eccezionale del principio di diritto impedisce di ipotizzare una applicazione analogica a diverse tipologie di provvedimenti giurisdizionali.

Eppure, analizzando le ragioni poste alla base di tale giurisprudenza, sembra difficilmente giustificabile l’affermazione per cui soltanto in relazione al decreto ingiuntivo la mancanza di motivazione sul carattere non vessatorio delle clausole renderebbe non effettiva la tutela del consumatore, che non abbia fatto ricorso ai mezzi di impugnazione previsti dall’ordinamento.

Una simile ipotesi di non effettività della tutela potrebbe essere ravvisata anche nell’ambito di un giudizio ordinario di cognizione nel quale il consumatore sia rimasto contumace, terminato con una sentenza di condanna priva di motivazione in ordine all’assenza di cause di nullità di protezione nel contratto stipulato.

Potrebbe obiettarsi che la mancata costituzione del consumatore nel giudizio costituisca una scelta processuale specifica e che il consumatore potrebbe trovare tutela mediante l’impugnazione nei termini della sentenza pregiudizievole.

Tuttavia, anche rispetto al decreto ingiuntivo il consumatore dispone dello strumento dell’opposizione e anche il decreto ingiuntivo risulta emesso da un giudice dotato del potere di rilevazione officiosa delle cause di nullità di protezione del contratto. Perciò, tanto il decreto ingiuntivo non opposto, quanto la sentenza contumaciale non appellata potrebbero rappresentare ipotesi di ineffettività della tutela del consumatore, per via della formazione di un giudicato implicito e della conseguente mancanza di esame specifico della nullità di protezione da parte di un giudice nel corso del processo.

In via di ulteriore estensione del principio, anche all’esito di un giudizio ordinario in cui il consumatore si sia costituito potrebbe verificarsi una statuizione di condanna del consumatore priva di motivazione in ordine alla non vessatorietà di alcuna clausola del contratto.

In questo caso, potrebbe sostenersi che il contraddittorio sviluppatosi nel processo costituisca idonea garanzia del consumatore, che sarebbe messo nella condizione effettiva di far valere l’inefficacia delle clausole pregiudizievoli.

Nondimeno, se l’effettività della tutela del consumatore presuppone una motivazione espressa, deve rilevarsi che anche in un simile giudizio potrebbe non essere stato esercitato il potere del giudice di rilevazione officiosa di una nullità di protezione, con statuizione di condanna e affermazione implicita dell’efficacia delle clausole del contratto.

Alla luce di quanto precede, appare possibile ipotizzare ulteriori domande di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, relative alla compatibilità con il diritto unionale dell’ordinamento interno, nella parte in cui prevede la formazione del giudicato implicito e la correlativa limitazione dei poteri di cognizione del giudice dell’esecuzione, relativamente a sentenze rese in giudizi ordinari, prive di motivazione espressa sull’assenza di cause di nullità di protezione del contratto.

Anche con riguardo all’ambito dei soggetti rispetto ai quali il principio di diritto affermato dalla Corte di Giustizia può trovare applicazione, deve essere rilevato che la pronuncia ha riguardato solo la posizione del consumatore.

Ma il consumatore non è la sola figura di soggetto debole di un rapporto contrattuale, risultando plurime le ipotesi di rapporti connotati da uno squilibrio strutturale tra le posizioni negoziali delle parti, con interventi legislativi diretti alla previsione di discipline di protezione [59].

Si potrebbe dunque porre il problema in ordine alla stabilità del giudicato implicito sulla validità dei contratti stipulati tra imprese dotate di diverso potere negoziale [60], ovvero sulla validità delle clausole dei contratti di locazione di immobile ad uso abitativo [61], ovvero ancora sulla validità delle clausole dei contratti predisposti nei rapporti tra intermediario finanziario e investitore [62].

Anche in questo caso, il riferimento del principio di diritto in esame alla sola figura del consumatore, unitamente al carattere strettamente eccezionale della disciplina di deroga al sistema processuale civile interno, impedisce qualsiasi tentativo di applicazione analogica.

Tuttavia, con particolare riguardo alla disciplina dell’intermediazione finanziaria, la derivazione unionale della stessa potrebbe rendere ipotizzabili domande di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, relative alla compatibilità con il diritto sovranazionale dell’ordinamento interno, nella parte in cui prevede la formazione del giudicato implicito e la correlativa limitazione dei poteri di cognizione del giudice dell’esecuzione, relativamente al decreto ingiuntivo emesso nei confronti dell’investitore.

Pertanto, allo stato attuale l’applicazione del principio di diritto affermato dalla Corte di Giustizia può essere circoscritta con riferimento ad un obbligo di motivazione sintetica del decreto ingiuntivo emesso nei confronti del consumatore.

Nondimeno, con riguardo alla qualifica soggettiva di una parte, viene a crearsi un processo speciale, connotato dalla non configurabilità del giudicato implicito sulle questioni poste in rapporto di pregiudizialità logica con le statuizioni espresse, dalla configurazione dell’opposizione all’esecuzione come strumento di gravame atipico ordinariamente deputato all’impugnazione del titolo di formazione giudiziale, dalla scissione tra giudicato in senso formale e giudicato in senso sostanziale.

I marcati profili di specialità di tale disciplina processuale, unitamente agli elementi che fanno ritenere del tutto provvisoria la limitazione della relativa applicazione alle sole ipotesi di decreto ingiuntivo emesso nei confronti del consumatore, introducono nell’ordinamento elementi di difficile riconducibilità a sistema, tratto caratteristico del principio di entropia.


4. Prospettive future, la risposta dell’ordinamento interno

Per ridimensionarne la portata degli effetti che la sentenza della Corte di Giustizia produrrebbe nell’ordinamento interno, possono essere svolte delle considerazioni sia sull’attuazione concreta dell’obbligo di motivazione, sia sull’effettività del preteso automatismo tra carenza di motivazione e cedevolezza del giudicato, sia sulla tenuta costituzionale del sistema così configurato.

Con riguardo all’obbligo di motivazione, si è detto che non risulta essenziale un’analisi esplicita da parte del decreto ingiuntivo della validità delle singole previsioni negoziali, risultando sufficiente una motivazione sintetica, che non faccia ricorso a formule di stile, idonee ad integrare la nozione di motivazione apparente.

Pertanto, il giudice del procedimento monitorio dovrebbe procedere, anzitutto, motivando in ordine alla qualificabilità come consumatore del debitore ingiunto e, in caso di risposta affermativa, individuando le clausole del contratto che incidano sul diritto di credito azionato dal professionista.

Conseguentemente, occorrerebbe procedere raffrontando tali clausole con l’elenco previsto dall’art. 36, comma 2, cod. cons., dando atto della eventuale non riconducibilità delle previsioni contrattuali ad alcuna delle ipotesi previste dal legislatore.

Successivamente, in caso di esito negativo dell’esame condotto, le clausole dovrebbero essere analizzate a fronte dell’elenco previsto dall’art. 33, comma 2, cod. cons., dando atto della eventuale non sussumibilità delle pattuizioni negoziali rispetto ad alcuna delle fattispecie individuate dalla disposizione.

Nel caso in cui tale analisi dovesse dare risultato positivo, il giudice del monitorio potrebbe motivare facendo riferimento all’art. 34, comma 3, cod. cons., ossia rilevando il carattere della clausole di mera riproduzione di disposizioni di legge o convenzioni internazionali, ovvero all’art. 34, comma 4, cod. cons., ossia richiamando quanto provato dal professionista in ordine alla trattativa individuale intercorsa con il consumatore [63], ovvero all’art. 33, comma 1, cod. cons., ossia aderendo motivatamente a quanto dedotto dal professionista per dimostrare la non sussistenza di un significativo squilibrio di diritti ed obblighi derivanti dalla clausola presuntivamente vessatoria.

Infine, il decreto ingiuntivo dovrebbe rilevare che le clausole individuate, non riconducibili alle ipotesi previste dal legislatore, non risultino comunque idonee a determinare un significativo squilibrio di diritti ed obblighi in pregiudizio del consumatore.

Il decreto ingiuntivo che dia atto sinteticamente dell’analisi condotta dal giudice per escludere l’esistenza di vessatorietà delle clausole contrattuali non potrebbe esporsi al fenomeno della cedevolezza del giudicato implicito. Pertanto, l’adozione di modelli di decreto ingiuntivo, specificamente strutturati rispetto ai contratti del consumatore, costituisce un primo strumento per garantire la stabilità del giudicato civile.

Tuttavia, l’adozione di sintetiche motivazioni dei decreti ingiuntivi riguardanti i consumatori è una prassi suscettibile di essere adottata per il futuro. Invece, con riguardo ai decreti ingiuntivi già emessi e non opposti tempestivamente dal debitore, risulta necessario individuare una diversa via per restringere gli effetti applicativi della sentenza in esame.

A tal riguardo, dalla lettura della sentenza emergono plurimi passaggi che permettono di dubitare circa l’esistenza di un automatismo tra la riscontrata mancanza di motivazione del decreto ingiuntivo in ordine alla non vessatorietà delle clausole contrattuali e il superamento del giudicato implicito.

Anzitutto, deve essere ricordato che la stabilità del giudicato civile risulta intrinsecamente correlata con il principio di autonomia processuale dell’ordinamento interno, suscettibile di deroga soltanto in ipotesi di non effettività della tutela di posizioni sostanziali presidiate dall’ordinamento unionale.

Coerentemente, la sentenza ha rilevato che “una normativa nazionale secondo la quale un esame d’ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali si considera avvenuto e coperto dall’autorità di cosa giudicata anche in assenza di qualsiasi motivazione […] può privare (ma non necessariamente priva) del suo contenuto l’obbligo incombente al giudice nazionale di procedere a un esame d’ufficio dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali [64].

Pertanto, basandosi sulla lettera della sentenza, la Corte di Giustizia non ha ritenuto che la disciplina interna preveda in ogni caso una tutela non effettiva del consumatore, in quanto risulta possibile, ma non certo o automatico, che la formazione di un giudicato implicito sulla validità delle clausole del contratto privi di contenuto l’obbligo del giudice di procedere ad un esame officioso del carattere vessatorio delle previsioni contrattuali.

Allora, la non effettività della tutela del consumatore, con il conseguente riconoscimento al giudice dell’esecuzione del potere di analizzare nel merito la pretesa del professionista, non potrebbe essere dedotta in modo automatico in relazione ad ogni ipotesi di giudicato implicito derivante da decreto ingiuntivo.

Invece, acquisirebbe rilievo l’inciso della sentenza per cui occorrerebbe condurre tale giudizio “tenuto conto della natura e dell’importanza dell’interesse pubblico sotteso alla tutela che la direttiva 93/13 conferisce ai consumatori.

Pertanto, emerge la necessità di un esame in ordine alla concreta verificazione di un pregiudizio all’inte­resse pubblico sotteso alla tutela dei consumatori, conseguente al mancato esame d’ufficio dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali, desumibile dal riscontro di un giudicato implicito privo di motivazione in ordine alla non vessatorietà delle previsioni negoziali.

La necessità di tale accertamento risulta confermata dal successivo passaggio della sentenza, per cui “ne consegue che, in un caso del genere (ma non sempre), l’esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva impone che il giudice dell’esecuzione possa valutare, anche per la prima volta, l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto [65].

Anche questo passaggio argomentativo conferma che il superamento del giudicato implicito non sia insito nella sola circostanza data dalla mancanza di motivazione, verificandosi soltanto nel caso appena indicato dalla stessa sentenza, relativo alla totale pretermissione dell’esame officioso del giudice sulla vessatorietà delle clausole contrattuali e al conseguente pregiudizio per la tutela del consumatore.

Quindi, da tale interpretazione della sentenza, emerge che per derogare alla stabilità del giudicato implicito occorrerebbe un duplice accertamento.

In primo luogo, dalla mancanza di motivazione dovrebbe desumersi il mancato esame da parte del giudice in ordine alla vessatorietà delle clausole, accertamento officioso che invece potrebbe emergere anche da un passaggio argomentativo estremamente sintetico del provvedimento.

In secondo luogo, il mancato utilizzo del potere officioso di rilevazione delle clausole abusive dovrebbe tradursi, nel caso concreto, in un pregiudizio per la tutela del consumatore, che potrebbe invece ritenersi conseguente della mera inerzia di quest’ultimo.

Conseguentemente, in sede di opposizione all’esecuzione, il giudice non dovrebbe in ogni caso procedere ad un esame della vessatorietà delle clausole del contratto, nell’ambito di un giudizio che verrebbe ad avere ad oggetto il merito della pretesa creditoria, continuando di regola ad essere vincolato dal giudicato implicito derivante dalla mancata opposizione a decreto ingiuntivo.

A tale regola si potrebbe derogare esclusivamente a seguito del positivo riscontro da parte del giudice dell’opposizione all’esecuzione di due elementi, il primo dato dall’accertamento per cui l’assenza di motivazione del decreto ingiuntivo sia tale da non poter in alcun modo affermare il compimento da parte del giudice del procedimento monitorio del sindacato officioso sulla vessatorietà delle clausole contrattuali, il secondo costituito dall’accertamento per cui tale omissione sia stata causa determinante di un pregiudizio per la tutela del consumatore, non addebitabile alla sola inerzia tenuta dal debitore nel proporre opposizione a decreto ingiuntivo.

Una simile interpretazione ridurrebbe l’ambito applicativo del principio di diritto affermato dalla Corte di Giustizia, in modo da assegnare alla cedevolezza del giudicato civile carattere eccezionale e da salvaguardare il principio di autonomia processuale dell’ordinamento interno.

