Il contributo intende affrontare la dinamica negoziale, che si sviluppa attorno all’attività dell’influencer, sotto due aspetti. In primo luogo, e dal punto di vista ricostruttivo, vuol far chiarezza sull’attività del divulgatore in rete, al fine di porre in luce alcune delicate questioni di ricostruzione della disciplina. In secondo luogo, in chiave problematica, intende concentrare l’attenzione su di un profilo peculiare, dell’attività dell’influencer, che riguarda l’impatto del regolamento negoziale sulla riservatezza del divulgatore, e considerare quali possano essere i rimedî contrattuali in grado di salvaguardare la sua esigenza di libertà.
Parole chiave: Influencer – economia digitale – diritti fondamentali – tutela della riservatezza – rimedî contrattuali.
The contribution focuses on negotiation, which develops around the influencer's activity, under two aspects. In the first place, and from a reconstructive point of view, it wants to clarify the activity of the online sponsee, in order to highlight some delicate issues of reconstruction of the discipline. Secondly, in a problematic point of view, it intends to focus attention on a particular profile of the influencer's activity, which concerns the impact of the negotiating regulation on the confidentiality of the discloser, and consider what contractual remedies could be able to safeguard his need for freedom.
Sommario:
1. I nuovi modelli di economia digitale: l’influencer e la divulgazione pubblicitaria in rete - 2. L’inquadramento giuridico dell’influencer - 3. Aspetti problematici sulla regolazione dell’influencer - 4. Diritti fondamentali della persona e contratto: prospettive generali - 5. Il problema della validità del contratto: liceità e meritevolezza del negozio - 6. Segue. La determinatezza dell’oggetto del contratto di sponsor e il ruolo della buona fede contrattuale - 7. I rimedî contrattuali: il recesso dell’influencer e le pretese economiche del finanziatore - 8. Segue. L’inadempimento dell’influencer e la risoluzione del rapporto - 9. Considerazioni conclusive - NOTE
Il contratto di sponsor nasce da esigenze di pubblicizzazione, nell’economia di larga scala, e si diffonde, con particolare ampiezza, nel mercato consumeristico dell’immediato dopoguerra, divenendo usuale nella prassi commerciale dei contratti pubblicitarî [1]. La sponsorizzazione è divenuta in poco tempo uno schema contrattuale socialmente tipizzato, ancorché non riassumibile in un modulo negoziale fisso, ed è quindi capace di soddisfare esigenze assai diverse, quali quelle dello sport, dello spettacolo o della diffusione culturale [2].
La giurisprudenza si è oramai assestata su una definizione del contratto in esame come l’accordo con cui un soggetto (così detto sponsee o sponsorizzato) si obbliga a consentire a un altro soggetto (così detto sponsor) l’uso della propria immagine pubblica o del proprio nome, per promuovere, dietro corrispettivo, un prodotto o un marchio [3]. A fronte di una vasta diffusione sociale, lo sponsor ha suscitato l’interesse degli interpreti, che hanno avuto modo di indagarne a fondo la natura e la funzione, senza peraltro aver raggiunto risultati condivisi [4].
Difatti, nonostante l’elaborazione dottrinale e la limpida ragione economica, che ne giustifica l’impiego, non è agevole comprendere fino in fondo la fisionomia dello sponsor e, quindi, la sua trasposizione nelle tradizionali categorie giuridiche. Fra i tanti aspetti di interesse, merita fermare l’attenzione su quel tipo di sponsorizzazione, che vede, quale parte contrattuale, la persona che si obbliga a tenere determinati comportamenti, al fine di garantire un beneficio di immagine allo sponsor, o all’omissione di certi atteggiamenti, che possano danneggiare la considerazione sociale del finanziatore [5]. Circostanza, questa, che originariamente è sórta con riferimento all’impiego commerciale dell’immagine [6], ma che si è presto rivelata ben più ampia nella sua portata.
Dalla dinamica commerciale sono sórte inedite modalità di profitto economico, le quali si accentrano sulla persona in modo assai più intenso, rispetto alle tecniche oramai divenute tradizionali. Complice è la rivoluzione tecnologica e informatica, che, non solo ha aperto i confini dell’attività economica al mondo digitale, garantendo spazî emergenti all’imprenditoria [7], ma ha altresì reso possibile la nascita di nuove figure professionali, che basano il proprio profitto esclusivamente sulle qualità della persona che si mostra nella rete. Il riferimento è alla figura dell’influencer [8], che si può genericamente definire, per ora, come colui il quale influenza le scelte di acquisto dei consumatori.
Tale figura è particolarmente diffusa nelle piattaforme di condivisione (i così detti social networks) [9], il cui funzionamento è basato su una architettura digitale aperta all’utilizzo degli utenti e la cui ricchezza discende proprio dal largo utilizzo da parte degli iscritti che seguono l’influencer (i così detti followers), i quali, durante la navigazione, cedono i proprî dati personali [10]. L’influencer diviene così un modello economico di fortuna nella dimensione digitale, contribuendo ad aumentare il flusso dei dati personali in rete e, quindi, concorre agli scopi di profitto dei social networks.
Proprio nel contesto dell’imprenditoria digitale, le pagine gestite da taluni influencer hanno un’elevata capacità di diffusione dei messaggi condivisi in rete e, pertanto, sono state ben presto fonte di elevati profitti economici. Si assiste, quindi, a un utilizzo peculiare della sponsorizzazione, in cui l’influencer assume anche le vesti di sponsee, e, più precisamente, di testimonial [11], quando si lega contrattualmente a un finanziatore al quale procura pubblicità e notorietà, attraverso l’utilizzo di proprie pagine, dove si commentano, si pubblicano e si condividono immagini e video relativi al prodotto sponsorizzato.
A questo punto, si intende affrontare la dinamica negoziale, che si sviluppa attorno all’attività dell’influencer, sotto due aspetti. In primo luogo, e dal punto di vista ricostruttivo, si vuol far chiarezza sull’attività del divulgatore in rete, al fine di porre in luce alcune delicate questioni di ricostruzione della disciplina [12]. In secondo luogo, in chiave problematica, si intende concentrare l’attenzione su di un profilo dell’attività dell’influencer, che riguarda l’impatto del regolamento negoziale sulla riservatezza del divulgatore [13].
Nonostante la figura dell’influencer abbia riscosso molto successo, in campo economico, e sia oramai diffusa a livello sociale, sono pochi i contributi giuridici che riescono a definirlo e a dar conto dei numerosi àmbiti in cui questi viene coinvolto [14].
Per far luce su codesto aspetto, si può richiamare una precisa indagine della dottrina straniera, che offre alcuni utili spunti in argomento. Nello specifico, si afferma che un primo elemento qualificante l’influencer sia il settore commerciale in cui esso opera: si è notato che, spesso, i divulgatori concentrano la propria attività su certi tipi di prodotto, anche se non mancano gli influencer che diversificano i prodotti diffusi per raggiungere un più elevato numero di followers [15]. Altro tratto è l’importanza che riveste la popolarità della persona: l’influencer può essere un personaggio pubblico, che usa i social networks per promuovere la propria immagine personale e professionale, ma anche una persona sconosciuta, che acquista notorietà grazie alla continua e mirata condivisione di contenuti in rete, ricevendone un ritorno economico [16]. A ciò si lega un terzo carattere, costituito dal ruolo che riveste l’influencer al di fuori della rete: difatti, questi può essere un imprenditore, un libero professionista oppure un consumatore [17]. Un quarto elemento, infine, viene individuato nella misurazione della attività che il divulgatore svolge in rete (definita influence analytics). Gli indici di misurazione si ricavano dal numero di followers e dalle interazioni che questi possono avere nei social networks (si pensi al numero di visite delle pagine, condivisioni, commenti, likes) [18]; aspetto, questo, che rileva non solo a fini definitorî, bensì anche per assegnare un valore economico al livello di divulgazione, che è in grado di raggiungere l’influencer [19].
Il dato caratterizzante l’attività dell’influencer è la sua abilità nel creare contenuti digitali, che possano essere monetizzati attraverso i social media [20]. La dottrina straniera descrive varî modelli di impresa che si possono ritrovare nell’attività dell’influencer, che è bene ricordare, perché essi rivelano il contenuto del rapporto contrattuale fra il divulgatore e il finanziatore.
Un primo modello è quello dell’affiliazione commerciale, in cui l’influencer diffonde un link a un prodotto dell’impresa finanziatrice, che lo remunera per ogni accesso dell’utente o per ogni vendita conclusa [21]. Altra fattispecie è lo scambio di beni e servizi, contro la prestazione pubblicitaria del divulgatore [22]. Vi è poi una forma più vicina alla sponsorizzazione, che consiste nella corresponsione di una somma di denaro per ogni visualizzazione o interazione dei followers verso una pagina o un post gestiti dall’influencer [23]. Un ultimo modello di impresa è rinvenuto in dinamiche negoziali più complesse, nelle quali l’influencer collabora in stretta connessione col divulgatore e, talvolta, diviene parte dell’organizzazione stessa dell’impresa [24].
Da questa descrizione, si può anzitutto dedurre che l’influencer sia legato al finanziatore da un contratto atipico, consensuale, oneroso [25], sinallagmatico e a forma libera [26]. Quanto al contenuto del contratto, generalmente sottoscritto fra il divulgatore e un’agenzia di comunicazione [27], occorre interpretare le clausole negoziali per ricavare una precisa ricostruzione dei diritti e dei doveri dell’influencer [28]. Dalla sua atipicità discende la difficoltà, del tutto simile a quanto avviene nella sponsorizzazione, di ritrovare schemi capaci di qualificare questo rapporto e, quindi, di avvicinarlo a rapporti già conosciuti dall’ordinamento [29].
Gli obblighi, in cambio dei quali il divulgatore riceve un ritorno economico (in denaro o altri beni [30]), possono consistere in prestazioni di dare (a titolo di esempio, concedere le proprie credenziali al finanziatore per controllare il corretto adempimento delle prestazioni [31]), di fare (come aprire una pagina sui social networks, divulgare un certo numero di post, più o meno liberi nel contenuto, commentare o pubblicare immagini o video per raggiungere un certo numero di followers [32], comunicare i dati di diffusione all’impresa [33]) e di non fare (si pensi al dovere di non pregiudicare l’immagine dell’impresa sponsorizzante, oppure a quello di non sottoscrivere accordi con imprese concorrenti). Assoluta importanza rivestono poi gli obblighi di trasparenza e di leale collaborazione [34].
