Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

La riforma dell´impresa sociale: aspetti centrali e profili problematici della disciplina italiana ed il contesto europeo di riferimento (di Gianluca Riolfo, Ricercatore di Diritto commerciale – Università degli Studi di Verona)


La nuova disciplina dell’impresa sociale, introdotta con il decreto legislativo n. 112/2017, rappresenta indubbiamente una delle novità più interessanti del panorama legislativo recente in Italia.

Pur definendosi come “revisione” della pre-esistente disciplina, quella nuova pare dettare una regolamentazione per certi versi molto diversa (ed innovativa) tanto da rendersi necessaria una lettura attenta delle novità contenute nella legge.

Lo scritto prende in considerazioni alcuni aspetti di rilievo che caratterizzano le imprese sociali (oltre alla definizione e alla tipologia di attività che la stessa può svolgere, la riconosciuta possibilità di una parziale distribuzione dell’utile nonché le forme di governance immaginate dal legislatore – e che dovrebbero portare ad una maggiore partecipazione di utenti, lavoratori e terzi interessati).

La disamina è funzionale a tentare un inquadramento sistematico del modello nell’ordinamento giuridico italiano, evidenziandone le peculiarità in un mondo dell’impresa in continua evoluzione e nel cui ambito si vanno affermando in modo sempre più preponderante i principi della responsabilità sociale d’impresa ed emergono modelli “misti” di società (le c.d. società benefit) non più solo votate al profitto ma in grado di coniugare profit e non profit. Il tutto mentre si assiste ad una inesorabile ritirata dello Stato (sociale) come soggetto erogatore di quei servizi essenziali che ne hanno sempre caratterizzato l’azione (nel bene o nel male).

Parole chiave: impresa sociale – attività di interesse generale – assetti adeguati – public company – società benefit – responsabilità sociale d’impresa – società partecipate.

The reform of the social enterprise: central aspects and problematic profiles of the Italian regulation and the european context of reference.

The new discipline of the social enterprise, introduced with the legislative decree n. 112/2017, undoubtedly represents one of the most interesting innovations of the recent legislative panorama in Italy. While defining itself as a "revision" of the pre-existing discipline, the new one seems to dictate a regulation that is in some ways very different (and innovative), so much so that a careful reading of the innovations contained in the law is necessary.

The paper takes into consideration some important aspects that characterize social enterprises (in addition to the definition and type of activity that they can carry out, the recognized possibility of a partial distribution of profits as well as the forms of governance envisaged by the law - and which should lead to greater participation of users, workers and interested third parties).

The examination in this works is functional to attempt a systematic classification of the model in the Italian legal system, highlighting its peculiarities in a world of business in continuous evolution and in the context of which the principles of social responsibility of enterprise and “mixed” models of companies are strongly emerging (the so-called benefit companies) no longer devoted only to profit but able to combine profit and non-profit. All while we are witnessing an inexorable retreat of the State (previously defined as “social”) as a provider of those essential services that have always characterized its action (for better or for worse).

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. La nozione di impresa sociale (e, correlativamente, la nozione di “attività d’impresa di interesse generale”) - 3. La regola generale dell’assenza di lucro e la sua possibile deroga in concreto. Il finanziamento del­l’impresa sociale - 4. Assetti proprietari, governance e coinvolgimento di lavoratori, utenti ed altri interessati. Un’occasione persa - 5. Alcune riflessioni in chiusura: il sottile filo rosso che lega società benefit, imprese sociali e CSR nell’ambito del rinnovato contesto europeo di riferimento - NOTE


1. Introduzione

Il d.lgs. 3 luglio 2017, n. 112 (rubricato «Revisione della disciplina in materia di impresa sociale, a norma dell’art. 2, comma 2, lett. c) della l. 6 giugno 2016, n. 106») regolamenta l’impresa sociale attraverso l’abrogazione espressa della disciplina precedente contenuta nel d.lgs. 24 marzo 2006, n. 155 [1]. Rispetto alla vecchia legge [2] il nuovo testo appare riformulato in maniera più accurata, implementato con una serie di previsioni (prima assenti) che vengono ad incidere, in particolar modo, su aspetti che la dottrina aveva considerato “critici” e mancanti di espressa regolamentazione nella disciplina preesistente [3]. Non va dimenticato come l’impresa sociale, a prescindere dalla forma organizzativa che andrà ad assumere, è comunque “ente del terzo settore” e, in quanto tale, viene disciplinata anche dal Codice del Terzo Settore (d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117). Pertanto le fonti di regolamentazione sono, nell’ordine: il d.lgs. n. 112/2017, il d.lgs. n. 117/2017 [4], solamente per quelle norme che siano compatibili con la disciplina specifica dell’impresa sociale [5] e, in ogni caso (laddove manchino espresse disposizioni nei precedenti testi), le regole codicistiche che disciplinano il tipo di ente la cui forma sia stata adottata per esercitare la suddetta impresa sociale [6]. Nel contesto europeo di riferimento, sin dal 2011 la Commissione – con la Comunicazione «Iniziativa per l’imprenditoria sociale Costruire un ecosistema per promuovere le imprese sociali al centro dell’economia e dell’innovazione sociale» [7] – ha manifestato l’intenzione di porre l’imprenditoria sociale tra i temi di rilievo della propria agenda. Da allora ad oggi però le iniziative sono state relative e – comunque – di scarso impatto [8]. Ma nel dicembre del 2021 la stessa Commissione ha presentato un «Piano d’azione europeo per l’econo­mia sociale» volto a sviluppare il potenziale di crescita di imprese sociali, cooperative, fondazioni e associazioni non profit e aumentarne il contributo alle transizioni verde e digitale. Il Piano prende le mosse proprio dalla Comunicazione del 2011 e si propone, tra le altre cose, di dare vita ad un contesto giuridico uniforme entro cui inquadrare le diverse forme di imprese in senso lato sociali che si [continua ..]