Laddove una simile interpretazione non si ritenesse praticabile, giungendosi al sistematico superamento del giudicato implicito e facendosi convergere ogni questione attinente alla vessatorietà delle clausole contrattuali alla cognizione del giudice dell’opposizione all’esecuzione, vi sarebbero forti ragioni per dubitare della costituzionalità della disciplina, sotto diversi profili.

Al riguardo, deve essere osservato che il principio di stabilità del giudicato, con le correlative esigenze di certezza dei rapporti giuridici, è strettamente connesso con il diritto di azione e con il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva nell’ambito di un giusto processo, di cui agli artt. 24 e 111 Cost. [66].

Tali principi risulterebbero evidentemente vulnerati nel caso in cui si riconoscesse ingresso nell’ordina­mento interno al principio di diritto che nega la stabilità al giudicato civile implicito in ogni ipotesi di decreto ingiuntivo non motivato riguardo alla non vessatorietà delle clausole contrattuali.

Anche muovendo dalla premessa per cui il principio di stabilità del giudicato debba essere contemperato alla luce del bilanciamento con altri valori costituzionali, in ogni caso non si ravvisa alcuna ragione di bilanciamento nell’affermazione del principio di diritto in esame, che anteporrebbe incondizionatamente la tutela del consumatore ad ogni ragione di certezza dei rapporti giuridici correlata alla stabilità del giudicato.

Inoltre, la predisposizione di tale processo speciale relativamente alla figura del consumatore porrebbe delicati problemi di parità di trattamento giuridico rispetto a posizioni soggettive parimenti meritevoli di tutela, alla luce dell’art. 3 Cost.

A tal fine, a mero titolo esemplificativo, vengono in rilievo le figure dell’impresa posta in rapporto di dipendenza economica, del conduttore nei contratti di locazione di immobile ad uso abitativo, dell’investitore nei rapporti di intermediazione finanziaria.

Invero, risulterebbe difficile comprendere la ragione per cui un simile processo speciale non debba essere esteso anche a tali ipotesi di contraenti deboli, la cui tutela non può intendersi subvalente rispetto alla protezione accordata al consumatore.

Pertanto, ove un’interpretazione adeguatrice del principio di diritto affermato dalla Corte di Giustizia non si ritenesse praticabile, vi sarebbero forti ragioni per ritenere auspicabile un intervento della Corte Costituzionale, nella prospettiva del dialogo tra Corti [67] e della riaffermazione del principio di autonomia processuale dell’ordinamento interno.

Dunque, la relazione caotica tra sistemi innescata dalla pronuncia in esame necessita di un intervento ordinatore, che può provenire dalla prassi giurisprudenziale interna di adottare sintetiche motivazioni dei decreti ingiuntivi, ovvero dall’interpretazione restrittiva diretta a circoscrivere l’applicabilità del principio di diritto analizzato soltanto a casi eccezionali, ovvero ancora da un intervento della giurisprudenza costituzionale. Si tratta di vie distinte, accomunate da un obiettivo comune, la ricerca di sintropia [68].


NOTE

[1] Sulla tutela del giudicato civile nell’ordinamento interno, ex multis, G. Pugliese, Giudicato civile (dir. vigente), in Enc. dir., XVIII, Milano, 1969, 785 ss.; N. Trocker, Giudicato (diritto comparato e straniero), in Enc. Giur. Treccani, XV, Roma, 1989, 5 ss..; S. Menchini, Il giudicato civile, Torino, 2002; L. Lanfranchi, Diritti soggettivi e garanzia della cognizione ordinaria e del giudicato, in L. Lanfranchi (a cura di), Garanzie costituzionali dei diritti fondamentali, Roma, 2006, 384 ss.; G. Serges, Il valore del giudicato nell’ordinamento costituzionale, in Giur. it., 2009, 12 ss.

Sulle modalità di tutela del giudicato, si contrappongono teorie sostanziali, per cui si veda, tra gli altri, F. Carnelutti, Lezioni di diritto processuale civile, Padova, 1925, 453 ss..; E. Allorio, La cosa giudicata rispetto ai terzi, Milano, 1935, 32 ss., e teorie processuali, nel cui ambito possono analizzarsi, tra l’altro, A. Rocco, L’autorità di cosa giudicata ei suoi limiti soggettivi, Roma, 1917, 367 ss.; G. Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1928, 909 ss.; E. Betti, Diritto processuale civile (lezioni), Milano, 1932, 13 ss.; A. Attardi, La cosa giudicata, in Jus, 1961, 192 ss.; G. Pugliese, Giudicato civile (dir. vigente), Enc. Dir., vol. XVIII, Milano, 1969, 796. Per la più compiuta analisi di tali contributi, si veda P. Piccioni, Il giudicato e il diritto di difesa del consumatore, in Le Corti Umbre, 2017, n. 3, 527-555.

Con riguardo al giudicato civile e ai suoi limiti oggettivi, tra gli altri, E. Heinitz, I limiti oggettivi della cosa giudicata, 1937, 130 ss.; A. Proto Pisani, Dell’esercizio dell’azione, in Commentario al codice di procedura civile diretto da E. Allorio, I, 2, 1973, 1046 ss.; S. Menchini, I limiti oggettivi del giudicato, 1987; E.T. Liebman, voce «Giudicato civile», in Enc. giur. Treccani, 1989, 1 ss.; A. Proto Pisani, Appunti sul giudicato civile e sui suoi limiti oggettivi, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1990, 386 ss.; C. Consolo, Oggetto del giudicato e principio dispositivo, I, Dei limiti oggettivi e del giudicato costitutivo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1991, 215 ss.; S. Menchini, voce «Regiudicata civile», nel Digesto IV ed., Disc. priv., sez. civ., XVI, 1997, 428 ss.

[2] Sul tema del rilievo officioso della nullità di protezione, A. Gentili, L’inefficacia delle clausole abusive, in Riv. Dir. Civ., 1997, I, 406 ss.; A. Orestano, la rilevabilità d’ufficio della vessatorietà delle clausole, in Eur. e dir. priv., 2000, 1179 ss.; A. Di Majo, Il contratto in generale, in Trattato di diritto privato, a cura di M. Bessone, VII, 2002, 127 ss.; M. Ebers, La revisione del di­ritto europeo del consumatore: l’attuazione nei Paesi membri della direttiva sulle clausole abusive (93/13/CEE) e le prospettive d’ulteriore armonizzazione, in Contr. Impr. Europa, 2007, 2, 697 ss.; V. Zeno Zencovich, M.C. Paglietti, Verso un diritto processuale dei consumatori?, in Nuova giur. Civ., II, 2009, 216 ss.; E. D’Alessandro, La corte di Giustizia sancisce il dovere, per il giudice nazionale, di rilevare d’ufficio l’invalidità della clausola compromissoria stipulata tra il professionista ed il consumatore rimasto contumace nel processo arbitrale, in Riv. Arb., 2009, 675 ss.; V.G. Benacchio, Diritto privato dell’Unione Europea. Fonti, modelli, regole, Padova, 2010, 2 ss.; R. Senigaglia, Il problema del limite al potere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità di protezione, in Eur. Dir. Priv., 2010, 835 ss.; L. Valle, Nullità di protezione, in Contr impr., 2011, 366 ss.; V. Roppo, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2011, 705 ss.; L. Daniele, Direttive per la tutela dei consumatori e poteri d’ufficio del giudice nazionale, in Dir. Un. Eur., 2011, 683 ss.; V. Zeno Zencovich, M.C. Paglietti, Il diritto processuale dei consumatori. L’influenza del diritto dei consumi sul diritto processuale. Postilla a Calais – Auloy, 20 anni dopo, in Obligations, Procès et droit savant. Melanges en l’honneur du Professeur Jean Beanchard, Poitiers, 2013, 154 ss.; S. Pagliantini, La rilevabilità officiosa della nullità e l’articolazione di nuovi mezzi di prova nella cornice dell’effettività della tutela. Il dialogo tra le Corti, in Contratti, 2014, 18 ss.; R. Carrano, Clausole vessatorie e rilevabilità d’ufficio delle nullità di protezione, in Nuova giur. civ. comm., 2014, 727 ss.; G. Spoto, Rilievo d’ufficio della nullità, clausole abusive ed eterointegrazione del contratto nella giurisprudenza nazionale e della Corte di Giustizia, in Eur, dir. priv., 2016, 249 ss.; S. Pagliantini, Il punto e la linea: nullità contrattuale e rilievo officioso dopo il 2014, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2020, 4, 946 ss.

[3] Il termine entropia venne ideato dal fisico Rudolf Clausius nel 1868 per spiegare la tendenza di un sistema chiuso verso uno stato di equilibrio termico. Sul tema, E. Fermi, Thermodynamics, Prentice Hall, 1937; F. Reif, Fundamentals of statistical and thermal physics, McGraw-Hill, 1965; H. Christian, Maxwell’s Demon: Why warmth disperses and time passes, Random House, 1998; J. M. Smith, H.C. Van Ness e M. M. Abbot, Introduction to Chemical Engineering Thermodynamics, McGraw-Hill, 2000; R. Feynman, La fisica di Feynman, Bologna, 2001, Vol. I, par. 46 – 5 Ordine ed entropia; R. Penrose, The Road to Reality: A Complete Guide to the Laws of the Universe, 2005; R. Perry e D.W. Green, Perry’s Chemical Engineers’ Handbook, McGraw-Hill, 2007; B. Naim Arieh, L’entropia svelata. La seconda legge della termodinamica ridotta a puro buon senso, 2009.

[4] Sull’attitudine del decreto ingiuntivo a stabilizzarsi, in caso di mancata opposizione del debitore, dando così luogo alla formazione del giudicato, tra gli altri, E. Garbagnati, Preclusione pro iudicato e titolo ingiuntivo, in Studi in onore di E. Redenti, I, 1951, 475 ss.; S. Satta, Commentario al codice di procedura civile, IV, 1, 1968, 107 ss.; R. Sciacchitano, voce «Ingiunzione» (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, 505 e 518; L. Lanfranchi, Profili sistematici dei procedimenti decisori sommari, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1987, 127 ss.; D. Bendia, Sull’idoneità al giudicato del decreto ingiuntivo non opposto, in Giur. merito, 1989, II, 500 ss.; P. Pajardi, Il procedimento monitorio, Milano, 1991, 10 ss.; A. Carratta, Profili sistematici della tutela anticipatoria, Torino, 1997, p. 545; M. Cassiani, L. Paolini, Riflessioni sull’idoneità del decreto di ingiunzione a formare il giudicato in senso sostanziale e sull’ambito di estensione dell’accertamento in esso contenuto, in Nuova Giur. Comm., 1998, I, p. 276; A. Ronco, Struttura e disciplina del rito monitorio, Torino, 2000, 339 ss.; E. Zucconi Galli Fonseca, Del procedimento di ingiunzione, in Commentario breve al codice di procedura civile, di Carpi – Taruffo, Padova, 2002, p. 1960; A. Valitutti, F. De Stefano, Il decreto ingiuntivo e la fase di opposizione, Padova, 2008, p. 199; B. Capponi, Decreto ingiuntivo e giudicato. Gli orientamenti giurisprudenziali, in Il procedimento d’ingiunzione, Bologna, 2009, 691 ss.; E. Garbagnati, Il procedimento d’ingiunzione, Milano, 2012, 5 ss. e 271 ss.; A. Tedoldi, Commento sub art. 656 c.p.c., in P. Comoglio, C. Consolo, B. Sassani, R. Vaccarella, Commentario al codice di procedura civile, VI, Torino 2012, 920 ss.; E. Zucconi Galli Fonseca, Profili attuali del decreto ingiuntivo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, 103, 122 ss.; C. Mandrioli, A. Carratta, Diritto processuale civile, Torino, 2017, IV, 182 ss.; F.P. Luiso, Diritto processuale civile, IV, Milano, 2017, 154 ss.

[5] In questo senso, in dottrina, C.A. Nicoletti, Note sul procedimento ingiuntivo nel diritto positivo italiano, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1975, 983 ss.; L. Lanfranchi, Profili sistematici dei procedimenti decisori sommari, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1987, 88 ss.; G. Tomei, Cosa giudicata o preclusione nei processi sommari ed esecutivi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, 827 ss.; G. Colla, Il Decreto ingiuntivo. Il Procedimento d’ingiunzione e il giudizio di opposizione, Padova 2003, 257 ss.; G. Tota, Rapporti tra opposizione a decreto ingiuntivo e opposizione all’esecuzione, in Il procedimento d’ingiunzione a cura di B. Capponi, Bologna, 2005, 473 ss.; E. Garbagnati, Il procedimento d’ingiunzione, Milano 2012, 5 ss.; C. Mandrioli e A. Carratta, Diritto processuale civile, Torino, 2017, IV, 182 ss.; F.P. Luiso, Diritto processuale civile, IV, Milano 2017, 154 segg. Per la più completa disamina, si veda M. Lolli, Decreto ingiuntivo non opposto e limiti oggettivi del giudicato, in Riv. Dir. Proc., 2018, 4-5, 1390 ss.

In giurisprudenza, può aversi riguardo alla statuizione per cui “l’efficacia di giudicato del decreto ingiuntivo non opposto non viene meno di per sé a seguito dell’opposizione tardivamente proposta, così come il passaggio in giudicato dello stesso non è impedito – o revocato – dalla sua impugnazione con la revocazione straordinaria o l’opposizione di terzo (art. 656 c.p.c.), rimedi straordinari per loro natura proponibili avverso sentenze passate in giudicato, l’assoggettamento ai quali del decreto ingiuntivo in tanto ha ragione di esistere in quanto l’esaurimento della esperibilità di quelli ordinari ha già dato luogo al giudicato, che non è inciso, in definitiva, dalla mera opposizione tardiva”, Cass., 24 marzo 2021, n. 8299, con il richiamo al medesimo principio di diritto già affermato da Cass., 6 ottobre 2005, n. 19429 e Cass., Sez. Un., 16 novembre 1998, n. 11549.