Un ruolo di primario rilievo, in questa dinamica contrattuale, assume il social network che viene adoperato dall’influencer per svolgere la propria attività. La piattaforma, difatti, non si pone esclusivamente come un mezzo su cui scambiare messaggi e informazioni, ma risulta essere, spesso, il veicolo con cui si perfeziona l’accordo o con cui, il finanziatore, inoltra alcune richieste all’influencer, richiedendogli precise condivisioni di contenuto [35]. Altro aspetto è la misurazione della diffusione del messaggio pubblicitario e, difatti, alcune piattaforme offrono dei servizî dedicati proprio a chi sponsorizza prodotti in rete [36].
Il social network assume anche una notevole influenza sulla relazione contrattuale fra il divulgatore e l’impresa finanziatrice [37]. Difatti, il preesistente rapporto, che intercorre fra l’influencer e la piattaforma, funge da base necessaria all’intera attività, perché la divulgazione avviene tramite la gestione di un account, e quindi sul presupposto di un contratto di utenza di social network. Di qui, è agevole notare che la modifica delle condizioni generali possa avere delle notevoli conseguenze circa l’esecuzione del contratto dell’influencer. Si devono considerare, infine, tutti quei controlli che la piattaforma svolge sul contenuto divulgato, perché essi determinano una sicura limitazione all’oggetto della prestazione pubblicitaria [38].
Dopo aver tratteggiato il rapporto fra influencer e finanziatore, giova porre in luce che le difficoltà, poste all’interprete da codesta, inedita, forma di divulgazione in rete, si legano, in particolar modo, all’utilizzo principale, se non esclusivo, della rete e soprattutto dei social networks [39]. Per elencare alcuni fra i profili più problematici, merita ricordare, soprattutto, quelli che presentano connotati pubblicistici [40], gli aspetti di diritto internazionale privato [41], le problematiche concorrenziali [42], le questioni di diritto dei consumatori [43]. Dal punto di vista civilistico, nascono non pochi problemi nell’accostare l’attività dell’influencer alla disciplina generale del contratto e dell’obbligazione, e quindi di ricostruire e applicare il diritto positivo a questo accordo, avuto riguardo al particolare mezzo che questi impiega per svolgere la propria attività. Difficoltà, queste, che appaiono, per lo più, pratiche e che si possono risolvere con uno sforzo di adattamento e sussunzione alle norme di legge, oppure con l’adeguato utilizzo delle categorie elaborate e conosciute dal diritto vivente.
Vi sono questioni, invece, in cui il regolamento negoziale coinvolge degli aspetti della personalità del divulgatore, avendo di mira un ritorno economico, mediante la divulgazione di momenti o situazioni personali: fra i numerosi esempi, che si possono portare, si pensi a quanto concerne una relazione affettiva fra lo sponsorizzato e un terzo, oppure a situazioni legate alla salute, come il vivere una determinata malattia, oppure l’affrontare una gravidanza. Tale casistica pone delicati aspetti di carattere teorico, oltreché pratico, e non risulta adeguatamente approfondita da coloro che si sono soffermati sulle problematiche giuridiche, che ruotano attorno all’influencer [44].
La fortuna degli influencer risulta spesso legata proprio a taluni tratti della loro personalità, ovverosia all’identità che si è formata nella dinamica sociale della rete e che ha permesso loro di raggiungere numerosi utenti [45]. Il più delle volte, la pagina del social network è solo il mezzo che consente alla persona di divulgare attività di spettacolo, raggiungendo certe categorie di pubblico grazie alla diffusione della rete; epperò, vi possono essere anche situazioni in cui il programma contrattuale è più invasivo e si spinge oltre alla cessione dell’esercizio dell’immagine professionale del divulgatore, quasi avvicinandosi ad una cessione, per così dire, della riservatezza e della privacy dell’influencer. L’accordo di sponsorizzazione potrebbe vincolare a un certo utilizzo della pagina personale del divulgatore, il quale subirà allora una compressione del proprio diritto alla riservatezza; altre volte, invece, dalla richiesta di condividere un certo contenuto quotidiano potrebbe discendere l’interesse del pubblico nella divulgazione di aspetti intimi e personali dell’influencer, che vedrà così aumentare la propria notorietà e, di conseguenza, il proprio compenso.
Il vincolo, che si crea con il contratto, pone nuova luce sul problema degli adeguati rimedî a tutela dei diritti fondamentali della persona, riscontrandosi una tensione fra il legame contrattuale e le esigenze di libertà della persona. Quest’ordine di problemi suscita maggiore interesse poiché la complessità, che emerge dal rapporto fra interessi economici e tutela dei diritti fondamentali della persona [46], va oltre al mero adattamento di regole di diritto positivo al caso di specie e richiede uno sforzo metodologico.
Appare assai difficile affermare a priori quando uno dei due valori possa dirsi prevalente sull’altro: da un lato, si hanno le esigenze dell’autonomia privata e dell’interesse al libero esercizio dell’attività economia [47]; dall’altro lato, occorre avere riguardo alla tutela dei diritti fondamentali della persona [48]. Poiché si tratta di un raffronto fra principî, presidiati da norme costituzionali e sovranazionali, è opportuno accompagnare, senza sostituirla, la ricerca della regola, con una valutazione di bilanciamento, che conduca, nella soluzione del caso concreto, ad una risposta soddisfacente alle ragioni sottostanti al problema [49].
Sul punto, giova solo precisare che la tecnica di bilanciamento non deve essere confusa con la ricerca della disciplina applicabile al contratto di sponsorizzazione dell’influencer, la quale discende dalla sua atipicità. Questo ultimo aspetto, difatti, richiede un inquadramento concettuale nelle categorie conosciute e l’uso dell’integrazione analogica, con cui l’interprete trae la regola del caso concreto da casi simili o materie analoghe (art. 12, secondo comma, disp. prel. cod. civ.), ma, di certo, non risolve una tensione fra principî. Il bilanciamento, invece, si pone sul piano assiologico del contemperamento di interessi tutelati dall’ordinamento ed esprime una esigenza valutativa, oltre che applicativa, della norma [50].
Pòsto il metodo con cui si intende condurre l’indagine, è bene portare la questione sul piano del diritto positivo e considerare l’àmbito sul quale svolgere detto bilanciamento fra interessi confliggenti. La ricerca della disciplina di riferimento può avvenire suddividendo il tema, per praticità, in alcune questioni, fra loro collegate: in particolare, va affrontato il problema della individuazione della prestazione dell’influencer, quello della validità del vincolo e, infine, la questione della determinazione del contenuto del contratto.
Sul primo aspetto, l’intero impianto regolatorio delle obbligazioni e dei contratti dà per presupposto il contenuto economico della prestazione (la quale deve altresì rispondere a un interesse, anche non patrimoniale, del creditore: art. 1174 cod. civ.) e la libera disponibilità dei diritti patrimoniali, che possono essere regolati in un contratto (art. 1321 cod. civ.) o per mezzo di atti giuridici unilaterali (art. 1324 cod. civ.). Si tratterebbe, quindi, di comprendere fino a che punto possa definirsi patrimoniale il vincolo avente a oggetto la propria immagine (per la sponsorizzazione tradizionale), oppure taluni aspetti della propria personalità (in certi tipi di finanziamento dell’influencer), e quali conseguenze pratiche possano derivarne.
V’è anzitutto da ricordare che, sullo sfondo, vi è un ampio dibattito attorno alla portata dell’art. 1174 cod. civ., il quale ha contribuito al superamento di un sistema di contrattazioni chiuse allo scambio di beni, per aprirsi fino a ricomprendere figure che, prima d’ora, ne rimanevano escluse. Ciò al punto che, fra le diverse letture proposte dalla dottrina [51], la norma, nella parte in cui afferma la valutazione patrimoniale della prestazione, sembra aver perso gran parte del suo significato originario, ovverosia quello di porsi come limite all’autonomia privata. Essa, invece, risulta descrittiva della nozione di obbligazione o, quantomeno, sembra ponga la distinzione fra obbligazioni e altri obblighi giuridici [52].
In questo quadro, si innesta il profilo dell’indisponibilità dei diritti della personalità: si è oramai lontani dalla situazione che si presentava al tempo dell’emanazione del Codice civile, in cui l’elaborazione dogmatica attorno ai così detti diritti della personalità aveva consentito di ritrovarne talune comuni caratteristiche discendenti dalla disciplina positiva (artt. 6 ss. cod. civ.), sancendo con sicurezza la loro indisponibilità e, quindi, l’impossibilità di dedurli in un regolamento contrattuale [53].
Nell’evoluzione del sistema, difatti, si possono registrare dei significativi mutamenti, che in qualche modo concorrono al superamento di quell’impostazione tradizionale [54]. Si sostiene che i diritti della personalità presenterebbero un contenuto misto e una natura complessa, combinandosi, al loro interno, facoltà di natura personale e facoltà di natura patrimoniale [55].
Guardando alla sponsorizzazione, lo sviluppo della pratica commerciale ha determinato il superamento del problema, se mai sia stato avvertito realmente come tale, della valutazione economica della prestazione dello sponsee. In tal senso, vi è assoluta concordia fra la dottrina e la giurisprudenza nell’affermare la «piena patrimonialità» dell’oggetto di tale contratto [56]. Di conseguenza, per le già richiamate affinità, lo sviluppo dell’economia digitale induce a conclusioni simili anche per quel che concerne la riservatezza e taluni aspetti della personalità dell’influencer: essi rappresentano valori suscettibili di essere negoziati e, quindi, di divenire oggetto di un vincolo contrattuale [57].
La consapevolezza dell’evidente diffusione del contratto di sponsor ha un’ulteriore implicazione, che consiste nella validità dell’impegno contrattuale. Si amplia, difatti, lo spazio che viene riconosciuto all’autonomia privata: ciò avviene in misura tale da superare la tecnica dispositiva dell’immagine grazie al mero consenso (artt. 96 ss. l. aut.), per diventare oggetto di regolazione negoziale [58].
Occorre ora domandarsi se, quando si accerti il coinvolgimento di aspetti intimi e personali della persona, ne discendano taluni riflessi giuridici. Vale a dire se, la disciplina comune, possa applicarsi integralmente a codesti rapporti, al pari di un qualsiasi altro scambio di utilità patrimoniali. Ebbene, proprio la natura complessa dei diritti della personalità conduce a negare codesta soluzione, perché non solo si semplificherebbe troppo il problema, uniformando situazioni fra di loro assai diverse, ma si frustrerebbero anche le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’individuo [59].