2. La nozione di impresa sociale (e, correlativamente, la nozione di “attività d’impresa di interesse generale”)

Il previgente art. 1, d.lgs. n. 155/2006 [10], definiva l’impresa sociale come una «qualifica» che qualunque «organizzazione privata» (comprese le diverse tipologie codicistiche di società lucrative, ed escluse le cooperative) poteva assumere qualora avesse esercitato «in via stabile» e «principale» una «attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale», qualora la suddetta organizzazione privata avesse i requisiti previsti nei successivi articoli 2, 3 e 4 [11]. Il nuovo art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 112/2017, risulta modificato e più articolato. Impresa sociale, che resta una “qualifica”, può essere qualunque «ente» privato, comprese le società lucrative, che (nel rispetto della relativa normativa) eserciti «in via stabile e principale» una «attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale». Risulta altresì necessario che l’ente adotti «modalità di gestione responsabili e trasparenti» e che favorisca «il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alla loro attività». Rispetto alla versione precedente, anzitutto, sparisce quella che poteva essere considerata una vera e propria definizione di “imprenditore sociale”, plasmata sulla definizione codicistica di cui all’art. 2082 cod. civ. [12] ma con l’individuazione delle particolari finalità (di interesse generale) e con il riferimento ai particolari “beni o servizi di utilità sociale”. Il legislatore oggi presuppone che l’attività esercitata dagli enti privati “sociali” (anche organizzati in forma societaria) sia impresa (nel senso di attività esercitata da un imprenditore) ma di interesse generale [13]. Ad ulteriore specificazione di quest’ultimo concetto, viene dichiarato come debba trattarsi di attività esercitata senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale [14]. Si noti come l’utilità sociale, prima riferita ai beni o servizi prodotti o scambiati, [continua ..]


3. La regola generale dell’assenza di lucro e la sua possibile deroga in concreto. Il finanziamento del­l’impresa sociale

Un secondo aspetto di reale novità è la parziale deroga al divieto assoluto, prima invece granitico, di perseguire un parziale lucro anche nell’impresa sociale. Il nuovo art. 3, comma 1, conferma che gli utili eventuali e gli avanzi di gestione sono destinati «all’attività statutaria o ad incremento del patrimonio», ciò salvo l’eccezione di cui al comma 3 (su cui torneremo subito appresso). Al fine di realizzare tale obiettivo la legge vieta la distribuzione (diretta o indiretta) dei suddetti utili ed avanzi di gestione, di fondi e riserve in qualunque modo denominate, a fondatori [50], soci o associati, lavoratori e collaboratori, amministratori ed altri componenti degli organi sociali [51]. Tale divieto vale anche nel caso di recesso, esclusione o, con riferimento agli eredi del soggetto defunto, morte: quindi ogni ipotesi di scioglimento del singolo vincolo sociale (o meglio, associativo) non attribuisce il diritto al rimborso delle somme conferite. Con riferimento alle ipotesi di scioglimento anticipato del singolo rapporto sociale la legge, per le imprese sociali che abbiano la forma di uno dei tipi di società lucrative, ammette che la possibilità di rimborsare al socio «il capitale effettivamente versato ed eventualmente rivalutato [52] o aumentato» nei limiti previsti dal successivo comma 3 [53]. Quest’ultimo comma 3 diviene quindi centrale per comprendere in quale modo si ammette la realizzazione di un parziale fine di lucro (soggettivo) nelle imprese sociali a forma societaria. Ecco allora che in quest’ultima tipologia è possibile decidere (comma 3. lett. a)) di destinare «una quota inferiore al cinquanta per cento degli utili e degli avanzi di gestione annuali, dedotte eventuali perdite maturate negli esercizi precedenti» [54] per: 1) l’aumento gratuito del capitale (sottoscritto e versato dai soci [55]). Tale aumento gratuito non può essere superiore alla variazione «dell’indice nazionale generale annuo dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati», calcolato dall’ISTAT. Si noti come tale variazione percentuale, che costituisce un limite all’aumento gratuito, è quella che si è avuta nell’esercizio sociale in cui sono «sono stati prodotti» gli utili o gli avanzi di gestione che vengono utilizzati (non [continua ..]