[6] Sulla pregiudizialità logica, si vedano, ex multis, S. Satta, Accertamenti incidentali, intervento e principi generali del diritto, in Foro it., 1947, I, 29 ss.; S. Satta, Nuove riflessioni in tema di accertamenti incidentali, in Foro it., 1948, I, 64 segg.; S. Satta, voce «Accertamenti incidentali», in Enc. del dir., I, 1958, 263 ss.; A. Attardi, In tema di limiti oggettivi della cosa giudicata, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 1990, 475 ss.; S. Menchini, voce «Sospensione del processo civile – a) processo civile di cognizione», in Enc. del dir., XLIII, 1990, 1 ss.; C. Consolo, Oggetto del giudicato e principio dispositivo – I) Dei limiti oggettivi e del giudicato costitutivo, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 1991, 233 ss.; S. Menchini, voce «Accertamenti incidentali», in Enc. giur. Treccani, 1995, 1 ss.; S. Menchini, Il giudicato civile, 2002, 81 ss.; E. Merlin, Elementi di diritto processuale civile, Pisa, 2017, 189 ss.; S. Recchioni, Rapporto giudico fondamentale, pregiudizialità di merito c.d. logica e giudicato implicito, in Riv. Dir. Proc., 2018, 6, 1595 ss.

In giurisprudenza, sulla distinzione tra pregiudizialità in senso logico e pregiudizialità in senso tecnico, è stata affermato che “con riguardo alla questione pregiudiziale in senso logico, l’efficacia del giudicato copre, in ogni caso, non soltanto la pronuncia finale ma anche l’accertamento che si presenta come necessaria premessa o come presupposto logico-giuridico della pronuncia medesima. Con riguardo, invece, alla questione pregiudiziale in senso tecnico disciplinata dall’art. 34 c.p.c. ed indicante una situazione che, pur rappresentando un presupposto dell’effetto dedotto in giudizio, è tuttavia distinta ed indipendente dal fatto costitutivo sul quale tale fatto si fonda, detta situazione è oggetto solo di accertamento incidentale (inidoneo a passare in giudicato), tranne che una decisione con efficacia di giudicato sia richiesta per legge o per apposita domanda di una delle parti” (Cass., 19 gennaio 1999, n. 462, in senso conforme, ex multis, Cass., 9 novembre 2017, n. 26557; Cass., 29 aprile 2009, n. 10027; Cass., 31 marzo 2006, n. 7667; Cass., 7 novembre 2005, n. 21490; Cass., 11 dicembre 2002, n. 17632).

[7] In relazione alla figura del giudicato implicito, possono essere richiamati, ex multis, E. Allorio, Critica alla teoria del giudicato implicito, in Riv. dir. proc. civ., 1938, II, 245 ss.; G. Pugliese, voce «Giudicato civile (dir. vig.)», in Enc. del dir., XVIII, 1969, 864 ss.; U. Natoli, Sul criterio discretivo tra giudicato implicito e giudicato sul deducibile, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1979, 274 ss.; F. Lancellotti, Variazioni dell’implicito rispetto alla domanda, alla pronuncia ed al giudicato, in Riv. dir. proc., 1980, 465 ss.; A.A. Romano, Contributo alla teoria del giudicato implicito sui presupposti processuali, in Giur. it., 2001, 1292 ss.; F. Luiso, Giudicato implicito – I guasti del giudicato implicito, in Giur. It., 2018, 4, 871 ss.; S. Recchioni, Rapporto giudico fondamentale, pregiudizialità di merito c.d. logica e giudicato implicito, in Riv. Dir. Proc., 2018, 6, 1595 ss.

L’istituto del giudicato ha implicito ha trovato ampia applicazione giurisprudenziale con riguardo al tema della giurisdizione, per cui si veda Cass., Sez. Un., 9 ottobre 2008, n. 24883, con nota di C. Consolo, Travagli «costituzionalmente orientati» delle Sez. un. Sull’art. 37 c.p.c., ordine delle questioni, giudicato di rito implicito, ricorso

incidentale condizionato (su questioni di rito o, diversamente operante, su questioni di merito), in Riv. Dir. Proc., 2009, 1141 ss., nonché in relazione al tema della validità del contratto, con riguardo a Cass., Sez. Un., 12 dicembre 2014, n. 26242 e 26243.

Con specifico riguardo al rapporto tra giudicato implicito e validità del contratto, possono essere richiamati, tra gli altri, C. Consolo e F. Godio, Patologia del contratto e (modi dell’) accertamento processuale, in Corriere giur. 2015, II, 225 ss.; V. Carbone, «Porte aperte» delle Sezioni Unite alla rilevabilità d’ufficio del giudice della nullità del contratto, in Corriere giur. 2015, I, 88 ss.; I. Pagni, Nullità del contratto – il «sistema» delle impugnative negoziali dopo le Sezioni Unite, in Giur. it. 2015, I, 70 ss.

Esprimono criticità rispetto alla teoria del giudicato implicito A.A. Romano, Contributo alla teoria del giudicato implicito sui presupposti processuali, in Giur. it. 2001, 1293 ss.; V. Petrella, Osservazioni minime in tema di giudicato implicito sulla giurisdizione e giusto processo, in Riv. Dir. Proc., 2009, 1071 ss.; S. Ziino, Disorientamenti della Cassazione in materia di giudicato «implicito» e di rilevabilità del giudicato esterno, in Riv. Dir. Proc., 2005, II, 1392 ss.; G. Fanelli, Progressione logico-giuridica tra i presupposti processuali, poteri delle parti e giudicato implicito, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, 1569 ss.

[8] Si tratta della tesi largamente prevalente nella giurisprudenza di legittimità, per cui “Il decreto ingiuntivo non opposto è assimilabile ad una sentenza di condanna passata in giudicato. Il giudicato sostanziale conseguente alla mancata opposizione di un decreto ingiuntivo copre non soltanto l’esistenza del credito azionato, del rapporto di cui esso è oggetto e del titolo su cui il credito ed il rapporto stessi si fondano, ma anche l’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedenti al ricorso per ingiunzione e non dedotti con l’opposizione” (Cass., 18 luglio 2018, n. 19113; in senso conforme, ex multis, Cass., 11 maggio 2010, n. 11360; Cass., 24 luglio 2007, n. 16319; Cass., 24 marzo 2006, n. 6628; Cass., 13 giugno 2000, n. 8026; Cass., 21 novembre 1997, n. 11641; Cass., 6 marzo 1997, n. 1994; Cass., 20 aprile 1996, n. 3757).

Significativa nello stesso senso anche la notazione per cui “L’autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono, sia pure implicitamente, il presupposto logico-giuridico, e che trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, ove non sia proposta opposizione, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo in tal modo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda” (Cass., 28 novembre 2017, n. 28318; in senso conforme, ex multis, Cass., 24 settembre 2018, n. 22465; Cass., 6 settembre 2007, n. 18725; Cass., 28 agosto 2009, n. 18791; Cass., 6 settembre 2007, n. 18725; Cass., 19 luglio 2006, n. 16540).

[9] Rilevante a tal fine la giurisprudenza della Corte di Giustizia per cui “la natura e l’importanza dell’interesse pubblico su cui si fonda la tutela che la direttiva garantisce ai consumatori giustificano che il giudice nazionale sia tenuto a valutare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale […]. Di conseguenza, il ruolo così attribuito al giudice nazionale dal diritto comunitario nel­l’ambito di cui trattasi non si limita alla semplice facoltà di pronunciarsi sull’eventuale natura abusiva di una clausola contrattuale, bensì comporta parimenti l’obbligo di esaminare d’ufficio tale questione, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine” (Corte di Giustizia, 4 giugno 2009, C-243/08, caso Pannon).

Sul tema del rilievo officioso della nullità di protezione, nella prospettiva della tutela effettiva del consumatore, M. Cappelletti, Le grandi tendenze evolutive del processo civile nel diritto comparato, in Processo e ideologia, Bologna, 1969, 191 ss.; E. D’Alessandro, La corte di Giustizia sancisce il dovere, per il giudice nazionale, di rilevare d’ufficio l’invalidità della clausola compromissoria stipulata tra il professionista ed il consumatore rimasto contumace nel processo arbitrale, in Riv. arb., 2009, 675 ss.; C. Di Seri, Primauté del diritto comunitario e principio della res iudicata nazionale un difficile equilibrio, in Giur. it., 2009, 12 ss.; R. Senigaglia, Il problema del limite al potere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità di protezione, in Eur. dir. priv., 2010, 835 ss.; I. Prisco, Il rilievo d’ufficio delle nullità tra certezza del diritto ed effettività della tutela, in Rass. dir. civ., 2010, 1227 ss.; N. Trocker, Il diritto processuale europeo e le tecniche della sua formazione: l’opera della Corte di Giustizia, in Eur. dir. priv., 2010, 361 ss.; L. Valle, Nullità di protezione, in Contr. impr., 2011, 366 ss.; L. Valle, La nullità delle clausole vessatorie: le pronunce della Corte di giustizia dell’Unione europea e il confronto con le altre nullità di protezione, in Contr. e impr., 2011, 1366 segg.; L. Daniele, Direttive per la tutela dei consumatori e poteri d’ufficio del giudice nazionale, in Dir. un. eur., 2011, 683 ss.; S. Pagliantini, L’interpretazione più favorevole per il consumatore ed i poteri del giudice, in Riv. dir. civ., 2012, 291 ss.; R. De Hippolytis, Sui poteri del giudice in tema di clausole abusive di un contratto, in Foro it., 2013, IV, 202 ss.; R. Carrano, Clausole vessatorie e rilevabilità d’ufficio delle nullità di protezione, in Nuova giur. civ. comm., 2014, 727 ss.; R. Alessi, Nullità di protezione e poteri del giudice tra Corte di giustizia e sezioni unite della Corte di Cassazione, in Eur. e dir. priv., 2014, 1141 ss.; F. Della Negra, Il controllo d’ufficio sul significativo squilibrio nella giurisprudenza europea, in Pers. e merc., 2014, 71 ss.; R. De Hippolytis, A. Palmieri, In tema di clausole abusive nei contratti dei consumatori, in Foro it., 2014, I, 40 ss.; G. Spoto, Rilievo d’ufficio della nullità, clausole abusive ed eterointegrazione del contratto nella giurisprudenza nazionale e della Corte di Giustizia, in Eur, dir. priv., 2016, 249 segg.; N. Rumine, La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in tema di rilievo officioso dell’abusività di una clausola contrattuale e le sue ricadute sul piano interno, in Nuova Giur. Civ., 2016, 9, 1244 ss.

[10] Per la cui analisi possono essere richiamati: S. Caporusso, Decreto ingiuntivo non opposto ed effettività della tutela giurisdizionale: a proposito di due recenti rinvii pregiudiziali, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2020, 5, 1265 ss.; G.M. Sacchi, I poteri del giudice dell’esecuzione e la tutela del contraente debole, in camminodiritto.it.; A. D’Ambrosio, Decreto ingiuntivo non opposto: tutela del consumatore anche in fase di esecuzione, in ilsole24ore.com; A. Carratta, Consumatore e procedimento monitorio nel prisma del diritto europeo – Introduzione. L’ingiuntivo europeo nel crocevia della tutela del consumatore, in Giur. It., 2022, 2, 485 ss.; E. D’Alessandro, Consumatore e procedimento monitorio nel prisma del diritto europeo – Una proposta per ricondurre a sistema le conclusioni dell’Avv. Gen. Tanchev, in Giur. It., 2022, 2, 485 ss.; S. Caporusso, Consumatore e procedimento monitorio nel prisma del diritto europeo – Procedimento monitorio interno e tutela consumeristica, in Giur. It., 2022, 2, 485 ss.; G. Fiengo, Consumatore e procedimento monitorio nel prisma del diritto europeo – Il ruolo del giudice alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia, in Giur. It., 2022, 2, 485 ss.

In particolare, evidenziando il carattere di specialità che la nullità di protezione sta assumendo sotto il profilo del regime processuale, può essere rilevato che “chi allora, pur se con uno sforzo di rigorosa razionalizzazione, scrive di una nullità del contratto che, almeno processualmente, può continuare a declinarsi in modo unitario, assumendo come riferimento le disposizioni del codice civile (artt. 1418-1424 c.c.), ci sembra, detto in sintesi, che formuli un enunciato punteggiato dal difetto di provare troppo. Se non sono speciali bensì delle nullità munite di eguale dignità e forza costitutiva, neanche processualmente il “di protezione” può tramutarsi, eccezion fatta per ipotesi marginali di diversità, in un orpello. SPV Project 1503 e S.r.l. DobankSpA c. YB (causa C-693/19), rimettente alla Corte se gli artt. 6 e 7 dir. 1993/13/CEE e l’art. 47 Carta dir. UE ostino ad un ordinamento nazionale, come quello italiano, ostativo a che il giudice dell’esecuzione effettui “un sindacato intrinseco di un titolo esecutivo giudiziale passato in giudicato” precludendogli così nel contempo, laddove il consumatore mostri va da sé di volersi avvalere “della abusività della clausola contenuta nel contratto in forza del quale è stato formato il titolo esecutivo, di superare gli effetti del giudicato implicito”, quella specialità, ci sembra, la batte apertamente in breccia” (S. Pagliantini, Il punto e la linea: nullità contrattuale e rilievo officioso dopo il 2014, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2020, 4, 946 ss.).

[11] Ai sensi del quale, “1. Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive. 2. Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché il consumatore non sia privato della protezione assicurata dalla presente direttiva a motivo della scelta della legislazione di un paese terzo come legislazione applicabile al contratto, laddove il contratto presenti un legame stretto con il territorio di uno Stato membro”.