Invece, se si accoglie l’idea che taluni aspetti della persona assumano carattere patrimoniale [60], non si vede come giustificare normativamente una deroga alla disciplina generale del contratto e del rapporto obbligatorio (artt. 1321 ss. e 1173 ss. cod. civ.) [61], se non ricavando lo statuto particolare del singolo accordo [62], in cui sono calati i diritti fondamentali, e adattarlo alle esigenze di tutela della persona.
Fermandosi agli aspetti della disciplina del contratto, che possono venire in rilievo, una prima valutazione riguarda la validità dell’accordo sul piano della liceità, ovverosia la questione se il sacrificio dei diritti fondamentali della persona possa determinare la nullità del contratto, ai sensi dell’art. 1418 cod. civ. [63]. Il piano di indagine sarebbe quello della valutazione del regolamento negoziale sotto la lente della sua compatibilità con l’ordine pubblico e il buon costume: epperò, oggi, tali clausole generali vengono ad arricchirsi, proprio sul piano dei diritti fondamentali della persona [64], dell’esigenza di tutelare la dignità dell’uomo [65]. Non c’è spazio per approfondire codesto mutamento concettuale [66]; occorre, tuttavia, porre in luce come siano state di recente affermate categorie diverse, che paiono meglio adattarsi all’attuale situazione socioeconomica e che riescono a presidiare la persona, proprio grazie ad alcune applicazioni del princìpio della (tutela della) dignità umana [67].
Detto princìpio consentirebbe un adeguato controllo, sull’atto di autonomia privata, in tal modo evitando che i diritti fondamentali della persona risultino sopraffatti dalle ragioni economiche del mercato; per via di questo valore, il discorso si sposterebbe da una valutazione astratta al piano concreto del bilanciamento fra i varî interessi confliggenti. Si deve comunque ricordare che, poiché il contratto, che lega l’influencer, è un negozio atipico [68], la valutazione di meritevolezza può di certo abbracciare il rapporto nel suo concreto svolgimento negoziale, talché la lesione della dignità della persona diverrebbe parte integrante della motivazione sulla rispondenza del regolamento contrattuale all’art. 1322, comma 2, cod. civ. [69].
Epperò, quello della nullità è un rimedio sì ammissibile, ma poco utile a risolvere il problema della compressione della libertà dell’influencer, poiché la comminatoria dell’invalidità gioverebbe solo per le lesioni più gravi, ove sia palese la violazione di un diritto fondamentale della persona [70]. Si lasciano fuori, invece, i ben più diffusi profili in cui vi è un più tenue, ma continuo, sfruttamento dell’immagine e della riservatezza dell’influencer, i quali, in sé considerati, non evidenziano una patologia così grave da porre nel nulla il contratto. Si consideri anche che, quale ultimo dato, dal lato pratico è poco verosimile la richiesta di una delle due parti che voglia accertare la nullità del contratto [71]: lo scambio è stato senz’altro da esse voluto e queste ne reclamano, altresì, i vantaggi economici [72]. Infine, pretendere la nullità del negozio determinerebbe, come effetto non trascurabile, l’obbligo restitutorio di quanto ricevuto indebitamente dallo sponsor, così frustrandone l’interesse [73].
Quanto al giudizio di determinazione dell’oggetto del negozio, si può notare una certa distanza fra l’elaborazione concettuale della dottrina e la prassi commerciale. Difatti, una opinione è nel senso che una adeguata garanzia, a tutela della persona, risiederebbe nella esatta e precisa definizione dell’atto dispositivo, rendendosi necessaria una più stringente verifica dei requisiti di determinatezza o determinabilità dell’oggetto dell’accordo, ai sensi dell’art. 1346 cod. civ. [74]. La tesi è sostenuta, dal punto di vista normativo, grazie al richiamo di discipline di settore, in cui sarebbero presenti specifici oneri di informazione nei confronti del soggetto che disponga di attributi della propria persona [75].
Nonostante gli argomenti portati a sostegno, questa opinione non è priva di aspetti di criticità. Fra tutti i nodi problematici [76], suscita diversi dubbî la necessità di dover prescindere dalle regole sui rapporti patrimoniali, quasi a ritenere che il contratto, avente a oggetto uno scambio, per così dire, esclusivamente economico, possa tollerare un più elevato grado di astrattezza. Il requisito della determinatezza del contratto è proprio giustificato dalla tutela del contraente nel conoscere il contenuto del vincolo [77], perciò non si vede la ragione del maggior rigore che si richiede nell’interpretare quel requisito normativo, invece di richiamarne una puntuale applicazione [78].
Osservando la prassi, invece, è agevole notare l’importanza, nei contratti stipulati dall’influencer, che assumono le clausole in cui si cerca di descrivere il novero dei doveri del divulgatore attraverso formule alquanto ampie, accanto a ben più precisi obblighi di comportamento [79]. Codeste clausole, assai generiche, sono generalmente reputate legittime, tanto dalla dottrina, quanto dalla giurisprudenza, in quanto risulterebbero aperte alla integrazione, in via di specificazione, attraverso il dovere di buona fede e correttezza che anima il rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.) [80].
È noto che la buona fede sia da tempo oggetto di una elaborata analisi dottrinale a fronte del suo sempre maggior utilizzo in giurisprudenza, e ad oggi pare pacifico che la correttezza sia fonte di obblighi secondarî, capaci di salvaguardare la posizione giuridica dell’altra parte del rapporto e di adeguare il regolamento negoziale alle sopravvenienze dapprima non considerate [81]. Il grado di specificazione dei doveri delle parti è reso ancóra più evidente quando il rapporto è basato sulla fiducia, com’è il legame che nasce dalla sponsorizzazione [82], perché l’esecuzione del contratto viene affidata alla professionalità e alla competenza di chi deve attuare il programma negoziale.
Si pensi all’attenta gestione dei contenuti condivisi in rete dall’influencer. È intuitivo che lo stretto legame tra il prodotto, o il marchio, e la persona tenda a far immedesimare i due àmbiti e il rapporto si riassuma nell’esigenza a che l’influencer non debba ledere l’immagine commerciale del finanziatore. Anzi, proprio poiché nell’attività dell’influencer la promozione è spesso del tutto limitata allo spazio digitale, che questi gestisce, arricchendolo di contenuti che vengono divulgati, il problema si acuisce: non vi sarebbe, difatti, altra possibilità di pubblicizzazione l’immagine del finanziatore, se non attraverso una attività autonoma, svolta dal divulgatore [83].
In un tale scenario, la buona fede non solo contribuisce a delimitare gli obblighi secondarî che le parti devono seguire a salvaguardia degli interessi di controparte [84], ma tende a essere la fonte principale dei doveri del divulgatore. Quasi che il finanziatore voglia affidare completamente il proprio apparire pubblico alla persona che lo rappresenta come sponsor e a sottoporre a controllo stringente la fiducia che ha riposto nell’influencer [85].
Va rilevato, tuttavia, come questo sia un risultato difficilmente accettabile sia sul piano dei valori, sia su quello concettuale. In primo luogo, si rischierebbe di legittimare una sorta di schiavitù della persona, confondendo il piano professionale con quello personale e sottoponendo a rigido controllo economico ogni atteggiamento che porti a deviare dalla sensibilità dello sponsor. In secondo luogo, assegnare un cómpito predominante alla buona fede negoziale, e quindi ammettere che si possa di lì trarre il nucleo dei doveri dello sponsee, equivarrebbe a mutare il significato che la correttezza tradizionalmente assume, vale a dire la funzione di completamento del rapporto obbligatorio con obbligazioni accessorie alla prestazione principale, che deve essere opportunamente definita.
Si possono, a questo punto, considerare talune ipotesi interpretative, che cerchino di conciliare la determinatezza del contratto di sponsorizzazione e la tutela della libertà dello sponsee. Anzitutto, potrebbe sostenersi la nullità parziale di talune clausole, quali le morality clauses, poiché generiche o, addirittura, limitanti la libertà della persona. La soluzione, però, è di difficile percorribilità, poiché sarebbe poco agevole superare il giudizio di cui al primo comma dell’art. 1419 cod. civ.: il regolamento negoziale della sponsorizzazione è unico e i molteplici obblighi, che vincolano il divulgatore, risultano per lo più descrittivi, tant’è che si invoca la necessità di una loro specificazione alla luce del dovere di correttezza e buona fede.
Si è poi sostenuto che, per evitare l’extrema ratio della declaratoria di nullità, sarebbe consentito interpretare in senso restrittivo il contenuto del negozio avente a oggetto diritti della personalità [86]. L’utilità di questa tesi è evidente, ma è alquanto incerta la sua rispondenza alle regole di ermeneutica contrattuale: andrebbe, difatti, compreso il motivo per il quale si giustifichi un tale squilibrio nella specificazione del regolamento negoziale. Laddove si sostenga il superamento della tecnica dispositiva dei diritti della personalità mediante il consenso dell’avente diritto, e si ammetta, di conseguenza, la possibilità di regolare in via contrattuale lo scambio, l’onerosità imporrebbe un equo contemperamento degli interessi delle parti e non giustificherebbe alcuna interpretazione che conduca, nei fatti, a una minore gravosità per l’obbligato (art. 1371 cod. civ.) [87].
Alla luce di ciò, non pare che, al di fuori dell’enfasi sulla buona fede, vi possano essere più agevoli soluzioni interpretative [88]. Infatti, al di là prudente impiego della clausola della correttezza, che tenga conto dell’esigenza di una certa prevedibilità degli obblighi negoziali (art. 1346 cod. civ.), si corre il rischio che l’intervento, con cui si voglia riportare a legalità l’accordo ed evitare un’eccessiva e ingiustificata compressione della libertà della persona, ridisegni il contenuto del contratto per via di una eterointegrazione equitativa, che è operazione concettuale assai dubbia, specie quando si corra il rischio di frustrare l’interesse economico sottostante [89].
L’esigenza di tutelare taluni aspetti della personalità degli influencer richiede un bilanciamento fra gli interessi sottostanti al rapporto, anche dal punto di vista dei rimedî nello svolgimento della relazione contrattuale. Guardando la questione dal lato dell’influencer, è evidente che l’intollerabilità di un legame troppo invasivo della sua sfera personale, che può emergere anche in sede di successive richieste del finanziatore, sia capace di indurre il divulgatore a recedere dal contratto e, pertanto, a pretendere lo scioglimento anticipato del rapporto.