4. Assetti proprietari, governance e coinvolgimento di lavoratori, utenti ed altri interessati. Un’occasione persa

Pare ora necessario soffermarsi, seppur brevemente, sulle questioni legate agli assetti proprietari e alla governance dell’impresa sociale. E ciò in particolare per comprendere con quali meccanismi si possa attuare il coinvolgimento di lavoratori, utenti, beneficiari ed altri interessati all’attività di tale impresa, che – per lo stesso legislatore – costituisce uno degli elementi caratterizzanti l’impresa sociale stessa (si ricordi la definizione contenuta nell’art. 1, comma 1, d.lgs. n. 112/2017). Se nell’impresa tradizionale uno o più imprenditori decidono di produrre o scambiare beni o servizi al fine di ottenere un guadagno da tale attività, impegnando proprie risorse ed eventualmente coinvolgendo altri soggetti investitori a cui viene riconosciuta una remunerazione del capitale conferito, nell’impresa sociale i primi interessati ai risultati dell’attività dovrebbero essere i beneficiari, gli utenti e, non ultimi i lavoratori. In sostanza, la collettività di riferimento (a seconda del tipo di bene o servizio oggetto dell’attività) necessità di trovare uno o più imprenditori che si assumano l’impegno di realizzare beni o servizi di cui quella collettività necessita, riconoscendo ad essi una minima remunerazione per l’investimento fatto in termini patrimoniali e di impegno, ma non consentendo agli stessi di essere (o diventare) i padroni dell’impresa per realizzare un interesse esclusivamente egoistico [80]. Ammesso che una prospettiva di questo tipo possa ritenersi condivisibile e, soprattutto, realizzabile, quando si considerano gli assetti proprietari e la governance societaria il pensiero va a forme di impresa “democratica” dove manca un socio o un gruppo di soci di comando. A forme di controllo e sanzione verso (ed anche a meccanismi che possano garantire il ricambio di) amministratori, dirigenti e membri degli organi di controllo non fedeli alla mission sociale prevista. Ad assetti interni che permettano a tutti i soci, almeno quando rappresentino minoranze minime, di poter far sentire la loro voce e soprattutto a meccanismi di coinvolgimento di coloro che, pur non essendo soci, sono i reali interessati ai particolari beni o servizi prodotti o scambiati dalla società. Rispetto a quanto ci si poteva aspettare di trovare nella disciplina dell’impresa sociale manca ogni [continua ..]


5. Alcune riflessioni in chiusura: il sottile filo rosso che lega società benefit, imprese sociali e CSR nell’ambito del rinnovato contesto europeo di riferimento

Può essere utile tentare in fine una sintesi dei vari aspetti sui cui si è discusso ma da una prospettiva più ampia, tale da abbracciare i diversi modelli di impresa che si sono affermati di recente o il cui sviluppo è ancora in corso. Pare fuori discussione che il mondo dell’impresa sia scosso, oggi, nelle sue fondamenta. Si sta affermando prepotentemente l’idea che la massimizzazione del profitto non possa (e non debba) più costituire l’unico obiettivo da perseguire nella gestione. Quella che fino a pochi anni fa rappresentava una scelta imprenditoriale volontaria e non imposta da regole giuridiche, funzionale tutto sommato ad intercettare una nuova sensibilità dei consumatori – facente leva su aspetti per così dire “reputazionali” –, vale a dire la responsabilità sociale d’impresa [123], recentemente si è evoluta nell’idea della necessaria “sostenibilità” ambientale e sociale dell’attività di ogni impresa. Anzitutto si è dato rilievo ai c.d. fattori ESG [124] che devono essere presi in considerazione dagli investitori (istituzionali) nell’orientare le loro scelte di investimento In sostanza nel 2018, l’UE ha adottato il “Piano d’Azione per il finanziamento di una crescita sostenibile” che prevede tre obiettivi principali: orientare i capitali privati verso investimenti sostenibili; integrare la sostenibilità nella gestione dei rischi; promuovere la trasparenza sui temi ESG in una prospettiva di lungo periodo. Per conseguire gli obiettivi del Piano, sono stati identificate dieci azioni che si vogliono tradurre nella revisione progressiva delle principali normative che disciplinano i servizi finanziari, includendo – tra gli altri – la creazione di un sistema unificato di classificazione delle attività finanziarie sostenibili sotto il profilo ESG (ambientale, sociale e di governance), la creazione di indici di riferimento per la misurazione delle performance di portafogli o di altri asset finanziari, soprattutto in merito alla capacità di ridurre le emissioni di CO2, l’inclusione dei fattori ESG nei processi di investimento, consulenza e distribuzione, con la definizione di obblighi di comunicazione più stringenti verso il mercato e verso i clienti finali. Con riferimento a tale ultimo obiettivo è stato [continua ..]


NOTE