[12] In base al quale “1. Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori. 2. I mezzi di cui al paragrafo 1 comprendono disposizioni che permettano a persone o organizzazioni, che a norma del diritto nazionale abbiano un interesse legittimo a tutelare i consumatori, di adire, a seconda del diritto nazionale, le autorità giudiziarie o gli organi amministrativi competenti affinché stabiliscano se le clausole contrattuali, redatte per un impiego generalizzato, abbiano carattere abusivo ed applichino mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di siffatte clausole. 3. Nel rispetto della legislazione nazionale, i ricorsi menzionati al paragrafo 2 possono essere diretti, separatamente o in comune, contro più professionisti dello stesso settore economico o associazioni di professionisti che utilizzano o raccomandano l’inserzione delle stesse clausole contrattuali generali o di clausole simili”.

[13] Ai sensi del quale, “La Corte di giustizia dell’Unione europea comprende la Corte di giustizia, il Tribunale e i tribunali specializzati. Assicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati. Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione”.

[14] Disposizione che sancisce che “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare. A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia”.

[15] Osserva la Corte di Giustizia che “la facoltà per il giudice di esaminare d’ufficio l’illiceità di una clausola costituisce un mezzo idoneo al conseguimento tanto dell’obiettivo fissato dall’art. 6 della direttiva, che è quello di impedire che il consumatore sia vincolato da una clausola abusiva, quanto dell’obiettivo dell’art. 7, dato che tale esame può avere un effetto dissuasivo e, pertanto, contribuire a far cessare l’inserimento di clausole abusive nei contratti conclusi tra un professionista e i consumatori” (Corte di Giustizia, 27 giugno 2000, cause riunite C-240/98 e C-244/98, caso Oceano Grupo Editorial e Salvat Editores, in senso conforme, Corte di Giustizia, 21 novembre 2002, causa C-473/00, caso Cofidis; Corte di Giustizia, 26 ottobre 2006, causa C-168/05, caso Mostaza Claro; Corte di Giustizia, 14 giugno 2012, causa C-618/10, caso Banco Espanol de Credito SA; Corte di Giustizia, 27 febbraio 2014, causa C-470/12, caso Pohotovost).

[16] Nella prospettiva di una tutela processuale differenziata. Al riguardo, C. Vocino, Intorno al nuovo verbo “tutela giurisdizionale differenziata”, in Studi in onore di T. Carnacini, Milano, 761 ss.; V. Zeno Zencovich, M.C. Paglietti, Il diritto processuale dei consumatori. L’influenza del diritto dei consumi sul diritto processuale. Postilla a Calais – Auloy, 20 anni dopo, in Obligations, Procès et droit savant. Melanges en l’honneur du Professeur Jean Beanchard, Poitiers, 2013, p. 160.

[17] Ciò in quanto, come rilevato dall’ordinanza del Trib. di Milano del 10 agosto 2019 (C-693/19): “secondo la giurisprudenza di legittimità assolutamente maggioritaria “l’autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono, sia pure implicitamente, il presupposto logico-giuridico”; tale orientamento “trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, ove non sia proposta opposizione, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo in tal modo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda” (Cass., 28 novembre 2017, n. 28318, che richiama anche le conformi decisioni Cass. 28 agosto 2009, n. 18791 e Cass. 06 settembre 2007, n. 18725; nello stesso senso, tra le altre, Cass. 24 settembre 2018, n. 22465, Cass. 26 giugno 2015, n. 13207). Risulta quindi accolto, con riferimento al decreto ingiuntivo non opposto, il principio – di creazione giurisprudenziale – del c.d. “giudicato implicito”, fondato sull’argomento logico per il quale se il giudice si è pronunciato su una determinata questione ha, evidentemente, risolto in senso non ostativo tutte le altre questioni da considerare preliminari rispetto a quella esplicitamente decisa (tra le altre, Cass., S.U., 12 dicembre 2014, n. 26242).

[18] L’ordinanza del Trib. di Milano del 31 ottobre 2019 (C-831/19) ha, infatti, rilevato che “il giudicato implicito trova fondamento nell’argomento logico per il quale se il giudice si è pronunciato su una determinata questione ha, evidentemente, risolto in senso non ostativo tutte le altre questioni da considerare preliminari rispetto a quella esplicitamente decisa (in questo senso, v. Cass., S.U., 12 dicembre 2014, n. 26242). Non necessariamente, tuttavia, un simile argomento logico corrisponde all’iter decisionale concretamente percorso dal giudice e, in ogni caso, per definizione, un simile iter logico non è mai manifestato, non potendo quindi escludersi taluni possibili profili di incertezza in ordine all’effettivo oggetto della decisione. A ben vedere, proprio il caso alla base del presente provvedimento è, con elevata probabilità, indice di una simile mancata coincidenza tra il modello astratto di iter logico alla base della decisione e l’iter logico effettivamente percorso dal giudice; avuto riguardo al diritto vivente al tempo in vigore, è infatti assai verosimile che, nell’emettere il decreto ingiuntivo richiesto, il giudice non abbia in alcun modo svolto l’indagine relativa alla vessatorietà delle clausole (così non esercitando la fondamentale funzione di riequilibrio –anche– processuale dei rapporti tra imprenditore e consumatore sopra citata), escludendo a priori la possibilità di qualificare il fideiussore come consumatore”.

[19] Al riguardo, potrebbe dunque essere osservato che “nel nostro caso il giudice del procedimento per ingiunzione, seppur astrattamente provvisto di poteri cognitori idonei ad effettuare un simile rilevo, non potrebbe stimolare quel contraddittorio e quel confronto con il debitore ingiunto che, in virtù delle considerazioni esposte in precedenza, costituiscono il presupposto fondamentale per il pieno dispiegarsi di quella tutela rafforzata del contraente debole sottesa alle nullità di protezione consumeristiche. in quella sede, egli ha la possibilità di instaurare un dialogo con il solo creditore procedente, non con il debitore ingiunto, il quale potrebbe essere in quella fase finanche ignaro della possibilità di poter invocare un siffatto meccanismo di tutela. Pertanto, l’eventuale ignoranza del debitore – frutto non di sua colpa ma della propria debolezza contrattuale – può protrarsi fino alla fase esecutiva senza poi trovare rimedi adeguati” (G.M. Sacchi, I poteri del giudice dell’esecuzione e la tutela del contraente debole, in camminodiritto.it).

[20] Sul tema dei rapporti tra cognizione ed esecuzione, ex multis, De Palo, Teoria del titolo esecutivo, Napoli, 1901, 1 ss.; Liebman, Opposizioni di merito nel processo esecutivo, Roma, 1936, 1 ss.; Allorio, Esecuzione forzata, in Nuovo Dig. It., 1937, 5, 507 ss.; R. Oriani, L’opposizione agli atti esecutivi, Napoli, 1987, 27 ss., 44 ss., 143 ss.; R. Vaccarella, L’esecuzione forzata dal punto di vista del titolo esecutivo, in Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, 1993, 1 ss., nonché in Giur. sist. dir. proc. civ., diretta da A. Proto Pisani, Torino, 1993, 1 ss.; G. Verde, Attualità del principio nulla executio sine titulo, in Riv. Dir. Proc., 1999, 963 ss.; R. Vaccarella, Esecuzione forzata, in Riv. Esec. Forz., 2007, 1 ss.; M. Fornaciari, Esecuzione forzata e attività valutativa. Introduzione sistematica, Torino, 2009, 5 segg.; A. Storto, Esecuzione forzata e diritto di difesa nella giurisprudenza costituzionale, in Riv. Esec. Forz., 2009, 155 ss.; B. Capponi, Autonomia, astrattezza, certezza del titolo esecutivo: requisiti in via di dissolvenza?, in Corriere Giur., 2012, 10, 1166 ss.; B. Capponi, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, Torino, 2015, 55 ss.; F.P. Luiso, Diritto processuale civile, III, Milano, 2017, 79 ss.; C. Mandrioli, A. Carratta, Corso di diritto processuale civile, Vol. 3, Torino, 2019, 8 ss.; M. Cirulli, Valori funzionali del processo esecutivo e poteri officiosi, in Riv. Esec. Forz., 2019, 2, 250 ss.

Rilevante, a tal fine, la notazione per cui “Agli studiosi della mia generazione venivano impartiti almeno tre fondamentali insegnamenti: il titolo esecutivo è barriera (o argine) tra la cognizione e l’esecuzione; il giudice dell’esecuzione attua diritti certi, ma non accerta diritti; le esigenze cognitive «interne» o che comunque derivano dall’esecuzione non hanno cittadinanza nel processo esecutivo, dovendo essere soddisfatte nella sede separata ed eventuale delle opposizioni. Attorno a questi tre basilari princìpi ruotava l’intera esperienza del processo, sebbene si fosse disposti a riconoscere che l’esecuzione, in sé, era ben più che meccanica trasposizione di un programma interamente contenuto nel titolo esecutivo […]. Esaminando l’esperienza degli ultimi dieci anni, vuoi in conseguenza della disordinata raffica di riforme che hanno interessato il Libro III del c.p.c., vuoi per il consolidarsi di orientamenti giurisprudenziali innovativi, sembra giusto nutrire più d’un dubbio sulla permanente vigenza dei nostri tre basilari princìpi. È quindi lecito chiedersi se l’esecuzione forzata non si stia trasformando sotto i nostri occhi, e verso quale possibile alternativo modello” B. Capponi, Dall’esecuzione civile all’ottemperanza amministrativa?, in Riv. Dir. Proc., 2018, 2, p. 370.

[21] Al riguardo, la giurisprudenza ha rilevato che “i poteri del giudice dell’esecuzione sono esclusivamente ordinatori, essendo limitati alla direzione del processo esecutivo al fine del regolare compimento degli atti che lo compongono secondo criteri di celerità e di opportunità; con esclusione, quindi, di potestas decidendi” (Cass., 7 giugno 1996, n. 5309, in senso conforme, Cass., 12 giugno 1971, n. 1819).

Più recentemente, la giurisprudenza di merito ha rilevato che “il procedimento di espropriazione (unitariamente inteso) si distingue, sotto il profilo strutturale, da quello di cognizione perché il primo non si presenta come una sequenza continua di atti preordinati ad un unico provvedimento finale, bensì come una successione di subprocedimenti, e cioè come una serie autonoma di atti ordinati a distinti provvedimenti successivi. Nell’ambito di tale peculiare procedimento il giudice dell’esecuzione esercita poteri ordinatori, limitati alla direzione del processo esecutivo al fine del regolare compimento degli atti che lo compongono secondo criteri di celerità ed opportunità; con esclusione, quindi, di potestas decidendi” (Trib. Milano, Sent. 31 ottobre 2019).

[22] In questo senso, “al giudice dell’esecuzione, dunque, non sono istituzionalmente devoluti poteri di cognizione lato sensu intesi, conferitigli invece nella prospettiva, molto ristretta, degli accertamenti prodromici alla direzione del processo, lui unicamente spettante ex art. 484 c.p.c., e alla sua regolare progressione” (G. Fanticini, S. Leuzzi, R. Rossi, S. Saija, L’art. 54 ter, D.L. n. 18 del 2020, in Esecuzione forzata, 2020, 3, 794 ss.).

Con riguardo al modello cui è ispirata l’esecuzione forzata, può essere osservato che “si insegna che il g.e. non può accertare, con effetti anche esterni al processo in corso, se il diritto processuale alla tutela (fondato sul titolo esecutivo) od il diritto sostanziale tutelato (in quanto titolato) non esista, perché a tal fine occorre una sentenza, idonea al giudicato materiale, che egli non ha il potere di pronunciare […]. I provvedimenti che il g.e. adotta – di regola in forma di ordinanza, eccezionalmente di decreto – non presentano i caratteri della decisorietà e della definitività: anche se intervengono su situazioni di diritto soggettivo, non statuiscono su di esse in via definitiva, potendo l’ufficio modificarli o revocarli sino a che non siano stati eseguiti […]; laddove la revocabilità è incompatibile con la decisorietà. Il g.e. è sprovvisto di poteri decisori in quanto privo di poteri istruttori tipici e formali […]. Sui provvedimenti resi dal g.e. (neppure su quello finale, avente ad oggetto l’attribuzione o distribuzione del ricavato della vendita o l’assegnazione satisfattiva, che pure non sono revocabili, in quanto il potere dell’ufficio è ormai consumato) non si può formare il giudicato, perché non ha luogo un’attività decisoria, preceduta da una rituale istruttoria […]. Il processo esecutivo non ha funzione dichiarativa, perché non ha la struttura del processo di cognizione, caratterizzato da un’istruttoria formale, preceduta da una fase di trattazione e seguita da una fase decisoria” (M. Cirulli, Valori funzionali del processo esecutivo e poteri officiosi, in Esecuzione forzata, 2019, 2, 250 ss.). Nello stesso senso si veda S. LaChina, L’esecuzione forzata e le disposizioni generali del codice di procedura civile, Milano, 1970, 452 ss.

[23] In questo senso, il principio per cui “in sede di opposizione alla esecuzione promossa in base a titolo esecutivo di formazione giudiziale, la contestazione del diritto di procedere alla esecuzione forzata può essere fondata su ragioni attinenti ai vizi di formazione del provvedimento fatto valere come titolo esecutivo solo quando questi ne determinino l’inesistenza giuridica, dovendo gli altri vizi del provvedimento e le ragioni di ingiustizia della decisione che ne costituiscano il contenuto, esser fatte valere, se ancora possibile, nel corso del processo in cui il provvedimento è stato emesso” (Cass., 18 febbraio 2015, n. 3277). In senso conforme, ex multis, Cass., 9 febbraio 2021, n. 3027; Cass., 22 agosto 2018, n. 20895; Cass., 30 agosto 2011, n. 17802; Cass., 14 giugno 2001, n. 8056; Cass., 23 marzo 1999, n. 2742; Cass., 25 febbraio 1994, n. 1935).