La soluzione non pone particolari problemi con riguardo ai rapporti a tempo indeterminato, che l’ordinamento circonda di cautele miranti a evitare legami di troppo lunga durata (art. 1373, secondo comma, cod. civ.) [90]. Quanto ai rapporti a tempo determinato, com’è in genere quello di cui è parte l’influencer, e fuori dai casi in cui sia il contratto a prevedere e disciplinare il diritto di recesso, deve valutarsi l’ammissibilità del recesso.
La dottrina, sul punto, afferma che, nei casi di negoziazione di attributi della persona, si possa ricorrere ad una interpretazione analogica della previsione dell’art. 142, secondo comma, L. n. 633/1941, che consente all’autore dell’opera di chiederne il ritiro per gravi ragioni morali e previa corresponsione di un indennizzo [91]. Tale risultato è condivisibile, e pare potersi sostenere anche con altri argomenti, più adatti all’inquadramento del rapporto all’interno di uno schema contrattuale.
Giova considerare, dapprima, il diritto di recesso e, in un secondo tempo, le conseguenze economiche in ordine al suo esercizio. Sul primo aspetto, il diritto di recesso potrebbe ricavarsi dall’applicazione delle norme dettate in materia di prestazione intellettuale, quando il contenuto delle obbligazioni dell’influencer consenta un avvicinamento a quello schema negoziale, ricordandosi che il diritto di recedere del prestatore intellettuale si accompagna alla previsione del diritto al rimborso delle spese fatte e al compenso per l’attività svolta (artt. 2237, secondo comma, cod. civ.). Non si trascuri, però, che l’accostamento non è sempre agevole, in ragione del fatto che, talvolta, l’attività dell’influencer pare corrispondere più a un contratto d’opera, nella cui disciplina non è previsto il diritto di recesso da parte del lavoratore autonomo (art. 2227 cod. civ.) [92]. Con diversa argomentazione, invece, si potrebbe sostenere che tale diritto possa discendere da un atteggiamento difensivo nei confronti dei diritti fondamentali, e quindi possa giustificarsi, dal punto di vista assiologico, sulla base di una tecnica di tutela rimediale rispetto a una compromissione del diritto alla riservatezza [93].
Quanto al secondo aspetto, circa la tutela degli interessi economici del finanziatore, va osservato che il tema non riguarda solo la conseguenza del recesso della parte contrattuale, bensì anche il caso in cui l’influencer trascuri i proprî doveri e non adempia correttamente alle obbligazioni pattuite. A prima vista, è agevole ritenere che, dalla natura contrattuale dell’accordo, discenda una sicura pretesa al risarcimento del danno a seguito dell’inadempimento dell’influencer (artt. 1218 ss. cod. civ.). Ciò può avvenire ogniqualvolta il divulgatore trascuri i proprî compiti e non adempia alle obbligazioni con la dovuta diligenza in una dinamica negoziale, per così dire, usuale.
Va invece considerata con attenzione l’eventualità che la mancata o la scorretta esecuzione della prestazione discenda dalla salvaguardia dell’intimità del divulgatore e, quindi, il rifiuto di adempiere sia motivato da esigenze di difesa dei diritti fondamentali del debitore [94]. A tal proposito, la dottrina ha sostenuto che, all’impresa creditrice, possa eventualmente spettare un indennizzo, quantificabile nell’interesse negativo che viene frustrato dall’inadempimento [95]. Non si è dinanzi a un corrispettivo per il recesso, che può essere eventualmente pattuito nel contratto di finanziamento, bensì al riconoscimento di una somma di denaro, inferiore al risarcimento del danno, giustificata sulla base di una valutazione assiologica degli interessi fondamentali meritevoli di tutela [96].
Anche questa conclusione potrebbe sostenersi con ulteriori argomentazioni, che si legano all’indennizzo, quale categoria in grado di ricomprendere delle fattispecie di riparazione per l’esercizio dell’attività dannosa lecita [97]. Sul tema, basti solo ricordare le difficoltà legate a un utilizzo, talvolta improprio, che il legislatore fa dei termini «indennità» o «indennizzo» [98], le quali appaiono poter essere superate solo grazie ad una precisa ricostruzione dogmatica del concetto di indennità, quale categoria capace di aprirsi a fattispecie atipiche [99], in cui si rende necessario un contemperamento degli interessi del danneggiato con le ragioni del danneggiante [100].
Nella fattispecie considerata, proprio nell’ipotesi in cui l’inadempimento sia giustificato da particolari esigenze di difesa della persona, il riconoscimento di un indennizzo consente di bilanciare, adeguatamente, le opposte esigenze di tutela delle ragioni economiche dell’impresa (poiché il danno è stato cagionato) e di tutela dei diritti fondamentali dell’influencer (in quanto tale danno non è ingiusto).
Osservando, infine, il rimedio previsto dall’art. 1453 cod. civ., è opportuno verificare se, l’inadempimento degli obblighi in capo all’influencer, possa giustificare la richiesta di risoluzione del contratto da parte del finanziatore. Anche qui, nella normalità dei casi, è chiaro che all’inadempimento grave corrisponda il diritto di recedere dal contratto; epperò, emergono profili delicati laddove l’inesatta esecuzione dell’accordo sia giustificata dalla difesa di diritti fondamentali [101]. Il problema passa attraverso la qualificazione dell’accordo come contratto a prestazioni corrispettive e, quindi, presuppone un chiarimento sul nesso che lega la disposizione di aspetti della personalità e la controprestazione del finanziatore [102].
Sul punto, una recente lettura della giurisprudenza ha negato fermamente che le scelte di vita possano integrare inadempimento contrattuale per violazione dei doveri dello sponsee, nel caso di specie un testimonial, così rigettando le pretese della società finanziatrice. Il Tribunale di Milano giudica le conseguenze di taluni episodî di vita disordinata, socialmente riprovevoli, che avrebbero macchiato la reputazione del finanziatore, al pari di quella dello sponsee. In sede di motivazione, il recupero della distinzione fra la sfera personale e la sfera professionale è servito ai giudici ad eccepire, dinanzi alla domanda risarcitoria dello sponsor, che la libertà nelle scelte di vita dello sponsee non potesse venire pregiudicata dall’impegno contrattuale, escludendo la sussistenza di un inadempimento a salvaguardia dei diritti fondamentali della persona [103].
Epperò, pare assai arduo, se non impossibile, tenere distinti il piano professionale da quello personale della persona, specie quando la ragione pubblicitaria, che sottende al contratto di sponsor, sia intimamente connessa alla persona dell’influencer; piani, questi, la cui frattura rischia di rivelarsi artificiosa, e difficilmente giustificabile dal punto di vista rimediale [104]. Ciò, tanto più nel caso dell’influencer che acquista notorietà in rete e il cui account viene seguito da un numero sempre maggiore di followers che fanno affidamento sulla sua spontaneità e genuinità, testimoniata dalla condivisione di episodi di vita intima e quotidiana.
Pare più utile, invece, richiamare i risultati cui addiviene la dottrina che ha indagato il fenomeno della cessione dei dati personali nelle contrattazioni in rete e, in particolare, alla dinamica negoziale che sottende la navigazione degli utenti [105]. In tale àmbito, come è noto, il panorama normativo è reso complesso dalla disciplina di origine comunitaria dettata dal Reg. UE n. 679/2016, che cerca di mediare fra diverse esigenze, proponendo un modello di regolazione del mercato assai peculiare [106]. Nel fenomeno della circolazione dei dati personali vengono in rilievo problematiche simili a quelle indagate, che hanno condotto la dottrina a soffermarsi sulla tensione fra l’aspetto personale e quello economico della “disposizione” del dato [107]. Anzi, proprio nell’indagine attorno alla cessione delle informazioni, la ricerca sembra essere stata più feconda di studî problematici sulle contrattazioni, lato sensu intese, dei dati personali [108].
La dimensione pervasiva della rete offre lo spunto per avvicinare il fenomeno commerciale degli influencer a quella della circolazione dei dati [109], considerando che la condivisione, cui si obbliga l’influencer, è un’operazione prolungata nel tempo, ove, per ogni contenuto trasmesso, corrisponde una cessione della riservatezza del divulgatore, contro il pagamento del corrispettivo dell’influencer [110]. Ciò, pur nella consapevolezza che permangono differenze non trascurabili, fra cui spicca la circostanza che la cessione del dato personale appare come la contropartita all’accesso al servizio digitale (si pensi all’iscrizione e alla navigazione in un social network), mentre, nel contratto dell’influencer, la cessione del diritto all’immagine e di taluni aspetti legati alla sfera riservata della vita avviene dietro pagamento di un compenso, per la pubblicità, o di un’utilità economica differente (sconti o altri beneficî).
Preso atto di ciò, la dinamica delle cessioni di dati personali è spiegata dalla dottrina ricorrendo alla categoria concettuale delle promesse condizionate a una prestazione [111]. Si sostiene, in sintesi, il venir meno del nesso sinallagmatico fra la fruizione del servizio in rete e la cessione del dato personale, nonostante le prestazioni siano calate all’interno di un’unica operazione negoziale, che si reputa onerosa, o alla quale, comunque, sottende un interesse di scambio [112]. Dal punto di vista rimediale, la revoca del consenso al trattamento, da parte dell’interessato, legittimerebbe una sospensione del servizio, letta alla luce dell’eccezione per inadempimento (art. 1460 cod. civ.), ma non la risoluzione del rapporto, che si motiva in ragione della negazione della doverosità di quell’atto [113].
Il ricorso alla categoria delle promesse condizionate alla prestazione consentirebbe, allora, di contemperare le esigenze del mercato con l’esercizio dei diritti fondamentali della persona, ogniqualvolta, beninteso, essi risultino oggetto del contratto di sponsorizzazione dell’influencer [114]. L’effetto, comune alle due fattispecie, risiederebbe nella assenza di doverosità dell’obbligo: se nella cessione dei dati personali tale libertà è sostenuta in considerazione della disciplina comunitaria, nel caso della prestazione dell’influencer si trae da una lettura sistematica delle varie disposizioni che trattano della cessione degli attributi della personalità e, dal punto di vista assiologico, da una loro inferenza con le libertà costituzionalmente garantite.
Si possono ora riassumere, in alcune considerazioni conclusive, i risultati del ragionamento svolto attorno al profilo problematico, fra i tanti posti in luce, della tutela della riservatezza dell’influencer.
L’atipicità del contratto consente agevolmente il suo inquadramento in schemi concettuali variabili: si è notato come la diffusione sociale dei contratti di sponsorizzazione non sia assoluta, e quindi sintomatica di una tipicità ben definita nei fatti, ma risulti descrittiva di una serie ampia di figure negoziali [115].