[24] La questione pregiudiziale rimessa alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea dall’ordinanza del Trib. di Milano del 10 agosto 2019 (C-693/19) è stata, pertanto, la seguente: “Se ed a quali condizioni gli artt. 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE e l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ostino ad un ordinamento nazionale, come quello delineato, che preclude al giudice dell’esecuzione di effettuare un sindacato intrinseco di un titolo esecutivo giudiziale passato in giudicato e che preclude allo stesso giudice, in caso di manifestazione di volontà del consumatore di volersi avvalere della abusività della clausola contenuta nel contratto in forza del quale è stato formato il titolo esecutivo, di superare gli effetti del giudicato implicito”.

[25] Le questioni pregiudiziali rimessa alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea dall’ordinanza del Trib. di Milano del 31 ottobre 2019 (C-831/19) sono state, pertanto, le seguenti: “a) Se ed a quali condizioni il combinato disposto degli artt. 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE e dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea osti ad un ordinamento nazionale, come quello delineato, che preclude al giudice dell’esecuzione di effettuare un sindacato intrinseco di un titolo esecutivo giudiziale passato in giudicato, allorquando il consumatore, avuta consapevolezza del proprio status (consapevolezza precedentemente preclusa dal diritto vivente), richieda di effettuare un simile sindacato.

  1. b) Se ed a quali condizioni il combinato disposto degli artt. 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE e dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea osti ad un ordinamento come quello nazionale che, a fronte di un giudicato implicito sulla mancata vessatorietà di una clausola contrattuale, preclude al giudice dell’esecuzione, chiamato a decidere su un’opposizione all’ese­cuzione proposta dal consumatore, di rilevare una simile vessatorietà e se una simile preclusione possa ritenersi esistente anche ove, in relazione al diritto vivente vigente al momento della formazione del giudicato, la valutazione della vessatorietà della clausola era preclusa dalla non qualificabilità del fideiussore come consumatore”.

[26] In particolare, la Corte di Giustizia, nella sentenza 17 maggio 2022 sulle cause riunite C-693/19 e C-831/19, casi SPV Project e Dobank, ha rilevato che “occorre rispondere alle questioni pregiudiziali poste nelle cause C-693/19 e C-831/19 dichiarando che l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell’esecuzione non possa – per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità – successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole. La circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come consumatore ai sensi di tale direttiva è irrilevante a tale riguardo”.

Per una prima analisi della pronuncia, F. Troncone, Decreto ingiuntivo non opposto: la Corte UE amplia il sindacato del giudice dell’esecuzione, in Il quotidiano giuridico, 2022.

[27] In dottrina, è stato osservato che “non è la regola del giudicato implicito quanto, piuttosto, il meccanismo dell’accertamento incontrovertibile mediante preclusione a costituire il fondamento dell’efficacia di giudicato sostanziale del decreto ingiuntivo non opposto […]. Il ragionamento è il seguente: per effetto della Dir. 93/13, così come interpretata dalla Corte del Lussemburgo, non è più possibile che la mancata proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo da parte del consumatore determini – per preclusione – un accertamento incontrovertibile della non abusività di tutte clausole contenute nel contratto da cui il credito tutelato con il provvedimento monitorio deriva; clausole che contribuiscono a determinare l’ammontare del credito azionabile esecutivamente. Detto in altro modo: il diritto dell’Unione europea osta a che l’inerzia del consumatore nel proporre opposizione (tempestiva o tardiva) determini la formazione di un accertamento incontrovertibile per preclusione che renda impossibile ad un successivo giudice la verifica, non precedentemente effettuata, della abusività delle clausole contenute nel contratto tra consumatore e professionista” (E. D’Alessandro, Consumatore e procedimento monitorio nel prisma del diritto europeo – Una proposta per ricondurre a sistema le conclusioni dell’Avv. Gen. Tanchev, in Giur. It., 2022, 2, 485 ss.).

[28] Si tratta del principio di autonomia processuale, per cui, in dottrina, si veda E. Cannizzaro, Sui rapporti tra sistemi processuali nazionali e diritto dell’Unione europea, in Dir. Un. Eur., 2008, 3, 445 ss.; M. Tulibacka, Europeanization of civil procedures: in search of a coherent approach in Common Market Law Review, 2009, 1527 ss.; D.U. Galetta, L’autonomia procedurale degli Stati membri dell’Unione europea: Paradise Lost? Studio sulla c.d. autonomia procedurale: ovvero sulla competenza procedurale funzionalizzata, 2009; G. Vitale, Diritto processuale nazionale e diritto dell’Unione europea. L’autonomia procedurale degli Stati membri in settori a diverso livello di europeizzazione, Catania, 2010; M. Bobek, Why there is no principle of “procedural autonomy” of the Member States, in de Witte, H.W. Micklitz (a cura di), The European Court of Justice and the Autonomy of the Member States, 2011; N. Trocker, La formazione del diritto processuale europeo, 2011; E. Cannizzaro, Effettività del diritto dell’Unione e rimedi processuali nazionali, in Dir. Un. Eur., 2013, 3, 659 ss.; A.M. Romito, La tutela giurisdizionale nell’Unione europea tra effettività del sistema e garanzie individuali, 2015; A. Carratta, Libertà fondamentali del Trattato UE e processo civile, in F. Mezzanotte (a cura di), Le “libertà fondamentali” dell’Unione europea e il diritto privato, 2016, 199 ss.; A. Beka, The Active Role of Courts in Consumer Litigation. Applying EU Law of the National Courts’own motion, 2018, 19 ss.

Per la ricostruzione di questi contributi, G. Fiengo, Consumatore e procedimento monitorio nel prisma del diritto europeo – Il ruolo del giudice alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia, in Giur. It., 2022, 2, 485 ss.

[29] Il rapporto tra autonomia processuale dell’ordinamento interno e rispetto dei principi di equivalenza ed effettività è stato così tracciato nei termini per cui “in mancanza di una specifica disciplina comunitaria, è l’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro che designa il giudice competente e stabilisce le modalità procedurali delle azioni giudiziali intese a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme comunitarie aventi efficacia diretta, modalità che non possono, beninteso, essere meno favorevoli di quelle relative ad analoghe azioni del sistema processuale nazionale. Gli artt. 100 – 102 e 235 del Trattato consentono, eventualmente, di adottare i provvedimenti necessari per ovviare alle divergenze fra le relative disposizioni legislative, regolamentari o amministrative dei vari Stati membri, qualora tali divergenze risultassero atte a provocare distorsioni o a nuocere al funzionamento del mercato comune. In assenza di siffatti provvedimenti di armonizzazione, i diritti attribuiti dalle norme comunitarie devono essere esercitati, dinanzi ai giudici nazionali, secondo le modalità stabilite dalle norme interne. Una diversa soluzione sarebbe possibile soltanto qualora tali modalità e termini rendessero, in pratica, impossibile l’esercizio di diritti che i giudici nazionali sono tenuti a tutelare” (Corte di Giustizia, 16 dicembre 1976, C-33/76, caso Rewe).

Al riguardo, in dottrina, N. Trocker, La carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e il processo civile, in Riv. Trim., 2002, 1171 ss.; D.U. Galetta, L’autonomia procedurale degli Stati membri dell’Unione europea: paradise lost?, Torino, 2009, 20 ss.; P. Piccioni, Il giudicato e il diritto di difesa del consumatore, in Le Corti Umbre, 2017, n. 3, p. 533.

[30] Con riguardo all’applicazione del principio di equivalenza, A. Biondi, The European Court of Justice and Certain National Procedural Limitations: not such a Though Relationship, in Comm. Mark law rev., 1999, 1274 ss.; L. Daniele, Forme e conseguenze dell’impatto del diritto comunitario sul diritto processuale interno, in Il diritto dell’Unione Europea, 2001, 77 ss.; A. Adinolfi, La tutela giurisdizionale nazionale delle situazioni soggettive individuali conferite dal diritto comunitario, in Il diritto dell’Unione Europea, 2001, 77 ss.; L. Torchia, Il governo delle differenze. Il principio di equivalenza nell’ordinamento europeo, Bologna, 2006.

[31] Con specifico riguardo all’incidenza del principio di effettività sull’autonomia processuale dell’ordinamento interno, R. Conti, L’effettività del diritto comunitario ed il ruolo del giudice, in Eur. e dir. priv., 2007, 479 ss.; R. Oriani, Il principio di effettività della tutela giurisdizionale, Napoli, 2008; E. Cannizzaro, Effettività del diritto dell’Unione e rimedi processuali nazionali, in Dir. un. eur., 2013, 659 ss.; G. Greco, A proposito dell’autonomia procedurali degli Stati membri, in Riv. it. dir. pubbl. comm., 2014, 1 ss.; A. Proto Pisani, Il principio di effettività nel processo civile italiano, in Giusto proc. civ., 2014, 825 ss.; D. Dalfino, Accesso alla giustizia, principio di effettività e adeguatezza della tutela giurisdizionale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2014, 907 ss.; A. Carratta, Libertà fondamentali del Trattato UE e processo civile, in Mezzanotte (a cura di), Le «libertà fondamentali» dell’Unione Europea e il diritto privato, 2016, 199 ss.; G. Palma, Contratti del consumatore – autonomia processuale ed effettività della tutela del consumatore, in Nuova Giur. Civ., 2016, 9, 1143 ss.; I. Pagni, voce «Effettività della tutela giurisdizionale», in Enc. dir., Annali, X, Milano, 2017, 355 ss.; F. Auletta, L’effettività nel processo, in Giusto proc. civ., 2018, 405 ss.; N. Trocker, Costituzione e processo civile: dall’accesso al giudice all’effettività della tutela giurisdizionale, in Giusto proc. civ., 2019, 15 ss.; A. Carratta, Tecniche di attuazione dei diritti e principio di effettività, in Riv. dir. proc., 2019, 1 ss.

[32] La fattispecie riguardava la compatibilità tra la normativa interna in tema di risarcimento del pregiudizio derivante da intesa restrittiva della concorrenza e la disciplina dell’Unione Europea di cui all’art. 101 TFUE, alla luce del principio di effettività. In particolare, viene rilevato che “in assenza di normativa dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ogni singolo Stato membro stabilire le modalità di esercizio del diritto di agire per il risarcimento del danno risultante da un’intesa o da una pratica vietati dall’articolo 101 TFUE, ivi comprese quelle relative all’applicazione della nozione di nesso di causalità, sempreché siano rispettati i principi di equivalenza e di effettività. In tal senso, le norme applicabili alle azioni dirette a garantire la tutela dei diritti riconosciuti ai singoli dall’effetto diretto del diritto dell’Unione non devono essere meno favorevoli di quelle relative ad analoghe azioni di natura interna (principio di equivalenza) e non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) […] Orbene, la piena effettività del­l’articolo 101 TFUE sarebbe rimessa in discussione se il diritto di chiunque di chiedere il risarcimento del pregiudizio subito fosse subordinato dalla normativa nazionale, in termini categorici e a prescindere dalle specifiche circostanze della specie, alla sussistenza di un nesso di causalità diretta, escludendo tale diritto nel caso in cui il soggetto interessato abbia intrattenuto rapporti contrattuali non con un membro dell’intesa, bensì con un’impresa ad essa non aderente, la cui politica in materia di prezzi sia tuttavia conseguenza dell’intesa che ha contribuito a falsare i meccanismi di formazione dei prezzi operanti in mercati retti da regime di concorrenza” (Corte di Giustizia, 5 giugno 2014, C-557/12, caso Kone).

[33] La sentenza della Corte di Giustizia 17 maggio 2022 nelle cause riunite C-693/19 e C-831/19, ha sostenuto che “il diritto del­l’Unione non imponga a un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata a una decisione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una violazione di una disposizione, di qualsiasi natura essa sia, contenuta nella direttiva 93/13, fatto salvo tuttavia, conformemente alla giurisprudenza richiamata al punto 55 della presente sentenza, il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività”.

[34] La sentenza della Corte di Giustizia 17 maggio 2022 nelle cause riunite C-693/19 e C-831/19, ha affermato che “in linea di principio, il diritto dell’Unione non armonizza le procedure applicabili all’esame del carattere asseritamente abusivo di una clausola contrattuale, e tali procedure rientrano dunque nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri, in forza del principio del­l’autonomia processuale di questi ultimi, a condizione, tuttavia, che esse non siano meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività).

[35] La sentenza della Corte di Giustizia 17 maggio 2022 nelle cause riunite C-693/19 e C-831/19 ha rilevato sul punto che “per quanto attiene al principio di equivalenza, si deve rilevare che la Corte non dispone di alcun elemento tale da far sorgere dubbi quanto alla conformità della normativa nazionale di cui al procedimento principale a tale principio. Come osserva il governo italiano, risulta che il diritto nazionale non consente al giudice dell’esecuzione di riesaminare un decreto ingiuntivo avente autorità di cosa giudicata, anche in presenza di un’eventuale violazione delle norme nazionali di ordine pubblico”.

[36] La tutela del consumatore nella giurisprudenza della Corte di Giustizia si basa sul riconoscimento della posizione di debolezza negoziale rispetto al professionista e sulla necessità di strumenti di riequilibrio sostanziale.