Possono darsi ipotesi, più diffuse, in cui la divulgazione tocchi esclusivamente limitati aspetti della sfera pubblica dell’influencer, e quindi le prestazioni possano ritenersi geneticamente collegate da un nesso sinallagmatico [116].
Si potrebbero, poi, verificare casi in cui la cessione di un diritto della personalità del divulgatore non possa legarsi così strettamente alla controprestazione di natura economica, per cui l’esigenza di tutelare la libertà della persona induce a inquadrare, il fenomeno negoziale, nell’alveo delle promesse condizionate a una prestazione [117]. L’effetto sarebbe quello di presidiare la libertà della persona sponsorizzata, pur mantenendosi fermo il legame contrattuale. La stessa esigenza giustifica, in codesti casi, il riconoscimento, all’influencer, del diritto di recedere dal contratto, là dove, in capo al finanziatore, potrebbe riconoscersi un indennizzo, che lo metta al riparo della perdita subìta [118].
Nei casi più gravi di compressione dei diritti fondamentali della persona, la quale non può arrivare sino a disporre contrattualmente degli aspetti più intimi della propria personalità, infine, è evidente un profilo di illiceità del contratto, che ne determina la nullità [119].
[1] La storia della sponsorizzazione affonda le proprie radici nell’antichità, anche se ha assunto la fisionomia attuale grazie al progresso tecnologico e alla rivoluzione consumeristica del mercato. Sul tema, si rinvia ai numerosi studî di T. Meenaghan, Commercial Sponsorship, in European Journal of Marketing, 1983, 1 ss.; Id., Sponsorship: Legitimising the Medium, in European Journal of Marketing, 1991, 5 ss.; Id., Current Developments and Future Directions in Commercial Sponsorship, in International Journal of Advertising, 1998, 3 ss.; Id., Understanging Sponsorship Effects, in Psychology and Marketing, 2001, 95 ss.
[2] Sulle numerose forme che assume la sponsorizzazione, si veda V. De Sanctis, Le sponsorizzazioni. Analisi di un fenomeno, Napoli, 2006, 43 ss.
[3] Così, Cass. civ., 11 ottobre 1997, n. 9880, in Foro it., 1998, I, c. 499 ss.; in Dir. inform., 1998, 277 ss.; in Gius. civ., 1998, I, 1059 ss., con nota di D. Anicetti, Lo sfruttamento pubblicitario della notorietà tra concessione di vendita e contratto di sponsorizzazione; in Riv. dir. sport., 1997, 740, con nota di A. Moliterni, Il contratto di sponsorizzazione approda in Cassazione: un fortunato esordio o solo un’occasione perduta?; in Resp. civ. prev., 1998, 1063 ss., con nota di A. Dassi, La natura atipica del contratto di sponsorizzazione.
[4] La dottrina è oramai copiosa. Si vedano, almeno: G. De Nova, Nuovi contratti, in Riv. dir. civ., 1984, II, 438 ss.; B. Inzitari, Sponsorizzazione, in Contr. impresa, 1985, 249 ss.; V. Franceschelli, I contratti di sponsorizzazione, in Giur. comm., 1987, 288 ss.; M.V. De Giorgi, Sponsorizzazione e mecenatismo, Padova, 1998, passim; C. Verde, Il contratto di sponsorizzazione, Napoli, 1989; M. Bianca, I contratti di sponsorizzazione, Rimini, 1990; Id., voce Sponsorizzazione, in Dig. disc. priv., sez. comm., XV, Torino, 1998, 134 ss.; S. Gatti, voce Sponsorizzazione, in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, 509 ss.; G.V. Briante, G. Savorani, I contratti di sponsorizzazione, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, II, I contratti atipici, a cura di G. Alpa, M. Bessone, Torino, 1991, 429 ss.; V. Amato, voce Sponsorizzazione, in Enc. giur., XXX, Roma, 1993, 1 ss.; R. Giampietraglia, Il contratto di sponsorizzazione, in I contratti di somministrazione e di distribuzione, a cura di R. Bocchini, A.M. Gambino, nel Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno, E. Gabrielli, Torino, 2011, 499 ss.; V. Falce, I contratti di sponsorizzazione, in I contratti di pubblicità e sponsorizzazione, a cura di A.M. Gambino, nel Trattato di diritto commerciale, fondato a V. Buonocore, diretto da R. Costi, III, 3.VII, Torino, 2012, 47 ss.; R. Cerchia, voce Sponsorizzazione (contratto di), in Dig. disc. priv., sez. civ., Agg., Milano, 2013, 694 ss.
[5] Si legga, in giurisprudenza, Trib. Rieti, 19 marzo 1994, in Giur. it., 1994, I, c. 983 ss. In dottrina, sulla causa del contratto di sponsor, ex multis, C. Verde, op. cit., 122 ss., spec. 127-128.
[6] Per un’indagine approfondita dello sfruttamento economico dell’immagine, v. M. Proto, Il diritto e l’immagine. La tutela giuridica del riserbo e dell’icona personale, Milano, 2012.
[7] In argomento, v. V. Zeno-Zencovich, Informatica ed evoluzione del diritto, in Dir. inform., 2003, 89 ss., spec. p. 92, ma, più di recente, Id., La datasfera. Regole giuridiche per il mondo digitale parallelo, in I ‘profili’ del diritto. Regole, rischi e opportunità nell’era digitale, a cura di L. Scaffardi, Torino, 2018, 99 ss.
[8] La figura dell’influencer è stata già oggetto di alcune riflessioni dal punto di vista della dinamica sociale, della comunicazione e del marketing digitale. Per richiamare studî su questo fenomeno, si può avere riguardo a K. Freberg, K. Graham, K. McGaughey-L.A. Freberg, Who Are The Social Media Influencers? A Study of Public Perceptions of Personality, in Public Relations Review, 2011, 90 ss.; D. Bakker, Conceptualising Influencer Marketing, in Journal of emerging trends in marketing and management, 2018, 79 ss.; D. Belanche, L.V. Casaló, M. Flavián, S. Ibáñez-Sánchez, Understanding Influencer Marketing: The Role of Congruence Between Influencers, Products and Consumers, in Journal of Business Research, 2021, 186 ss.; D. Vrontis, A. Makrides, M. Christofi, A. Thrassou, Social Media Influencer Marketing: A Systematic Review, Integrative Framework and Future Research Agenda, in International Journal of Consumer Studies, 2021, 617 ss.
[9] V., per un adeguato profilo civilistico, il primo studio problematico di C. Perlingieri, Profili civilistici dei social network, Napoli, 2014, 23 ss.
[10] Cfr., in argomento, M.W. Monterossi, Estrazione e (ri) utilizzo di informazioni digitali all’interno della rete internet. Il fenomeno del c.d. web scraping, in Dir. inform., 2020, 327 ss.
[11] Sulla precisa individuazione del testimonial, si rinvia a V. Falce, op. cit., 104 ss., in cui pone in luce che tale figura si caratterizza per essere uno strumento di pubblicità dello sponsor, la cui obbligazione si risolve in un facere con riguardo alla effettuazione diretta della propaganda e in un pati, in ordine al consenso all’utilizzo pubblicitario degli elementi di individuazione della propria persona.
[12] Segnatamente ai parr. 2 e 3.
[13] Con specifico riguardo ai parr. 4 ss.
[14] Lamentano uno scarso interesse allo studio dei profili giuridici dell’influencer, C. Goanta, S. Ranchoradás, The Regulation Of Social Media Influencers: An Introduction, in The Regulation of Social Media Influencers, a cura di C. Goanta, S. Sanchoradás, Northampton, 2020, Northampton, 2020, 4, in apertura di una delle prime indagini che, in modo approfondito, cercano di studiare tale figura.
[15] C. Goanta, S. Ranchoradás, op. cit., 6.
[16] C. Goanta, S. Ranchoradás, op. cit., 7.
[17] C. Goanta, S. Ranchoradás, op. cit., 9.
[18] C. Goanta, S. Ranchoradás, op. cit., 8, i quali, da questo punto di vista, rilevano una larga scala di influencer, sulla base della loro popolarità, a partire da coloro che hanno milioni di followers (i così detti mega-influencers) fino a quelli che, invece, hanno un minor seguito, ma sono percepiti dalle aziende finanziatrici come maggiormente genuini e in grado di aumentare il loro potenziale divulgativo (i così detti micro-influencers).
[19] C. Goanta, S. Ranchoradás, op. cit., 8-9.
[20] C. Goanta, S. Ranchoradás, op. cit., 9.
[21] C. Goanta, S. Ranchoradás, op. cit., 10, che riportano l’esempio dei codici sconto su Instagram.
[22] C. Goanta, S. Ranchoradás, op. cit., 10-11, pongono il caso di una impresa che finanzia un post sui social network che pubblicizzi un particolare evento, oppure l’offerta di una prestazione (una cena oppure un soggiorno in un albergo) a fronte di una recensione pubblica, richiamando altresì alcuni differenti modi di conclusione dell’accordo (mediante sottoscrizione di un contratto oppure con scambio di proposta e accettazione sulle piattaforme digitali).
[23] C. Goanta, S. Ranchoradás, op. cit., 11, che precisano come l’accordo fra l’influencer e il finanziatore si arricchisca, generalmente, di clausole di fedeltà, con cui il divulgatore viene legato per un certo tempo all’impresa, obbligandosi a non sottoscrivere accordi con imprese concorrenti.
[24] C. Goanta, S. Ranchoradás, op. cit., 11-12, i quali sollevano particolari questioni relativamente alla difficoltà di comprendere fino in fondo se l’attività di divulgazione sia svolta dalla persona o dall’impresa.
[25] Fra la letteratura riportata, sulla sponsorizzazione, si rinvia a V. Falce, op. cit., 54-55 e, in giurisprudenza, a Cons. Stato, 3 ottobre 2017, n. 4614, in Gius. it., 2018, 168 ss.
[26] Benché, spesso, la forma scritta sia resa necessaria dal veicolo informatico e tecnologico.
[27] Sempre C. Goanta, I. Wildhaber, op. cit., 225-226, riportano un esempio di contratto sottoscritto dall’influencer, il cui contenuto prevede una specifica campagna pubblicitaria in collaborazione fra il finanziatore, l’agenzia e il divulgatore.