Al riguardo, la giurisprudenza del caso Oceano Grupo Editorial e Salvat Editores (decisione 27 giugno 2000, cause riunite C-240/98 e C-244/98) ha affermato che “l’obiettivo perseguito dall’art. 6 della direttiva, che obbliga gli Stati membri a prevedere che le clausole vessatorie non vincolino i consumatori, non potrebbe essere conseguito se questi ultimi fossero tenuti a eccepire essi stessi la illiceità di tali clausole. In controversie di valore spesso limitato, gli onorari dei legali possono essere superiori agli interessi in gioco, il che può dissuadere il consumatore dall’opporsi all’applicazione di una clausola vessatoria” (Corte di Giustizia, 27 giugno 2000, cause riunite C-240/98 e C-244/98, caso Oceano Grupo Editorial e Salvat Editores). Al riguardo, A. Orestano, Rilevabilità d’ufficio della vessatorietà delle clausole nei contratti del consumatore, in Eur. dir. priv., 2000, 179 ss.

Con riguardo al rilievo officioso della nullità di protezione, I. Prisco, Il rilievo d’ufficio delle nullità tra certezza del diritto ed effettività della tutela, in Rass. dir. civ., 2010, 1227 ss.; L. Valle, La nullità delle clausole vessatorie: le pronunce della Corte di giustizia dell’Unione europea e il confronto con le altre nullità di protezione, in Contr. e impr., 2011, 1366 ss.; R. Alessi, Nullità di protezione e poteri del giudice tra Corte di giustizia e sezioni unite della Corte di Cassazione, in Eur. e dir. priv., 2014, 1141 ss.; F. Della Negra, Il controllo d’ufficio sul significativo squilibrio nella giurisprudenza europea, in Pers. e merc., 2014, 71 ss.; N. Rumine, La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in tema di rilievo officioso dell’abusività di una clausola contrattuale e le sue ricadute sul piano interno, in Nuova Giur. Civ., 2016, 9, 1244 ss.

L’incisività della tutela del consumatore rispetto all’utilizzo da parte del professionista di clausole abusive ha trovato conferma nella giurisprudenza dei casi Mostaza Claro (decisione 26 ottobre 2006, C-168/05) e Aziz (decisione 14 marzo 2013, C-415/11), con l’affermazione del carattere di norma imperativa e di ordine pubblico dell’art. 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE, che sancisce l’inefficacia delle clausole vessatorie.

A ciò deve aggiungersi quanto rilevato dalla giurisprudenza del caso Pannon (decisione 4 giugno 2009, C-243/08), che ha ritenuto sussistente non soltanto il potere, ma il dovere di rilevazione officiosa da parte del giudice della nullità di protezione delle clausole elaborate dal professionista, dalla giurisprudenza del caso Faber (decisione 4 giugno 2015, C-497/13), che ha affermato che il giudice debba svolgere non solo un controllo officioso in ordine al contenuto del contratto stipulato, ma anche la rilevazione della stessa qualità di consumatore, ove questa non sia stata allegata dalla parte, e dalla giurisprudenza del caso Duarte Hueros (decisione 3 ottobre 2013, C-32/12), che ha riconosciuto il dovere del giudice di pronunciarsi anche sulle domande non proposte dal consumatore, nella prospettiva del soccorso giudiziario alla parte debole del rapporto.

Infine, con specifico riguardo alla tutela del consumatore dalle clausole abusive nell’ambito del procedimento monitorio, la giurisprudenza del caso Banco Espanol de Credito (decisione 14 giugno 2012, C-618/10), relativa all’ordinamento spagnolo all’epoca vigente, ha ritenuto incompatibile con il principio di effettività la normativa nazionale che impediva al giudice investito della domanda di rilevare d’ufficio l’abusività della clausola contrattuale.

[37] La rilevanza del principio di stabilità del giudicato per l’ordinamento dell’Unione Europea emerge, sia pure nel bilanciamento con altri valori, in plurime pronunce, tra cui Corte di Giustizia, 30 settembre 2003, C-224/01, caso Kobler; Corte di Giustizia, 13 gennaio 2004, C-453/00, caso Kühne & Heitz, in Urb App., 2004, 1151 ss., con nota di R. Caranta, Effettiva applicazione del diritto comunitario e certezza del diritto; Corte di Giustizia, 18 luglio 2007, C-119/05, caso Lucchini, in Riv. Dir. proc., 2008, 224 ss., con nota di C. Consolo, La sentenza Lucchini della Corte di Giustizia: quale possibile adattamento degli ordinamenti processuali interni e in specie del nostro; Corte di Giustizia, 16 marzo 2006, C-234/04, caso Kapferer, in Giur. it., 2007, 1089 ss., con nota C. Di Seri, L’intangibilità delle sentenze anticomunitarie. Per la ricostruzione organica di tale giurisprudenza, P. Piccioni, Il giudicato e il diritto di difesa del consumatore, in Le Corti Umbre, 2017, n. 3, 529.

In particolare, la giurisprudenza del caso Eco Swiss (decisione 1 giugno 1999, C-126/97) ha avuto modo di rilevare che dal diritto dell’Unione Europea non discenda l’obbligo per il giudice di disapplicare la disciplina in materia della formazione del giudicato, anche nel caso in cui tale disapplicazione costituita lo strumento per la tutela delle posizioni giuridiche riconosciute da tale ordinamento, rilevando che “in base al diritto comunitario non si devono disapplicare le norme di diritto processuale nazionale, ai sensi delle quali un lodo arbitrale interlocutorio avente natura di decisione definitiva, che non ha costituito oggetto di un’impugnazione per nullità entro il termine di legge, acquisisce l’autorità della cosa giudicata e non può più essere rimesso in discussione da un lodo arbitrale successivo, anche se ciò è necessario per poter esaminare, nell’ambito del procedimento d’impugnazione per nullità diretto contro il lodo arbitrale successivo, se un contratto, la cui validità giuridica è stata stabilita dal lodo arbitrale interlocutorio, sia tuttavia nullo poiché in contrasto con l’art. 81 CE” (Corte di Giustizia, 1 giugno 1999, C-126/97, caso Eco Swiss).

Al riguardo, C. Onniboni, Compatibilità del diritto comunitario con le norme procedurali nazionali in tema di passaggio in giudicato di una decisione arbitrale parziale, in Corr. Giur., 2000, 32 ss.; 47; C. Consolo, Il flessibile rapporto dei diritti processuali civili nazionali rispetto al primato integratore del diritto comunitario (integrato dalla Cedu a sua volta), in Corti europee e giudici nazionali, in Atti del XXVII convegno nazionale dell’Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile, 2011, pagg. 49 ss.; U. Corea, Il giudicato come limite alle sentenze della Corte costituzionale e delle Corti europee, in Judicium, 2017, 1, pagg. 37 ss..

[38] In particolare, la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha affermato il principio per cui “il rispetto del principio dell’effettività non può giungere al punto di supplire integralmente alla completa passività del consumatore interessato. Di conseguenza, il fatto che il consumatore possa invocare la tutela delle disposizioni legislative sulle clausole abusive solo se promuove un procedimento giurisdizionale non può essere considerato, di per sé […] contrario al principio di effettività. Infatti, la tutela giurisdizionale effettiva garantita dalla direttiva 93/13 si fonda sulla premessa secondo la quale i giudici nazionali sono previamente aditi da una delle parti del contratto” (Corte di Giustizia, 1° ottobre 2015, C-32/14, caso ERSTE Bank Hungary), in senso conforme Corte di Giustizia, 10 settembre 2014, C-34/13, caso Monika Kusionova.

[39] In questo senso, la sentenza in commento ha rilevato che “occorre ricordare l’importanza che il principio dell’autorità di cosa giudicata riveste sia nell’ordinamento giuridico dell’Unione sia negli ordinamenti giuridici nazionali. La Corte ha, infatti, già avuto occasione di precisare che, al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici sia una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per tali ricorsi non possano più essere rimesse in discussione […]. La Corte ha altresì riconosciuto che la tutela del consumatore non è assoluta. In particolare, essa ha ritenuto che il diritto dell’Unione non imponga a un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata a una decisione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una violazione di una disposizione, di qualsiasi natura essa sia, contenuta nella direttiva 93/13”.

[40] Questa decisione riveste importanza centrale in relazione alla tutela del giudicato, nella prospettiva dell’esigenza di certezza dei rapporti giuridici, stante l’affermazione per cui “al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici sia una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi non possano più essere rimesse in discussione. Di conseguenza, secondo la giurisprudenza della Corte, il diritto comunitario non impone ad un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata ad una decisione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una violazione di una disposizione, di qualsiasi natura essa sia, del diritto comunitario da parte di tale decisione […]. Il rispetto del principio di effettività non può, in circostanze come quelle della causa principale, giungere al punto di esigere che un giudice nazionale debba non solo compensare un’omissione procedurale di un consumatore ignaro dei propri diritti […], ma anche supplire integralmente alla completa passività del consumatore interessato che, come la convenuta nella causa principale, non ha partecipato al procedimento arbitrale e neppure proposto un’azione d’annullamento contro il lodo arbitrale divenuto per tale fatto definitivo” (Corte di Giustizia, 6 ottobre 2009, C-40/08, caso Asturcom Telecomunicaciones).

In tema, S. Pagliantini, La vaghezza del principio di non vincolatività delle clausole vessatorie secondo la Corte di Giustizia: ultimo atto?, in Rass. Dir. civ., 2010, 491 ss.; G. Raiti, Le pronunce Olimpiclub ed Asturcom Telecomunicaciones: verso un ridimensionamento della paventata crisi del giudicato civile nazionale nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, in Riv. Dir. Proc., 2010, 3, 677 ss.; R. Conti, C’era una volta il… giudicato, in Corr. Giur., 2010, 173 ss.; H. Schebesta, Does the National Court know European Law? A note on ex officio application after Asturcom, in European Review of Private Law, 2010,. 858 ss.

[41] Per l’analisi della pronuncia, G. Palma, Contratti del consumatore – autonomia processuale ed effettività della tutela del consumatore, in Nuova Giur. Civ., 2016, 9, 1143ss.; N. Rumine, La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in tema di rilievo officioso dell’abusività di una clausola contrattuale e le sue ricadute sul piano interno, in Nuova Giur. Civ., 2016, 9, 1244ss.

[42] Nel ripercorrere l’evoluzione legislativa che ha interessato l’ordinamento spagnolo, la pronuncia ha rilevato che “a partire dalla riforma introdotta con la legge 13/2009 (BOE n. 266, del 4 novembre 2009), entrata in vigore il 4 maggio 2010, spetta ormai al Secretario judicial, nei casi di inottemperanza all’ingiunzione di pagamento da parte del debitore o di mancata comparizione di quest’ultimo dinanzi al tribunale, emettere un decreto, dotato dell’autorità di cosa giudicata, che ponga fine al procedimento d’in­giunzione […]. In mancanza di armonizzazione dei meccanismi nazionali di esecuzione forzata, le modalità della loro attuazione rientrano nella competenza dell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in forza del principio di autonomia processuale di questi ultimi. Nondimeno, la Corte ha sottolineato che tali modalità devono soddisfare la doppia condizione di non essere meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe soggette al diritto nazionale e di non rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti ai consumatori dal diritto dell’Unione” (Corte di Giustizia, 18 febbraio 2016, C-49/14, caso Finanmadrid).

In base a tale disciplina, l’organo giurisdizionale risulterebbe titolare della cognizione sulla controversia esclusivamente in due ipotesi: nel caso in cui, dubitando della correttezza dell’ammontare del credito azionato, il funzionario titolare del potere di ingiunzione ricorra al giudice, ovvero nel caso in cui l’ingiunto si opponga al provvedimento ingiuntivo, nel termine di venti giorni previsto dalla legge. Diversamente, nell’ipotesi in cui il destinatario dell’ingiunzione non svolga tempestiva opposizione, il provvedimento ingiuntivo acquisterebbe portata di giudicato ed efficacia esecutiva.

[43] Coerentemente con le specificità dell’ordinamento spagnolo, la Corte di Giustizia ha dunque affermato che “nella fattispecie, occorre osservare che lo svolgimento e le peculiarità del procedimento d’ingiunzione di pagamento spagnolo sono tali che, in assenza di circostanze che comportino l’intervento del giudice, tale procedimento è chiuso senza possibilità che venga eseguito un controllo dell’esistenza di clausole abusive in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore” (Corte di Giustizia, 18 febbraio 2016, C-49/14, caso Finanmadrid).

[44] Infatti, la Corte di Giustizia ha rilevato che “se, pertanto, il giudice investito dell’esecuzione dell’ingiunzione di pagamento non è competente a valutare d’ufficio l’esistenza di tali clausole, il consumatore, di fronte a un titolo esecutivo, potrebbe trovarsi nella situazione di non poter beneficiare, in nessuna fase del procedimento, della garanzia che venga compiuta una tale valutazione. Orbene, alla luce di quanto considerato, occorre constatare che un simile regime processuale è tale da compromettere l’effettività della tutela voluta dalla direttiva 93/13. Tale tutela effettiva dei diritti derivanti da tale direttiva, infatti, può essere garantita solo a condizione che il sistema processuale nazionale consenta, nell’ambito del procedimento d’ingiunzione di pagamento o di quello di esecuzione dell’ingiunzione di pagamento, un controllo d’ufficio della potenziale natura abusiva delle clausole inserite nel contratto di cui trattasi. Tale considerazione non può essere messa in discussione laddove il diritto processuale nazionale, come quello di cui al procedimento principale, conferisca alla decisione adottata dal «Secretario judicial» autorità di cosa giudicata e le riconosca effetti analoghi a quelli di una decisione giurisdizionale” (Corte di Giustizia, 18 febbraio 2016, C-49/14, caso Finanmadrid).