[28] Si rinvia, peraltro, a C. Goanta, I. Wildhaber, op. cit., 224, dove si pone in luce, sulla base di indagini empiriche, come i problemi giuridici di maggiore rilievo risultano essere legati all’inadempimento degli obblighi gravanti sull’influencer, quali il mancato rispetto del numero minimo di post pattuiti, il loro ordine, il corretto uso di hashtag, la mancata accettazione del post, secondo le istruzioni del finanziatore o dell’agenzia di divulgazione. A fronte di tali situazioni, non viene corrisposto il compenso all’influencer in quanto l’adempimento non è stato esatto o non vi è stato affatto adempimento.
[29] Si veda la precisa ricostruzione di C. Goanta, I. Wildhaber, op. cit., 227 ss., dove si discute sulla qualificazione del contratto che coinvolge l’influencer nell’ordinamento svizzero, accostandolo ora ai contratti di lavoro, ora al mandato, ora ai contratti atipici innominati, ai quali si applica la disciplina generale del Codice delle obbligazioni svizzero.
[30] C. Goanta, I. Wildhaber, op. cit., 213.
[31] C. Goanta, I. Wildhaber, op. cit., 228-229, ove pongono in luce che l’aspetto legato al controllo della divulgazione dei post dell’influencer può avere riflessi anche sulla responsabilità dell’impresa finanziatrice rispetto ai terzi pregiudicati da tale attività.
[32] C. Goanta, I. Wildhaber, op. cit., 225-226, in cui si specifica la rigida scansione temporale con cui deve avvenire la divulgazione, le modalità e il contenuto che deve avere. Si evidenziano, inoltre, determinati divieti, fra cui risaltano, in genere, la pubblicazione di post riguardanti sostanze alcoliche per evitare di compromettere i follower minorenni, ma anche proibizioni più peculiari, come il divieto di divulgare fotografie in pieno sole per evitare arrossamenti della pelle. Si aggiunge che, in questa dinamica contrattuale, le imprese tendono a favorire la spontaneità e la genuinità dei post che i divulgatori condividono, perché questi hanno un seguito assai maggiore rispetto a quelli in cui si nota una evidente artificiosità.
[33] C. Goanta, I. Wildhaber, op. cit., 223.
[34] Su questo aspetto, assai diffusamente, C. Goanta, I. Wildhaber, op. cit., 223 ss.
[35] Per un cenno, in argomento, v. C. Goanta, S. Ranchoradás, op. cit., 10 e, più nel dettaglio, C. Goanta, I. Wildhaber, op. cit., 217 ss.
[36] R. Ducato, op. loc. citt.
[37] C. Goanta, I. Wildhaber, op. cit., 218 e, nella dottrina italiana, un insegnamento di sicuro rilievo è offerto da C. Camardi, Contratti digitali e mercati delle piattaforme. Un promemoria per il civilista, in Jus Civile, 2021, 870 ss., ma anche G. Bazzoni, L’evoluzione normativa dell’intermediazione digitale: nuovi profili di responsabilizzazione, in Rivista italiana di informatica e diritto, 2022, 201 ss.
[38] R. Ducato, One Hashtag To Rule Them All? Mandated Disclosures And Design Duties In Influencer Marketing Practices, in The Regulation of Social Media Influencers, a cura di C. Goanta e S. Sanchoradás, Northampton, 2020, 236 ss.
[39] C. Goanta, S. Ranchoradás, op. cit., 14.
[40] Per un cenno, su altre problematiche, si rinvia a C. Goanta, S. Ranchoradás, op. cit., 15.
[41] Si consideri la difficoltà di ritrovare la legge applicabile all’accordo, specialmente quando l’intera vicenda negoziale si svolga in rete: l’intrinseca natura transnazionale della questione viene posta in luce da C. Goanta, I. Wildhaber, Controlling Influencer Content Through Contracts: A Qualitative Empirical Study On The Swiss Influencer Market, in The Regulation of Social Media Influencers, a cura di C. Goanta E S. Sanchoradás, Northampton, 2020, 212.
[42] Il tema è stato già affrontato dalla dottrina: si rinvia, fra tutti, a C. Galli, Social Media, segni distintivi e lealtà della concorrenza, tra Influencers, Trend Setters, Fake News e pubblicità, in Dir. ind., 2019, 122 ss.
[43] Si pensi alla difficoltà di comprendere in che momento l’utente del social network acquisisca un grado di professionalità tale da poter essere considerato professionista, e non più consumatore: il problema viene considerato da C. Goanta, I. Wildhaber, op. cit., 217, che affermano come un nano-influencer con meno di 10.000 followers difficilmente possa essere considerato un divulgatore professionale, tale da comprendere adeguatamente eventuali termini contrattuali richiesti dalla piattaforma o dal finanziatore.
[44] Certi aspetti, per lo più legati alla libera manifestazione del pensiero in rete, vengono affrontati da E. Apa, O. Pollicino, Free speech and the right of publicity on social media, in in The Regulation of Social Media Influencers, a cura di C. Goanta, S. Sanchoradás, Northampton, 2020, 22 ss.
[45] Quello dello sviluppo e della protezione dell’identità digitale è un tema ricco di profili problematici: per alcune note, si vedano G. Resta, Identità personale e identità digitale, in Dir. inform., 2007, 511 ss.; G. Alpa, L’identità digitale e la tutela della persona. Spunti di riflessione, in Contr. impr., 2017, 723 ss.; S. Landini, Identità digitale tra tutela della persona e proprietà intellettuale, in Riv. dir. ind., 2017, 180 ss.
[46] Proprio sul problema teorico della tensione fra commercio e tutela della persona, si rinvia a V. Zeno-Zencovich, I diritti della personalità e gli atti di disposizione del proprio corpo, cit., 516-517.
[47] Per il nesso fra l’autonomia privata e le norme della Costituzione, si rinvia a L. Mengoni, Autonomia privata e Costituzione, in Banca, borsa e tit. cred., 1997, 1 ss., cui va aggiunto, almeno, il riferimento a E. Navarretta, Diritto civile e diritto costituzionale, in Riv. dir. civ., 2012, 643 ss.
[48] In argomento, cfr. A. Gentili, Diritti fondamentali e rapporti contrattuali. Sulla efficacia orizzontale della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 183 ss.
[49] Per alcune note sul bilanciamento, declinato nel diritto contrattuale, fra i tanti, cfr. A. Palazzo, Ermeneutica giuridica e costituzionalizzazione del diritto civile, in Riv. dir. priv., 2004, 339 ss.
[50] Cfr. C. Camardi, Brevi riflessioni sull’argomentazione per principi nel diritto privato, in Riv. dir. civ., 2017, 1130 ss.
[51] V., almeno, L. Barassi, Teoria generale delle obbligazioni, I-III, Milano, 1948, II ed., 148 ss.; C. Scuto, Teoria generale delle obbligazioni, Napoli, 1953, III ed., 51 ss.; E. Betti, Teoria generale delle obbligazioni, I, Milano, 1953, 51 ss., i quali sostengono la necessaria patrimonialità dell’obbligazione ai fini risarcitorî. Si è poi sostenuto che l’art. 1174 cod. civ. distingua le obbligazioni dai meri obblighi di cortesia: la tesi risale a C. Crome, Teorie fondamentali delle obbligazioni nel diritto francese, Milano, 1908, 11.
Avversando questa tesi, la dottrina maggioritaria ritiene che non debba guardarsi a come le parti hanno considerato l’obbligo, bensì alla realtà economica e sociale: fra i tanti, si rinvia a M. Giorgianni, L’obbligazione, Catania, 1945, 11 ss.; Id., voce Obbligazione (diritto privato), in Noviss. dig. it., XI, Torino, 1965, 581 ss., spec. p. 585; G. Cian, Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione. (Valore normativo dell’art. 1174 c.c.), in Riv. dir. civ., 1968, 247; P. Rescigno, voce Obbligazioni (nozioni), in Enc. dir., XXIV, Milano, 1979, 133 ss., spec. 185 ss.
Altre ricostruzioni rinvengono nell’art. 1174 cod. civ. un limite all’autonomia delle parti: a modo di esempio, v. A. Di Majo, Delle obbligazioni in generale. Art. 1173-1176, in Commentario del Codice civile, fondato da A. Scialoja e G. Branca, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, 1988, 246 ss. Aggiunge note critiche F. Gazzoni, Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi, in Riv. dir. civ., 1978, 69.
[52] Su questa funzione, V. Polacco, Le obbligazioni, I, Roma, 1911, 199; F. Romano, voce Obbligo, in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, 500 ss.; A. Di Majo, Delle obbligazioni in generale. Art. 1173-1176, cit., 256 ss.; P. Perlingieri, Le obbligazioni: tra vecchi e nuovi dogmi, in Rass. dir. civ., 1989, 82 ss. spec. p. 86 ss.
[53] In particolare, l’extrapatrimonialità, l’indisponibilità, l’intrasmissibilità, l’imprescrittibilità e l’insurrogabilità: si rinvia ad A. De Cupis, I diritti della personalità, in Tratt. dir. civ. comm., dir. da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L. Mengoni, Milano, 1982, II ed., 50 ss.; D. Messinetti, voce Personalità (diritti della), in Enc. dir., XXXIII, Milano, 1982, 356 ss.; C.M. Bianca, Diritto civile, 1, La norma giuridica. I soggetti, Milano, 2002, II ed., 139 ss., spec. p. 147 ss.; V. Zeno-Zencovich, voce Personalità (diritti della), in Dig. disc. priv., sez. civ., XIII, Torino, 1995, 430 ss.; F. Galgano, Trattato di diritto civile, I, Padova, 2015, III ed., 171 ss.
[54] Vi è peraltro da ricordare anche un mutamento nella stessa categoria dei diritti della personalità, il cui catalogo non si dimostra statico, bensì in aggiornamento rispetto all’evoluzione del sistema: in argomento, G. Resta, op. cit., 1057, ma anche V. Zeno-Zencovich, Profili negoziali degli attributi della personalità, in Dir. inform., 1993, 547.
[55] Basti qui richiamare l’efficace sintesi che ebbe modo di elaborare G. Resta, Diritti della personalità, cit., 1059-1060, dove si distinguono alcune tesi attorno allo sfruttamento economico dei diritti della personalità.
[56] Per tutte, v. Cass. civ., 11 ottobre 1997, n. 9880, cit., e Cass. civ., 21 maggio 1998, n. 5086, in Gius. civ., 1998, 1833 ss., dove si nega, peraltro, che lo sponsor assuma le caratteristiche di un contratto associativo, avendo ad oggetto lo scambio di prestazioni. Analogamente, di recente, Cass. civ., 27 aprile 2012, n. 6548, in Boll. trib., 2013, 602 ss.
[57] È necessario avvertire che la dottrina dubitava dell’applicabilità di un modello di questo tipo alla sfera delle informazioni, come fa G. Resta, op. cit., 1061. Prende atto della crescente diffusione di nuovi modelli di spettacolo, che implicano anche la cessione di alcuni aspetti della propria riservatezza, L. Valle, op. cit., 173 ss., spec. 179-180.
[58] Una adeguata sintesi dei problemi sulla disposizione degli attributi della personalità, alla luce della tecnica dispositiva del consenso, è offerta da R. Caterina, Le persone fisiche, Torino, 2016, II ed., 169 ss.
[59] G. Resta, Diritti della personalità, cit., 1065.
[60] Si ricordi, in argomento, che autorevole dottrina abbia dubitato della distinzione fra interessi patrimoniale e interessi non patrimoniali, su cui si veda P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, II, cit., 715 ss., poi ripreso da R. Senigaglia, Minore età e contratto. Contributo alla teoria della capacità, Torino, 2020, 75 ss.
[61] Quale strumento che meglio consentiva di perseguire le finalità dell’economia liberale: in argomento, v. P. Barcellona, Diritto privato e processo economico, Napoli, 1977, 50 ss., spec. 53, ma anche le approfondite considerazioni svolte da N. Irti, Codice civile e società politica, Roma-Bari, 1995, 10 ss., spec. 12 ss.
[62] La crisi della categoria generale del contratto è oramai diffusa: si rinvia a C. Camardi, Norme generali e categorie civilistiche. Una riflessione sul diritto dei contratti, in Riv. crit. dir. priv., 2019, 187 ss.
[63] Cfr. G. Resta, La disponibilità dei diritti fondamentali e i limiti della dignità (note a margine della Carta dei Diritti), in Riv. dir. civ., 2002, 801 ss.; Id., Dignità, persone, mercati, cit., 115 ss., spec. p. 116, e L. Valle, op. cit., 191-192.
[64] L’aspetto non è neppure così innovativo, poiché vi è traccia, nel sistema, di vincoli all’autonomia privata a difesa di interessi esistenziali della persona, facilmente riconducibili alle libertà costituzionalmente garantite (si rammenti l’art. 634 cod. civ.).
[65] L’itinerario giuridico della dignità è stato ricostruito puntualmente dalla dottrina. Sul tema giova rimandare a G. Alpa, G. Resta, Le persone fisiche e i diritti della personalità, in Tratt. dir. civ., dir. da R. Sacco, I, Le persone e la famiglia, Torino, 2019, II ed., 379 ss.
[66] Basti guardare, per avere una sicura conferma di questa tendenza, alla riforma del diritto dei contratti in Francia. Si rinvia a G. Terlizzi, Dal buon costume alla dignità della persona. Percorsi di una clausola generale, Napoli, 2013, 85 ss.; R. Perrone, «Buon costume» e valori costituzionali condivisi. Una prospettiva della dignità umana, Napoli, 2015.
[67] Per uno sguardo più ampio al tema dell’importanza della dignità umana, V. Scalisi, Ermeneutica della dignità, Milano, 2018, 18 ss., spec. p. 27, e F.D. Busnelli, Le alternanti sorti del principio di dignità della persona umana, in Riv. dir. civ., 2019, 1071 ss. Si leggano ancóra le affermazioni di S. Rodotà, Antropologia dell’«homo dignus», in Riv. crit. dir. priv., 2010, 547 ss.
[68] Cfr., quanto alla sponsorizzazione in cui va inquadrato tale contratto, E. Giacobbe, Atipicità del contratto e sponsorizzazione, in Riv. dir. civ., 1991, 399 ss.; G. Vidiri, Il contratto di sponsorizzazione: natura e disciplina, in Giust. civ., 2001, 3 ss., che ne hanno indagato la natura giuridica al fine di avvicinarne la struttura e la funzione a quella dei contratti tipizzati dal legislatore. È anche utile, però, rileggere quanto affermava C. Verde, op. cit., 130, a mente del quale è riduttivo discorrere di contratto atipico, attesa la duttilità con cui lo schema è impiegato in àmbiti fra loro così lontani. Nella giurisprudenza, fra le tante, v. Cons. Stato, 4 dicembre 2001, n. 6073, in Gius. amm., 2002, 78 ss., con commento di G. Saporito, La sponsorizzazione di attività pubbliche e l’atipicità nei contratti della pubblica amministrazione, e Cass. civ., 27 aprile 2012, n. 6548, cit.
[69] Ciò, beninteso, sia possibile fermare la valutazione della meritevolezza, di cui all’art. 1322 cod. civ., alla valutazione di liceità. Per qualche cenno sul dibattito dottrinale in argomento, cfr. G. Sicchiero, La distinzione tra meritevolezza e liceità del contratto atipico, in Contr. impr., 2004, 545 ss.
[70] Peraltro, un diffuso sindacato sulla liceità dell’accordo non pare essere nemmeno del tutto giustificato concettualmente, in quanto risulta più rispondente all’impostazione tradizionale che reputa indisponibili i diritti della personalità e ne preclude ogni disposizione negoziale.
[71] Fatta salva, naturalmente, la possibilità che il giudice accerti d’ufficio la causa di nullità in applicazione della disciplina generale (art. 1421 cod. civ.). Difatti, non pare proprio possibile, allo stato attuale, riconoscere una così detta nullità di protezione fuori dai casi prescritti dalla legge, tale da rimettere alla parte, in favore della quale è prevista l’azione, la scelta di far valere l’invalidità.
[72] Si veda, peraltro, nello stesso senso V. Zeno-Zencovich, Profili negoziali degli attributi della personalità, cit., 567 ss., spec. p. 569.
[73] La non ripetibilità della prestazione potrebbe venire sostenuta facendo applicazione dell’art. 2035 cod. civ.
[74] G. Resta, Dignità, persone, mercati, cit., 118.
[75] G. Resta, op. cit., 117, il quale richiama la disciplina sulla protezione dei dati personali (art. 2, lett. h, direttiva 95/46/CE; art. 12, direttiva 2002/58/CE e art. 23, d.lgs. n. 196/2003, oggi calata nel Reg. UE n. 679/2016, e la normativa sul diritto morale d’autore (art. 22, legge n. 633/1941).
[76] La base normativa su cui si sviluppa questa tesi appare fragile, poiché le norme sul trattamento dei dati personali e quelle sul diritto morale d’autore si presentano alquanto settoriali.
[77] Per tutti, valga il richiamo a C.M. Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano, 2019, III ed., 295-296. La giurisprudenza applica, invero, ampiamente l’art. 1346 cod. civ., affermando che la determinatezza del contratto «non va intesa in modo rigoroso, dovendosi ritenere sufficientemente identificato tale oggetto, quando sia indicato nei suoi elementi essenziali»: cfr., fra le tante, Cass. civ., 19 agosto 1971, n. 2561, in Rep. Foro it., 1971, voce Contratto in genere.
[78] Così V. Zeno-Zencovich, Profili negoziali degli attributi della personalità, cit., 565.
[79] La pratica negoziale rende evidente la frequenza con cui vengano inserite nella regolamentazione contrattuale le così dette morality clauses: con questo termine si intendono le clausole negoziali del contratto di sponsorizzazione che legano la stabilità del rapporto al comportamento che tiene lo sponsee, come la possibilità di recedere ovvero la risoluzione espressa, oppure vi rannodano ulteriori conseguenze pregiudizievoli. Limitandosi alla dottrina domestica, si riporta S. Facchinetti, Sponsor e sponsorizzati, Milano, 2011, 134 ss.
[80] L’importanza della clausola della buona fede nell’inquadramento dei doveri dello sponsee è diffusa in dottrina: in luogo di tanti, v. C. Verde, op. cit., 95 ss., spec. 98-99; I. Magni, Il contratto di sponsorizzazione, in I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, a cura di P. Cendon, Torino, 2003, 108; V. Falce, op. cit., 75-76, ove richiama pure P. Testa, Vecchi e nuovi problemi in materia di sponsorizzazione, in Dir. infor., 1994, 1023.
[81] Per un’approfondita indagine sulla buona fede contrattuale, è opportuno rinviare a F. Piraino, La buona fede in senso oggettivo. Estratto, Torino, 2015, 8 ss. e p. 123 ss. V., peraltro, la Cass. civ., 9 settembre 2004, n. 18193, in Dir. prat. soc., 2005, 58 ss., in cui pare avvertirsi il problema della determinatezza degli obblighi negoziali, i quali, nella fattispecie concreta, riguardavano la «gestione dell’immagine dello sponsor e dei suoi servizi, […] che vedevano l’obbligato “sponsor” impegnato in plurime attività, personali e dirette e non – e comunque non solo – nella mera ostentazione di marchi o etichette», ma si evita di considerare il profilo della nullità per vizio dell’oggetto, affermandosi che la «mancata contestazione nei gradi di merito della pretesa creditoria e del quantum di essa giova a ritenere che le prestazioni ed i servizi relativi alle pubbliche relazioni e l’assistenza all’attività promozionale siano state adeguatamente e correttamente svolte, in linea con le previsioni contrattuali e con le esigenze di volta in volta prospettate dallo sponsor».
[82] Sulle nozioni di rapporto di fiducia e intuitus personae, pur con disparità di vedute, fra i tanti, cfr. A. Cataudella, Intuitus personae e tipo negoziale, in Studi in onore di Francesco Santoro-Passarelli, Napoli, 1972, 623 ss.; A. Galasso, Errore sulla persona, personalità della prestazione e intuitus personae, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1973, 1331 ss.
[83] Si rinvia alle puntuali affermazioni di M. Mantello, Autonomia dei privati e problemi della solidarietà, Milano, 2007, 173 ss., spec. 174.
[84] Cfr., a titolo di esempio, App. Trento, 24 maggio 2002, in One Legale, ove si afferma che nel «contratto di sponsorizzazione in esclusiva, in cui lo sponsee si obbliga a consentire allo sponsor di utilizzare la propria immagine pubblica per promuovere un prodotto o un marchio, lo sponsee è tenuto a non divulgare l’accordo raggiunto con un nuovo sponsor prima della scadenza del contratto. Tuttavia, trattandosi di una obbligazione accessoria, la sua violazione obbliga a risarcire i danni subiti dallo sponsor ma non è motivo di risoluzione del contratto per inadempimento».