[45] In questo senso, la statuizione per cui “La direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, dev’essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che non consente al giudice investito dell’esecuzione di un’ingiunzione di pagamento di valutare d’uffi­cio il carattere abusivo di una clausola inserita in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, ove l’autorità investita della domanda d’ingiunzione di pagamento non sia competente a procedere a una simile valutazione” (Corte di Giustizia, 18 febbraio 2016, C-49/14, caso Finanmadrid).

La stretta correlazione tra lo svolgimento della cognizione sul credito azionato in via monitoria da parte di un organo non giurisdizionale e l’affermazione del principio della cedevolezza del giudicato, con conseguente accertamento in sede esecutiva della vessatorietà delle previsioni contrattuali, ha condotto il legislatore spagnolo a procedere ad un’ulteriore riforma della disciplina del procedimento monitorio, attuata con la l. n. 42 del 2015.

In particolare, la cognizione nel procedimento monitorio viene ad essere nuovamente affidata ad un giudice, dotato del potere di pronunciarsi in via officiosa sulla natura vessatoria delle clausole inserite nel contratto. Tale riforma risulta, evidentemente, preordinata ad impedire lo spostamento nella fase dell’esecuzione dell’effettuazione di una cognizione in merito all’efficacia delle pattuizioni contrattuali.

[46] Al riguardo, potrebbe dunque essere rilevato che “la Corte sembrerebbe legare a doppio filo il rispetto del diritto di difesa del consumatore (inteso in maniera più pregnante, proprio in ragione della debolezza che il legislatore comunitario presume caratterizzarlo e affliggerlo) e la res indicata come limite all’attuazione ope legis del diritto comunitario sostanziale. Se tale interpretazione è corretta, allora da essa può ricavarsi, in positivo, che nelle controversie in cui è parte il consumatore, il provvedimento che chiude la vicenda processuale può acquistare autorità di cosa giudicata solo in quanto non sia stato violato il diritto di difesa di quest’ultimo. Mentre, in negativo, che ogniqualvolta tale diritto non venga garantito dalle norme processuali nazionali – in particolare, quando il contraddittorio, o perlomeno la sua potenziale esplicazione, siano stati indebitamente da termini processuali eccessivamente serrati e penalizzanti per la parte ritenuta debole sul piano sostanziale – il giudicato non possa considerarsi congruamente formato. Così, P. Piccioni, Il giudicato e il diritto di difesa del consumatore, in Le Corti Umbre, 2017, n. 3, p 548.

[47] In questo senso, la decisione richiamata rileva che “la direttiva 93/13 deve essere interpretata nel senso che non osta a una norma nazionale che vieta al giudice nazionale di riesaminare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole di un contratto concluso con un professionista, quando è già stato statuito sulla legittimità delle clausole del contratto nel loro complesso alla luce di tale direttiva con una decisione munita di autorità di cosa giudicata” (Corte di Giustizia, 26 gennaio 2017, C-421/14, caso Banco Primus SA).

[48] In questo senso, la Corte di Giustizia ha infatti affermato che “nell’ipotesi in cui, nell’ambito di un precedente esame di un contratto controverso che abbia portato all’adozione di una decisione munita di autorità di cosa giudicata, il giudice nazionale si sia limitato ad esaminare d’ufficio, alla luce della direttiva 93/13, una sola o talune delle clausole di tale contratto, detta direttiva impone a un giudice nazionale, quale quello di cui al procedimento principale, regolarmente adito dal consumatore mediante un’oppo­sizione incidentale, di valutare, su istanza delle parti o d’ufficio qualora disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, l’eventuale carattere abusivo delle altre clausole di detto contratto. Infatti, in assenza di un siffatto controllo, la tutela del consumatore si rivelerebbe incompleta ed insufficiente e costituirebbe un mezzo inadeguato ed inefficace per far cessare l’utilizzo di questo tipo di clausole, contrariamente a quanto disposto all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13” (Corte di Giustizia, 26 gennaio 2017, C-421/14, caso Banco Primus SA).

[49] A tal fine, la Corte di Giustizia ha sostenuto che “l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che non consente al giudice dell’esecuzione di un credito, investito di un’opposizione a tale esecuzione, di valutare, d’ufficio o su domanda del consumatore, il carattere abusivo delle clausole di un contratto stipulato tra un consumatore e un professionista che costituisce titolo esecutivo” (Corte di Giustizia, 17 maggio 2022, C-725/19, caso Impuls Leasing Romania).

Risulta rilevante l’osservazione per cui tale pronuncia è stata depositata nello stesso giorno della sentenza della Corte di Giustizia sui casi SPV Project e Dobank (decisione 17 maggio 2022, cause riunite C-693-19 e C-831/19).

[50] Rilevante a tal fine il passaggio della motivazione per cui “nel caso in cui non sia previsto nella fase di esecuzione dell’in­giunzione di pagamento alcun controllo d’ufficio, da parte di un giudice, del carattere eventualmente abusivo delle clausole contenute nel contratto in questione, una normativa nazionale deve essere considerata idonea a compromettere l’effettività della tutela voluta dalla direttiva 93/13 qualora essa non preveda un tale controllo nella fase di emissione dell’ingiunzione di pagamento o, qualora un siffatto controllo sia previsto solo nella fase dell’opposizione proposta contro l’ingiunzione di pagamento, se sussiste un rischio non trascurabile che il consumatore interessato non proponga l’opposizione richiesta a causa del termine particolarmente breve previsto a tal fine o in considerazione delle spese che un’azione giudiziaria implicherebbe rispetto all’importo del debito contestato o, ancora, perché la normativa nazionale non prevede l’obbligo che gli siano trasmesse tutte le informazioni necessarie per consentirgli di determinare la portata dei suoi diritti” (Corte di Giustizia, 17 maggio 2022, C-725/19, caso Impuls Leasing Romania).

[51] A tal fine, la Corte di Giustizia ha sostenuto che “una normativa nazionale secondo la quale un esame d’ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali si considera avvenuto e coperto dall’autorità di cosa giudicata anche in assenza di qualsiasi motivazione in tal senso contenuta in un atto quale un decreto ingiuntivo può, tenuto conto della natura e dell’importanza dell’interesse pubblico sotteso alla tutela che la direttiva 93/13 conferisce ai consumatori, privare del suo contenuto l’obbligo incombente al giudice nazionale di procedere a un esame d’ufficio dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali”.

[52] Conclusione espressamente affermata dalla Corte di Giustizia nella pronuncia in esame, per cui “ne consegue che, in un caso del genere, l’esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva impone che il giudice dell’esecuzione possa valutare, anche per la prima volta, l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto alla base di un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore e contro il quale il debitore non ha proposto opposizione”.

Tale conclusione è risultata del tutto conforme con quanto espresso dall’Avvocato Generale nelle conclusioni rassegnate nella causa in esame, per cui “alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Tribunale di Milano (Italia) come segue: l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori devono essere interpretati, alla luce del principio di effettività, nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che non consente al giudice dell’esecuzione di verificare, d’ufficio o su istanza di una parte, l’abusività delle clausole di un contratto costituente il fondamento di un decreto ingiuntivo passato in giudicato quando tali clausole non sono state oggetto di una valutazione esplicita e sufficientemente motivata alla luce della direttiva citata” (Conclusioni dell’Avvocato Generale Evgeni Tanchev, presentate il 15 luglio 2021, Cause riunite C-693/19 e C-831/19).

La correlazione individuata tra motivazione espressa del provvedimento giurisdizionale e stabilità del giudicato riguardante la non vessatorietà della previsione contrattuale emerge con evidenza dal passaggio argomentativo per cui “mi sembra che il sindacato del carattere potenzialmente abusivo delle clausole contrattuali ai sensi della direttiva 93/13 debba essere oggetto di una valutazione esplicita e sufficientemente motivata da parte del giudice nazionale […] la normativa nazionale in oggetto implica che la questione relativa all’abusività delle clausole contrattuali si considera decisa nel merito anche quando essa non è stata affatto trattata dal giudice nazionale. A mio avviso, come indicato dalla Commissione, se il sindacato dell’abusività delle clausole contrattuali non è motivato nella decisione contenente il decreto ingiuntivo, il consumatore non sarà in grado di comprendere o analizzare i motivi di tale decisione o, se del caso, di proporre opposizione all’esecuzione in modo effettivo. Non sarà neppure possibile per un giudice nazionale eventualmente investito di un’impugnazione pronunciarsi. A tale riguardo, la Corte ha precisato che, in assenza di un controllo efficace del carattere potenzialmente abusivo delle clausole del contratto, il rispetto dei diritti conferiti dalla direttiva 93/13 non può essere garantito” (Conclusioni dell’Avvocato Generale Evgeni Tanchev, presentate il 15 luglio 2021, Cause riunite C-693/19 e C-831/19).

Sulle Conclusioni dell’Avvocato Generale Evgeni Tanchev, presentate il 15 luglio 2021, Cause riunite C-693/19 e C-831/19, si veda A. Carratta, Consumatore e procedimento monitorio nel prisma del diritto europeo – Introduzione. L’ingiuntivo europeo nel crocevia della tutela del consumatore, in Giur. It., 2022, 2, 485ss.; E. D’Alessandro, Consumatore e procedimento monitorio nel prisma del diritto europeo – Una proposta per ricondurre a sistema le conclusioni dell’Avv. Gen. Tanchev, in Giur. It., 2022, 2, 485ss.; S. Caporusso, Consumatore e procedimento monitorio nel prisma del diritto europeo – Procedimento monitorio interno e tutela consumeristica, in Giur. It., 2022, 2, 485ss.

Per la prospettiva della giurisprudenza di merito, “si ritengono non condivisibili le pur autorevoli conclusioni dell’Avvocato Generale presso la Corte di Giustizia UE nelle Cause riunite C-693/19 e C-831/19, richiamate dall’opponente a sostegno della propria tesi. Come puntualmente osservato nel suddetto procedimento dal Governo tedesco, infatti, “la ripartizione delle competenze tra giudice di merito e giudice dell’esecuzione si fonda sul principio dell’autonomia procedurale nazionale e la direttiva 93/13 non impone un sindacato nel merito nell’ambito del procedimento esecutivo, sempreché il primo procedimento offra al consumatore sufficienti opportunità di far valere i diritti conferiti dalla direttiva 93/13. Pertanto, se, come risulta nelle presenti cause, l’ordinamento nazionale prevede un sindacato giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole nella fase del decreto ingiuntivo, non è necessario un secondo controllo nella fase dell’esecuzione”. In definitiva sul punto, l’ordinamento italiano offre, in generale, un sistema di rimedi effettivo a tutela del consumatore, sicché, qualora costui non si sia avvalso delle facoltà processuali attribuitegli dalla legge, non può, successivamente al passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo, dedurre fatti che avrebbe dovuto far valere in sede di impugnazione” (Trib. Busto Arsizio, sent. 23 luglio 2021).

[53] Per il riconoscimento della complementarità funzionale del giudicato formale e del giudicato sostanziale, sul presupposto peraltro della distinzione e della non identità dei due fenomeni, E. Allorio, Natura della cosa giudicata, in Riv. dir. proc. civ., 1935, I, 215ss.; G. Pugliese, Giudicato civile (dir. vig.), in Enc. dir., XVIII, Milano, 1968, 785ss.; S. La China, La tutela giurisdizionale dei diritti, in Tratt. Rescigno, XIX, 1985, 5ss.; S. Menchini, Il giudicato civile, in Giur. sist. dir. proc. civ. Proto Pisani, 1988, pagg. 13ss.; G. Chiovenda, Sulla cosa giudicata, in Saggi di diritto processuale civile, II, Milano, 1993, 399ss.; G. Chiovenda, Cosa giudicata e preclusione, in Saggi di diritto processuale civile, III, Milano, 1993, 231ss.; A. Chizzini, La revoca dei provvedimenti di volontaria giurisdizione, 1994, 20 ss.; G. Verde, Profili del processo civile, 1994, pagg. 336 ss.; A. Attardi, Diritto processuale civile, I, 1994, 422 ss.; C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, 1995, 121 ss.; E. Fazzalari, Istituzioni di diritto processuale civile, 1996, 458 ss.

In particolare, S. Menchini, Regiudicata civile, in Digesto civile, 1997, 404 ss., rileva che “i rapporti tra cosa giudicata formale ed autorità del giudicato non risultano chiariti a sufficienza, se ci si limita a ricordare la convergenza dei due istituti verso il medesimo fine; invero, tra essi corre una ulteriore, e forse più importante, relazione: per diritto positivo, l’uno (il giudicato formale) è il presupposto necessario del secondo (il giudicato materiale).

Tale nesso può essere apprezzato sotto più e differenti aspetti.

In primo luogo, la sentenza, soltanto quando sia passata formalmente in giudicato, ai sensi dell’art. 324 c.p.c., è dalla legge munita dell’autorità di cosa giudicata, ex art. 2909 c.c.; la vincolatività esterna (nel mondo sostanziale ed in ogni futuro processo davanti allo stesso o ad altro giudice) dell’accertamento del rapporto giuridico ha per requisito la raggiunta stabilità del provvedimento all’interno del procedimento previsto per la sua formazione. La prima (irrinunciabile) condizione (costitutiva) dell’incontesta­bilità futura del contenuto della sentenza è che questa non sia più revocabile o annullabile; ne consegue che, quando l’atto giurisdizionale non possieda quel grado di stabilità formale descritto dall’art. 324 c.p.c., derivante dalla sua (pur relativa) immodificabilità ed inoppugnabilità, l’obbligatorietà extraprocessuale della decisione non ha alcuna possibilità di determinarsi.