[85] Di contro, un assoggettamento continuo ed evidente dell’attività dello sponsee rischierebbe di celare taluni elementi di subordinazione, con note caratteristiche del rapporto di lavoro (art. 2094 cod. civ.). Per alcuni validi riferimenti, in dottrina, v. A. Perulli, Capitalismo delle piattaforme e diritto del lavoro. Verso un nuovo sistema di tutele?, in Lavoro autonomo e capitalismo delle piattaforme, a cura di A. Perulli, Padova, 2018, 115 ss.
[86] G. Resta, Dignità, persone, mercati, cit., 118-119.
[87] Per alcuni dubbî sull’interpretazione del contratto con cui si cedono diritti della personalità, assai prossimi a quelli ora espressi, si legga V. Zeno-Zencovich, Profili negoziali degli attributi della personalità, cit., 578-579.
[88] Per cenno all’integrazione mediante il richiamo agli usi negoziali, v. Cass. civ., 9 settembre 2004, n. 18193, cit. In dottrina, per qualche riferimento in questo senso, v. C. Verde, op. cit., 129 ss., spec. 136-137; V. Falce, op. cit., 81.
[89] L’argomento è troppo vasto per darne una visione completa, e perciò si rinvia, almeno, a F.D. Busnelli, Note in tema di buona fede ed equità, in Riv. dir. civ., 2001, 537 ss., e, più di recente, a G. Sicchiero, Un nuovo ruolo per l’equità ex art. 1374 c.c., in Giur. it., 2020, 2317 ss.; Id., L’equità correttiva, in Contr. impresa, 2021, 1174 ss.
[90] Sul punto, si vedano le recenti osservazioni di A. Spatuzzi, Sulla predicata inammissibilità di obbligazioni perpetue, in Notariato, 2022, 137 ss.
[91] Cfr. V. Zeno-Zencovich, Profili negoziali degli attributi della personalità, cit., 575 ss.; G. Resta, Dignità, persone, mercati, cit., 120-121, il quale richiama ragioni anche di natura comparata e storica.
[92] Ed in virtù della tutt’oggi affermata tipicità delle ipotesi di recesso legale, sulla quale si può rinviare, per note approfondite, a G. Vettori, Contratto e rimedi. Verso una società sostenibile, Padova, 2021, IV ed., 940 ss., e ivi per l’ampia letteratura citata.
[93] In argomento, G. Resta, op. cit., 121, che ribadisce la natura eccezionale del rimedio. Concorda L. Valle, op. cit., 187 ss., che sostiene la possibilità di affermare l’esistenza di un diritto di recesso grazie al richiamo degli artt. 2 e 41, comma 2, Cost., unitamente al valore della dignità umana.
[94] Si badi, peraltro, che ciò avrà notevoli riflessi in ordine a eventuali clausole che liquidino anticipatamente la pretesa creditoria del contraente, potendosi ragionevolmente sostenere la riduzione di una penale pattuita in caso di inadempimento o ritardo (art. 1384 cod. civ.).
[95] Sulla precisa individuazione dell’interesse negativo, basti il rinvio a P. Trimarchi, Il contratto: inadempimento e rimedi, Milano, 2010, 98 ss.
[96] G. Resta, Dignità, persone, mercati, cit., 121. Si precisa, altresì, che il recesso non possa venire svilito dal rischio di un elevato risarcimento del danno: in argomento, v. S. Thobani, Diritti della personalità e contratto, cit., 151, poi ripresa da L. Valle, op. cit., 190.
[97] In argomento, v.: G. Gentile, Le varie figure della responsabilità civile, in Resp. civ. prev., 1973, 360 ss.; C. Salvi, voce Risarcimento del danno, in Enc. dir., XL, Milano, 1989, 1091 ss.; Id., La responsabilità civile, in Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2005, II ed., 261 ss.; M.A. Mazzola, Responsabilità civile da atti leciti dannosi, Milano, 2007, 226 ss.; C. Buonanuro, Responsabilità da atto lecito dannoso, Milano, 2012, 139 ss.; C.M. Bianca, Diritto civile, 5, La responsabilità, Milano, 2021, III ed., 540 ss.
[98] Lucidamente, in argomento, cfr. S. Ciccarello, voce Indennità, in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, 99 ss., e P. Perlingieri, La responsabilità civile fra indennizzo e risarcimento, in Rass. dir. civ., 2004, p.1061 ss.
[99] Cfr. C.M. Bianca, op. cit., 541, il quale ammette che i fatti leciti dannosi possano rientrare nella categoria dei fatti che, in conformità dell’ordinamento, sono idonei a produrre effetti obbligatorî, alla luce del dettato dell’art. 1173 cod. civ.
Tale tesi è stata sostenuta, di recente, dalla giurisprudenza di legittimità, con riferimento a Cass. civ., 16 dicembre 2015, n. 25292, in Foro it., 2016, c. 1315 ss.
[100] La funzione riparatoria dell’indennità è richiamata, espressamente, da P. Perlingieri, op. cit., 1072, ma già da S. Ciccarello, op. cit., 105. Si poneva scettico sulla possibilità di ricostruire dogmaticamente la categoria delle indennità G. Torregrossa, Il problema della responsabilità da atto lecito, Milano, 1964, 152 ss.
[101] In linea generale, V. Zeno-Zencovich, Profili negoziali degli attributi della personalità, cit., 574 ss., pone in luce come non vada disattesa l’esigenza economica che sottende allo scambio e che, ammessa la difficoltà di ricostruire puntualmente gli obblighi negoziali, occorra ammettere lo scioglimento del rapporto per inadempimento.
[102] La dottrina ammette, pacificamente, che lo sponsor sia un contratto a prestazioni corrispettive e che si possano estendere i rimedî civilisti previsti in caso di difetto funzionale della causa: fra i tanti, cfr. M. Bianca, voce Sponsorizzazione, cit., 146-147, che ivi richiama anche la giurisprudenza di merito, e V. Falce, op. cit., 88 ss., spec. p. 90.
[103] Il caso riportato è quello deciso da Trib. Milano, 9 febbraio 2015, in Dir. industriale, 2015, 511 ss., con commento di A. Geraci, Il contratto di sponsorizzazione non può compromettere il diritto di autodeterminazione.
[104] La questione non è peraltro del tutto nuova, e basti pensare, per un esempio, ai così detti reality show, sul cui rilievo giuridico, giova rimandare a G. Resta, op. cit., 312 ss.
[105] È oramai divenuta celebre l’affermazione della Commissaria europea per la tutela dei consumatori, Maglena Kuleva, nell’evento Roundtable on Online Data Collection, Targeting and Profiling, tenutosi a Bruxelles, il 31 marzo 2009, per cui «Personal data is the new oil of the internet and the new currency of the digital word».
[106] In argomento, N. Zorzi-Galgano, Le due anime del GDPR e la tutela del diritto alla privacy, in Persona e mercato dei dati. Riflessioni sul GDPR, a cura di N. Zorzi Galgano, Padova, 2019, 35 ss.; A. Quarta, Mercati senza scambi. Le metamorfosi del contratto nel capitalismo di sorveglianza, Napoli, 2020, 29 ss.
[107] Limitandosi ai contributi più recenti, v. R. Senigaglia, La dimensione patrimoniale del diritto alla protezione dei dati personali, in Contr. impresa, 2020, 760 ss., ma anche V. Ricciuto, L’equivoco della privacy. Persona vs. dato personale, Napoli, 2022.
[108] È noto il problema di identificare la natura del consenso al trattamento dei dati personali con riguardo alle categorie tradizionali. In argomento, v.: S. Thobani, Libertà del consenso al trattamento dei dati personali e lo sfruttamento economico dei diritti della personalità, in Eur. dir. priv., 2016, 513 ss.; G. Resta, V. Zeno-Zencovich, Volontà e consenso nella fruizione dei servizi in rete, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, 441 ss.; G. Resta, I dati personali oggetto del contratto. Riflessioni sul coordinamento tra la direttiva (UE) 2019/770 e il Regolamento (UE) 2016/679, in Annuario del Contratto, Torino, 2018, 126 ss.; S. Thobani, Diritti della personalità e contratto. Dalle fattispecie più tradizionali al trattamento in massa dei dati personali, Milano, 2018, 49 ss.; A. De Franceschi, Il «pagamento» mediante dati personali, in I dati personali nel diritto europeo, a cura di V. Cuffaro, R. D’Orazio e V. Ricciuto, Torino, 2019, 1381 ss.; A. Addante, La circolazione negoziale dei dati personali nei contratti di fornitura di contenuti e servizi digitali, in Gius. civ., 2020, 889 ss.; C. Angioini, Lo statuto dei dati personali. Uno studio a partire dalla nozione di bene, Torino, 2020, 189 ss.
[109] Sulla duplice natura del dato, personale e patrimoniale, si veda E. Tosi, Responsabilità civile per illecito trattamento dei dati personali e danno non patrimoniale. Oggettivazione del rischio e riemersione del danno morale con funzione deterrente-sanzionatoria alla luce dell’art. 82 GDPR, Milano, 2019, 21 ss., spec. p. 25, e lì richiamato G. Resta, Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 213.
[110] L’accostamento è reso evidente anche da L. Valle, op. cit., 191.
[111] Categoria che risale a G. Gorla, Promesse “condizionate” ad una prestazione, in Riv. dir. civ., 1968, 431 ss., e ora in Id., Diritto comparato e diritto comune europeo, Milano, 1981, 238 ss., di recente ripresa e sviluppata da G. Amadio, La condizione di inadempimento. Contributo alla teoria del negozio condizionato, Padova, 1996, 241 ss. e G.F. Basini, Le promesse premiali, Milano, 2000, 62 ss.
[112] Nel contesto digitale, la struttura delle promesse condizionate alla prestazione è fatta propria da C. Angioini, op. cit., 217 ss. e, successivamente, viene indagata con profondità da C. Irti, Consenso “negoziato” e circolazione dei dati personali, Torino, 2021, 102 ss.
[113] Cfr. C. Irti, op. cit., 113-114.
[114] Si farebbe così salva la natura onerosa della sponsorizzazione, che, peraltro, è l’elemento che permette di distinguere questa figura negoziale dal mecenatismo, su cui si rinvia a S. Piccinni, Sponsorizzazione, tra onerosità e gratuità, in Rass. dir. civ., 1993, 794 ss.
[115] Supra, par. 1.
[116] Supra, par. 2.
[117] Supra, par. 8.
[118] Supra, par. 7.
[119] Supra, par. 5.