In secondo luogo, il legislatore, allorché riconosce obbligatorietà alle sole sentenze passate in giudicato, ai sensi dell’art. 324 c.p.c., richiede non soltanto (e semplicemente) che il provvedimento sia oramai sufficientemente stabilizzato, ossia (ragionevolmente) di difficile ed improbabile modificabilità, ma anche che esso sia soggetto ai rimedi impugnatori ordinari (in specie, appello e ricorso per cassazione), i quali forniscono la garanzia del controllo da parte dei giudici superiori del rispetto delle forme imposte dalla legge, in quanto ritenute necessarie per dare vita ad un «giusto processo» in grado di produrre un «attendibile accertamento»; in breve, la stabilità del risultato del giudizio presuppone che in esso siano state date alle parti le massime garanzie di svolgimento del­l’azione e delle paritarie contrapposte difese e che l’atto conclusivo risulti impugnabile con i mezzi «ad ampio spettro» indicati dal­l’art. 324 c.p.c., idonei a sanzionare ed eventualmente a rimuovere le eventuali invalidità e/o ingiustizie della decisione”.

Risulta evidente come il principio di diritto condiviso dalla Corte di Giustizia sovverta radicalmente le coordinate interpretative espresse, che descrivono principi di base del sistema processuale dell’ordinamento interno.

[54] In questo senso è stato osservato come non necessariamente una capillare informazione si traduca in un aumento della consapevolezza del consumatore, che potrebbe risultare disorientato dall’eccesso di dati. Al riguardo, D. Valentino, Obblighi di informazione, contenuto e forma negoziale, Napoli, 1999, 229 ss.; L. Di Nella, Mercato e autonomia contrattuale nell’ordinamento comunitario, Napoli, 2003, p. 333; D. Valentino, La caducazione delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori tra giurisprudenza nazionale e giurisprudenza comunitaria, in Pers. e merc., 2016, 4, 153 ss.

[55] In questo senso, “l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori devono essere interpretati, alla luce del principio di effettività, nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che non consente al giudice dell’esecuzione di verificare, d’ufficio o su istanza di una parte, l’abusività delle clausole di un contratto costituente il fondamento di un decreto ingiuntivo passato in giudicato quando tali clausole non sono state oggetto di una valutazione esplicita e sufficientemente motivata alla luce della direttiva citata” (Conclusioni dell’Avvocato Generale Evgeni Tanchev, presentate il 15 luglio 2021, Cause riunite C-693/19 e C-831/19).

[56] A tal fine, “una normativa nazionale secondo la quale un esame d’ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali si considera avvenuto e coperto dall’autorità di cosa giudicata anche in assenza di qualsiasi motivazione in tal senso contenuta in un atto quale un decreto ingiuntivo può, tenuto conto della natura e dell’importanza dell’interesse pubblico sotteso alla tutela che la di­rettiva 93/13 conferisce ai consumatori, privare del suo contenuto l’obbligo incombente al giudice nazionale di procedere a un esame d’ufficio dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali” (Corte di Giustizia, sentenza 17 maggio 2022 nelle cause riunite C-693/19 e C-831/19).

[57] In questo senso, gli orientamenti interpretativi per cui “se, pertanto, il giudice investito dell’esecuzione dell’ingiunzione di pagamento non è competente a valutare d’ufficio l’esistenza di tali clausole, il consumatore, di fronte a un titolo esecutivo, potrebbe trovarsi nella situazione di non poter beneficiare, in nessuna fase del procedimento, della garanzia che venga compiuta una tale valutazione. Orbene, alla luce di quanto considerato, occorre constatare che un simile regime processuale è tale da compromettere l’effettività della tutela voluta dalla direttiva 93/13. Tale tutela effettiva dei diritti derivanti da tale direttiva, infatti, può essere garantita solo a condizione che il sistema processuale nazionale consenta, nell’ambito del procedimento d’ingiunzione di pagamento o di quello di esecuzione dell’ingiunzione di pagamento, un controllo d’ufficio della potenziale natura abusiva delle clausole inserite nel contratto di cui trattasi. Tale considerazione non può essere messa in discussione laddove il diritto processuale nazionale, come quello di cui al procedimento principale, conferisca alla decisione adottata dal «Secretario judicial» autorità di cosa giudicata e le riconosca effetti analoghi a quelli di una decisione giurisdizionale” (Corte di Giustizia, 18 febbraio 2016, C-49/14, caso Finanmadrid).

[58] La Corte di Giustizia ha infatti affermato che “che l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell’esecu­zione non possa – per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità – successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole” (Corte di Giustizia, sentenza 17 maggio 2022 nelle cause riunite C-693/19 e C-831/19).

[59] Con specifico riguardo al caso in esame, in dottrina è stato osservato che “il giudice deve preliminarmente soffermarsi sulla qualità soggettiva del debitore, onde verificare se sia o no un consumatore. Ma questa indagine supplementare, che rimarrebbe riservata alla sola materia consumeristica, potrebbe essere il prodromo per una disparità di trattamento rispetto ad altre situazioni di eguale debolezza di soggetti che operano sul mercato, ad es. microimpresa o imprenditore debole, per le quali sarebbe attivo invece il consueto canovaccio di mero controllo formale della sussistenza dei requisiti di legge” (S. Caporusso, Consumatore e procedimento monitorio nel prisma del diritto europeo – Procedimento monitorio interno e tutela consumeristica, in Giur. It., 2022, 2, 485 ss.).

[60] Il riferimento è all’art. 6 della l. n. 192 del 1998, per cui “È nullo il patto tra subfornitore e committente che riservi ad uno di essi la facoltà di modificare unilateralmente una o più clausole del contratto di subfornitura. Sono tuttavia validi gli accordi contrattuali che consentano al committente di precisare, con preavviso ed entro termini e limiti contrattualmente prefissati, le quantità da produrre ed i tempi di esecuzione della fornitura.

È nullo il patto che attribuisca ad una delle parti di un contratto di subfornitura ad esecuzione continuata o periodica la facoltà di recesso senza congruo preavviso.

È nullo il patto con cui il subfornitore disponga, a favore del committente e senza congruo corrispettivo, di diritti di privativa industriale o intellettuale”.

[61] Con riguardo al riconoscimento del conduttore come parte debole del rapporto di locazione, “l’obbligo del locatore di un immobile urbano, di corrispondere al conduttore gli interessi legali sul deposito cauzionale versato da quest’ultimo ha natura imperativa, in quanto persegue finalità di ordine generale, tutelando il contraente più debole ed impedendo che la cauzione, mediante i frutti percepibili dal locatore, possa tradursi in un incremento del corrispettivo della locazione, con la conseguenza che tali interessi devono essere corrisposti al conduttore anche in difetto di una sua espressa richiesta (Cass., 11 agosto 2016, n. 16969; in senso conforme, ex plurimis, Cass., 27 gennaio 1995, n. 979; Cass., 21 giugno 2002, n. 9059; Cass., 19 agosto 2003, n. 12117; Cass., 30 ottobre 2009, n. 23052).

[62] Il riferimento è alla disciplina di cui al D.lgs. n. 58 del 1998. Tra le plurime ipotesi di nullità previste a vantaggio dell’inve­stitore, può richiamarsi la disciplina di cui all’art. 2, comma 2 octies, per cui “È nullo qualunque patto o clausola non conforme alle disposizioni in materia di sistemi di remunerazione e di incentivazione emanate ai sensi del comma 1, lettera c-bis), numero 2), o contenute in atti dell’Unione europea direttamente applicabili. La nullità della clausola non comporta la nullità del contratto. Le previsioni contenute nelle clausole nulle sono sostituite di diritto, ove possibile, con i parametri indicati nelle disposizioni suddette nei valori più prossimi alla pattuizione originaria”, che prevede un’ipotesi di nullità necessariamente parziale.

Allo stesso fine, può farsi riferimento alla disciplina di cui all’art. 24, per cui “Al servizio di gestione di portafogli si applicano le seguenti regole: a) il cliente può impartire istruzioni vincolanti in ordine alle operazioni da compiere; b) il cliente può recedere in ogni momento dal contratto, fermo restando il diritto di recesso del prestatore del servizio ai sensi dell’articolo 1727 del codice civile; c) la rappresentanza per l’esercizio dei diritti di voto inerenti agli strumenti finanziari in gestione può essere conferita al prestatore del servizio con procura da rilasciarsi per iscritto e per singola assemblea nel rispetto dei limiti e con le modalità stabiliti con regolamento dal Ministro dell’economia e delle finanze, sentite la Banca d’Italia e la Consob […]. Sono nulli i patti contrari alle disposizioni del presente articolo; la nullità può essere fatta valere solo dal cliente”, che prevede un’ipotesi di nullità suscettibile di essere fatta valere esclusivamente dal cliente, parte debole del rapporto.

[63] Nell’ipotesi in cui il professionista non depositi al momento del ricorso la documentazione comprovante la stipulazione della clausola a seguito di una trattativa individuale intercorsa con il consumatore, si ritiene possibile per il giudice utilizzare lo strumento dell’invito del creditore a provvedere alla prova mediante integrazione documentale, come previsto dall’art. 640 cod. proc. civ.

[64] Espressamente, la sentenza ha affermato che “una normativa nazionale secondo la quale un esame d’ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali si considera avvenuto e coperto dall’autorità di cosa giudicata anche in assenza di qualsiasi motivazione in tal senso contenuta in un atto quale un decreto ingiuntivo può, tenuto conto della natura e dell’importanza dell’interesse pubblico sotteso alla tutela che la direttiva 93/13 conferisce ai consumatori, privare del suo contenuto l’obbligo incombente al giudice nazionale di procedere a un esame d’ufficio dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali”.

[65] Immediatamente dopo il passaggio precedentemente richiamato, la sentenza ha rilevato che “ne consegue che, in un caso del genere, l’esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva impone che il giudice dell’esecuzione possa valutare, anche per la prima volta, l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto alla base di un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore e contro il quale il debitore non ha proposto opposizione.

[66] In questo senso, C. Canova, La garanzia costituzionale del giudicato civile, in Riv. dir. civ., 1977, 395 ss. Tale posizione è stata successivamente condivisa da G. Serges, Il valore del giudicato nell’ordinamento costituzionale, in Giur. it., 2009, 2819 ss.; per cui la ragione posta alla base dell’art. 111, comma 7, Cost. consisterebbe nel garantire l’effetto tipico della giurisdizione, dato dal­l’autorità stabile dell’accertamento contenuto in sentenza, ossia il giudicato in senso sostanziale.

Per la ricostruzione che ravvisa nel giudicato sostanziale il nucleo della tutela giurisdizionale, elemento necessario e imprescindibile della stessa, si veda E. Allorio, Saggio polemico sulla giurisdizione volontaria, in Problemi del diritto, 1957, II, 34 ss.

Per la tesi contraria, è stato sostenuto che la cosa giudicata non sia elemento essenziale della giurisdizione, cosicché il legislatore potrebbe introdurre modelli processuali che prevedano l’erogazione di una tutela non necessariamente assistita dal giudicato. In questo senso, V. Denti, Commento all’art. 111 Cost., in Commentario della Costituzione, a cura di Branca, 1987, 27 ss.; A. Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 ss. c.p.c., in Riv. dir. civ., 1990, I, pagg. 393 ss.; S. Menchini, Il giudicato civile, 2002; R. Tiscini, I provvedimenti decisori senza accertamento, 2009.

Infine, deve essere ricordato che l’art. 104 del progetto di Costituzione, non approvato, prevedeva che “le sentenze non più soggette ad impugnazione di qualsiasi specie non possono essere annullate o modificate neppure per atto legislativo, salvo i casi di legge penale abrogativa o di amnistia, grazia ed indulto”. Si tratta di una disposizione che testimoniava l’avvertita esigenza di una specifica garanzia per il giudicato, poi non realizzatasi “per il dubbio se la disciplina costituzionale dovesse ricomprendere tutti i valori ispiratori dell’ordinamento o solo quelli più facilmente vulnerabili dal legislatore ordinario (e tale non sembrava il giudicato)”, in questo senso, C. Canova, La garanzia costituzionale del giudicato civile, in Riv. dir. civ., 1977, 429.

Per la ricostruzione di tali orientamenti, U. Corea, Il giudicato come limite alle sentenze della Corte costituzionale e delle Corti europee, in Judicium, 2017, 1, pagg. 37 ss., il quale, ricostruito il fondamento costituzionale del principio di tutela del giudicato, rileva che “il problema in tal modo si sposterebbe alla individuazione dei limiti alla intangibilità del giudicato, posto che come le altre garanzie costituzionali, la protezione del giudicato civile non è una monade, ma è esposta anche nell’esperienza giuridica italiana al confronto e al bilanciamento con altri valori costituzionali”, richiamando R. Caponi, Giudicato civile e diritto costituzionale: incontri e scontri, in Giur. It., 2009, 2827 ss.

[67] Sul dialogo tra Corti, L. Tomasi, Il dialogo tra Corti di Lussemburgo e di Strasburgo in materia di tutela dei diritti fondamentali dopo il trattato di Lisbona, in M.C. Baruffi (a cura di) Dalla Costituzione europea al trattato di Lisbona, Padova, 2008, 149-182; Cosio, Foglia (a cura di), Il diritto europeo nel dialogo delle Corti, 2012; R. Caponi, Dialogo tra corti nazionali e corti internazionali, in Treccani. Il libro dell’anno del diritto 2013, Roma, 2013, 500 ss.

[68] Con il termine sintropia si indicano quei fenomeni che danno origine a strutture tendenti all’ordine, come gli esseri viventi, opponendosi alla tendenza naturale al disordine, ossia all’entropia. Il termine sintropia è stato introdotto da L. Fantappiè, Principi di una teoria unitaria del mondo fisico e biologico, 1944.

Un concetto similare è stato elaborato in relazione alla nozione di neghentropia. La parola neghentropia (dall’inglese negative entropy, ossia entropia negativa), venne utilizzata da E. Schrodinger, Cosa è la vita?, 1943.